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Autore: Capriccio biondo    06/02/2013    13 recensioni
Bella è passata attraverso il dolore sordo, il vuoto echeggiante la sofferenza
sottile e continua dopo l'abbandono di Edward.. Tuttavia, quando il senso di
ogni cosa sembra perduto, decide di partire alla sua ricerca, prendendo in mano
le redini del suo destino. E' un viaggio sia fisico che introspettivo,
attraverso il quale Bella ritroverà se stessa e il suo cuore, gelosamente
custodito da Edward.
La one shot ha partecipato e vinto il contest "When everything changes" e parte dal What if? n°2 con riferimento a New Moon:
COSA SAREBBE SUCCESSO SE? Bella non avesse creduto davvero alle parole di addio
di Edward e avesse cercato di trovarlo?
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: New Moon
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Ciao a tutte! Questa mia one shot ha partecipato ed è arrivata prima al contest "When everything changes". E' un'idea altamente romantica la mia, ma ho ipotizzato una possibile scelta forte di Bella dopo l'abbandono di Edward e la sofferenza che ne deriva. Un modo di prendere in mano le redini del suo destino prima di Volterra, ma sempre in un contesto molto diverso da quello che li ha visti protagonisti fino a quel momento. Una ricerca spasmodica della propria anima e del proprio cuore, rimasti saldati alle mani di Edward. Vi lascio alla lettura e aspetto le vostre impressioni nei commenti., se vi va. Bacio

Il suo sguardo da angelo vendicatore mi tormenta ancora tutte le notti. Non  riesco a superarlo come allora ad affrontarlo. Mi ha sbriciolato, distrutto. Si è portato via parte del mio cuore e mi ha lasciato quella malsana. Mi ha tolto la mia anima, quella per cui si preoccupava tanto, lasciandomi come un bozzolo vuoto.

Ho sentito i miei pensieri echeggiarmi nella testa, come se davvero fosse una stanza svuotata, svilita, quando prima era dipinta delle sue immagini, piena di pensieri dolci e ammalianti, come era lui.

Edward.

Il solo suo nome mi faceva annichilire, oppressa dai ricordi, perché niente era più doloroso del ricordo della felicità perduta. Il mio angelo vegliava su di me, dall’oscurità cui pensava di appartenere, rilucendo, invece, dello splendore che rifletteva quello della sua anima. Le sue mani sfioravano le mie, le sue labbra fredde  e lisce percorrevano sentieri ben conosciuti che andavano dal mio orecchio alla spalla, deviando talvolta sul profilo della mia guancia per poi morire sulle mie, sempre in trepida attesa.

I giorni con lui avevano un senso che ora è perduto, avevano colore, mentre adesso la mia prospettiva è sempre sfumata in varie tonalità di grigio. Ho perso peso, giorni di scuola e amici. Hanno provato a coinvolgermi, a farmi uscire, a deviare i miei pensieri da lui, ma senza esito. Sto facendo seriamente preoccupare Charlie, che ogni volta che mi parla tentenna e si dondola da un piede all’altro, come se avesse molte cose da dirmi e non sapesse da dove cominciare o temesse una mia reazione esagerata. Lo so che gli farebbe molto piacere vedermi più vicina a Jacob, ma non può capire che i miei occhi lo guardano attraverso le lenti dell’amicizia. Nient’altro. Non posso impegnare ciò che non ho più. Il mio cuore sta dove è lui, palpita al posto di quello fermo di Edward.

Poi, lento, ma continuo e inevitabile, un pensiero inizia a farsi strada in me. Mi conquista, mi sferza, dandomi nuova energia, nuova speranza, un motivo per vivere i miei giorni, non continuando soltanto ad esistere. L’avrei cercato, sarei andata a riprendermi in qualche modo ciò che sentivo ancora mio. Poco importava che mi avesse detto che non mi voleva, che non ero abbastanza per lui. Ogni volta che avevo corso incontro ad un pericolo, mentre sentivo l’adrenalina scorrermi nel sangue fino ad arrivarmi alla base della nuca riempiendomi di nuovi brividi, l’avevo visto. Il suo viso aveva un cipiglio dolcemente severo, la sua espressione era sempre sofferente, la sua voce un anestetico al mio dolore.

Edward esiste ancora in me. Non si rompe l’alchimia, non si fa scomparire la magia pura, non si spezza un legame come il nostro. Io ci sono perché lui vive, io lo sento perché lui mi ama ancora. Lo avrei ritrovato per dare completezza alle nostre anime inquiete e per riprendere il mio cuore.

Così inizio a mettere a frutto il mio tempo, ad investirlo in questo nuovo motivo che ho per respirare. Lo cerco con ogni mezzo, elemosinando informazioni alla base, il posto che lo ha visto a casa qui a Forks, villa Cullen. Il viale che porta alla casa diramandosi dalla statale è quasi del tutto invaso dagli arbusti. Sembra che tutto sia abbandonato da molto tempo o, peggio, che nessuno vi sia mai stato, che tutto sia stata un’illusione. Edward, Alice, il resto della famiglia, noi due. Tuttavia, il dolore che ancora sento mi ricorda che è tutto è accaduto davvero, che un noi è esistito, che lui è ancora là fuori.

Entro in casa tremante osservando perplessa il mio riflesso sui vetri e mi lascio cullare dal suono dei miei passi, che echeggiano nel vuoto assoluto. Raggiungo quella che era la sua stanza e osservo qualche oggetto lasciato probabilmente nella fretta. Mi sembra di essere in un mausoleo di ricordi e ogni cosa mi colpisce come una fitta. Gli occhi iniziano a bruciarmi e le lacrime spingono, pronte a tracimare. Le ricaccio, le ingoio insieme alla voglia di scappare per non ferirmi ulteriormente, quando la mia attenzione è catturata da un libro, che sporge rispetto agli altri lasciati nella libreria, come fosse stato l’ultimo ad essere consultato. Lo prendo cercando di controllare il tremore delle mie mani.

E’ una semplice guida turistica, con la classica quanto anonima copertina verde, che, però, mi dà la prima spinta per la mia ricerca: Rio de Janeiro. Brasile, dunque. Un paese lontano, una città sconfinata, pullulante di gente e di vita. Come avrei potuto trovare Edward là? Non possiedo sensi sviluppati né altri poteri tipici dei vampiri, ma potrei lasciarmi guidare dall’ istinto.

Porto la guida con me, per poter tenere vicino al cuore qualcosa che lui aveva sfiorato, sperando di sentirne ancora il profumo, come succedeva quando vegliava sulle mie notti e popolava i miei sogni.

Passo dalla centrale per salutare Charlie, per dargli l’illusione di una parvenza di ritrovata serenità. E’ felice di vedermi e mi abbraccia, presentandomi ai suoi  collaboratori, due ragazzotti dalle facce rotonde e simpatiche. La telecronaca di una partita di baseball fa da sfondo alla nostra conversazione, fino a quando il suono acuto di una chiamata urgente ci interrompe. Il più alto dei due risponde con cipiglio professionale, poi rivolge uno sguardo scuro a Charlie, che si avvicina e confabula, sussurrando. In seguito torna da me con fare preoccupato.

- Bella, ascolta, è sparita una persona, una donna. Non sta bene da tempo e si è allontanata da sola. Dobbiamo cercarla. Ti lascio qui con Colin. Mi piacerebbe andare a mangiare insieme qualcosa dopo, se vuoi.

Faccio un breve cenno col capo e lo guardo partire di corsa. Mi siedo in un angolo e scorro incurante alcune riviste, mentre il gracchiare della radio di servizio mi fa sentire più partecipe a ciò che mi succede intorno. Colin sta seduto alla sua postazione e ogni tanto mi sorride. All’ennesimo incrociarsi di sguardi, mi invita a sedermi sullo sgabello vicino a lui, battendo lievemente con la mano sul suo sedile. Lo faccio e, mentre lo guardo armeggiare col pc, accarezzo la cornice della foto che tiene sulla scrivania. La sua voce rivolta a me mi coglie di sorpresa.

- E’ la mia famiglia. Mia moglie e le piccole.

- Sono bellissime.

- Grazie.

Sorride soddisfatto e continua  a lavorare, digitando codici diversi a seconda dell’accendersi dell’una o dell’altra spia.

- Che cosa fai?

- Coadiuvo la ricerca attraverso il satellite. Se la donna che stiamo cercando ha il cellulare acceso con sé, dovrei riuscire ad agganciare la cella telefonica da cui la sua sim trasmette e capire di conseguenza il luogo esatto dove si trova.

Un’idea mi balena nella mente, con la stessa intensità e la stessa luce di una folgore nel mezzo di una tempesta. Io ho ancora il numero del cellulare di Edward, quello che ha sempre suonato a vuoto o del quale conoscevo ogni inflessione della voce elettronica della segreteria.

- Deve essere per forza acceso il telefono?

- Certe volete lo si intercetta anche da spento, perché la sim manda comunque dei segnali elettromagnetici. Certo, se fosse acceso, sarebbe più facile individuarne la posizione con precisione.

Comincio a torturarmi le mani, sfregandomele nervosamente, mentre continuo a fissare l’alternarsi del rosso e del verde delle spie elettroniche.

- Colin…posso chiederti un favore?

Mi guarda accigliato e guardingo, anche se poi accenna di sì col capo.

- Potresti fare un piccolo tentativo con un numero che ti darò? Vorrei tanto rintracciare una persona.

Alle sfumature di prima, ora si mescola un teso imbarazzo.

- Bella, servono dei permessi. Ci deve essere un’indagine in corso, non posso abusare di questi mezzi per scopi personali, capisci?

- Non è per te, è per me.

So che non è una scusa sufficiente e che non cambierà la situazione, ma mi viene dal cuore e non son capace di ignorarla. Colin sospira. Molto probabilmente è a conoscenza dello stato di assoluta prostrazione in cui son caduta e anche della causa. Sta pensando una scappatoia che, al momento, non gli sovviene, almeno non cadendo nella maleducazione.

- Bella, facciamo solo un tentativo. Ti dirò quel che posso e poi basta. Entrambi dimenticheremo ogni cosa, ok?

E’ il mio turno di annuire con un cenno di sorriso.

- Dammi il numero.

Glielo detto senza altri preamboli, mentre osservo la spia verde che pulsa, alimentando la mia speranza. Sul monitor compare un planisfero e poi uno zoom sempre più particolareggiato fino ad inquadrare una precisa zona.

- Rio de Janeiro, zona ovest, quartiere Santa Cruz. Sei stata fortunata Bella.

Per la prima volta dopo tanto tempo sento la speranza alimentarsi in me. Devo parlare con Charlie al più presto e pensare una scusa plausibile per convincerlo a lasciarmi partire. Ringrazio Colin e aspetto Charlie a casa, cucinando ali di pollo in salsa piccante, uno dei suoi piatti preferiti. Quando rientra è taciturno. Osserva tutto con calma e siede incredulo.

- Che succede Bella?

- Mi andava di cucinare.

- Certo.

Respira a fondo e inizia ad inforcare bocconi di pollo, dando segni di forte apprezzamento.

- Vorrei cambiare aria per un po’. Ne avrei bisogno.

La sua espressione diventa cupa e il suo volto cinereo. Anche il suo appetito improvvisamente se ne va. Sento il bisogno di rassicurarlo.

- Non ti lascio Charlie. Voglio solo andarmene un po’ da mamma per qualche giorno. Vorrei tentare di scappare dai ricordi. Tu hai il tuo lavoro…

- Ok, tutto pur di vederti vivere ancora. Se decidessi di tornare da tua madre, capirei…

Mi alzo e l’abbraccio d’istinto, stringendolo forte.

- Vado a cercar di rimettere insieme i pezzi del mio cuore.

Mi accarezza la schiena semplicemente, baciandomi una tempia e soffermandosi a respirarmi tra i capelli.

- Quando parti?

- Domani, Charlie. Ho trovato un viaggio last minute. Un’occasione.

- Ti accompagno io all’aeroporto.

- Ok.

Noi non abbiamo bisogno di molte parole. Siamo molto simili in questo. Ci capiamo più coi silenzi carichi di significato, coi messaggi tra le righe, coi monosillabi mormorati.

Le ore successive volano, incalzate dagli eventi, sospinte da ogni battito del mio cuore, che sembra echeggiarmi nel petto, così forte da farmi credere di poter uscire. Non dormo, se non per tratti brevissimi, rincorrendo il suo profumo, cercandolo in ogni angolo del mio letto, come fosse linfa vitale. Mi preparo con gesti consumati dall’abitudine e guardo scorrere la strada davanti a me, disturbata solo dalle innumerevoli goccioline di pioggia che invadono il parabrezza dell’auto di Charlie. Lo abbraccio per salutarlo e tengo ancora le braccia avvolte attorno al mio corpo quando siedo sull’aereo per non perderne il calore. Per mia fortuna se n’è dovuto andare prima del mio imbarco, altrimenti avrebbe scoperto che la mia destinazione non era di certo Phoenix.

La vita brulicante di Rio mi travolge, mi fa girare la testa. L’allegria sempre serpeggiare per le strade e le luci risaltano ogni particolare che, edificante o meno, rende reale ogni cosa. Indico ad un tassista l’indirizzo che mi sono segnata su un post-it e mi accoccolo pensierosa sul sedile posteriore. Il tipo è simpatico e ogni tanto sbircia nello specchietto retrovisore cercando i miei occhi. Poi, non trovando alcun contatto, mi dice in un inglese stentato che il quartiere Santa Cruz è di gran classe, pieno di belle case sorvegliate e gente raffinata. Scorro velocemente i miei vestiti anonimi e mi rendo conto che ancora una volta mi distinguerò in negativo tra gli altri. Non ho ancora trovato un posto in cui brillare, non senza Edward. Non si brilla senza una fonte di luce e lui lo era per me, il mio sole personale, la mia forza.

Mi faccio lasciare in una strada piena di locali sofisticati, con luci soffuse e musica soft, colma di un profumo strano, quello dell’apparenza vuota, dell’ostentato inutile, della bellezza effimera. All’improvviso penso che quello potrebbe essere il posto giusto dove trovare Edward. Potrebbe aver pensato che sarebbe stato facile mescolarsi tra gente che non guarda l’altro se non per opportunismo, di gente senz’anima, oscura pur nello splendore dei loro gioielli o degli abiti firmati.

Edward pensa di non averla un’anima, di nutrirsi d’ombra, quando la luce non potrebbe aver trovato un tempio più splendente. Sarà quella a guidarmi verso di lui, è complementare alla mia, mi completa. Passo davanti ad un paio di locali, osservandone con curiosità la gente ferma al loro esterno a fumare, chiacchierare, baciarsi. Lo stomaco mi si contrae. La felicità altrui alimenta sia la mia rabbia che la mia volontà di ritrovare il mio amore, di lasciarmi inondare dal suo profumo, dalla sua energia. Non entro e proseguo lenta, finché l’ennesimo pub, più piccolo e più buio degli altri, attira la mia attenzione. Dopo un atrio piccolo e accogliente, si sviluppa in verticale, disnodandosi in scale a chiocciola larghe ed eleganti, che scendono verso il basso ricordando un girone infernale.

Inizio a percorrerle scivolando lungo il muro e ho la sensazione di entrare in una dimensione parallela. All’improvviso tutto si ovatta, come fosse ricoperto di grossi fiocchi di neve, tutto si attutisce, rumori, voci, musica. Tutto, tranne il mio cuore. Lo sento prima ancora di vederlo, lo percepisce tutto il mio corpo, che si tende verso una meta ancora non chiara. Sento i miei respiri farsi corti, quasi inesistenti. So che Edward è lì, mescolato tra la gente, ma non riesco a farmi largo tra la folla che chiude ogni varco. Allora, provo a risalire alcuni gradini e a studiare ogni profilo, ogni ombra che la luce pulsante proietta sulla parete di fondo.

Poi, un particolare mi cattura. La nuca perfetta di un ragazzo, coi capelli di un colore che le luci sfavillanti rendono indefinito, ma  che convergono verso il suo centro, finendo in un piccolo codino delizioso, quello che amavo toccare, tirare, vezzeggiare prima di risalire con le dita in quella giungla di seta.

- Edward…

Nemmeno i suoi elevati sensi di vampiro possono farmi udire in questo momento. Infatti, si muove soltanto per mettersi di profilo e giocare col bicchiere che ha tra le mani, appoggiandosi al bancone. Osserva il liquido ambrato e lo fa girare, ora lentamente, ora con più foga, così da farne tracimare qualche goccia. Tra un po’, in questo modo, sembrerà che l’abbia bevuto. E’ qui, ma sembra completamente assente, altrove.

- Anche tu non hai pace amore mio? Anche tu non sai dove fuggire, dove correre, dove nasconderti da qualcosa che ti sta divorando da dentro?

Mi sposto per osservarlo meglio, per vederlo in viso finalmente dopo tanto tempo. Le sue labbra sono declinate in un broncio dolcissimo e tormentato, le sue dita percorrono il bordo del bicchiere, le sue spalle si alzano con ritmo non costante. Non ha bisogno di respirare e ogni tanto dimentica di salvare l’apparenza. Ma solo io noto questi particolari, gli altri li ignorano. Scolpisco nella mente ogni sua curva, ogni linea, che sembra cesellata nel marmo più puro, ma non voglio andarmene solo con un ricordo. Sono venuta fin qui per ritrovare lui e me stessa. Non mi basta più vederlo come ultimo baluardo di razionalità quando l’adrenalina mi scorre a fiumi nelle vene spingendomi verso l’estremo. Non voglio più nutrirmi di illusioni e di rimpianti. Voglio tentare ogni strada, non precludermi nulla, non arrendermi. Non credo alle sue parole, non più. Voglio che mi veda, voglio che sappia cosa sento ora che l’ho ritrovato. Voglio dirgli che ogni attimo con lui è stato vissuto, mentre questi mesi senza trama come fogli bianchi mi hanno solo fatto sopravvivere.

Salgo ancora qualche gradino per cambiare prospettiva e, inavvertitamente, mi posiziono davanti ad un ventilatore. L’aria fresca mi dà sollievo. L’umidità e il calore che incombono là sotto sono a mala pena sopportabili. Tuttavia, un’ondata di brividi mi percorre la schiena quando mi accorgo che Edward ha alzato il volto e sta annusando l’aria. Lo abbassa di scatto e fissa il bancone, afferrandolo con una forza tale che penso possa sbriciolarlo da un secondo all’altro. Si guarda intorno nervoso. Sembra un animale guardingo, sulla difensiva, ma ben per questo, pronto all’attacco se non gli si desse scelta. Prende ancora una boccata d’aria, come la potesse gustare, come sentisse già sulla lingua il mio sapore. La sua espressione sembra furiosa, trattenuta e, allo stesso tempo, disperata. E’ potenzialmente pericoloso, come lo era nel laboratorio di biologia la prima volta che ci siamo incontrati, ma io non mi  preoccupo della mia incolumità. Io voglio Edward. Il nostro destino ci porta inevitabilmente l’uno verso l’altra come rotaie che si incrociano, che convergono verso una coincidenza vitale.

Inizia a spostarsi facendosi guidare dall’olfatto e io sono di nuovo la sua preda. Ogni tanto si ferma e strizza gli occhi per rimanere concentrato, per controllare la sua sete.

- Anch’io ho sete di te, amore.

Lo guardo avvicinarsi alla base della scala con una leggerezza invidiabile e non resisto alla tentazione di scendere qualche gradino per andargli incontro. Finalmente alza lo sguardo e mi vede, ma rimane immobile. Siamo abbastanza vicini ora perché il suo udito superi la confusione che ci circonda, che rimane sullo sfondo, come un insignificante ronzio.

- Edward, sono io. Sono qui. Non sono un’illusione.

Le sue labbra si muovono, pronunciando il mio nome.

- Non mandarmi via, non so stare senza di te.

Sale i gradini lento, guardandomi sempre negli occhi e alzando leggermente le mani, quasi volesse tranquillizzarmi sulle sue intenzioni.

- Bella…

Si ferma di fronte a me e la sua immagine inizia a divenire sfuocata per le lacrime che mi stanno velando gli occhi. E’ tormentato, combattuto, lacerato, cerca disperatamente di riempire i polmoni di un’aria che non gli serve, mentre il timore di essere nuovamente rifiutata mi sta minando. Non ho più la forza di sostenere la sua inerzia e sto per crollare, quando mi ritrovo addossata a lui, stretta tra le sue forti braccia, inebriata dal suo profumo.

- Amore mio, Bella. Non piangere, ti prego, non lo fare più.

Poi si guarda intorno con sospetto.

- Usciamo di qui, dobbiamo parlare.

Finalmente il freddo miracolo della sua pelle torna sulla mia. Le sue dita si intrecciano alle mie, in una dolce morsa da cui non mi voglio certo liberare. La sua inquietudine, il suo sconcerto, la tempesta di emozioni che lo sta travolgendo passa da quel contatto. La sento anch’io. Mi pulsa nelle tempie e mi serra la gola. Con qualche difficoltà raggiungiamo l’esterno, ci allontaniamo fino ad arrivare vicino ad uno spiazzo verde colmo di esotiche palme.

- Come sei arrivata qui, Bella? Sei sola?

- Sì, sono sola e non importa come, ma solo che ti ho ritrovato.

Sospira rassegnato.

- Non so che fare con te, non so come preservarti dai pericoli…e da me.

- Tu non sei un pericolo per me, non averti, non stare con te lo è. Ti ho cercato nei ricordi, nelle piccole cose fino a buttarmi in ogni cosa avventata pur di illudermi che tu fossi ancora vicino a me.

Lo guardo trasalire e stringere forte i pugni.

- Speravo riuscissi a dimenticarmi.

- Come si può dimenticare un pezzo della propria anima? Te lo sei portato via. Sono qui per riprendermelo.

La sua postura è ancora rigida, con le braccia lungo il corpo, abbassate, arrese di fronte ad un qualcosa che non sanno fronteggiare. Lo incalzo spinta dall’istinto. Mi avvicino e l’abbraccio da dietro, avvolgendo le mie braccia attorno al suo torace statuario, mentre appoggio le mie labbra sulle sue spalle, riempiendole di piccoli baci.

- Io ti amo Edward e rivoglio indietro la mia anima.(*)

Si muove a velocità vampiresca e poggia ancora una volta le sue labbra sulla mia fronte, scendendo poi con lentezza esasperante sulle mie in un bacio disperato e adorante. Mi stringe e mi culla, in un’apoteosi contrastante di protezione e bisogno assoluto.

- Sei la mia stella, amore mio, il mio barlume di speranza, la vita vera. Io ti amo Bella e ti chiedo perdono per la sofferenza che ti ho inflitto.

- Non te ne andrai mai più?

- Mai, amore, mai. Sono qui per te, sono stato creato in tua funzione. Non ho né senso né equilibrio da solo. Sarà per sempre Bella.

- Per sempre Edward.

Torna a baciarmi con dolcezza ed esigenza mentre una luna nuova incombe sulla notte di Rio.

 

 

(*) Cit. “The Blessing and the Curse”

 

 

 

 

 

 

   
 
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