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Autore: sayuri_88    06/02/2013    2 recensioni
Se su una spiaggia mentre osservi il tramonto facessi un incontro speciale?
Ho pensato a come deve essere passare le vacanze estive per una persona che non può, per cause di forza maggiore, passare una giornata sotto il sole come fanno tutti ed è uscito questo...spero vi piaccia^^
Dal capitolo:
Sognavo che un giorno avrei potuto correre sotto il sole, andare alla spiaggia a nuotare e poi asciugarmi sulla sabbia, pranzare in un parco mentre i raggi del sole sfioravano la mia pelle come delle carezze. Un sole che mi era amico insomma. Ma la realtà era ben diversa.
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Bella/Edward
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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Eccomi!! Come promesso ecco il nuovo capito. Dal titolo potete già capire che qualcosa si avvicina e nel prossimo scoppiera un bel tempaccio.
Grazie a tutti quelli che nonostante i miei ritardi cronici mi seguono con intraprendenza Grazie a ognuna di voi in particolare alla due ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo.
Vi ricordo la mia pagina FB per spolier, informazioni e tutto quello che vi serve.

Buona lettura!


 


 

... Tempesta ...




— Bella, non puoi andare — protestò. Non mi stupì per nulla della sua reazione. Me lo aspettavo.
Due giorni dopo il funerale, Billy aveva chiamato Charlie per invitarci a cena a casa sua assieme a Harry, sua moglie e altri loro amici. Volevano distrarlo e fargli passare uan serata in allegria e non ci avevo pensato due volte ad accettare solo che in quel momento non avevo pensato a quello che avrebbe potuto dire il mio ragazzo.
— Edward, non posso non andare. Sono amici di famiglia e sarà solo una cena.
— Ci saranno anche i licantropi, sono instabili. Rischi di farti del male! — obiettò come se le sue reticenze fossero giuste e legittime.
— Tu sei un vampiro ma non mi hai mai fatto male. Nemmeno loro lo faranno, come hai detto tu: proteggono gli umani.
Rimase zitto, non sapendo come controbattere, visto che avevo usato le sue stesse parole, ma non sembrava intenzionato ad arrendersi e così quando aprì la bocca per parlare, lo bloccai con un gesto fermo della mano.
— Un vampiro ha ucciso uno degli amici di mio padre, il quale è alquanto scosso dalla perdita e quello di cui ha bisogno è avere me e i suoi amici vicini. Andrò a quella cena, terrò il cellulare acceso tutto il tempo, potrai chiamarmi quando vorrai, ti manderò messaggi ogni ora se ti può tranquillizzare, ma io andrò a quella cena — dissi con un tono che non ammetteva repliche.
Amavo quel suo desiderio di proteggermi da tutto e da tutti, era romantico e mi dimostrava che lui teneva a me ma non volevo vivere sotto una campana di vetro.
Gli porsi la mano come se stessimo sigillando un contratto: — Affare fatto?
Sorrise sghembo dopo aver scosso la testa, strinse la mia mano sancendo il nostro accordo.
Con una spinta mi attirò a se chiudendomi nel suo abbraccio. Mi sentivo piccola, lì stretta al suo corpo, ma anche protetta.
— Non voglio che tu corra rischi inutili, già stare con me è pericoloso, chiamami egoista ma ti amo e non voglio rinunciare a te. 
Cinsi il suo collo con le mani e alzandomi sulle punte gli lascia un bacio sulla mandibola - certe volte maledivo il mio povero metro e sessantacinque - e poggiando il capo sul suo sterno, dissi:
— Amo questo tuo essere egoista ma non correrò nessun rischio. Ci sarà Charlie con me e saremo in casa. Fidati.
— Io mi fido — mormorò tra i miei capelli e rafforzando la presa attorno alla mia vita e senza nemmeno accorgermene mi ritrovai stesa sul letto sotto di lui, intrattenendoci con silenziosi discorsi molto piacevoli.
 
Dal giorno dell’aggressione ero terrorizzata dall’idea che il vampiro potesse tornare, se non lui qualcun altro, e fare del male ai Cullen ma soprattutto a Edward. Temevo che potessero portarmelo via. Che avrei fatto io? Non lo avrei sopportato. Lo avrei seguito ovunque come Giulietta seguì il suo Romeo. Ciò che la vita aveva diviso la morte aveva riunito.
 
Casa Black quella sera era molto affollata, gli unici che conoscevo erano la famiglia Clearwater: Harry, Sue, la moglie, e i due figli, Leah e Seth. Da quello che mi aveva detto Charlie, dovevano avere qualche anno in meno di me ma a giudicarli dalla loro stazza e altezza sembravano più degli studenti universitari. Jacob, mi corse incontro e mi abbracciò sollevandomi a più di un metro da terra.
— Credevo che il succiasangue ti avrebbe rinchiuso nella sua bara e non ti avrebbe lasciato venire. Ero già pronto a correre in tuo soccorso — disse una volta che mi fece tornare a terra.
— Non sono sua prigioniera — mormorai a bassa voce e guardando preoccupata Harry a pochi metri da noi. Poi i vampiri non usavano le bare…
— Non preoccuparti, Harry e Billy sanno tutto — mi tranquillizzò con un’alzata di spalle.
Il primo, accortosi del mio sguardo si girò e sorrise affabile per poi invitare mio padre a entrare adducendo come scusa la partita dei Noxs che si sarebbe giocata quella sera.
— Ehi! Tu sei la ragazza vampiro.
Seth avanzò verso di noi sovrastandomi con la sua stazza. Era un adolescente ma se si fosse presentato a un pub nessuno gli avrebbe chiesto la carta d’identità.
— Ciao, Seth. Perché sarei una ragazza vampiro?
— Non stai con uno dei Cullen? — domandò con meno sicurezza di prima.
— Sì — mormorai con un mezzo sorriso. Ero diventata la ragazza vampiro… Mi piaceva quel nomignolo.
— Forte, non ci credevo quando Jake ci aveva detto che te la facevi con un vampiro. Non hai paura? Insomma quelle zanne e la pelle fredda e la loro puzza — mi domandò accompagnando con una smorfia l’ultima parte.
— Puzza? — chiesi. I Cullen non puzzavano, al contrario avevano quel gradevole odore leggermente dolciastro che attirava la gente come la luce fa con le falene. Favoriva la caccia per quello che mi aveva detto Edward.
— Lascia perdere, Seth. Quella è troppo stupida per capire — fu il commento poco gentile di Leah, sua sorella. Non avevamo mai interagito più di tanto quelle volte che mi recavo alla riserva. Mi aveva preso in antipatia da subito.
— Non badarci, è acida di suo, soprattutto quando è in quel periodo del mese — mi sussurrò Seth, facendomiridere.Nascosi dietro un accenno di tosse il mio divertimento.La sorella però non sembrava aver apprezzato. Gli riservò un’occhiata da “facciamo i conti a casa” e a grandi falcate entrò in casa, nello stesso momento in cui usciva Charlie per incitarci a entrare.
 
Stavamo per sederci a tavola quando il mio cellulare vibrò un paio di volte avvisandomi dell’arrivo di un messaggio.
Mi manchi, dimmi che posso venire a prenderti ed io arrivo subito. Edward.
Sorrisi, le mie dita erano già pronte sulla tastiera per dirgli di arrivare subito ma ricordai il motivo per cui ero lì e gli scrissi che andava tutto bene e che sarei tornata a casa con mio padre e di stare tranquillo.
— Bells, vuoi le patate? — mi chiese la voce profonda di Jake.
— Sì, grazie.
Misi il cellulare in tasca e presi la ciotola dalle mani dal ragazzo.
Era incredibile quanto riuscissero a mangiare lui e i suoi amici. Sia io che Charlie li guardavamo a bocca aperta, stupiti. Gli altri indiani, al contrario, non battevano ciglio, abituati alla quantità di cibo che potevano ingurgitare.
Una volta terminato, iniziai a sparecchiare, ignorando le proteste di Sue sul fatto che fossi un’ospite e con una decina di piatti in mano mi avviai verso la cucina, lo sguardo fisso a terra per non inciampare.
Fu quando posai i piatti nel lavandino che il cellulare squillò. Edwardmi stava chiamando.Risposi subito.
— Edward, sto bene... — dissi con una nota divertita nella voce. Non potei andare oltre poiché una voce forte e leggermente infastidita mi fece sobbalzare.
— Cos’è si vuole accertare che il guinzaglio sia ben stretto? — Mi girai riservando al nuovo arrivato uno sguardo di rimprovero.
— Jake…— lo rimproverai per poi tornare a parlare con Edward. — Scusa, ti chiamo io più tardi — e senza aspettare una sua risposta riagganciai. Infilai il cellulare nella tasca posteriore dei jeans e rimproverai il mio amico con lo sguardo.
— Che c’è?— disse impettito — È vero, quando è stata l’ultima volta che hai fatto qualcosa senza la sua supervisione? Ogni volta che parlo con Charlie, mi dice che sei in giro con lui o con le sue sorelle.
— Ci sono stati un po' di problemi ultimamente — borbottai ripensando all’episodio di Johnny.
— Ho cercato di avvertirti, di farti stare fuori da tutto questo… — mormorò come se stesse rimproverando se stesso per non esserci riuscito.
— Dracula — dissi annuendo mesta.— Già, — sospirai per poi avvicinarmi al giovane quileutte. Alzai lo sguardo per guardarlo dritto in faccia e dissi: — Ti ringrazio ma non sarebbe cambiato nulla.
Il mio amico scosse la testa e mi guardò triste. Lentamente alzò una mano e mi sfiorò la guancia destra.
— Sei caldissimo. Sei una stufa ambulante — dissi prendendolo in giro. Jacob sghignazzò e dopo essersi allontanato, infilò la mano nella tasca dei pantaloni.
— Quando ti stancherai del freddo, sai a chi rivolgerti — commentò con una alzata di spalle.Imbarazzata, alzai lo sguardo nel suo sbarazzino e tornai al lavandino con la pila di piatti da lavare.
— Fratello, noi andiamo — esordì la voce allegra di Seth. Poco dopo la sua testa spuntò sulla soglia della cucina.
— Ciao, Seth. Buona notte.
— Ciao, Bella. Magari andassi a dormire. Sarà una notte lunga questa.
— Arrivo subito — rispose Jacob sparendo dietro lo spigolo della porta.  
— Bella ma che fai? Sei un’ospite — Sue fece il suo ingresso in cucina pochi secondi dopo l’uscita del mio amico. Scrollai le spalle e continuai il mio lavoro.
— Non è un problema... e poi anche tu sei un’ospite.
— Io lavo e tu asciughi, okay? —. Annuì e le lasciai il posto, — allora, come vanno le cose a casa?
— Bene, papà si sta riprendendo… — Sue mi passò un piatto, lo asciugai e lo sistemai sul tavolo.
— E la scuola, ragazzi?
Non sapevo che rispondere. Quanto sapeva dei Cullen? Suo marito gli aveva detto qualcosa?
— Beh ecco, la scuola va alla grande… ragazzi, sto uscendo con un mio compagno di scuola Edward Cullen…
— Oh, sì, me l’ha accennato Charlie… sono contenta di sapere che va tutto bene. Ricordo che Billy e mio marito non l’hanno presa bene — sghignazzò al ricordo di qualche episodio — ma è dura mettere un po' di sale in zucca a due vecchi testardi e cocciuti.
Mi limitai ad annuire e costatai che la donna non sapeva nulla della vera natura dei Cullen.
Finimmo di pulire chiacchierando del più e del meno fino a che Jake, rispuntando dal nulla, non m’invitò a fare una passeggiata sulla spiaggia. Accettai non prima di mandare un messaggio al mio vampiro per tranquillizzarlo, anche se ero arrivata un po' tardi. Era già al confine a fare avanti e indietro con Jasper ed Emmet al suo fianco, pronto a intervenire.
Dovetti chiamarlo per convincerlo a tornare a casa senza fare colpi di testa. Jake mi lasciò il mio spazio lasciandomi all’inizio della spiaggia, mentre lui si avviò verso il bagnasciuga. Anche se non fu un’impresa facile, ci impiegai una buona decina di minuti, riuscì a convincere il vampiro.
Terminata la chiamata, raggiunsi il mio amico e fianco a fianco rimanemmo in silenzio a osservare l’incresparsi delle onde fino a che non ruppi il silenzio.
— Quindi sei un licantropo…
— Già… con peli, zanne e tutto il resto —aggiunse facendo ridere entrambi.
— Anche la luna piena?
— No, — ridacchiò, scuotendo la testa — quando vogliamo, ci possiamo trasformare.
— Quindi non sei come uno di quelli di Teen Wolf?
Giusto quell’autunno era iniziata una serie televisiva che aveva come protagonisti lupi mannari e cacciatori. Il ragazzo fece una smorfia di disgusto molto buffa e disse:
— The vampire diares ti è servito per capire i vampiri?
— No, sono tutte stupidaggini.
— Ecco, anche quella serie da quattro soldi è una cazzata.
Risi di gusto per il modo in cui lo aveva detto e per la smorfia disgustata che gli aveva deformato il viso. Sembrava uno dei bambini, cui facevo la baby sitter, quando cercavo di fargli mangiare le verdure.
— Quando Seth ha detto: “Sarà una notte lunga” che voleva dire?
— Nulla, semplicemente che facciamo delle ronde nella zona. Sai per proteggere la riserva…
Un brivido di paura corse lungo la mia spina dorsale. — Quando… quando hanno preso Johnny, eravate di ronda?
Lui annuì cercando di nascondere la rabbia. — Eravamo quasi riusciti a prenderlo ma c’è sfuggito.
Rabbrividì di fronte a quella rivelazione. Come faceva a non provare paura? Mentre mi descriveva quello che era successo quando il branco aveva intercettato la sua scia.
Mi chiesi come facessero ad affrontare tutto ciò a sangue freddo come potevano dare loro la caccia quando i vampiri erano duri come la roccia e veloci come il lampo e chissà che cos’altro erano in grado di fare mentre Jake e i suoi amici erano si degli energumeni ma comunque umani.
— Qualcuno è rimasto ferito?
— No, — e i suoi occhi si accendono di rabbia — non sai quanto mi sarebbe piaciuto averlo a portata di zanne — ringhiò tremando dalla testa ai piedi.
— I vampiri sono pericolosi — dissi e lui scoppiò inaspettatamente a ridere. — Jake, sono seria.
— Bells, noi siamo nati per combatterli. Non è così semplice metterci fuori gioco — se lo avessi insultato, non mi avrebbe guardato con lo stesso risentimento. Il ragazzo, poteva dire ciò che voleva ma la preoccupazione non mi abbandonava.
— Piuttosto tu, non hai paura a stare con loro? — mi chiese fermandosi di punto in bianco. Lo imito e lo guardo tranquilla.
— Un po’ di Rosalie ma, in fondo in fondo, non è cattiva — la difesi. — I Cullen non sono pericolosi, Jake. Carlisle salva la gente in ospedale ed Esme è la persona più buona e dolce del mondo. Alice, Emmet, Edward, Jasper e anche Rosalie sono più umani che vampiri.
Jacob sospirò e si sedette sul un grande tronco bianco, trasportato dal mare sulla spiaggia chissà quanto tempo prima, e picchiettando sulla sua corteccia, m’invitò a prendere posto accanto a lui.
— Non mi piace saperti con loro, Bells. Nemmeno tuo padre lo vorrebbe se sapesse quello che sono.
— Se per questo, non vorrebbe nemmeno te, attorno a sua figlia — risposi leggermente infastidita da quella mania di decidere con chi potessi o non potessi uscire che avevano sia lui che il mio ragazzo.
— Io sono umano, Bella. Il mio cuore batte, mi stanco, mangio cibo. Io, sono, umano. Loro sono contro natura.
— Puoi dire quello che vuoi. Io non cambierò idea. Se non ti sta bene, basta dirlo che non vuoi più essermi amico. Ci rimarrò male, perché ti voglio bene, ma me ne farò una ragione.
— No, Bells…
— Bella! Forza, andiamo! — la voce di mio padre bloccò la spiegazione del licantropo. — È tardi e domani devo svegliarmi prima dell’alba.
— Devo andare. Notte, Jake — e lo abbracciai o almeno ci provai.
— Bells, ti voglio bene e non voglio rinunciare alla tua amicizia ma fai attenzione e chiamami se dovessi sospettare qualcosa su di loro.
Alzai gli occhi al cielo esasperata. Probabilmente sarebbe sempre stato così tra loro. Erano nemici per natura dopotutto ma almeno entrambi avevano abbassato le asce da guerra.
 
Qualche giorno dopo papà m’informò dell’arrivo del sostituto di Johnny e della sua idea di organizzargli una festa di benvenuto.
L’arrivo del nuovo agente rendeva, per mio padre, la morte del suo vecchio collega come qualcosa di ufficiale, ancora di più del funerale, ma per mia somma gioia sembrava riprendersi bene.
— Bella, lui è Jordan, è il figlio di McKinley, il nuovo agente.
Papà mi presentò un ragazzo chesi guardava attorno annoiato e anche infastidito. Probabilmente non aveva accolto con gioia il trasferimento. Era abbigliato di nero, borchie e chiodini, facevano bella mostra di se sui pantaloni e sulla cintura.
— Piacere di conoscerti — dissi porgendo la mano che lui strinse dopo averla osservata per qualche secondo.
Non sembrava entusiasta di partecipare alla festa di benvenuto di suo padre.
— Bella si è trasferita qui da Jacksonville questa estate — continuò imperterrito Charlie cercando di coinvolgerlo nella discussione. Jordan, lo avevo intravisto il giorno che era venuto a iscriversi al liceo accompagnato da suo padre. Il suo sguardo era sempre lo stesso.
— Hai piantato spiaggia e sole per finire in questo buco? — chiese scettico e schifato. Al che non riuscì a trattenere le risate. Solo che mio padre e quello del ragazzo non la pensavano come me.
— Jordan — lo richiamò il padre severo. — Scusatelo, non ha mai imparato a contare fino a dieci prima di parlare.
— Sono sicura che dopo il primo impatto ti troverai bene. Non è cosi male, qui — cercai di rassicurarlo.
— Beh… visto che andrete alla stessa scuola, Bella, potrebbe aiutarti nei primi giorni — propose mio padre. Jordan non sembrò prenderla bene poiché fece una smorfia infastidita.
Non ero una persona che giudicava qualcuno al primo incontro ma Jordan, quel ragazzo stava dando mostra del peggio di se. Dall’inizio si era mostrato scorbutico, quasi maleducato, e per quanto potessi capirlo, mi dava fastidio vedere come rispondeva alle buone intenzioni di mio padre e degli altri e la proposta che gli aveva fatto Charlie non andava nemmeno a me a genio.
— Oh... Edward, vieni, forza — al richiamo di mio padre volsi la testa di scatto verso l'ingresso della stazione di polizia con un sorriso a trentadue denti.
Il mio ragazzo stava facendo l'ingresso proprio in quel momento.
— Scusatemi — liquidai i miei ospiti con un sorriso di scuse e lo raggiunsi. Edward non staccò gli occhi da me mentre avanzavo a passo di carica verso di lui.
— Ehi... Lo sai che non eri obbligato.
— Lo so, ma ogni attimo senza di te mi sembra sprecato — mi confessò con tanta sincerità da travolgermi con una valanga. Si chinò e mi baciò, fu così veloce che per un attimo avevo pensato di essermelo immaginato. È possibile innamorarsi ogni secondo di più della persona che si ama? Perché era quello che mi stava succedendo.
Lo presi sotto braccio e mi voltai a guardare il piccolo gruppo che avevo lasciato.
— Posso essere felice del fatto che finalmente c’è qualcun altro sotto i riflettori dei pettegolezzi di Foks? O sono una cattiva persona?
A quanto pareva la legge dei due anni si era rivelata fasulla. Nemmeno sei mesi e c’era già un nuovo ragazzo. Beh, diciamo che il corso degli eventi aveva reso possibile tutto ciò ma l’importante era che “la figlia al prodiga dello sceriffo Swan” non era più il pettegolezzo del giorno.
— L’hanno già assalito?
Lanciò uno sguardo di traverso al ragazzo e sogghignò. Jordan sbuffava come un treno a vapore e si guardava attorno annoiato e scocciato.
— Vedrai che la smetteranno presto — mi rassicurò Edward, cingendomi le spalle. — E non ti deve nemmeno passare per l’anticamera del cervello di essere una cattiva persona.
Insieme raggiungemmo gli altri e come me cercò di interagire con il ragazzo ma il nuovo arrivato sembrava voler ignorare anche quell’ennesimo tentativo. Non ci mise molto ad andarsene in un angolo ad ascoltare musica. Edward però doveva averlo colpito in qualche modo perché non smetteva di lanciargli occhiate furtive.
—Dovete perdonarlo, non ha preso bene il trasferimento e tutto il resto —ci disse il padre con sguardo amareggiato. —Questo ultimo periodo non è stato facile, la morte di sua madre, poi questo,…
—Non deve giustificarlo —lo bloccai poggiando una mano sul suo braccio, quella notizia mi aveva spiazzato e mi sentì in colpa per i pensieri che avevo fatto poco prima, —mi spiace molto per la vostra perdita e se la può fare stare meglio, cercherò di aiutarlo a integrarsi a farsi nuovi amici.
—Grazie, Isabella. Sei una brava ragazza —mi ringraziò riconoscente.
 
L'inizio della nuova settimana vide l'ingresso ufficiale di Jordan. Erano in molti ad avvicinarlo e tra le ragazze erano già iniziati i pettegolezzi e commenti sul nuovo arrivato, soprattutto nei bagni c’è un grande fermento.
Cercando di mantenere fede alla promessa fatta al padre, cercai di aiutare Jordan per quello che lui mi permetteva. Presto fece amicizia con un gruppo di ragazzi del suo anno, era più piccolo di me di un anno, ed io non m’intromisi più nelle sue faccende. Se fossero veramente suoi amici o fosse solo un modo per non avermi più attorno non lo seppi mai.
Presto, il mio interesse per Jordan sfumò in qualcosa che si era infilato con prepotenza dentro di me.  Era giorni che mi sentivo a disagio, ero nervosa e avevo come il presentimento che qualcosa di pericoloso stava incombendo su di noi come una spada di Damocle.
Sorridevo e continuavo a vivere le mie giornate cercando di nascondere quel disagio ai miei cari, soprattutto al mio ragazzo che con la scusa di non riuscire a entrare nella mia mente non perdeva nemmeno una microespressione del mio viso o gesto. A contrastare quella mia sensazione c’erano gli atteggiamenti tranquilli di Edward, Alice, Jasper ed Emmet, tranne Rose, ma lei era un caso a parte. Forse ero io che leggevo segni che non c’erano, mi stavo preoccupando per nulla, le parole di Edward sui Volturi e l’episodio del nomade, mi dovevano aver suggestionato più di quanto avessi immaginato.
 
— Insomma è una cosa che ha dell’incredibile! — proruppi felicemente scioccata. Edward scoppiò a ridere e credetti anche di aver sentito un “sei troppo assurda” ma non ci feci caso. Insomma Rosalie Hale in Cullen mi aveva accettato! Era un giorno da segnare sul calendario. Avevamo parlato tranquillamente, mi aveva anche dato dei consigli su come sistemare i miei capelli, se Alice era fissata con i vestiti, Rose lo era con le acconciature, e aveva fatto anche delle battute divertenti. Finalmente mi sentivo completamente accettata.
Era ormai gennaio, Forks era un’infinita distesa di neve bianca e soprattutto fredda. Stavamo tornando dalla radura dietro la casa dei Cullen. Dietro in senso relativo perché Edward aveva guidato per venti minuti buoni e poi era sfrecciato in mezzo alla vegetazione con me aggrappata alle sue spalle fino a un gigantesco spiazzo che usavano per giocare a baseball. Una notizia di per se scioccante. Insomma bisognava riscrivere tutto quello che era stato detto sui vampiri. Dove si legge che i vampiri centenari vanno al liceo, giocano a baseball o passano pomeriggi davanti alla Wii?
La neve aveva ricoperto tutto con il suo manto e non si capiva dove finisse la terra e dove iniziasse il cielo.
Tenevo le mani davanti al bocchettoni del riscaldamento della macchina di Edward per cercare di riscaldarmi. Rose, aveva avuto la brutta idea di iniziare una battaglia di neve contro Emmet, cui si era aggiunta Alice, suo marito, il mio ragazzo e il resto della famiglia.
Il risultato fu che io mi ritrovai in un angolo a vedere la neve alzarsi da sola, i vampiri andavano troppo veloci perché io li vedessi, fino a che Edward, ebbe la brillante idea di raccogliere un mucchio di neve e buttarmela in testa. Quella era scivolata lungo la mia schiena, gelandomi fino al midollo, e a rincarare la dose era arrivato Emmet che presami in braccio si era buttato in una montagna di neve. Lì per lì, contagiata dall’entusiasmo quasi infantile del ragazzo, avevo riso ma presto mi ero ritrovata a battere i denti per il freddo. Non c’era nemmeno un millimetro di stoffa asciutto.
Tremai ancora ricordando la sensazione della neve che scendeva lungo la mia schiena.
—Bella sicura di stare bene? Le tue labbra sono viola —disse apprensivo. Lasciò il cambio forse per stringere le mie mani nella sua ma si fermò a mezz’aria e tornò indietro. La sua pelle era forse fredda quanto la neve e non mi avrebbe giovato.
Non lo avrei mai ammesso ad alta voce con il mio ragazzo ma dovetti ammettere, almeno con me stessa, che un po' mi dispiaceva non poter compiere quei gesti che le coppie normali fanno: prendere la mano dell’altro per sfregarla nelle proprie e riscaldarla, abbracciarsi mentre si passeggia sul marciapiede pieno di neve per cercare calore nell’altro e cose così. La temperatura di Edward era troppo bassa per poter fare qualcuna di queste cose. Non gliene facevo una colpa e il mio affetto non diminuiva.
—Sto bene, davvero. A casa mi faccio una bella doccia calda e passerà tutto —gli assicurai.
—Forse è meglio se ti lascio riposare al caldo questa notte —mormorò lanciandomi una veloce occhiata prima di tornare a guardare la strada.
—No! Non provarci nemmeno, tu questa sera resti — gli ordinai facendolo ridere di gusto. Era più forte di me, non so cosa mi aveva fatto ma ero assuefatta dalla sua presenza. Se fosse stato per me lo avrei chiuso in casa mia e non lo avrei più lasciato libero.
—Fai come se non avessi detto nulla. Che film vuoi vedere questa sera?
Rimasi a pensarci per un po’ prima di ricordarmi del film che mi aveva prestato Angela.
—Potremmo vedere The Words. Angela è stata così insistente che mi ha messo curiosità.
—Andata —accettò abbagliandomi con il suo caratteristico sorriso.
Charlie cenò dai Clearwather quella sera così, Edward ed io, avevamo casa libera. Nessun genitore che potrebbe arrivare da un momento all’altro mentre tu e il tuo ragazzo siete occupati a intrattenervi a vicenda, nessun timore di fare troppo rumore. Era il paradiso degli adolescenti.
Ovviamente mio padre non sapeva che il ragazzo mi avrebbe fatto compagnia sdraiato al mio fianco sul letto.
Purtroppo però, tutti i piani crollarono come castelli di carta in baia del vento. Nemmeno il tempo di entrare in casa che i primi segni dell’influenza iniziarono a farsi sentire e quando m’infilai nel letto, il termometro segnava trentotto gradi.
 
Passò un altro mese da quella sera, eravamo a febbraio ed era il girono di San Valentino. Avevo rovistato nell’armadio per cercare qualcosa di carino da mettere e mi ero accorta che qualcosa non andava.
Recuperai il telefono e con la chiamata rapida contattai il mio ragazzo. Rispose al primo squillo come sempre.
—Ciao, amore. Pronta per questa sera? —mi chiese entusiasta. Aveva organizzato qualcosa ma non voleva dirmi nulla e la mia curiosità era alle stelle. Però in quel momento lo avevo chiamato per un altro motivo e arrivai dritta al punto.
—Edward, potresti dire a tua sorella di smetterla di farmi sparire le magliette che non le piacciono? Quella rossa era una delle mie preferite — borbottai leggermente irritata dall'iniziativa della piccola vampira. Non poteva continuare così, ci tenevo a quella maglietta, era il regalo che nonna Swan mi aveva fatto l’anno prima che morisse.
—Alice dice di non aver preso nulla —rispose dopo un attimo di silenzio. Alzai un sopracciglio, palese segno di quanto io credessi alle sue parole. Alice era una brava ragazza ma con il fatto di vedere il futuro ficcava il naso dappertutto e se a volte avevo anche pensato che fosse gentile da parte sua, la maggior parte delle volte avrei preferito che ne stesse fuori. Per esempio fuori dal mio armadio! Era la decima maglietta che spariva!
— No, Bella, davvero io non ho preso nulla —fu Alice a rispondere. Sembrava così sincera ma io avevo già controllato in lavanderia, nei cassetti miei e anche di mio padre per sicurezza. Forse oltre ai vampiri e ai lupi mannari c'erano anche i fantasmi o folletti... Esistevano anche i Puffi?
— Beh, ma non può essere sparita nel nulla…
— Non hai dato dei vestiti a Padre Webber per la “Domenica della carità”?
— Sì, ma è impossibile che abbia messo quella maglietta tra la roba da dargli.
Ricordavo di aver fatto un grande scatolone con vestiti vecchi di Charlie e qualche mio vecchio vestito che mi ero portata dietro da Jacksonville, ma non avrei mai dato via quella maglietta…
— Forse era in mezzo ai vestiti e non te ne sei accorta — propose Edward, riprendendo il telefono, e non potevo dargli torto era un’ipotesi plausibile. Possibile che ero stata così disattenta?
— Deve essere così — ammisi dispiaciuta di averla persa.
— Bene, allora preparati che tra un’ora sarò da te — disse entusiasta. Ridacchiai e dopo un rapido saluto mi preparai. Dire che ero eccitata era poco. Era il mio primo San Valentino con un ragazzo, ma non uno qualunque, con Edward, e non stavo nella pelle.
La mia testa era piena di possibili scenari. Il vampiro era una persona che amava fare le cose in grande e non lasciare nulla al caso. In un momento di pazzia mi ero immaginata su un aereo privato vero Parigi per cenare alla Torre Eiffel. Avevo riso di me stessa e ringraziai che Edward non potesse leggermi nella mente.
Puntuale come un orologio svizzero, il mio ragazzo suonò alla mia porta, fu mio padre ad aprirgli visto che io stavo finendo di prepararmi. Quando scesi, i due stavano commentando una partita di baseball. Charlie aveva preso bene la mia storia con il ragazzo, Edward mi aveva detto che era felice che io uscissi con qualcuno con la testa sulle spalle, responsabile e diligente. Certo non lo avrebbe mai ammesso perché trovata divertente intimidire il vampiro ed era sempre un padre che vedeva sua figlia come quella bambina di cinque anni che faceva le torte di fango sulla spiaggia di La Push.
Edward si alzò appena mi vide, in mano un enorme mazzo di rose e margherite tutto per me. Lo ringraziai e sistemai il mazzo dentro un vaso. Al ritorno lo avrei messo in camera mia, sul comodino.
— Sei bellissima — mormorò al mio orecchio prima di baciarmi la guancia. Nulla di più davanti allo sceriffo.
— Anche tu non sei male — mormorai. Indossava un completo nero non troppo elegante e una camicia bianca con i primi due bottoni slacciati. Molto sexy…
 
— Curiosa? — mi chiese con il suo solito sorriso sghembo quando entrammo in macchina.
— Da morire. Sicuro di non volermi dare qualche indizio? — chiesi sporgendomi verso di lui. Eravamo naso contro naso. Edward ridacchiò e lo strofinò tra loro prima di lasciare un leggero bacio sulle labbra si allontanò per iniziare le manovre per la retromarcia.
— Non ti dirò nulla, piccola tentatrice.
Sogghignai, tornando composta al mio posto.
— Non è giusto, però. Tu mi freghi sempre — dissi senza risentimento, semplicemente esponevo un dato di fatto.
Edward prese la mia mano e la portò alla bocca baciandone il dorso.
— Oh… credimi, Bella, tu non sai quello che mi fai… solo che io sono più bravo a controllarmi.
— Ma che modestia — commentai sarcastica. Edward si unì alla mia risata e portò le nostre mani sul cambio. Rimanemmo così per tutto il resto del viaggio.
Parcheggiò nello spiazzo riservato ai clienti della “Bella Italia”, uno dei più romantici, e costosi, ristoranti sul lungomare di Port Angeles.
— Questa sera, volevo fare qualcosa di diverso e carino.
— Grazie — bisbigliai per poi baciarlo per bene. Il resto del mondo poteva sparire sotto l’effetto di una tempesta di meteoriti ed io non me ne sarei nemmeno accorta. In fondo, con lui era sempre così. Ero trasportata in un altro mondo, dove niente e nessuno ci avrebbe potuto fare del male.
Come un perfetto gentiluomo mi aprì la porta e mi fece entrare. Aveva prenotato sulla terrazza coperta da cui si aveva una bellissima visuale sul mare. Dire che fu una serata perfetta era diminutivo e come tutte le cose belle finì troppo presto. Alle undici in punto, sotto ordine di mio padre, ero davanti alla porta di casa mia a salutare il mio ragazzo con un veloce bacio stampo. Mio padre, era fermo vicino alla finestra del salotto che dava sulla strada che ci osservava con occhio vigile credendosi invisibile.
 
Tutto filava liscio. Le lezioni erano sempre noiose, test e corse senza senso attorno alla palestra, scandivano le mie giornate scolastiche. I compagni erano sempre i soliti chiacchieroni, i più erano interessati al ballo di fine anno che si stava avvicinando. Per me, non era mai stato quel grande problema. Nessuna crisi isterica per la scelta del vestito, l’acconciatura e tutto il resto, c’ero andata solo il primo anno, sotto insistenza di Claudia poi avevo preferito non replicare l’esperienza… quell’anno, però, era diverso.
— Allora… il ballo si sta avvicinando, eh? — disse il mio fidanzato dopo l’ennesimo commento di una ragazza sulla sua indecisione sul vestito.
— Già, tu a quanti sei stato? Ho paura a immaginarti a un ballo degli anni settanta.
Edward sghignazzò e negò col capo.
— Ho partecipato solo a un paio, sai essere da solo non era il massimo. Dovresti chiedere ad Alice e Rose. Non se ne perdono uno.
Non c’era da stupirsi…
— Tu invece? Com’erano i balli in Florida?
— Ci sono andata solo il primo anno, Claudia mi ci ha obbligato.
— Solo una volta? Com’è possibile che nessuno ti abbia invitato? — era scioccato.
— Diciamo che Fred e Gabe avevano reso quell’esperienza… non proprio come la immaginavo — era umiliante rendersi conto di quanto quei due avessero condizionato la mia vita. Avevo rinunciato a un sacco di esperienze per colpa loro.
Sentì il corpo di Edward irrigidirsi ai nomi dei miei due aguzzini, potevo immaginare quello che pensava. Lui era sempre stato riservato sull’argomento ma Alice mi aveva confidato che non aveva preso bene ciò che era successo in estate e prima del processo. Jasper aveva dovuto dare il massimo per calmarlo.
— Però, — esclamai con rinnovato entusiasmo, — ora è tutto passato… magari se qualcuno m’invitasse, potrei anche prendere in considerazione di andarci. Sono pessima nel ballo ma non si è obbligati a stare tutto il tempo sulla pista, no?
Edward sorrise sghembo e si piazzò davanti a me, prese la mia mano e con un leggero inchino mi chiese:
— Allora, Miss Swan, mi concede l’onore di accompagnarla al ballo di fine anno?
Risi, mi sembrava di essere stata trasportata indietro nel tempo. Stetti al gioco e come avevo visto fare in molti film ispirati ai libri di Jane Austen, accennai un inchino e risposi al mio cavaliere.
— Con molto piacere, Mr. Cullen.
Nella mia vita regnava la normalità, vampiri e licantropi a parte.
 
Ero al supermercato, spingevo il carrello lungo il corridoio delle bevande, svogliata. Erano le sei e trenta passate. Di solito non andavo così tardi a fare la spesa ma quel giorno ero dovuta rimanere a scuola per terminare delle ricerche per dei progetti scolastici, solo una volta a casa mi ero ricordata della spesa. Forks era un paesino piccolo e a quell’ora tutti erano rintanati nelle proprie case.
—Mmmm... Succo ai frutti rossi. Sembra quasi sangue...
Rabbrividì e mi voltai di scatto, allontanandomi di qualche passo. Era come se la mia mente avesse capito cosa stava succedendo prima che il mio “io cosciente” ne avesse consapevolezza.
Mi trovai di fronte a un uomo sulla trentina, indossava degli abiti trasandati, aveva capelli biondo cenere. Poteva essere un barbone alla ricerca di un posto caldo e un po' di cibo. Poteva essere un barbone… se non fosse stato per quel paio di occhi rossi che mi fissavano con una minacciosa luce sadica.
— Abbastanza inquietante non trova? — mormorai cercando di nascondere l’inclinazione della mia voce. Che stavo facendo? Parlavo con un vampiro che non era vegetariano? Ci tenevo tanto a diventare il suo pasto?
L’uomo alzò le spalle come se non fosse importante. — No, il sangue è vita…
Ero nervosa, agitata e parlare, distrarlo mi sembrava la mossa migliore per guadagnare tempo e arrivare alla cassa e quindi a testimoni.
Posai la bottiglia e spinsi il carrello lungo il corridoio, avanzando il più velocemente possibile mentre la paura mi attanagliava come un’edera opprimente. Perché mi ero infilata nell’ultima e, di conseguenza, più lontana sezione del supermercato?
Frugai nella tasca della giacca e appena trovai il cellulare schiacciai il numero rapido. Se mi avesse visto chiamare qualcuno mi avrebbe lasciato in pace, no? C’era un testimone.
Bella? Ciao, hai finito di fare la spesa?” la voce tranquilla e allegra di Edward mi rispose dall’altro capo del filo.
— Chiami il tuo fidanzatino per i rinforzi? Sai che non arriverebbero in tempo…
Urlai per la paura.
No, quella parola non esprimeva appieno quello che provavo. Ero terrorizzata a morte. Il vampiro mi era arrivato alle spalle e aveva sibilato quelle parole vicino al ricevitore senza che io mi accorgessi di nulla.
“Bella!”fu il ringhiò di Edward prima di riattaccare.
— È inutile che i tuoi amici mi cerchino, insomma mi sono dietro da mesi… ma io ti osservo e non ti proteggano da me. Io sono ovunque — sentenziò per poi volatilizzarsi nel nulla. Lasciandosi dietro il ricordo di un sorriso diabolico.
— Bella?! Bella, Bella, amore? Ti prego di qualcosa? — la voce di Edward s’infilò nella nebbia che aveva circondato la mia mentre, facendomi riemergere lentamente alla realtà. E mano a mano che riprendevo coscienza con il mondo mi rendevo conto che Edward mi scuoteva sempre con maggiore forza e preoccupazione.
— Ed… era qui, davanti a me. Ha detto che lui è ovunque, voi lo cercate ma lui è qui — bisbigliai mentre sentivo il mio cuore martellarmi nella cassa toracica a ritmo serrato. Tumtumtutmtumtutmtutm…
Rimbombava nelle mie orecchie sovrastando qualsiasi altro suono.
— Che non mi proteggerete da lui. Edward, — e finalmente mossi la mia mano che si strinse con forza al suo braccio — Edward, che significa? — la mia voce era una supplica. Avevo bisogno di sapere, capire.
— Bella, non qui. Ti devo portare fuori. Ti porto a casa — mormorò prendendo il mio viso tra le mani. Cercai di muovere il capo in senso di diniego ma la presa ferrea di lui me lo impedì.
— No, dimmi che succede — lo pregai, ancora.
— A casa, ti dirò tutto a casa, ma ora andiamocene.
Eravamo occhi negli occhi. Nei suoi potevo leggervi: preoccupazione, paura, dubbio, angoscia, ansia. Forse ero solo io che vedevo nei suoi occhi quello che dovevano riflettere i miei.
Non feci più resistenza, Edward mi cinse le spalle con un braccio e mi portò fuori.  Non mi ero nemmeno accorta che avevamo lasciato il carrello della spesa dentro. Avrei dovuto tornare indietro o inventarmi qualcosa con quel che avevamo a casa.
— Dammi il telefono — disse con tono duro rompendo il silenzio che regnava sovrano nell’aria. Sapevo che non era arrabbiato con me ma ne rimasi intimorita lo stesso. Lui parve accorgersene perché addolcì lo sguardo e il tono. Accarezzò la mia guancia e mi lasciai andare contro di lui.
— Scusa, Bella, ma il sapere che lui ti si è avvicinato tanto a te mi manda in bestia.
Annuì e gli diedi il mio cellulare.
— Dov’è il tuo telefono? — gli chiesi guardando l’intreccio del suo maglione.
— L’ho distrutto.
In un altro momento avrei riso ma in quella circostanza nella mia mente non c’era altro che quegli occhi rossi che mi guardavano come la miglior portata della cena.
 
Edward parò al telefono per pochi secondi, era troppo veloce perché io lo capissi. Quando riattaccò tenne il cellulare nella mano destra e mi plasmò contro il suo corpo, sembrava volerci far diventare una cosa sola.
Un colpo di metallo mi fece sussultare e mi aggrappai a Edward. Nella mia mente il vampiro non se ne era andato era ancora lì ad aspettare nell’ombra per attaccarci. Il mio ragazzo cercò di rassicurarmi, non capivo quello che mi diceva ma il solo sentire il suono della sua voce, pacato e familiare, mi fece calmare, e, a mano a mano, allentai la presa su di lui.
Una macchina entrò nel parcheggio e sbattei più volte le palpebre quando la luce potente dei fari mi abbagliò. Una gigantesca Jeep si fermò davanti a noi. Sul sedile del passeggero sedeva Alice che sembrava seduta su un sedile ricoperto di chiodi appuntiti, tanto si muoveva da una parte all’altra, mentre si guardava attorno agitata. Alla guida c’era Emmet, aveva lo sguardo duro e vigile. Sembrava un animale pronto a scattare contro la sua preda al momento opportuno.
Edward aprì la portiera e m’issò a peso sul sedile posteriore per poi prendere posto al mio fianco.
— Andiamo — disse autoritario a suo fratello.
Emmet annuì guardandolo dallo specchietto retrovisore, e la macchina si mise in moto nel silenzio più assoluto.
— Andrà tutto bene — mi mormorò all’orecchio prima di posare un bacio sul mio capo. — Andrà tutto bene — ripeté mentre i singhiozzi ripresero a prendere possesso del mio corpo senza poter fare nulla per fermarli. Rafforzò la sua presa e quella fu l’unica cosa che percepì.
Mi addormentai, forse l’adrenalina aveva smesso di pompare nelle mie vene lasciandomi stremata e in balia dello shock. L’aggressione di Fred e Gabe era nulla in confronto a quell’incontro. Con loro avevo avuto paura, ero stata la loro vittima per anni ma quella sera avevo provato il terrore puro, che ti scorre nelle vene lentamente come un veleno mortale e ti paralizza senza poter fare nulla per contrastarlo. Ti sommerge come una valanga e sai che nessun soccorritore potrà arrivare in tuo aiuto.
 
Quando mi ripresi, ero distesa sul letto che Edward aveva fatto sistemare nella sua camera solo per me.
Era buio, notte, Edward come gli altri vampiri non teneva molto conto il tempo e quindi non potevo sapere per quanto avessi dormito.
Stancamente mi passai una mano sul viso e dopo il primo attimo di pace, le immagini del supermercato tornarono a mitragliare la mia mente e con essi tornò anche quella spiacevole sensazione d’impotenza e terrore.
Terrore… avevo pensato spesso a quell’emozione.
Mi misi a sedere sul letto, poggiando la schiena contro la testiera. Scossi la testa e ingoiai la paura per ragionare razionalmente. Stando a quello che aveva detto quel vampiro, lui era lì per me e mi aveva spiato. Che voleva da me? Che avevo fatto per diventare il suo obiettivo? Tante domande e nessuna risposta e quelli che potevano darmele, non ero certa me le avrebbero date tanto facilmente.
Un leggero bussare alla porta attirò la mia attenzione. Edward fece il suo ingresso con in mano un piccolo vassoio. Accese la luce che mi accecò e dovetti chiudere gli occhi. Ci misi un paio di minuti ad abituarmi e quando finalmente potei guardare il vampiro in faccia, questo aveva poggiato il vassoio sul comodino alla mia destra.  
— È poco da gentiluomo far dormire la propria ragazza nella propria stanza. Certe cose non dovevano succedere solo dopo il matrimonio ai tuoi tempi? — dissi cercando di sdrammatizzare la situazione con quella pessima battuta.
Esibì un sorriso amaro e si sedette al bordo del letto cercando di stare il più lontano possibile da me. Perché lo faceva? Avevo bisogno di lui per superare il tutto. Soprattutto avevo bisogno di risposte.
— Non ti sei mai lamentata durante i vari pigiama party di Alice.
Sembrava stanco, come uno che non dorme da giorni, ed era ridicolo per un vampiro che per sua natura non si poteva affaticare.
Mi schiarì la gola e mi sistemai meglio sul letto. —Allora… ora puoi spiegarmi?
Un altro sorriso amaro. —Non puoi passarci sopra e lasciare fare a noi? È per la tua sicurezza, lo sai che è l’unica cosa che m’interessa.
—Lo so, ciò non toglie che io voglio sapere —affermai decisa. — Ha detto che mi ha spiato, che mi ha seguito. Vuol dire che ha seguito anche Charlie? Anche mio padre è in pericolo? —domandai con l’ansia che saliva e che rendeva la mia voce stridula.
Edward prese le mie mani tra le sue e le strinse. —No, c'è sempre stato qualcuno a controllarlo.
Non riuscì a fermare la risata amara che seguì alla sua affermazione.
— Se non vi siete nemmeno accorti che seguiva me? È la perfetta parodia di un film di spionaggio. Il poliziotto che è spiato dalla spia che dovrebbe spiare.
Edward chinò il capo sotto il peso di quelle parole.
— È tutta colpa mia... — mormorò. Scossi la testa e lo abbracciai ma non ricambiò. — A volte penso che la tua vita sarebbe migliore senza la mia malsana presenza.
— Non dire stupidaggini — tuonai rafforzando la mia presa su di lui. — Sei la cosa più bella che mi sia capitata. Per ogni cosa c’è un prezzo e per avere te, sono disposta a pagare questo prezzo.
Si staccò da me e con amore mi accarezzò la guancia destra.
—Nemmeno se ti chiedo per favore e di fidarti di me?
La fievole speranza che aveva accompagnato quella domanda sparì appena negai con il capo.
Mi scrutò cercando di trovare qualche incrinatura nella mia facciata di sicurezza. Sapevo che c’erano ma stavo cercando di ingoiarle, di nasconderle nel profondo. Mi ero fatta una promessa: non sarei mai più stata vittima di bulli o altro, avrei affrontato tutto quello che mi sarebbe parato davanti con coraggio e a testa alta. Rischiavo di cadere? Mi sarei rialzata e se fossi caduta ancora, mi sarei tirata in piedi tutte le volte.
Edward dovette comprendere quei miei pensieri si alzò e dandomi le spalle si mise a osservare fuori dalla grande vetrata. Era ancora convinto di aver ragione lui…
—Non nego che ero terrorizzata a morte e lo sono tutt’ora —gli confessai mentre il mio corpo era percosso da un altro brivido al ricordo di quegli occhi rossi e quel sorriso sadico, — ma io voglio sapere —,scandì lentamente, —  posso affrontare tutto questo… lo so che sono umana, —mi affrettai ad aggiungere dopo un’occhiata eloquente di Edward. —E non sono così stupida da fare qualcosa di avventato come andarlo a cercare.
Allungai il braccio destro e distesi la mano in modo che la afferrasse. Edward fece un passo avanti per poi tornare indietro prima di decidersi a venire verso di me. Prese la mano e sedendosi al mio fianco, la strinse tra le sue, strofinandola per farmi calore. M’inginocchiai al suo fianco, lui girò il capo quel che bastava per guardarmi, e poggiai la fronte contro la sua.
—Mi hai promesso di essere onesto se fosse successo qualcosa del genere —continuai, decisa a conoscere la verità. Con la mano libera gli accarezzai la guancia liscia. Emise un sospiro e simultaneamente avvicinammo le nostre labbra fino a farle scontrare. Sembrava un combattimento tra due avversari. Io che lo supplicavo per sapere la verità, lui che sfogava la sua frustrazione di fronte alla mia insistenza ma comunque deciso a tenermi all’oscuro per proteggermi.
“Dimmi ciò che è successo”.
“Ti proteggerò io, non chiedermi più nulla”.
“Non tenermi all’oscuro”.
“È per proteggerti".
“Ti prego…Edward”.
—Alice non ha visto nulla, come se avesse cercato di rimandare il più possibile la sua decisione e quando l’ha presa era tardi, —disse, — io ero a caccia quando mi hai chiamato. Ho fatto il prima possibile. Eri terrorizzata, tremavi come una foglia e non mi vedevi… —la sua voce si era fatta via via più bassa. Era un sibilo misto tra rabbia e preoccupazione.
— Lo voglio fare a pezzi e bruciarlo con le mie mani —disse tornando rabbioso. Lo abbracciai, nascondendo il viso nell’incavo del suo collo, baciandolo.Ricambiò la stretta e mi fece scivolare sulle sue gambe.
—Sto bene —mormorai. Sogghignò e lo sentì scuotere il capo.
—Non dire sciocchezze, non stai bene.
—Okay…dire che sto bene è un parolone. Sono intera e fortunatamente il suo voleva essere solo un avvertimento. C’è altro?
Avevo bisogno di sapere per non fare degli stupidi errori senza saperlo ma soprattutto è la mia vita, di mio padre, dei miei amici.
—Ti ho detto tutto. Organizzeremo delle ronde, abbiamo chiesto ai Quileutte di aiutarci.
Sbarrai gli occhi preoccupata. Certo il vampiro biondo era da solo ma non mi sarei mai perdonata se qualcuno si sarebbe fatto male per proteggermi.
—Tu e Charlie non dovrete preoccuparvi di nulla —mi rassicurò. Era sicuro ma il fatto che non mi guardava negli occhi mentre me lo diceva, era un segnale che qualcosa non andava.
—Ma…
—Cosa, ma? —chiese, guardandomi negli occhi solo per pochi secondi. Sì, c’era decisamente un ma…
—C’è un ma… lo sento.
Posai i palmi sulle sue guance e lo girai verso di me. Dopo una leggera resistenza si arrese.
—Questo vampiro è già stato qui —mi rivelò cauto.
—Come? Quando? Perché? — chiesi in sequenza.Quella era l’ultima cosa che mi aspettavo di sentire.
—Era passato un mese dal tuo arrivo quando hai avuto la fantastica idea di farti una passeggiata nel bosco.
Lo ricordavo perfettamente ma soprattutto quello strano sogno con quella chioma rossa come il sangue sempre sullo sfondo.
—Mi ricordo, mi era anche sembrato di sentire dei ringhi ma quando papà ha ordinato delle battute di caccia nel bosco, non hanno trovato nulla.
—Perché lui cercava tracce di animali, ma erano dei vampiri —mi rivelò, —erano due, una femmina e un maschio. Se ne stavano andando quando ti hanno incontrato. Diciamo che sei una che attira la sfortuna.
Avrei dovuto offendermi ma glielo concessi…
—Quindi… sono due.
Scosse la testa. —No, solo il maschio.
—La femmina?
—È morta. Ce ne siamo occupati in quell’occasione —aggiunse dopo il mio sguardo stranito. —Non chiederò scusa per questo —affermò con fare duro, —tu non hai ascoltato i loro pensieri e quello che lei ti voleva fare… lo rifarei altre mille volte se vuol dire tenerti in vita.
—Ti amo, Edward.
Una persona normale si sarebbe messa a tremare come una foglia, terrorizzata dalle confessioni omicide del proprio ragazzo. Ma io non ero una persona normale.
—Ti amo anch’io.
—Perché mi ha preso come obbiettivo?
—Eri nel posto sbagliato al momento sbagliato. Se ne stavano andando quando hanno incontrato la tua scia. Un cambio di vento li ha portati fino a te. Io poi ho peggiorato la situazione attaccandoli. Ma che potevo fare? Eri in pericolo! —nella sua voce potevo sentire il panico e la rabbia che lo percorrevano. —Quando è scappato, non ho fatto caso ai suoi pensieri, tu eri la priorità ma il fatto che sia tornato mi fa supporre che voglia vendicarsi.
—Perché su di me? —io ero un’insulsa umana non ero un pericolo per loro.
—La rossa era la sua compagna e lui ha capito che tu sei la mia.
—Occhio per occhio, dente per dente —dedussi. Lui annuì.
Sospirai mesta e poggiai la testa sulla sua spalla sconfortata. —Rosalie ora mi odierà. Tutti i suoi timori si sono avverati. Ho messo la famiglia in pericolo.
Era incredibile che la vampira non si fosse già avventata contro di me.
— È solo preoccupata.
—O per favore… —sbuffai, —non indorarmi la pillola. Mi odierà a morte —mi lagnai. Paradossalmente avevo più paura di Rosalie che del vampiro biondo. Avevo impiegato mesi per entrare nelle sue grazie e l’arrivo del vampiro aveva rovinato tutto. Edward lo aveva detto, mi avrebbe protetto e gli altri non lo avrebbero lasciato da solo, era certo.
—Andrà tutto bene, Bella. Rose ha imparato a conoscerti.
—E Carlisle, Esme e gli altri? È colpa mia.
Ero convinta di meritarmi il loro rancore. Li avevo messi in pericolo ma ero anche disposta a supplicare il loro perdono per non perderli.
—Non è colpa tua, okay? Non è colpa di nessuno.
—Non ve ne andrete? —mi aveva detto che più di una volta si erano trovati a lasciare una città perché rischiavano di essere scoperti.
—No, perché dovremmo andarcene ora? Tu e Charlie avete bisogno di protezione.
—Se i Volturi lo venissero a sapere, voi sareste in pericolo…
— I Volturi non sapranno mai nulla, non si muovo se non c’è una concreta minacciaper la nostra specie. Nemmeno James, il vampiro, —specificò —ha interesse nell’attirare su di se la loro attenzione.
Quella sera prima di addormentarmi continuai a ripetermi come un mantra che sarebbe andato tutto bene. Edward e i Cullen ce l’avrebbero fatta e tutto sarebbe tornato alla normalità. Se ci si crede per davvero si è già a metà dell’opera, no?
 
Alla fine risultò che avevo ragione io.
Rosalie aveva ripreso quel suo fare accusatorio e minaccioso dei primi tempi. L’unica consolazione, se così si poteva dire, era che anche Edward riceveva lo stesso sguardo e qualche volta anche Alice.
Nei giorni seguenti, Edward, non mollò il mio fianco per nessuna ragione, anche andare semplicemente in bagno, era diventato un problema. Capivo i suoi motivi e non mi ribellavo, anche se più di una volta mi ero trovata a un bivio. Urlargli contro di lasciarmi in pace almeno per cinque minuti o abbracciarlo e ringraziarlo di essere lì con me.
Anche i titoli dei giornali non facevano altro che aumentare la mia inquietudine. Come quello, che lessi una settimana dopo l’episodio del supermercato, del “Seattle Times”.
 
“La scia di omicidi si diffonde, nessuna pista per la polizia”
 
Episodi che non avevano nulla a che fare con il mondo soprannaturale, nella mia mente si collegavano a esso come se il mio cervello volesse fare di tutto per non farmi stare tranquilla.
 
Anche di notte qualcuno vegliava sul mio sonno. Edward in camera mia e fuori, soggetti alle intemperie di Forks, si alternavano i suoi fratelli e i Quileutte.
Nemmeno gli indiani amavano l’idea di un vampiro nomade per le strade del paese a pochi passi dalla riserva.
Ogni notte poi era accompagnata da un sogno o forse dovrei dire un ricordo che la mia mente mi ripresentava spesso.
Ero sdraiata sul tronco ricoperto di muschio, e tutto attorno a me era verde e marrone fino a che una macchia rossa prese il sopravvento gelandomi il sangue nelle vene. Sentivo qualcosa avvicinarsi e proprio quando questa era vicina a me, e girandomi avrei potuto scoprire cos’era, mi svegliavo con il fiato corto.
Una notte però riuscì a vederlo. Era il vampiro del supermercato che, dopo avermi sorriso, una smorfia che aveva trasformato la sua faccia in quella di un demone, spalancò la bocca mostrandomi un paio di canini affilati. Proprio quando stava per mordermi, mi svegliai.
—Bella, per favore dimmi che hai?
La voce di Edward era bassa ma mi fece sussultare come se mi avesse urlato nell’orecchio.
—Era solo un incubo… Non è nulla —minimizzai. Nonostante fosse solo un incubo, il mio cuore batteva come se fosse impazzito e il respiro era spezzato. Dall’occhiata di Edward, compresi che non credeva a quello che gli avevo detto.
—Stai tremando di paura —disse abbracciandomi e riportandomi in posizione supina. —Andrà tutto bene. Non ti si avvicinerà più a te, né a Charlie o ad altri umani —mi promise ed io mi fidai, dovevo fidarmi.
I giorni si susseguirono ma non succedeva nulla. Ero una sciocca a credere che se ne fosse andato? O più probabilmente era la quiete prima della tempesta?
Erano passati cinque giorni da quella notte quando Alice ci sciolse ogni dubbio.
James avrebbe attaccato appena la neve avrebbe attecchito a terra e il che voleva dire entro due settimane, sarei morta o sarei stata finalmente libera.
Pensa positivo Bella!
°  °  °  °
 
Come ogni giorno, all’ora di pranzo mi ritrovai seduta con i Cullen, come succedeva ormai da mesi, e mi persi a osservare la gente che viveva la loro normalità, ignari della spada di Damocle che pendeva sulle loro teste, ma potevano stare sicuri. Sette vampiri e altrettanti lupi vegliavano su di loro.
Al momento non diedi peso a quel pensiero ma una volta tornata a casa, una domanda si fece largo nella mia mente. Perché tutto questo movimento per un vampiro? I Cullen ce l’avrebbero fatta anche da soli. Erano sette vampiri contro uno, erano numericamente superiori. Il sospetto che Edward mi stesse nascondendo qualcosa divenne sempre più forte.
Sette vampiri e altrettanti lupi per un solo vampiro?
Come dei flash, i titoli delle prime pagine dei giornali locali mi balzarono davanti agli occhi. Omicidi seriali, senza un apparente collegamento tra loro, sparizioni inspiegabili di studenti universitari, lavoratori notturni e di baristi.
—È tutto collegato —bisbigliai. Mi sentivo una stupida ad averlo capito così tardi. Perché tutto questo trambusto per un solo vampiro? Ce ne dovevano essere altri, quanti? Tanti da minacciare Forks? Charlie?
Perché Edward mi ha tenuto all’oscuro di ciò? Aveva promesso di essere onesto con me! E Jake? Anche lui sapeva e non mi aveva detto nulla?
Presi il cellulare e lo chiamai. Era a caccia, fuori a proteggermi doveva esserci Leah e non potevo chiedere a lei di mettermi in contatto con i Cullen. Ci odiava.
Ovviamente non mi aspettavo che rispondesse e non mi stupì di sentir partire la segreteria.
—Edward Cullen, sei nei guai, grossi guai —scandì enfatizzando le parole “grossi” e “guai” —i grizli ti sembreranno animali domestici, in confronto a quello che ti aspetta qui. —Chiusi la chiamata senza nemmeno salutarlo o dirgli “ti amo” come facevo sempre. A quel punto non rimaneva che aspettare.
E aspettai fino a sera.
Edward si presentò alle otto quando Charlie era ancora in salotto a guardare la televisione. Furbo…
Per una volta però, la fortuna era dalla mia. Papà venne chiamato in centrale e se ne andò un ora dopo l’arrivo del vampiro.
—Perché avete messo in mezzo anche i licantropi? James non avrebbe scampo contro voi sette. Tu leggi nel pensiero, Alice vede nel futuro e Jasper potrebbe stordirlo con il suo potere —lo aggredì appena mio padre accese la macchina. Non era mia intenzione urlargli contro ma non ressi tutta la pressione dello tsunami di pensieri che affollavano la mia mente e li lasciai uscire come l’onda nel porto.
Edward non batté ciglio, probabilmente si aspettava questo mio scatto e non perse tempo a parlare. —Ti ricordi quando a San Valentino non trovavi più la tua camicia?
Annuì, anche se non capivo cosa centrasse con l’imminente attacco di James. La cosa mi stava irritando, volevo delle risposte e lui sta tergiversando su stupidaggini.
—Non è stata Alice e non l’hai messa nel mucchio delle cose da dare in beneficenza.
—Stai dicendo che James è entrato in camera mia per rubarmi i vestiti? —Era ridicolo. Che diavolo ci faceva in vampiro con dei vestiti da donna?
—Non lui ma un altro vampiro sì. Quando siamo usciti, Alice e Jasper sono venuti a sentire la scia per rintracciarlo.
—Ma non l’hanno trovato —dedussi dal tono deluso e arrabbiato. Lui scosse la testa e mi spiegò che avevano perso le tracce poco fuori da Forks quando era salito su una macchina.
Un vampiro era stato nella mia stanza? Perché?
—Avevate detto che James era da solo —mormorai. Non ci stavo capendo più nulla. Ero decisa ad avere delle risposte ma il mio ragazzo con le sue affermazioni non faceva che crearne delle altre.
Edward rimase in silenzio e sempre senza dire una parola si diresse in salotto, con me alle calcagna, dove recuperò il giornale del giorno. Lo aprì, sfogliandolo fino ad arrivare alla pagina che gli interessava e me lo porse.
Un altro articolo sulle misteriose morti che si stavano susseguendo a Seattle. Nell’ultimo periodo si erano fatti più radi e avevano perso importanza. Non facevano più notizia e pure io me ne ero quasi dimenticata.
— È opera di un vampiro? Pensate sia James?
Edward annuì. —Non volevamo farti preoccupare più del necessario.
— Ma sono morti, come possono essere una minaccia?
— No, i corpi non sono mai stati trovati, almeno non tutti. Alcuni sono stati trasformati.
Sbarrai gli occhi scioccata. Era una svolta che non mi aspettavo. Quello cambiava le carte in tavola e tutte le mie sicurezze vacillarono. Dovevo sedermi o le mie gambe non mi avrebbero retto.
Mi sedetti e il vampiro prese posto al mio fianco e continuò a parlare.
— I neonati, sono particolari, sono molto più forti di vampiri come me o gli altri, ci sono molto teorie sul perché di ciò ma al momento non sono rilevanti… un neonato è più forte, più veloce di noi e non potevamo affrontarli da soli. Dobbiamo assolutamente fermarli o rischiamo l’intervento dei volturi. Come ad Atlanta qualche anno fa.
— Quanti sono?
— Erano venti una settimana fa ma sono già diminuiti a diciassette e prima che arrivino, saranno ancora meno. Sono instabili e irascibili, James fa fatica a controllarli da solo e loro si attaccano a vicenda.
Diciassette vampiri neonati, più il loro creatore, stavano venendo a Forks. Non ce l’avrebbero fatta! Sarebbero morti tutti!
Le mie orecchie si tapparono e la voce di Edward si fece più bassa e lontana.
— Bella calmati, respira lentamente — mi disse mettendosi di fronte a me, una mano sulla mia guancia e l’altra stretta nella sua sul suo petto che si alzava e abbassava esagerando il gesto della respirazione.
Ansimavo, stavo avendo un vero e proprio attacco di panico. Una piccola parte della mia mente constatò che era da tanto che non ne avevo uno, mentre quella più grande continuava a ripetermi che diciotto vampiri stavano venendo a Forks, come un disco rotto e più le intimavo di smetterla più lei lo ripeteva sempre più velocemente.
— Respira con me, Bella.
Con non poca fatica mi calmai e la voce smise di assillarmi. Presi un profondo respiro e cercai di sorridergli anche se quello che feci, fu più una smorfia poco rassicurante.
—Che facciamo?
—Tu non fai nulla. Faremo tutto noi e nessun umano si farà male te lo giuro —nessun umano si farà male… e loro? Qualcuno sarebbe potuto morire!
Il mio cervello iniziò a lavorare velocemente fino a che non produsse un’idea.
—Hai detto che sono neonati e che questi sono più forti…Potrei darvi io una mano —gli proposi.
— Bella, lo apprezzo questo tuo voler aiutare ma sei umana — disse con il tono che un padre userebbe con la figlia che non voleva dare retta a quello che le veniva detto. Poi il dubbio si insinuò nelle sue membra quando intuì dove volessi arrivare ma lo considerasse troppo assurdo per essere vero e con un tono quasi funebre mi chiese: — Che stai proponendo?
— Trasformami.
Avrei potuto aiutarli e non me ne sarei dovuta rimanere in disparate. Poi avremmo anticipato qualcosa che era inevitabile. Se volevo condividere la mia vita con Edward, avrei dovuto affrontare la trasformazione. Era così scontato che rimasi male quando il vampiro mi guardò come se avessi detto la peggiore delle eresie.
— Non puoi dire sul serio.
Sembrava sinceramente scioccato all'idea.
— Voglio stare con te e non posso se sono umana.
— Non pensavo che stessi pensando alla trasformazione.
— Non vuoi?
— Io... — esitò, — sì che lo voglio. Bella ti ho aspettato per cento anni! Non voglio perderti ora che ti ho trovato ma sei giovane che ne sai di quello che vorrai tra due tre o cinque anni? Non voglio che tu ti penta e sia infelice. Non c’è ritorno da quello che mi stai chiedendo.
Presi il suo viso tra le mie mani e lo guardai decisa. — Ti amo e non riesco a immaginare una vita lontana da te. Può sembrare una frase fatta di una ragazzina che ancora non ha visto nulla dalla vita, ma è quello che sento.
Ero convinta di poter ancora fare tutto quello che volevo una volta trasformata.
— Dovrai imparare a gestire la sete e non potrai più vedere Charlie o Reneé.
A quello non lo avevo previsto, ci voleva tempo per adattarsi alla nuova natura, come avrei giustificato le mie assenze e la mia impossibilità di andare in Florida?
Dovette leggere il mio tentennamento nei miei occhi perché mi baciò la fronte e mi strinse a se come a volermi proteggere da me stessa.
— C'è tempo per questo. Non pensarci, quando tutto sarà finito, ne riparleremo con calma.
 

°  °  °  °

 
—Perché non posso venire? —gli chiesi mettendo su un broncio che poteva ricordare più una bambina di cinque anni che una alla soglia della maturità. Edward alzò gli occhi al cielo e probabilmente si era già pentito di avermi detto i piani della serata.
—È pericoloso.
—Sono io l’obbiettivo, devo imparare anche io a difendermi —continuai, decisa ad andare con lui. Edward inarcò con eleganza il sopracciglio e poi si acquattò in posizione di attacco. Indietreggiai cercando di capire cosa avesse in mente, e mentre ci pensavo, mi ritrovai a guardare il soffitto sdraiata sul mio letto a guardare la faccia di Edward che incombeva dall’alto su di me.
—Potrei insegnarti tutte le tecniche di difesa che conosco, ma non potrai nulla contro un vampiro.
Assottigliai lo sguardo e cercai di divincolarmi. Ci riuscì solo perché lui me lo permise. Mi misi seduta e guardai il pavimento.
—Lo so questo… So che James mi ucciderebbe, solo che mi aiuta credere di fare qualcosa, mi fa sentire più sicura.
Lo sentì sospirare rassegnato. Si mosse e si sedette al mio fianco.
—Alle dieci verrò a prenderti.
Sorrisi entusiasta. Quella, forse, era la prima volta che riuscivo a convincere il mio vampiro. Mi sentì piena di energia. Gli schioccai un bacio a fior di labbra e lo trascinai ancora sul letto con me aggrappata ai suoi fianchi.
—Dovrai dire a tuo padre che non stai bene e che vai a letto prima.
—No, verrebbe a controllare. Gli dirò che ho un’interrogazione domani e voglio riposarmi o ancora meglio, che ho il solito problema mensile. Funziona sempre.
Il ragazzo mi guardò stranito. —Il solito problema mensile?
Aveva più di cento anni non dovrebbe sapere che cosa fossero “le solite cose mensili” di una donna? Aveva anche studiato medicina!
—Le mestruazioni…
—Oh… —disse aprendo la bocca in una grande “o”. Sembrava imbarazzato.
—T’imbarazza se ne parlo?
—No, non… è che è una cosa da donne, insomma è una cosa vostra… mi hai preso un po’ in contropiede… certo, certo, ridi pure.
Fece il finto offeso mentre io crollavo sul letto per le troppe risate ma presto, anche lui si unì a me.
 
All’ora concordata ero vestita con una vecchia tuta nera, indossavo delle scarpe nere, un berretto nero e avevo in mano il piumino sempre dello stesso colore dei miei indumenti. Sembravo la protagonista di quei film sullo spionaggio, mancavano le due righe nere sotto gli occhi ed ero a posto.
—Non prenderemo parte a un’operazione segreta, lo sai questo vero? —mi schernì divertito mentre sistemavo l’ammasso di coperte che avevo infilato sotto il piumone per dargli la parvenza di un corpo. Speriamo che papà sia abbastanza assonnato e un poco brillo per non accorgersi del trucco, pensai mentre ammiravo il mio capolavoro. Se avessi avuto più tempo, avrei fatto qualcosa di meglio.
—Beh… in un certo senso sì…
Ridacchiò mentre usciva dalla finestra e mi tendeva la mano.
— Certo, muoviamoci allora che giù ho gli occhiali a infrarossi per vedere di notte e tanti altri gadget che farebbero invidia a quelli della CIA.
Sorvolai sul suo sarcasmo e mi aggrappai a lui per poi chiudere gli occhi e prepararmi al viaggio.
 
L’allenamento, come lo aveva chiamato Edward, si tenne in una radura a nord di Forks e non molto lontana dalla riserva dei nativi.
Quando arrivammo, i Cullen erano schierati, ognuno con il proprio compagno, non lontano dall’inizio della foresta, lo sguardo fisso tra il fogliame, sembravano guardare qualcuno o qualcosa. Lanciai un’occhiata quando li raggiungemmo, ma non vidi nulla.
— Ci sono tutti — mormorò Edward scrutando attentamente le ombre. Stavo per chiedergli di chi parlasse quando lo scricchiolio di rami secchi e foglie mi avvisò che stava arrivando qualcuno. In poco tempo emersero dalla foresta le teste di quattro lupi, Sam Uley in forma umana,seguiti da altri quattro. Tutti in posizione di guardia. Quello che però più mi colpì fu la loro stazza. Erano enormi, assomigliavano più a degli orsi.
— Ben arrivati — proruppe Jasper inaspettatamente. Mi sarei aspettato che prendesse la parola Carlisle.
— Siamo qui per proteggere la nostra gente.
I lupi, a sostegno delle parole del ragazzo, ringhiarono all’unisono in approvazione. Fu in quel momento che incrociai lo sguardo di un lupo rossiccio che al posto di guardare gli altri come a volerli sbranare con lo sguardo, fissava me. Poi fece qualcosa d’inatteso. Sbattei le palpebre un paio di volete, il lupo pareva divertito e la cosa lo spinse a rifarlo. Avevo le trabecole o il lupo mi aveva appena fatto l’occhiolino?
—Bella, vai a sederti con Esme, ora inizieremo —disse Edward riportandomi alla realtà.
Esme poggiò una mano sulle mie spalle e non opposi resistenza quando mi spinse verso il punto indicato dal mio ragazzo.
Raggiungemmo un gruppo di rocce che uscivano dal terreno e mi sedetti.
Cullen e Quileutte avevano deposto l’ascia di guerra per affrontare un nemico comune e, nonostante si accentrassero in due gruppi ben distinti, non sembravano avere intenzioni bellicose. Non potei non sentirmi in colpa per tutto quello che avrebbero dovuto affrontare. Il vampiro biondo cercava me, io, anche se inconsapevolmente lo avevo portato qui a Forks mettendo in pericolo tutti.
I primi a farsi avanti furono Jasper ed Emmet.
—Abbiamo motivo di credere che con James ci siano dei neonati…
Mi accigliai quando nominò i neonati. Chi erano? Jasper non intendeva di certo dei bambini…
—Vi mostrerò come uno di loro attacca… sono istintivi, non hanno strategia. Prediligono gli attacchi diretti.
I due vampiri si misero in posizione sotto lo sguardo vigile di tutti, Cullen compresi, e in un lampo sparirono dalla mai vista per ricomparire all’improvviso dopo pochi secondi. Emmet a terra con Jasper che troneggiava su di lui e i canini sulla gola del fratello.
—Capito? —chiese il biondo ai lupi. Questi annuirono e si scambiarono diverse occhiate.
La serata passò così, i vampiri si alternavano nelle dimostrazioni di lotta e quando i Quileutte dovevano porre domande, Edward fungeva da intermediario.
Anche Esme fece la sua parte e fu proprio quando ero seduta sola a guardarli che il lupo rossiccio, quello dell’occhiolino, spuntò al mio fianco.
—Mmm… ciao? —doveva essere un saluto ma fu più una domanda. Come ci si rivolgeva a un licantropo?
Il lupo fece quello che mi sembrò una risata e si sedette al mio fianco scodinzolando. Non passò molto tempo che iniziò a picchiettarmi con il muso sul braccio.
—Che c’è? —gli chiesi. Lui continuò a picchiettare e ridacchiare. —Lo trovi divertente?
Ridacchiò più forte e colpì il terreno con la coda. Sembrava sbellicarsi dalle risate. Lo guardai con disappunto, non mi piaceva affatto. Era irritante come solo Jake, nella sua fase adolescenziale acuta, riusciva ad essere. Subito che ebbi fatto quel pensiero una lampadina si accese sopra la mia testa.
—Jacob Black?
Il lupo annuì con forza e mi leccò metà faccia.
— Oh… che schifo, Jake!Ma quando crescerai —non c’era traccia di rimprovero nella mia voce. Ero divertita, ora che sapevo chi si nascondeva dietro tutto quel pelo rosso e quel naso umido.
—Vedo che la mia presenza non è necessaria.
La voce di Edward arrivò inaspettata. Era alle mie spalle e senza pensarci mi girai quel tanto che bastava per allungare un braccio e invitarlo a sedersi al mio fianco.
Jake fece quello che sembrò uno sbuffo e poi poggiò il suo enorme capo sulla mia coscia. Fu come se un calorifero mi fosse poggiato sopra.
—Non farci troppo l’abitudine Jacob Black —borbottò il vampiro, palesemente infastidito dalle libertà che il lupo si era preso con me. La gelosia che mostrava, mi fece gongolare interiormente.
Jake alzò la testa e il caldo che mi aveva avvolto si affievolì.
—No, non temo nessuna competizione perché non c’è competizione —continuò.
In quel momento la mia testa doveva essere un enorme punto interrogativo. In qualche modo c’entravo ma non sapevo come, o meglio qualche sospetto lo avevo, ma non mi sembrava il caso. Non in quel momento.
—Ragazzi… —li richiamai con un’occhiata di rimprovero.
—Sono venuto a prenderti, abbiamo quasi finito. Gli altri possono fare a meno di me— disse Edward.
—Di già? —dissi sorpresa.
—Siamo qui da tre ore… e tu sei stanca.
Volevo rimanere ancora ma aveva ragione. Ero stanca e con la velocità con cui si muovevano, non avevo visto nulla.
—Va bene. Ciao, Jake. Vedi di fare il bravo.
 
Il vampiro mi prese in braccio e un lampo, letteralmente, tornammo alla macchina e lì mi addormentai. A quanto pare ero più stanca di quello che credevo.
Mi risvegliai solo quando sentì qualcosa di fresco sulla fronte e poi un qualcosa di caldo che mi avvolgeva.
—Mmmm… —non era proprio quello che volevo dire ma in quel momento le mie corde vocali non volevano collaborare. Per un attimo non ricordai dove fossi e con chi, ma ci pensò la risata cristallina di sottofondo a ricordarmelo.
—Ed… —farfugliai con la voce impastata. Per la prima volta me la presi con il mio cervello che non permetteva al mio ragazzo di leggermi la mente e risparmiarmi di parlare.
—Dormi, angelo mio —non dovette ripetermelo due volte.
 
 
 

 

   
 
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