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Autore: ShinigamiGirl    06/02/2013    5 recensioni
Amelia è una ragazza con la colpa di essere nata con capelli rossi e occhi bianchi come la neve. La sua vita è solitaria, da emarginata, ma ben presto alcuni avvenimenti strani la sconvolgeranno.
Cap. 1: "Lui la mollò, lasciandola cadere a terra stremata, e continuando a ridere si chinò, sussurrandole: -Ci rivediamo presto, Mhirael."
Cap. 4: "Amelia sentì una vibrazione salirle dal braccio destro, col quale teneva il pugnale, e sentendo l’animale, ormai a un passo dietro di loro, si voltò per affrontarlo.
-AMELIA!- sentì urlare Tivresh, ma ormai era troppo tardi.
Il puma che li inseguiva le era già addosso."
Cap. 11: "Amelia, stordita, desiderò con tutta se stessa di poter essere libera. In quel caso, avrebbe staccato tutti gli arti di quel tizio e l’avrebbe torturato finché non fosse morto dissanguato. Stranamente, l’idea non le faceva per niente schifo."
Cap. 22: "Quando abbassò lo sguardo, vide che il libro e le sue mani si erano illuminate.
Fece cadere il volume, cacciando un urlo di spavento, ma la luce non scomparve. Incuriosita, si guardò meglio le mani: non erano proprio illuminate, erano dei segni comparsi sulla pelle a illuminarsi. Sembravano quasi dei tatuaggi"
Genere: Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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 Amelia si svegliò, sentendo uccellini cinguettare sopra di lei. Era l’alba, nessuno nel villaggio era sveglio, ma ben presto la vita avrebbe popolato le case.
La ragazza si sforzò di capire perché e come fosse arrivata sull’erba, ma non ricordava. Poi le ritornò a mente il ragazzo, la conversazione, il dolore. Soprattutto il dolore. Inorridita si alzò e cercò di toccarsi la schiena, dove quell’essere sembrava averla ustionata. Eppure la sua veste era intatta. Amelia era confusa, ma era meglio tornare a casa prima che tutti si svegliassero.
Si alzò, chiedendosi se non fosse sonnambula.
Entrò nell’abitazione e attraversò la stanza ingiallita, che faceva da cucina e salotto. Quando arrivò in camera vide Kelly, che dormiva profondamente, sotto le coperte azzurre come il cielo. Si coricò pensierosa nel letto, pensando a quello che era successo. Era stato un sogno? In qualsiasi caso era palese che ai sedici anni se ne sarebbe dovuta andare, perché se fosse stato reale, l’avvertimento di quell’essere, avrebbe messo in pericolo gli abitanti; se invece fosse stato un sogno, indicava una premonizione, forte e chiara.
Dopo un po’ la madre entrò nella stanza, intimando Kelly ad alzarsi. La bambina scese dal letto, mentre la donna andava a svegliare i fratelli, e disse: -Amelia! Dobbiamo andare a far colazione.
A quel punto Amelia si tirò su con malagrazia, con le ciocche rosse sul viso, fingendo un sonno immenso, facendo ridere la sorellina e riuscendo a nascondere le preoccupazioni a proposito del “sogno”.
Andarono in cucina, dove i fratelli stavano già mangiando il pane con la marmellata.
-Maleducati! Non ci aspettate?- esclamò Kelly, scocciata ma anche divertita.
-Noi andiamo a lavorare, non a scuola come te, perciò facciamo come ci pare- le rispose Derek, il fratello più grande, ridendo di gusto.
Kelly gli fece la linguaccia, poi si sedette davanti a lui. Amelia automaticamente si accomodò davanti a Jay. La ragazza mangiò in silenzio la sua fetta di pane con la marmellata di fragole, mentre i fratelli chiacchieravano e si prendevano in giro.
Derek aveva ormai ventidue anni, era alto e slanciato, con gli occhi grigi ma stranamente affascinanti, lavorava insieme ai boscaioli dai diciotto anni, per procurare la legna.
Jay invece era alto come Amelia, (arrivava quindi al metro e sessantacinque) ma era molto muscoloso, inoltre aveva una folta chioma nera che gli copriva gli occhi e lo rendeva molto misterioso.
Amelia aveva cercato spesso, quando era ancora molto piccola, di giocare insieme a lui, anche perché avevano solo un anno di differenza, ma Jay era molto solitario. Infatti, il lavoro che si era procurato nella miniera non richiedeva molta comunicazione.
La loro madre, Alicya, entrò nel salotto con un secchio pieno di latte appena munto. Ne versò un goccio in ogni bicchiere, esibendo il solito, neutro sorriso ad Amelia.
La ragazza ci si era abituata, col tempo, e aveva imparato anche a sorriderle allo stesso modo.
Finita la colazione, i due ragazzi si alzarono, mettendosi le uniformi per andare a lavoro.
Alicya schioccò un bacio sulla guancia ad entrambi dicendo: -Buon lavoro, state attenti!
-Certo mamma!- risposero i due, come consuetudine.
-A stasera ragazzi!- strillò Kelly con allegria, mentre uscivano. Poi la bambina si voltò e chiese: -Amelia, mi aiuti a prepararmi?
La sorella annuì.
Si alzarono e andarono in camera, dove la ragazza la aiutò a vestirsi e preparare lo zaino. Amelia fece per togliersi la vestaglia e mettersi un vestito per accompagnare Kelly alla scuola, ma d’un tratto sentì la sorellina trattenere un urlo di spavento ed esclamare: -Co… cos’hai fatto lì??
La ragazza si voltò con un’espressione interrogativa, e vide Kelly con gli occhi spalancati che indicava verso la sua pancia. La bambina disse, scioccata: -Sulla schiena!
La sorella fu pervasa dal terrore. Ci mise poco a collegare la schiena al “sogno”. Andò al vecchio specchio nell’angolo e si guardò la schiena. Pian piano il suo volto mutò in una maschera di terrore. Al centro esatto del busto c’era una macchia rossa, tipica di un’ustione, perfettamente tonda, con i bordi confusi, non più grande del palmo di una mano.
Allora… Allora era successo davvero! Le sue gambe cedettero, e cadde a terra, portandosi le mani al viso. Non era possibile.
Kelly le corse incontro spaventata, strillando: -Amelia! Amelia! Stai bene? Cos’hai?
La ragazza ragionò in fretta. Non poteva metterla in pericolo raccontandole tutto, era inammissibile. Così si rialzò, con un’immensa forza di volontà, sorridendo pacificamente, e disse: -Non è nulla, mi ero fatta male, ieri, ma non credevo che mi fossi sfigurata la schiena a tal punto.
La sorellina la guardò negli occhi, scettica.
-Davvero- disse ancora Amelia -ora è meglio che tu finisca di prepararti.
Kelly era preoccupata, glielo si leggeva in faccia, ma Amelia riuscì a farle mettere le scarpe e, continuando a farle domande sugli argomenti più vari, la portò fino al grande edificio di legno spoglio al centro del paese, che si poteva definire come la scuola di quest’ultimo, dove una signora, molto anziana, assai rugosa e dall’aspetto altezzoso, insegnava ai bambini dai cinque ai quindici anni le basi di materie come la matematica e la scrittura.
La ragazza si ricordava molto bene di lei.
La prima volta che si era presentata nella sua classe, ai cinque anni, la signora Rosmarie (così si chiamava) le si era avvicinata dicendo in tono alquanto minaccioso: -Tu! Tu non puoi imparare nulla da me.
Da quell’episodio Amelia non si era mai più presentata alla scuola, invece rimaneva a casa ad aiutare nei lavori domestici.
Ed era quello che la attendeva a casa, dopo aver lasciato la sorellina. Kelly la salutò e corse con entusiasmo verso le sue amichette. Sembrava essersi dimenticata dello spiacevole episodio, a differenza di Amelia, alla quale continuava a tornare in mente, con ostinata e spaventosa frequenza.
I mestieri la tennero occupata per l’intera mattinata. Spazzò il pavimento, lavò i panni al fiume che nasceva dal lago e apparecchiò la tavola per quattro. Per lei, la madre, il padre e Jay.
Derek pranzava con i colleghi nel bosco, mentre Kelly stava alla mensa della scuola.
Il padre, infatti, lavorava alla miniera insieme al figlio, ma essendo Jay un suo sottoposto avevano orari diversi. Stephen andava al lavoro una mezz’ora prima del figlio, a quanto aveva capito Amelia, era per preparare il programma della giornata di ogni minatore.
Quando tutti furono seduti al tavolo la ragazza servì il polpettone di Kelly.
Mangiarono prevalentemente in silenzio, a parte qualche domanda sul procedimento dei lavori, da parte di Alicya.
A fine pasto, Amelia si sentì in dovere di dire: -Il polpettone l’ha fatto Kelly, stasera dovreste esprimerle la vostra gratitudine.
Non ricevette nessuna risposta, ma seppe che avevano recepito il messaggio.
La madre uscì per andare al raduno del cucito, e i due uomini tornarono presto alla miniera.
La fanciulla si ritrovò sola, lavò quindi i piatti, ma quando ebbe finito si ritrovò senza nulla da fare. In situazioni simili generalmente andava a nuotare nel lago, ma ora aveva il terrore di incontrare di nuovo quell’essere. Seduta sulla sedia si tormentava sull’interpretazione del discorso avuto col ragazzo.
Poi, però, non ce la fece più, si disse che era una stupida a credere che sarebbe tornato, in fondo mancava ancora un po’ al suo compleanno.
Uscì di casa, a piedi nudi, e corse lungo la costa del lago. Il sole splendeva nel cielo, era nel pieno della primavera, gli uccellini cantavano spensierati e svolazzavano sopra di lei.
L’erba le solleticava i piedi, quindi iniziò a correre nell’acqua, tenendosi sulla riva. Un paio di uccellini corsero per un pezzo insieme a lei, che iniziò a ridere di cuore, dimenticandosi della ferita alla schiena, dell’essere, della sua emarginazione e della sua intera vita.
Si godette la natura, senza pensieri, con serenità e allegria.
Arrivata abbastanza lontana dal villaggio si tolse il vestito e nuotò nell’acqua limpida.
Proprio nel culmine del pacifico pomeriggio, quando il sole alto nel cielo le scaldava perfettamente la pelle chiara, sentì dietro di se, tra i cespugli, una presenza.
D’istinto uscì dall’acqua e indossò l’abito, che le si incollò al corpo bagnato.
Che fosse l’essere…?
Cercando di non dare le spalle ai folti cespugli, senza dire una parola, indietreggiò lentamente, poi si girò di scatto per correre via, ma una mano le afferrò il braccio destro, arrestando la tentata fuga.
Amelia si girò, pronta a ribellarsi, ma rimase di stucco.
Era faccia a faccia con un ragazzo dai capelli rossi fuoco.
   
 
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