Ciao a tutte! Questa mia one shot ha partecipato ed è arrivata prima al contest "When everything changes". E' un'idea altamente romantica la mia, ma ho ipotizzato una possibile scelta forte di Bella dopo l'abbandono di Edward e la sofferenza che ne deriva. Un modo di prendere in mano le redini del suo destino prima di Volterra, ma sempre in un contesto molto diverso da quello che li ha visti protagonisti fino a quel momento. Una ricerca spasmodica della propria anima e del proprio cuore, rimasti saldati alle mani di Edward. Vi lascio alla lettura e aspetto le vostre impressioni nei commenti., se vi va. Bacio
Il
suo sguardo da angelo vendicatore mi tormenta ancora tutte le notti.
Non riesco a
superarlo come allora ad affrontarlo.
Mi ha sbriciolato, distrutto. Si è portato via parte del mio
cuore e mi ha
lasciato quella malsana. Mi ha tolto la mia anima, quella per cui si
preoccupava tanto, lasciandomi come un bozzolo vuoto.
Ho
sentito i miei pensieri echeggiarmi nella testa, come se davvero fosse
una
stanza svuotata, svilita, quando prima era dipinta delle sue immagini,
piena di
pensieri dolci e ammalianti, come era lui.
Edward.
Il
solo suo nome mi faceva annichilire, oppressa dai ricordi,
perché niente era
più doloroso del ricordo della felicità perduta.
Il mio angelo vegliava su di
me, dall’oscurità cui pensava di appartenere,
rilucendo, invece, dello
splendore che rifletteva quello della sua anima. Le sue mani sfioravano
le mie,
le sue labbra fredde e
lisce
percorrevano sentieri ben conosciuti che andavano dal mio orecchio alla
spalla,
deviando talvolta sul profilo della mia guancia per poi morire sulle
mie,
sempre in trepida attesa.
I
giorni con lui avevano un senso che ora è perduto, avevano
colore, mentre
adesso la mia prospettiva è sempre sfumata in varie
tonalità di grigio. Ho
perso peso, giorni di scuola e amici. Hanno provato a coinvolgermi, a
farmi
uscire, a deviare i miei pensieri da lui, ma senza esito. Sto facendo
seriamente preoccupare Charlie, che ogni volta che mi parla tentenna e
si
dondola da un piede all’altro, come se avesse molte cose da
dirmi e non sapesse
da dove cominciare o temesse una mia reazione esagerata. Lo so che gli
farebbe
molto piacere vedermi più vicina a Jacob, ma non
può capire che i miei occhi lo
guardano attraverso le lenti dell’amicizia.
Nient’altro. Non posso impegnare
ciò che non ho più. Il mio cuore sta dove
è lui, palpita al posto di quello
fermo di Edward.
Poi,
lento, ma continuo e inevitabile, un pensiero inizia a farsi strada in
me. Mi
conquista, mi sferza, dandomi nuova energia, nuova speranza, un motivo
per
vivere i miei giorni, non continuando soltanto ad esistere.
L’avrei cercato,
sarei andata a riprendermi in qualche modo ciò che sentivo
ancora mio. Poco
importava che mi avesse detto che non mi voleva, che non ero abbastanza
per lui.
Ogni volta che avevo corso incontro ad un pericolo, mentre sentivo
l’adrenalina
scorrermi nel sangue fino ad arrivarmi alla base della nuca
riempiendomi di
nuovi brividi, l’avevo visto. Il suo viso aveva un cipiglio
dolcemente severo,
la sua espressione era sempre sofferente, la sua voce un anestetico al
mio
dolore.
Edward
esiste ancora in me. Non si rompe l’alchimia, non si fa
scomparire la magia
pura, non si spezza un legame come il nostro. Io ci sono
perché lui vive, io lo
sento perché lui mi ama ancora. Lo avrei ritrovato per dare
completezza alle
nostre anime inquiete e per riprendere il mio cuore.
Così
inizio a mettere a frutto il mio tempo, ad investirlo in questo nuovo
motivo
che ho per respirare. Lo cerco con ogni mezzo, elemosinando
informazioni alla
base, il posto che lo ha visto a casa qui a Forks, villa Cullen. Il
viale che
porta alla casa diramandosi dalla statale è quasi del tutto
invaso dagli
arbusti. Sembra che tutto sia abbandonato da molto tempo o, peggio, che
nessuno
vi sia mai stato, che tutto sia stata un’illusione. Edward,
Alice, il resto
della famiglia, noi due. Tuttavia, il dolore che ancora sento mi
ricorda che è
tutto è accaduto davvero, che un noi è esistito,
che lui è ancora là fuori.
Entro
in casa tremante osservando perplessa il mio riflesso sui vetri e mi
lascio
cullare dal suono dei miei passi, che echeggiano nel vuoto assoluto.
Raggiungo
quella che era la sua stanza e osservo qualche oggetto lasciato
probabilmente
nella fretta. Mi sembra di essere in un mausoleo di ricordi e ogni cosa
mi
colpisce come una fitta. Gli occhi iniziano a bruciarmi e le lacrime
spingono,
pronte a tracimare. Le ricaccio, le ingoio insieme alla voglia di
scappare per
non ferirmi ulteriormente, quando la mia attenzione è
catturata da un libro,
che sporge rispetto agli altri lasciati nella libreria, come fosse
stato l’ultimo
ad essere consultato. Lo prendo cercando di controllare il tremore
delle mie
mani.
E’
una semplice guida turistica, con la classica quanto anonima copertina
verde,
che, però, mi dà la prima spinta per la mia
ricerca: Rio de Janeiro. Brasile,
dunque. Un paese lontano, una città sconfinata, pullulante
di gente e di vita.
Come avrei potuto trovare Edward là? Non possiedo sensi
sviluppati né altri
poteri tipici dei vampiri, ma potrei lasciarmi guidare dall’
istinto.
Porto
la guida con me, per poter tenere vicino al cuore qualcosa che lui
aveva
sfiorato, sperando di sentirne ancora il profumo, come succedeva quando
vegliava sulle mie notti e popolava i miei sogni.
Passo
dalla centrale per salutare Charlie, per dargli l’illusione
di una parvenza di
ritrovata serenità. E’ felice di vedermi e mi
abbraccia, presentandomi ai
suoi collaboratori,
due ragazzotti dalle
facce rotonde e simpatiche. La telecronaca di una partita di baseball
fa da
sfondo alla nostra conversazione, fino a quando il suono acuto di una
chiamata
urgente ci interrompe. Il più alto dei due risponde con
cipiglio professionale,
poi rivolge uno sguardo scuro a Charlie, che si avvicina e confabula,
sussurrando. In seguito torna da me con fare preoccupato.
-
Bella, ascolta, è sparita una persona, una donna. Non sta
bene da tempo e si è
allontanata da sola. Dobbiamo cercarla. Ti lascio qui con Colin. Mi
piacerebbe
andare a mangiare insieme qualcosa dopo, se vuoi.
Faccio
un breve cenno col capo e lo guardo partire di corsa. Mi siedo in un
angolo e
scorro incurante alcune riviste, mentre il gracchiare della radio di
servizio
mi fa sentire più partecipe a ciò che mi succede
intorno. Colin sta seduto alla
sua postazione e ogni tanto mi sorride. All’ennesimo
incrociarsi di sguardi, mi
invita a sedermi sullo sgabello vicino a lui, battendo lievemente con
la mano
sul suo sedile. Lo faccio e, mentre lo guardo armeggiare col pc,
accarezzo la
cornice della foto che tiene sulla scrivania. La sua voce rivolta a me
mi
coglie di sorpresa.
-
E’ la mia famiglia. Mia moglie e le piccole.
-
Sono bellissime.
-
Grazie.
Sorride
soddisfatto e continua a
lavorare,
digitando codici diversi a seconda dell’accendersi
dell’una o dell’altra spia.
-
Che cosa fai?
-
Coadiuvo la ricerca attraverso il satellite. Se la donna che stiamo
cercando ha
il cellulare acceso con sé, dovrei riuscire ad agganciare la
cella telefonica
da cui la sua sim trasmette e capire di conseguenza il luogo esatto
dove si
trova.
Un’idea
mi balena nella mente, con la stessa intensità e la stessa
luce di una folgore
nel mezzo di una tempesta. Io ho ancora il numero del cellulare di
Edward,
quello che ha sempre suonato a vuoto o del quale conoscevo ogni
inflessione
della voce elettronica della segreteria.
-
Deve essere per forza acceso il telefono?
-
Certe volete lo si intercetta anche da spento, perché la sim
manda comunque dei
segnali elettromagnetici. Certo, se fosse acceso, sarebbe
più facile
individuarne la posizione con precisione.
Comincio
a torturarmi le mani, sfregandomele nervosamente, mentre continuo a
fissare
l’alternarsi del rosso e del verde delle spie elettroniche.
-
Colin…posso chiederti un favore?
Mi
guarda accigliato e guardingo, anche se poi accenna di sì
col capo.
-
Potresti fare un piccolo tentativo con un numero che ti
darò? Vorrei tanto
rintracciare una persona.
Alle
sfumature di prima, ora si mescola un teso imbarazzo.
-
Bella, servono dei permessi. Ci deve essere un’indagine in
corso, non posso
abusare di questi mezzi per scopi personali, capisci?
-
Non è per te, è per me.
So
che non è una scusa sufficiente e che non
cambierà la situazione, ma mi viene
dal cuore e non son capace di ignorarla. Colin sospira. Molto
probabilmente è a
conoscenza dello stato di assoluta prostrazione in cui son caduta e
anche della
causa. Sta pensando una scappatoia che, al momento, non gli sovviene,
almeno
non cadendo nella maleducazione.
-
Bella, facciamo solo un tentativo. Ti dirò quel che posso e
poi basta. Entrambi
dimenticheremo ogni cosa, ok?
E’
il mio turno di annuire con un cenno di sorriso.
-
Dammi il numero.
Glielo
detto senza altri preamboli, mentre osservo la spia verde che pulsa,
alimentando la mia speranza. Sul monitor compare un planisfero e poi
uno zoom
sempre più particolareggiato fino ad inquadrare una precisa
zona.
-
Rio de Janeiro, zona ovest, quartiere Santa Cruz. Sei stata fortunata
Bella.
Per
la prima volta dopo tanto tempo sento la speranza alimentarsi in me.
Devo
parlare con Charlie al più presto e pensare una scusa
plausibile per
convincerlo a lasciarmi partire. Ringrazio Colin e aspetto Charlie a
casa,
cucinando ali di pollo in salsa piccante, uno dei suoi piatti
preferiti. Quando
rientra è taciturno. Osserva tutto con calma e siede
incredulo.
-
Che succede Bella?
-
Mi andava di cucinare.
-
Certo.
Respira
a fondo e inizia ad inforcare bocconi di pollo, dando segni di forte
apprezzamento.
-
Vorrei cambiare aria per un po’. Ne avrei bisogno.
La
sua espressione diventa cupa e il suo volto cinereo. Anche il suo
appetito
improvvisamente se ne va. Sento il bisogno di rassicurarlo.
-
Non ti lascio Charlie. Voglio solo andarmene un po’ da mamma
per qualche
giorno. Vorrei tentare di scappare dai ricordi. Tu hai il tuo
lavoro…
-
Ok, tutto pur di vederti vivere ancora. Se decidessi di tornare da tua
madre,
capirei…
Mi
alzo e l’abbraccio d’istinto, stringendolo forte.
-
Vado a cercar di rimettere insieme i pezzi del mio cuore.
Mi
accarezza la schiena semplicemente, baciandomi una tempia e
soffermandosi a
respirarmi tra i capelli.
-
Quando parti?
-
Domani, Charlie. Ho trovato un viaggio last minute.
Un’occasione.
-
Ti accompagno io all’aeroporto.
-
Ok.
Noi
non abbiamo bisogno di molte parole. Siamo molto simili in questo. Ci
capiamo
più coi silenzi carichi di significato, coi messaggi tra le
righe, coi
monosillabi mormorati.
Le
ore successive volano, incalzate dagli eventi, sospinte da ogni battito
del mio
cuore, che sembra echeggiarmi nel petto, così forte da farmi
credere di poter
uscire. Non dormo, se non per tratti brevissimi, rincorrendo il suo
profumo,
cercandolo in ogni angolo del mio letto, come fosse linfa vitale. Mi
preparo
con gesti consumati dall’abitudine e guardo scorrere la
strada davanti a me,
disturbata solo dalle innumerevoli goccioline di pioggia che invadono
il
parabrezza dell’auto di Charlie. Lo abbraccio per salutarlo e
tengo ancora le
braccia avvolte attorno al mio corpo quando siedo sull’aereo
per non perderne
il calore. Per mia fortuna se n’è dovuto andare
prima del mio imbarco,
altrimenti avrebbe scoperto che la mia destinazione non era di certo
Phoenix.
La
vita brulicante di Rio mi travolge, mi fa girare la testa.
L’allegria sempre
serpeggiare per le strade e le luci risaltano ogni particolare che,
edificante
o meno, rende reale ogni cosa. Indico ad un tassista
l’indirizzo che mi sono
segnata su un post-it e mi accoccolo pensierosa sul sedile posteriore.
Il tipo
è simpatico e ogni tanto sbircia nello specchietto
retrovisore cercando i miei
occhi. Poi, non trovando alcun contatto, mi dice in un inglese stentato
che il
quartiere Santa Cruz è di gran classe, pieno di belle case
sorvegliate e gente
raffinata. Scorro velocemente i miei vestiti anonimi e mi rendo conto
che
ancora una volta mi distinguerò in negativo tra gli altri.
Non ho ancora
trovato un posto in cui brillare, non senza Edward. Non si brilla senza
una
fonte di luce e lui lo era per me, il mio sole personale, la mia forza.
Mi
faccio lasciare in una strada piena di locali sofisticati, con luci
soffuse e
musica soft, colma di un profumo strano, quello
dell’apparenza vuota,
dell’ostentato inutile, della bellezza effimera.
All’improvviso penso che
quello potrebbe essere il posto giusto dove trovare Edward. Potrebbe
aver
pensato che sarebbe stato facile mescolarsi tra gente che non guarda
l’altro se
non per opportunismo, di gente senz’anima, oscura pur nello
splendore dei loro gioielli
o degli abiti firmati.
Edward
pensa di non averla un’anima, di nutrirsi d’ombra,
quando la luce non potrebbe
aver trovato un tempio più splendente. Sarà
quella a guidarmi verso di lui, è
complementare alla mia, mi completa. Passo davanti ad un paio di
locali,
osservandone con curiosità la gente ferma al loro esterno a
fumare,
chiacchierare, baciarsi. Lo stomaco mi si contrae. La
felicità altrui alimenta
sia la mia rabbia che la mia volontà di ritrovare il mio
amore, di lasciarmi
inondare dal suo profumo, dalla sua energia. Non entro e proseguo
lenta, finché
l’ennesimo pub, più piccolo e più buio
degli altri, attira la mia attenzione.
Dopo un atrio piccolo e accogliente, si sviluppa in verticale,
disnodandosi in
scale a chiocciola larghe ed eleganti, che scendono verso il basso
ricordando
un girone infernale.
Inizio
a percorrerle scivolando lungo il muro e ho la sensazione di entrare in
una
dimensione parallela. All’improvviso tutto si ovatta, come
fosse ricoperto di
grossi fiocchi di neve, tutto si attutisce, rumori, voci, musica.
Tutto, tranne
il mio cuore. Lo sento prima ancora di vederlo, lo percepisce tutto il
mio
corpo, che si tende verso una meta ancora non chiara. Sento i miei
respiri
farsi corti, quasi inesistenti. So che Edward è
lì, mescolato tra la gente, ma
non riesco a farmi largo tra la folla che chiude ogni varco. Allora,
provo a
risalire alcuni gradini e a studiare ogni profilo, ogni ombra che la
luce
pulsante proietta sulla parete di fondo.
Poi,
un particolare mi cattura. La nuca perfetta di un ragazzo, coi capelli
di un
colore che le luci sfavillanti rendono indefinito, ma
che convergono verso il suo centro, finendo
in un piccolo codino delizioso, quello che amavo toccare, tirare,
vezzeggiare
prima di risalire con le dita in quella giungla di seta.
-
Edward…
Nemmeno
i suoi elevati sensi di vampiro possono farmi udire in questo momento.
Infatti,
si muove soltanto per mettersi di profilo e giocare col bicchiere che
ha tra le
mani, appoggiandosi al bancone. Osserva il liquido ambrato e lo fa
girare, ora
lentamente, ora con più foga, così da farne
tracimare qualche goccia. Tra un
po’, in questo modo, sembrerà che
l’abbia bevuto. E’ qui, ma sembra
completamente assente, altrove.
-
Anche tu non hai pace amore mio? Anche tu non sai dove fuggire, dove
correre,
dove nasconderti da qualcosa che ti sta divorando da dentro?
Mi
sposto per osservarlo meglio, per vederlo in viso finalmente dopo tanto
tempo.
Le sue labbra sono declinate in un broncio dolcissimo e tormentato, le
sue dita
percorrono il bordo del bicchiere, le sue spalle si alzano con ritmo
non
costante. Non ha bisogno di respirare e ogni tanto dimentica di salvare
l’apparenza. Ma solo io noto questi particolari, gli altri li
ignorano.
Scolpisco nella mente ogni sua curva, ogni linea, che sembra cesellata
nel
marmo più puro, ma non voglio andarmene solo con un ricordo.
Sono venuta fin
qui per ritrovare lui e me stessa. Non mi basta più vederlo
come ultimo
baluardo di razionalità quando l’adrenalina mi
scorre a fiumi nelle vene
spingendomi verso l’estremo. Non voglio più
nutrirmi di illusioni e di
rimpianti. Voglio tentare ogni strada, non precludermi nulla, non
arrendermi. Non
credo alle sue parole, non più. Voglio che mi veda, voglio
che sappia cosa
sento ora che l’ho ritrovato. Voglio dirgli che ogni attimo
con lui è stato
vissuto, mentre questi mesi senza trama come fogli bianchi mi hanno
solo fatto
sopravvivere.
Salgo
ancora qualche gradino per cambiare prospettiva e, inavvertitamente, mi
posiziono davanti ad un ventilatore. L’aria fresca mi
dà sollievo. L’umidità e
il calore che incombono là sotto sono a mala pena
sopportabili. Tuttavia,
un’ondata di brividi mi percorre la schiena quando mi accorgo
che Edward ha
alzato il volto e sta annusando l’aria. Lo abbassa di scatto
e fissa il bancone,
afferrandolo con una forza tale che penso possa sbriciolarlo da un
secondo
all’altro. Si guarda intorno nervoso. Sembra un animale
guardingo, sulla
difensiva, ma ben per questo, pronto all’attacco se non gli
si desse scelta.
Prende ancora una boccata d’aria, come la potesse gustare,
come sentisse già
sulla lingua il mio sapore. La sua espressione sembra furiosa,
trattenuta e,
allo stesso tempo, disperata. E’ potenzialmente pericoloso,
come lo era nel
laboratorio di biologia la prima volta che ci siamo incontrati, ma io
non
mi preoccupo della
mia incolumità. Io
voglio Edward. Il nostro destino ci porta inevitabilmente
l’uno verso l’altra
come rotaie che si incrociano, che convergono verso una coincidenza
vitale.
Inizia
a spostarsi facendosi guidare dall’olfatto e io sono di nuovo
la sua preda. Ogni
tanto si ferma e strizza gli occhi per rimanere concentrato, per
controllare la
sua sete.
-
Anch’io ho sete di te, amore.
Lo
guardo avvicinarsi alla base della scala con una leggerezza invidiabile
e non
resisto alla tentazione di scendere qualche gradino per andargli
incontro.
Finalmente alza lo sguardo e mi vede, ma rimane immobile. Siamo
abbastanza
vicini ora perché il suo udito superi la confusione che ci
circonda, che rimane
sullo sfondo, come un insignificante ronzio.
-
Edward, sono io. Sono qui. Non sono un’illusione.
Le
sue labbra si muovono, pronunciando il mio nome.
-
Non mandarmi via, non so stare senza di te.
Sale
i gradini lento, guardandomi sempre negli occhi e alzando leggermente
le mani,
quasi volesse tranquillizzarmi sulle sue intenzioni.
-
Bella…
Si
ferma di fronte a me e la sua immagine inizia a divenire sfuocata per
le
lacrime che mi stanno velando gli occhi. E’ tormentato,
combattuto, lacerato,
cerca disperatamente di riempire i polmoni di un’aria che non
gli serve, mentre
il timore di essere nuovamente rifiutata mi sta minando. Non ho
più la forza di
sostenere la sua inerzia e sto per crollare, quando mi ritrovo
addossata a lui,
stretta tra le sue forti braccia, inebriata dal suo profumo.
-
Amore mio, Bella. Non piangere, ti prego, non lo fare più.
Poi
si guarda intorno con sospetto.
-
Usciamo di qui, dobbiamo parlare.
Finalmente
il freddo miracolo della sua pelle torna sulla mia. Le sue dita si
intrecciano
alle mie, in una dolce morsa da cui non mi voglio certo liberare. La
sua
inquietudine, il suo sconcerto, la tempesta di emozioni che lo sta
travolgendo
passa da quel contatto. La sento anch’io. Mi pulsa nelle
tempie e mi serra la
gola. Con qualche difficoltà raggiungiamo
l’esterno, ci allontaniamo fino ad
arrivare vicino ad uno spiazzo verde colmo di esotiche palme.
-
Come sei arrivata qui, Bella? Sei sola?
-
Sì, sono sola e non importa come, ma solo che ti ho
ritrovato.
Sospira
rassegnato.
-
Non so che fare con te, non so come preservarti dai
pericoli…e da me.
-
Tu non sei un pericolo per me, non averti, non stare con te lo
è. Ti ho cercato
nei ricordi, nelle piccole cose fino a buttarmi in ogni cosa avventata
pur di
illudermi che tu fossi ancora vicino a me.
Lo
guardo trasalire e stringere forte i pugni.
-
Speravo riuscissi a dimenticarmi.
-
Come si può dimenticare un pezzo della propria anima? Te lo
sei portato via.
Sono qui per riprendermelo.
La
sua postura è ancora rigida, con le braccia lungo il corpo,
abbassate, arrese
di fronte ad un qualcosa che non sanno fronteggiare. Lo incalzo spinta
dall’istinto. Mi avvicino e l’abbraccio da dietro,
avvolgendo le mie braccia attorno
al suo torace statuario, mentre appoggio le mie labbra sulle sue
spalle,
riempiendole di piccoli baci.
-
Io ti amo Edward e rivoglio indietro la mia anima.(*)
Si
muove a velocità vampiresca e poggia ancora una volta le sue
labbra sulla mia
fronte, scendendo poi con lentezza esasperante sulle mie in un bacio
disperato
e adorante. Mi stringe e mi culla, in un’apoteosi
contrastante di protezione e
bisogno assoluto.
-
Sei la mia stella, amore mio, il mio barlume di speranza, la vita vera.
Io ti
amo Bella e ti chiedo perdono per la sofferenza che ti ho inflitto.
-
Non te ne andrai mai più?
-
Mai, amore, mai. Sono qui per te, sono stato creato in tua funzione.
Non ho né
senso né equilibrio da solo. Sarà per sempre
Bella.
-
Per sempre Edward.
Torna
a baciarmi con dolcezza ed esigenza mentre una luna nuova incombe sulla
notte
di Rio.
(*) Cit. “The Blessing and the
Curse”