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Autore: DaGio    06/02/2013    2 recensioni
"Molte sono le storie che narrano di leggendarie imprese, in mondi ed emisferi inesplorati, riguardanti città incantate e intere civiltà perdute. Nel continente di Beastarh, però, ce n'è una in particolare che sembra essere nota a tutti".
Questo fantasy non mira tanto all'utilizzo della magia, comparsa di creature o personaggi con abilità innate o doti soprannaturali. Si tratta invece di un libro contenente un storia in parte realistica in cui gli umani hanno un modo di pensare simile a quello delle persone che abitavano il mondo nel medioevo. E' un libro fantasy semplicemente perché la storia si svolge in un mondo inventato e le creature ed alcuni fatti narrati sono del tutto frutto dell'immaginazione. Una grande tematica è sicuramente quella riguardante la religione vista da punti di vista differenti ma ora sta al lettore comprendere appieno il significato che si cela all'interno del racconto.
Genere: Fantasy, Guerra, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Capitolo 3 - Sempre in prima linea –

 
La città principale del feudo dei Tenbri, Foraz-Dor, era particolarmente rumorosa quel giorno. Le strade erano affollate, così come le piazze principali, di fronte alla cattedrale e davanti al palazzo del signore della seconda famiglia più importante di tutta Ennearel.
Quando sire Fendaron giunse sulla piccola terrazza, a soli pochi metri da terra, vide il suo popolo che gridava parole difficili da comprendere poiché mescolate tutte assieme, con cattiveria, mentre si spintonavano e alzavano i pugni al cielo, senza temere che le guardie poste su due schieramenti non accorressero a metodi drastici per farli tacere. C'erano contadini, fabbri, frati ma anche nobili e qualche cavaliere giunto da città vicine e lontane, apposta per protestare e lamentarsi. Non erano arrabbiati con il loro signore feudale, non più di tanto ma volevano farsi sentire da lui perché potesse intervenire e prendere le difese del popolo. Nel frattempo anche il fratello Anvol si avvicinò rimanendo però sul ciglio della porta che portava al terrazzo.
"Misura con attenzione le tue parole. Sappi che i Pemry sono ancora nostri ospiti" gli riferì silenziosamente da dietro. Fendaron fece un cenno con la mano sinistra per chiedere silenzio, così la folla taque per ascoltare ciò che il loro signore aveva da dire.
"Ho saputo proprio ieri che il castello del nostro vassallo Ser Intorv, posto sotto la nostra diretta protezione, è stato accerchiato e bruciato dagli alleati Pemry." disse a voce alta l'uomo, facendo una breve pausa per osservare i volti del popolo impaziente di ascoltare la spiegazione di quell'atto, poi proseguì il discorso.
"L'accusa, secondo i nostri amici e alleati, sarebbe quella di tradimento..." a quel punto la gente cominciò a farfugliare, bisbigliare e lamentarsi a bassa voce, mentre un paio di uomini gridavano il loro dissenso per quella frase ma Fendaron non vi badò.
"Un gruppo di parenti di Intorv che come ben sapete, in questo momento si trova al fronte con mio nipote, si pensa abbiano aizzato la servitù a bruciare quadri raffiguranti le divinità della luce e alcuni ritratti di sua eccellenza Ser Giulian Pemry, signore del feudo nostro alleato. Questo atto sarebbe stato fatto in presenza di un ufficiale e alcuni cavalieri che stavano galoppando proprio qui, con l'incarico di unirsi alla scorta delle damigelle e di alcuni membri della famiglia Pemry presenti a Foraz-Dor come ambasciatori e che questo pomeriggio torneranno in patria, nelle terre dell'Ovest" continuò l'uomo ma molte più grida iniziarono a levarsi dalla folla che prese a spintonare le guardie scelte.
"Menzogne! Sono tutte menzogne! Conosciamo Ser Intorv e la sua famiglia!" urlava un cavaliere, altri accusavano i Pemry di volere annettere anche quel territorio e di approfittare dell'assenza di molti uomini fedeli per impossessarsi di sempre più terre.
Le guardie serrarono i ranghi e unirono gli scudi per resistere agli urti e alle spinte della popolazione mentre la fila più indietro spingeva e teneva fermi gli uomini davanti, in modo da non farli retrocedere nemmeno di un passo e quando serviva, anche i soldati spingevano a loro volta.
"Perfavore! Sono certo che si possa arrivare ad un compromesso! I parenti di Ser Intorv sono ancora vivi quindi tratterò affinché vengano risparmiati, abbiate fiducia!" esclamò Fendaron tentando di contenere la folla e per fortuna vide i contadini e i nobili andarsene uno ad uno, fino a rimanere solo una decina di persone, composte per la maggior parte da cavalieri e vassalli provenienti da luoghi più lontani, sul confine con i Pemry e che non avrebbero lasciato la città senza ricevere prima una conferma che non gli sarebbe accaduto nulla. Molti di loro volevano essere ricevuti da Fendaron in persona perché assicurasse loro una maggiore sorveglianza e perché prendesse provvedimenti in caso di atti simili.
Il signore dei Tenbri rientrò nel palazzo per potersi sedere nella sala più grande, dove Anvol lo attendeva.
"Che cosa intendi fare?" gli chiese il fratello minore.
"Cosa vuoi che faccia? Tratterò con i Pemry affinché liberino i nostri protetti" disse Fendaron schietto.
Sapeva bene che il popolo si sarebbe ribellato in caso di esito negativo e anche molti suoi alleati e vassalli, se non fosse riuscito a calmare i capricci dei Pemry che cominciavano ad atteggiarsi da esseri superiori. La servitù della famiglia di Ser Intorv era stata massacrata, questo lo sapeva e il castello messo a fuoco e fiamme, posto a un rudere. Perché avventarsi così su una famiglia che doveva essere sotto la sua diretta giurisdizione? Ser Giulian Pemry non aveva il diritto di porre rimedi e giudizi avventati in un territorio che non gli apparteneva. A cosa era servito mandare Rart in guerra, cosa che avevano chiesto anche gli alleati per risolvere il malcontento del popolo, quando poi i Pemry commettevano azioni che portavano atti di ribellione?
"Voglio che tu conduca cento uomini ad ovest e organizzi qualche giro di pattuglia lungo tutte le terre situate sul confine" ordinò Fendaron.
"Ma cosa dici? A questo punto bisognerebbe ricostituire il corpo di difesa delle valli ad Ovest, con mille uomini o anche solo cinquecento! Lungo il confine esistono ancora le torri e gli avamposti edificati secoli fa!" replicò Anvol.
"Sei impazzito? Così i Pemry si insospettirebbero ancor di più e rischieremo di peggiorare i nostri rapporti, proprio in un momento così delicato! Lo escludo e poi credi forse che io abbia mille uomini da poter inviare lungo un confine così vasto? Non se ne parla" concluse l'uomo, poi uscì dalla sala per recarsi al suo trono dove lo attendevano decine di uomini impazienti di riceverlo.
Anvol rimase in silenzio, in quella stanza così buia, dove il colore dominante era il nero marmoreo delle sei colonne e delle pareti, dove erano appesi pochi quadri dalla cornice dorata e ciò che era dipinto dava ancor di più un senso di malinconia. L'uomo aveva i capelli neri più corti perché se li era tagliati il giorno della partenza del figlio e da allora non li avrebbe più tagliati fino al suo ritorno in città.
Chi aveva ragione e chi torto? Il popolo o i Pemry? Anche lui ormai non sapeva da che parte voltarsi e i fatti sembravano ben diversi da quelli descritti dagli alleati. Ad un tratto entrò nella sala una ragazza, capelli castano chiari e occhi azzurri, si trattava di Irda Giada, la amata figlia di Anvol.
"Papà, cosa sta succedendo? Credi che quelle persone abbiano veramente potuto bruciare quegli oggetti sacri di fronte ai Pemry? Io li conosco, sono delle brave persone" chiese la ragazza confusa.
"Mia cara, tutti li conosciamo e sappiamo bene che non commetterebbero mai atti del genere! Non ti preoccupare perché tuo zio Fendaron farà il possibile per risolvere questo malinteso" si affrettò a rispondere il padre andandole in contro.
"Ma allora perché hanno fatto una cosa del genere? Come hanno potuto?!" domandò ancora la figlia avvicinandosi fino a quando l'uomo la accolse in un abbraccio.
"Vedi figlia mia, non tutti i soldati sono persone sincere e attente, spesso bevono e si confondono; vedono cose che non sono mai accadute e creano fatti inesistenti. I Pemry avranno sicuramente notato che i loro uomini hanno commesso un atto deplorevole e saranno loro a doversi fare perdonare" disse Anvol cercando di giustificarsi, anche se a stento riusciva a far uscire quelle parole dalla sua bocca perché la realtà doveva essere ben diversa e quello che gli alleati avevano fatto era talmente grave da poter rompere l'alleanza tra i feudi. Ora non restava altro che attendere notizie dai Pemry stessi e soprattutto dal fronte, dove era riunita la più grande armata di tutta Ennearel.
Nel frattempo Rart udiva i corni delle guardie del Vallo dei Prodi, mentre gli enormi portoni si aprivano dinanzi a quei mille uomini.Le mura erano davvero imponenti e alte quanto quelle che si affacciavano al confine, oltre la montagna perché in molti anni avevano sostenuto assedi provenienti sia dai monti che da dietro, da parte dei briganti che credevano di attaccare una piccola città dimenticata da tutti e trascurata persino dagli alleati, in un posto sperduto del mondo. A quanto pareva i briganti si sbagliavano e la città non cadde mai mentre le mura venivano rinforzate sempre più, così che anche in periodi difficili come quello, in assenza di uomini, anche poche centinaia di guardie potessero reggere ad attacchi da parte di eserciti anche cinquanta volte più numerosi.
Rart Tenbri fece avanzare la lunga colonna di fanti e cavalieri attraverso la soglia del Vallo, dove nessuno li accolse né gli venne incontro. Ai lati della strada principale c'erano solo due fila di case in pietra e legno, davanti alle quali si trovavano poche persone che con sguardo indifferente esaminavano l'esercito appena arrivato. Probabilmente li vedevano come uomini che li avrebbero privati di cibo, acqua e case dove si sarebbero riposati, avrebbero preso tutto ciò che gli fosse sembrato necessario avere e poi se ne sarebbero ripartiti come se nulla fosse mai accaduto, quindi sarebbe arrivato un nuovo esercito dopo un mese circa e avrebbero fatto lo stesso.
Le uniche volte che qualcuno attraversava i portoni della città fortezza, erano quando i messaggeri facevano avanti e indietro dal fronte per portare messaggi e notizie dalle città al fronte e viceversa. L'ultima volta si trattava di un portaordini che circa due settimane prima dell'arrivo di Rart doveva portare la notizia della presunta scomparsa di Weyl, il secondogenito di Sire Fendaron.
I soldati al seguito del nobile capitano avanzavano silenziosi tra quel paesaggio che ora sembrava così cupo da fargli scomparire il sorriso per la gioia di essere arrivati in quel luogo di ristoro. Da lontano, in effetti, sembrava tutta un'altra cosa e il paesaggio circostante aveva illuminato la piccola città come se fosse un dipinto.
Rion osservava le case e le mura, gli abitanti che erano tutti dotati di almeno un coltello, qualcuno lo nascondeva sotto la tunica e altri nelle calzature mentre altri ancora lo tenevano fieramente in vista nella cintura. L'uomo cercava di catturare quanti più dettagli possibili, tutti i pochi particolari dei rari decori e ornamenti lungo le fortificazioni. Sembrava quasi che i prodi non badassero alle decorazioni quanto al l'efficacia di porte e mura, perché non importava se fossero presenti disegni e incisioni assurde lungo tutta la città ma si pensava solo a costruire e riparare, senza perdere tempo in opere d'arte. In fondo cosa importava se una porta era bella a vedersi? Un fante provò a domandare ad una robusta guardia perché non ci fossero incisioni né abbellimenti e la risposta fu alquanto soddisfacente: "Se il muro cade, lavoro inutile, città distrutta e con essa tutte decorazioni! Mura utili, decori no!" una frase priva di qualche articolo, non c'era dubbio ma sicuramente molto significativa.
Anche Eonas Tenbri cercava di cogliere la bellezza della città ma preferì soffermarsi su altri dettagli, infatti aveva notato come fossero presenti pochissime donne e ragazze e di come quelle poche presenti fossero così graziose, un particolare che trovò strano dato la città fortificata con abitanti che parevano rozzi, decisamente poco colti e di aspetto orrendo, almeno questo riguardava i soggetti maschili. L'atmosfera che avvolgeva quel posto non era assolutamente vivace e il freddo cominciò a farsi sentire più pungente che mai.
Dopo pochi minuti, quando Rart giunse davanti ad una sorta di bastione alto una ventina di metri, solo allora il capitano vide arrivargli incontro quello che doveva rappresentare una sorta di comitato di benvenuto. Quattro uomini a cavallo che portavano lunghe lance sulle quali sventolavano dei vessilli, erano insieme ad altri due cavalieri vestiti con abiti pesanti come mantelli e pellicce.
"Benvenuti al Vallo dei Prodi! Qui avrete modo di riposare e banchettare prima della partenza per il fronte" annunciò un tipo alto quanto Rart e magro, occhi castani, capelli lunghi tirati all'indietro neri e una barba piuttosto corta, mal curata. Al suo fianco un cavaliere decisamente più grasso e di corporatura più robusta ma basso di statura, capelli rossi e occhi castani che prese la parola.
Il mio nome è Corassath e costui al mio fianco è Norren ma potete chiamarlo Norr, a lui non dispiace" a quel punto l'altro cavaliere gli diede un'occhiataccia e sbuffò.
"Come dicevamo, siete i benvenuti al Vallo e ora vi mostreremo la zona dove potrete fermarvi e tutte le abitazioni dove alloggiare. Se ne avete bisogno, abbiamo tre fabbri per riparare armi e armature e due locande dove poter bere qualcosa" concluse l'uomo.Forse avevano una grande importanza dato la grande quantità di armi che si vedeva in giro, come aveva potuto notare in precedenza. Tutti gli abitanti avevano almeno un coltello e magari i fabbri erano proprio utili anche perché servivano a tutte le truppe che sostavano al Vallo ma Rart trovava comunque un'esagerazione averne ben tre. L'esercito dei Tenbri salì una stradina che conduceva alla parte più alta della città, in gran parte costruita nella roccia del monte. Dopo una decina di minuti risalirono un'altra via più ripida fino a giungere di fronte ad un vasto piano spazioso dove erano presenti centinaia di piccole case a due o tre piani, tutte in pietra a distanza ravvicinata una dall'altra. Al l'orizzonte si poteva notare il cielo coperto da diverse nuvole grigie, infatti non c'erano mura e dove il piano finiva, sul bordo, non c'era altro che il vuoto. Infatti da li si aveva una vista fantastica e il livello della città più bassa era almeno a una quindicina di metri. Ci dovevano essere almeno cinque livelli e quello dove si trovavano loro in quel momento era il terzo, mentre la parte più "abitata", ampia e con il maggior numero di case, doveva essere quella situata proprio sotto di loro. Dal quarto piano in poi le case erano sempre meno e si incontravano solo più guardie, poste nei punti più alti per difendere le entrate e uscite dei vari cunicoli e tunnel che portavano da una parte all'altra delle montagne, lungo le cime più basse fino ad arrivare alle più alte ma ormai a presidiare le torri era presente solo un paio di vedette ogni tanto.
I soldati si organizzarono per sistemarsi nelle piccole abitazioni e preparavano il pasto da consumare quel pomeriggio, potendo finalmente permettersi una pausa decente dopo il lungo tragitto.
Jirk Lubers era ancora dentro al suo carro per ordine di Rart che non voleva si sforzasse troppo dopo quel periodo passato in solitudine, al freddo e con il costante pericolo che qualche reietto lo assalisse, ma il ragazzo aveva deciso già da tempo di sporgere la testa fuori per ammirare la somma e famosa città diroccata tra le montagne, da dove si ramificavano parecchie mura su ogni lato, dalle pendici dei monti alle cime più difficili da raggiungere. La vista del paese dall'interno, invece, non lo attirava per niente, anzi: lo lasciava alquanto a desiderare. Una cosa che non aveva ancora capito era il motivo del suo scarso equipaggiamento e perché il padre Darren non gli avesse concesso almeno un'armatura decente o che raffigurasse lo stemma di famiglia, rappresentato da una foglia di ortica travolta dal mare agitato su uno sfondo verde.
L'emblema stava a significare che, in qualche modo, l'erbaccia va sempre eliminata così come le rivolte e chi comincia a volere di più o pretendere cose impossibili. Invece il padre lo aveva mandato nell'esercito dei Tenbri privo di scorta, provvisto solo di un'armatura dell'esercito regolare dei Tenbri, uno scudo e i suoi abiti personali, tra i quali il caldo mantello che lo aveva salvato dal freddo in diverse occasioni. L'unico oggetto di valore era la sua spada, donatagli dal padre quando lo investì cavaliere e capo della guarnigione a soli dodici anni. Un manico dorato, sul pomo era posto lo stemma di famiglia e due piccoli smeraldi erano incastonati lungo l'elsa, mentre la lama pareva essere stata appena affilata e si mostrava lucente in tutto il suo splendore. Un'arma da nobili o da comandanti, di sicuro l'unico pezzo di valore che avesse con sé in quel momento, quando era ridotto a camminare come un semplice fante perché il padre non gli aveva concesso di cavalcare durante tutto il tragitto. Ciò che avrebbe ricevuto se lo sarebbe meritato, oppure lo avrebbe conquistato con la forza ma certamente non grazie all'oro di cui era a corto. Jirk cominciava a chiedersi perché il padre avesse preso a comportarsi in quel modo, anche se il suo carattere non poteva certo dirsi comprensibile, così come i suoi modi di fare. Agiva secondo una sua logica ma senza badare troppo al pensiero altrui, lui conosceva la verità, soltanto lui sapeva quel che andava fatto e come aggirare le minacce delle altre casate e infatti non aveva mai ceduto il suo territorio ai Pemry né ad altri feudi, anche più grandi.
Derath nel frattempo aiutava l'amico Rion a portare i cavalli nelle scuderie, situate in una notevole apertura nella roccia della montagna, in pratica una grande caverna.
"Perché mi aiuti ragazzo?" domandò burbero l'ufficiale dei Tenbri.
"Ho deciso che voglio servirti, ti guarderò le spalle come faceva mio zio!" esclamò entusiasta il cavaliere.
Rion si fermò di colpo, ripensando all'amico morto a causa sua, poi rivolse lo sguardo severo al ragazzo che gli stava a fianco.
"Versal era un bravo cavaliere ma non la mia balia. E comunque non pensare di poterlo sostituire perché sarebbe inutile. Quando saremo sul campo di battaglia ti consiglio di badare a te stesso, senza dover guardare chi ti sta attorno" rispose con freddezza l'uomo.
Il sorriso si spense velocemente sul volto del ragazzo, sostituito da un'espressione incredula e perplessa, forse perché non si sarebbe mai aspettato parole dure e secche come quelle appena udite. Come se la sua parentela con lo zio, che lo aveva addestrato nell'uso della spada, non valesse nulla e la loro presentazione la sera in cui i férali li avevano assaliti, non volesse dire niente. In fondo aveva salvato la vita a quell'uomo, nonostante li avesse mandati allo sbaraglio e tutti lo odiassero, lui gli rimaneva accanto. Magari era solo arrabbiato per tutto l'insieme di avvenimenti accaduti e nominare lo zio Versal non aveva suscitato in lui altro che rancore.
Quando si fece notte, l'esercito era sistemato al meglio e ogni singolo alloggio era stato occupato, mentre i cuochi avevano preparato una cena che probabilmente avrebbe superato tutte le successive al fronte, dove le risorse e i viveri scarseggiavano e l'acqua potabile era una rarità. Dopo cena Rart decise di uscire dalla sua tenda per recarsi al secondo livello della città, osservando le case antiche e le torri che non mostravano una crepa. Faceva davvero freddo e la temperatura doveva essere scesa sotto i zero gradi perché aveva preso a nevischiare e un paio di pozzanghere che aveva incontrato durante il cammino, erano ghiacciate. Il capitano vide come a quell'ora non ci fosse più quasi nessuno per le strade e anche quando giunse nella piazza centrale del centro abitato, dove notò solo qualche coppia aggirar si per le stradine e i vicoli che portavano verso l'interno della montagna. Voltandosi verso un sentiero che portava al livello inferiore, da dove erano entrati quel pomeriggio, notò una grande statua alta circa cinque metri che sembrava raffigurare una sorta di guerriero corazzato da testa a piedi, reggendo sulle spalle una grossa ascia e appoggiando la mano destra sopra al grande scudo tondo, posto proprio alla base del piedistallo.
"Conosci lo zio Merwin?" domandò una voce familiare proveniente dalle sue spalle. Rart si voltò di scatto, pronto ad estrarre la spada ma non lo fece perché ad aver parlato altri non era che Norren, l'uomo che li aveva accolti quel giorno.
"Davvero impressionante, chi sarebbe?" chiese a sua volta il capitano, alludendo alla grande statua.
"Quello è lo zietto Merwin, uno dei prodi che si stabilirono qui per primi e che ne divenne il capo a seguito di una battaglia" rispose l'uomo avvicinandosi lentamente al capitano dei Tenbri.
"Ma perché lo chiami zio? È forse un tuo parente?"
"Oh no, forse alla lontana ma chi può dirlo. È solo che con quella faccia e quello sguardo cattivo, penetrante, non puoi fare altro che chiamarlo zio o zietto".
Rart era decisamente confuso ma sapeva che il prode si stava chiamava così la statua solo per trovare un po' di ironia in quello che sembrava un titano severissimo, quel che non comprendeva, invece, era il motivo per cui non era riuscito a percepire anche un minimo rumore prima che egli parlasse. Norren era comparso improvvisamente come se nulla fosse anche se non sembrava certo il tipo da agire di soppiatto, nonostante fosse alto sulla media e magro. Ora che lo esaminava con occhi più attenti, il capitano notò la presenza di una spada legata al fianco dell'uomo, un fatto non poi così strano dato quello che aveva visto in giornata.
"Quando partirete per il confine?" domandò Norren curioso.
"Credo domani pomeriggio o più tardi, ancora non lo so" rispose Rart scrutando il cielo.
Anche il prode rivolse lo sguardo al cielo allo stesso modo, come per cercare di capire cosa il cavaliere stesse cercando attraverso le nuvole che coprivano il Vallo.
"Mi chiedevo perché tutti in questo posto sono armati, dalle donne ai bambini, anche i vecchi" ammise il capitano. Il prode distolse lo sguardo dal cielo per rivolgerlo a Rart.
"Forse sarà perché questo posto è a continuo rischio di assedio, o forse perché ogni due settimane deve ospitare centinaia di guerrieri stanchi, affamati e impazienti di vedere una donna" disse Norren.
"Non hanno motivo di preoccuparsi per i miei uomini, loro sono tutti lassù a dormire. Ma tu come fai a sapere che si comporterebbero così? Eppure sei un diplomatico e di solito quel tipo di gente non ha idea di come si comporti un esercito" replicò il comandante dei Tenbri insospettito.
"Già infatti, concordo pienamente" concordò il prode.
"Ma allora come fai a dirlo, che i soldati si comporterebbero in quel modo?" fece Rart.
"Non pensavo di avere una faccia da diplomatico. In effetti credo nessuno ce l'abbia da queste parti" disse semplicemente Norren mentre si girava per tornare al livello inferiore, avvolto dal mistero di chi sa e non vuol far sapere. Forse non aveva rivelato ciò che in realtà era ma non sembrava una persona malvagia, così come non aveva l'aria di un uomo ingenuo.
Il capitano dei Tenbri decise di riprendere il suo giro notturno, anche se sarebbe durato ancora poco dato il freddo che diveniva quasi insopportabile, quindi si diresse davanti a una piccola torre, lungo il margine ovest del livello in cui si trovava. Pensandoci attentamente, Rart avrebbe potuto chiedere a quell'uomo di fargli da guida per pochi minuti ma non voleva essere inopportuno e dopo tutto lui non si trovava lì per una gita turistica. La torre dove era diretto l'aveva notata da quando era sceso per la stradina che arrivava fino al terzo livello e gli sembrava di aver visto l'interno della costruzione illuminarsi, come se qualcuno vi avesse acceso un fuoco. Mentre si diresse verso la torre, attirato da chi potesse averne illuminato l'interno, non si accorse che due uomini lo stavano pedinando. Rart pensava di trovare un gruppo di guardie di vedetta sulla costruzione e aveva qualche domanda da fare riguardo alla intera struttura che formava la città fortezza e il meccanismo di difesa ideato secoli prima.
Probabilmente era curioso di sapere se le leggende che si raccontavano in tutta la regione i soldati e gli abitanti delle varie città, fossero vere oppure no, anche se una guardia che non aveva mai vissuto quel lontano periodo, non avrebbe di certo potuto dare informazioni dettagliate sull'argomento, comunque il capitano si aspettava di ricevere qualche spiegazione più logica rispetto a quelle ascoltate per anni.
Una leggera brezza cominciò a spirare dalle pianure più a nord, portando con sé qualche foglia secca e polvere che si era depositata sopra alle grandi mura. Rart giunse di fronte alla piccola torre illuminata all'interno e sentì delle voci bisbigliare qualcosa e ogni tanto una risata rompeva la quiete che avvolgeva i dintorni. Si poteva udire il lento crepitare di un falò, così il capitano aprì la porta d'ingresso in legno che sembrava marcio e coperto per metà da muffa e salì una stretta scala a chiocciola.
Le ombre di due figure apparivano a solo pochi metri, dove i gradini portavano ad uno dei due piani della costruzione. Infatti, non appena arrivato sul piccolo spiazzo, Rart vide tre uomini seduti intorno ad un fuoco, mentre ridevano e si scambiavano pettegolezzi, forse riguardanti l'arrivo dell'esercito dei Tenbri.
"Oh, un soldato della capitale dei Tenbri, quale onore" annunciò in tono ironico una delle vedette che notò l'ospite.
"Sono il capitano Rart Tenbri ma fate ugualmente con comodo".
Le tre guardie si scambiarono un'occhiata a vicenda e si affrettarono ad alzarsi per salutare a dovere l'uomo di nobile casata, accolto forse nel modo sbagliato.
"Non disturbatevi, non resterò a lungo ma volevo solo porvi qualche domanda" disse Rart ricredendosi riguardo alla sua intenzione di chiedere a quelle persone, ciò che desiderava sapere.
Intanto al secondo livello del Vallo dei Prodi, lo scudiero Eonas cercava di fare come ordinato dal capitano e non perdeva d'occhio il nobile Lubers neanche per un minuto, o almeno fino a quando notò che Rion gli stava venendo incontro insieme al cavallo di Rart che aveva dovuto pulire e nutrire a causa della punizione inflittagli.
"Ciao Eonas, ti ho portato il cavallo di cui ti dovresti occupare tu, in teoria" disse l'uomo avvicinandosi al ragazzo che si trovava in ginocchio appoggiato ad una parete del suo alloggio, poi si alzò e rispose al parente.
"Ciao, grazie ora ci penso io..."
"No, in effetti sei tu lo scudiero di mio cugino Rart e mi domandavo se fossi contento di avere tutto questo libero, ora che io svolgo il tuo lavoro".
Rion sembrava avercela col giovane scudiero, forse perché non aveva mai pensato di fare il lavoro di una persona di rango decisamente più basso.
"Senti io non centro con tutto questo, mi dispiace va bene? Se preferisci torno ad occupare e io ma non so come il capitano potrebbe reagire" rispose il ragazzo.
"Ah si? Ti dispiace davvero? Allora, dato che hai questo bel rapporto col mio caro cugino, perché non gli parli un po'?" domandò con tonto arrogante Rion, avvicinandosi sempre di più, "perché non gli dici che vuoi riavere il tuo posto come scudiero? È perché non mi riveli perché ti ha ordinato di spiare Jirk?!" continuava con voce insistente, arrivando a colpire con un calcio l'addome di Eonas, facendolo cadere a terra.
Il giovane gemette e indietreggiò trascinandosi con le mani, cercando di spiegarsi come facesse il parente a sapere del suo incarico.
"Ti stai forse chiedendo come diamine io faccia a saperlo? Bé non è difficile notare qualcuno che ha lo sguardo sempre fisso verso un'altra persona, neanche si trattasse di una bella donna! Allora perché lo fai, eh?!" disse Rion a voce più alta.
L'uomo però smise immediatamente non appena vide svoltare l'angolo della parete, l'ufficiale Seafor, seguito da Dareth che facevano un giro di controllo tra gli alloggi dei soldati. I due avevano sentito il tono di voce del cavaliere ed erano accorsi immediatamente, inoltre entrambi sapevano che sarebbe stato meglio badare alle imprudenze di Rion, prima che questo si facesse mettere ai ferri a causa del suo carattere avventato e arrogante.
"Signore cosa succede?" domandò Seafor, mentre Dareth aiutava lo scudiero ad alzarsi da terra, ormai al sicuro dalla prepotenza di Rion, o almeno così sembrava. Il nobile cavaliere della famiglia Tenbri lasciò la presa sulle briglie del cavallo e si voltò per tornare al suo abitacolo senza dire una parola.
Erano le undici passate ormai e per le strade non si vedeva più nessuno a quell'ora, forse a causa del freddo sempre più pungente, anche se una figura si accingeva ad uscire da una piccola torre ad ovest del secondo livello della città fortezza.
Si trattava di Rart che, stanco e assonnato, si affrettava a tornare allo spiazzo dove era stabilito il suo esercito. Una leggera foschia aveva avvolto in quegli istanti gran parte della strada principale che doveva condurre al terzo livello ma l'uomo riusciva comunque ad orientarsi perché la città era piuttosto piccola ed estesa solo lungo la linea verticale della montagna, infatti spaziava fin sopra alle alture ma in quanto a larghezza era decisamente ridotta.
Ecco però che dopo aver udito un frastuono alla sua destra, il capitano vide bloccarsi il passaggio da due uomini poco più alti di lui e armati di ascia, spade e coltelli.
"Allora piccolo uomo, cosa ci dici?" domandò uno di loro con voce profonda.
"Cosa ci fai qui, piccolo uomo?" aggiunse l'altro tizio.
I due presero a girargli intorno, continuando ad infastidirlo e arrivando addirittura a estrarre le lame dai vari foderi.
"Mi spiace ma non so chi sia questo piccolo uomo e non lo conosco dato che non sono di qui. Potrei passare ora?" chiese Rart cercando di mantenere la calma e di avere pazienza.
"Ma come? Sei tu il piccolo uomo, piccino!" rispose uno dei due sconosciuti, finendo poi per scoppiare in una risata senza alcun senso apparente.
"Sentite io non ho tempo di giocare a chi dice le frasi più idiote a questo mondo, fatemi passare o vi consegnerò alle guardie!" replicò il capitano, cercando di imporsi mentre la mano destra era pronta a sguainare la spada lucente.
"Ahi ahi ahi! Il piccolo uomo cerca forse di ribellarsi eh? Forse combattere due contro uno è anche troppo per te" rispose uno degli sconosciuti.
Ribellarsi? Rart non riusciva a comprendere come diamine fossero capaci di formulare frasi talmente senza senso: perché la parola ribellarsi? Aveva per caso combattuto in precedenza con quei tizi ed era forse stato sconfitto? No, e allora come poteva essere considerato un atto di "ribellione" il suo. Ad ogni modo gli sconosciuti non avevano poi così torto perché, infatti, il freddo aveva rallentato di molto le dita e le articolazioni in generale, quindi avrebbe dovuto fare molta più cautela a vagare entro determinate ore notturne e da lì a poco, stessa cautela nel caso di un combattimento. Quei due non avevano l'aria di essere persone particolarmente furbe o abili ma Rart avrebbe dovuto muoversi con agilità per evitare di essere colpito da una delle armi avversarie e il clima non era proprio a suo favore. Le mani erano gelide e la spada rischiava di rimanere incastrata nel fodero a causa del freddo.
Ad ogni modo, meglio tentare di risolvere la questione in fretta e senza pensarci troppo, quindi non appena uno dei due estranei si avvicinò puntandogli al viso un coltellaccio lungo una trentina di centimetri, il capitano si affrettò ad afferrare la mano dell'avversario con la quale impugnava l'arma e la spinse via proprio nel momento in cui l'uomo provò a tirargli un pugno diretto al ventre. In tal modo Rart fece deviare il colpo e con un poderoso calcio spinse via l'aggressore. Subito dopo il capitano decise di estrarre la spada, avendo allontanato uno degli avversari e quando anche l'altro gli corse contro tentando un fendente con l'ascia, Rart non fece che spostarsi lateralmente e con un veloce taglio ascendente spezzò l'arma del nemico.
Quest'ultimo indietreggiò velocemente imprecando qualcosa di incomprensibile, poi estrasse una spada corta e si preparò ad attaccare nuovamente, sperando questa volta di riuscire nell'intento. Il compare sembrava decisamente adirato dall'azione dell'avversario e dal modo in cui era riuscito a respingere i loro colpi.
"Proprio come pensavo, vi muovete esattamente come un branco di bestie zoppe che cercano disperatamente cibo! Fossi in voi scapperei, finché siete in tempo" infierì Rart tentando di indurli alla fuga. Gli sembrava di essere tornato ai vecchi tempo, quando era ancora un ragazzino impaziente di confrontarsi con sempre più avversari, ma le circostanze non erano così dalla sua parte come poteva sembrare, infatti il capitano non si era accorto che stava tremando come una foglia. Erano anni che non combatteva e affrontare due avversari contemporaneamente non era il modo migliore per ricominciare a farlo: magari prima avrebbe dovuto pensare ad un piccolo allenamento per vedere quanto si fosse arrugginito col tempo. Quando Rart notò che aveva il fiatone e che aveva preso a tremare vistosamente, cosa che parve dare una certa sicurezza agli aggressori.
Rart era bloccato, non sapeva il motivo di quella paura improvvisa, non conosceva il perché, nonostante la sua iniziale sicurezza ma una cosa era certa, ovvero la carica degli avversari che ora stavano scattando contro l'uomo rimasto immobile, placcato dalla sua stessa incredulità.
Il capitano chiuse gli occhi, sforzandosi di agire, in un modo o nell'altro e richiamando a sé tutte le forze che ancora aveva, sperando di riuscire a comandare il suo stesso corpo che rimaneva fermo tranne che per il fremito continuo. Non ci riusciva e il panico cominciò a prevalere fino ad aver la meglio sulla sua coscienza, ma ormai sapeva di aver perso troppo tempo, mentre la luna lo illuminava schiarendo poco o niente la zona a causa della foschia.
I due aggressori si avvicinarono e quando attaccarono contemporaneamente, il suolo si colorò quasi immediatamente di rosso, proprio come il sangue che proveniva da un braccio mozzato caduto a terra. Il silenzio della notte venne squarciato da un grido improvviso, seguito da un tonfo. Rart ebbe per un attimo il coraggio di aprire gli occhi, avvertendo il sangue che gli colava dalle guance e dalla fronte, mentre si accorse di essere ancora vivo per miracolo.
Era ancora scioccato ma questa volta a causa di ciò che vedeva. Infatti di fronte a lui c'era una lama scura sporca di sangue e, poco più in basso, uno degli avversari in ginocchio, privo del braccio destro. Che cosa significava?
Non appena trovò la forza per voltarsi a sinistra, vide Norren che impugnava quella lama con cui aveva mozzato l'arto all'aggressore sconosciuto che giaceva a terra sconvolto.
L'altro nemico era rimasto pietrificato dall'intervento dell'uomo arrivato all'improvviso, senza farsi sentire e che aveva atterrato il compare senza pensarci due volte, parando anche l'affondo che stava eseguendo per eliminare il capitano.
Norren diede un'occhiata al tizio senza un braccio e decise di scaraventarlo ulteriormente con un calcio in faccia, poi agganciò con l'elsa della spada la lama dell'arma dell'altro nemico e la strattonò verso l'aggressore stesso mettendo gli in leva il braccio e il polso. Lo sconosciuto gemette per un attimo e cercò di fare forza sulla presa, tentando di sganciare la propria spada da quella avversaria ma non ottenne nulla e fu costretto a mollarla estraendo contemporaneamente un coltello.
Norren utilizzò l'arma dell'avversario scagliandogliela contro ma l'altro riuscì a deviarla col pugnale, parando poi un successivo e veloce affondo. L'uomo che prima si trovava in vantaggio con la lama puntata contro il capitano della famiglia Tenbri, ora stava sudando come mai si sarebbe aspettato, cosa che col freddo sarebbe risultata decisamente scomoda, in più il signore che lo stava mettendo in difficoltà era il più bravo spadaccino del Vallo e il discendente del possente Merwin, perciò la situazione era a suo sfavore e sarebbe dovuto scappare.
Norren però decise di non lasciare questa opzione all'avversario e lo costrinse a battersi armato del solo coltello.
"Non è consentito ad un abitante del Vallo, di fuggire" esclamò secco l'uomo.
Così anche l'ultimo aggressore rimasto decise di andare incontro alla propria sorte che, guarda caso, era proprio la spada di Norren. Quando il brigante si avvicinò con agili scatti verso il nemico, cercando una qualche apertura nella guardia colpendo con veloci fendenti diretti all'addome, l'avversario non fece che scoprire il viso dalla sua difesa e diede all'aggressore l'opportunità che quest'ultimo cercava, gettandosi in un veloce affondo alla gola dell'altro. Invece Norren alzò improvvisamente la spada e con un fendente precisamente orizzontale, tagliò senza fatica la testa dell'avversario che nemmeno riuscì a fermarsi mentre scopriva di essersi tuffato contro la lama dello spadaccino, comprendendo ormai la sua sorte.
Rart era rimasto allibito da quella scena, mentre il superstite stava lentamente morendo dissanguato. Quel prode non era un diplomatico, ne un governatore o consigliere ma un guerriero a tutti gli effetti!
"Mi hai salvato la vita. Ti sono debitore!" farfugliò il capitano, un po' perché era ancora scioccato, un po' perché era troppo orgoglioso per dire certe cose.
"Cerca di riprenderti, mio signore" gli disse il prode accennando un sorriso.
Il capitano cercò di prendere il controllo totale del suo stesso corpo e riuscì a muoversi lentamente, rinfoderando la spada. Il tremolio era diminuito parecchio ma continuava per via del freddo, cosa a dir poco disdicevole per lui che proveniva in un luogo ancora più a nord.
"Norren, io non so come ringrazianti, davvero..." disse con voce tremante.
"Non ce n'è bisogno, e chiamami Norr" rispose lo spadaccino.
Dopo aver spostato il corpo del cadavere e aver posto fine alle sofferenze dell'altro nemico privo di un braccio, i due si diressero lentamente verso la strada in salita che conduceva al terzo livello, dove Rart avrebbe raggiunto il suo alloggio e si sarebbe potuto riprendere per bene dalla spiacevole serata.
Una volta arrivati in cima allo spiazzo, Norren salutò il capitano avendo notato ormai che si era ripreso quasi del tutto e si muoveva con normalità, fatta eccezione della particolare lentezza dovuta alla temperatura scesa di un po' di gradi sotto zero.
"Mi raccomando signore, riposa e scaldati più che puoi, finché puoi" disse quindi Norren, mentre faceva un leggero inchino per salutarlo definitivamente.
Rart ricambiò chinando leggermente il capo, affrettandosi poi a tornare al suo alloggio dove era sempre presente un fuoco acceso e quel poco calore avrebbe trasformato, con quel tempo che c'era fuori, qualsiasi grotta nella più confortevole delle dimore, qualsiasi tana nel più magnifico dei castelli e qualsiasi capanna nella più grande e comoda locanda di tutto il continente. Insomma, quella notte avrebbe potuto dormire bene e più a lungo, tutto grazie a Norren che gli aveva salvato la vita.
C'era solo un unico problema in quel momento e si trattava di se stesso. Rart avrebbe dovuto cambiare e ritornare ad essere un combattente temerario, senza paura e fiducioso nelle proprie forze; un abile guerriero che un tempo era stato grazie ad un costante ed efficace allenamento.
Il giorno seguente avrebbe brandito nuovamente la spada ma solo per esercitarsi un po' e aveva già deciso chi lo avrebbe aiutato a farlo.
Il mattino seguente la sveglia suonò più tardi e comunque nessuno era in realtà tenuto ad alzarsi obbligatoriamente, in particolare Rart, che dormì fino alle undici senza che nessuno irrompesse nel suo abitacolo.
Quando il capitano si svegliò, gli sembrava di essere appena tornato da una giornata di combattimenti, sentiva i muscoli appesantirsi ad ogni seppur minimo movimento e solo dopo un paio di minuti riuscì ad abituarsi a quello stato in cui si trovava al momento. L'uomo decise allora di uscire fuori per recarsi al lavabo poco distante, così notò che in tutta la zona, i soldati erano in movimento. Rart ricordò improvvisamente che il pomeriggio sarebbero partiti per il fronte e rimandare la partenza sarebbe stato un ottimo modo per ricevere conteste da tutti gli ufficiali.
Al solo pensiero di dover cominciare un giorno e mezzo di viaggio per arrivare alla linea di schieramento di tutta Ennearel, il capitano sentì una fitta alla testa ma poi decise di non pensarci, quindi raggiunse il lavabo per darsi una sciacquata alla faccia con quell'acqua gelida che aveva formato uno strato superficiale di ghiaccio molto sottile.
Nel frattempo Derath stava discutendo con Jirk Lubers e l'amico Eonas Felictis, i quali erano tranquillamente appoggiati con la schiena alla staccionata delle scuderie. Il cavaliere amico di Rion era curioso di sapere perché lo scudiero stesse spiando il nobile Lubers di soppiatto.
"Ieri sera sei stato beccato e Seafor ed io ti abbiamo difeso ma la cosa non mi convince. Lo sappiamo che lo stai tenendo d'occhio ma perché?" domandò sospettoso il cavaliere.
"Te lo direi se non mi interrompessi di continuo. Io non stavo spiando proprio nessuno!" replicò Eonas.
"Perdonami Derath ma credo che tu ti stia sbagliando. Lo scudiero si è apprestato a darmi servizio da quando sono tornato stravolto dalla mia fuga nella foresta. È normale che possa ancora preoccuparsi per me, inoltre mi pare di aver capito che non si aspettasse di vedere un Lubers da queste parti" aggiunse Jirk, prendendo le difese del ragazzo che lo aveva aiutato molto durante quei giorni fino all'arrivo al Vallo dei Prodi.
Derath annuì e saltò sopra alla staccionata, sedendosi sul legno più in alto, poi attese qualche istante prima di rispondere ma ormai non poteva più replicare, anche perché sembrava che i due avessero stretto spontaneamente amicizia.
"Ebbene non c'è da dire nulla in contrario allora. Scusate se ho avuto dei dubbi ma potete capire che il malinteso non era difficile da intuire".
I tre videro arrivare a passi decisi il capitano ma non fecero in tempo a mettersi sull'attenti come si deve, che questo gli fece cenno di non scomodarsi.
"Eonas, vai subito a chiamare nostro cugino. Fate in fretta" ordinò Rart.
Lo scudiero annuì e corse subito in direzione del parente che al momento si trovava nelle cucine.
Jirk fissò attentamente il capitano che si affrettava a recarsi verso uno dei carri posti lungo l'estremità di quel livello. Avrebbe dovuto dirglielo, sarebbe successo prima o poi e quando avrebbe avuto l'occasione per parlargli, Rart avrebbe saputo ciò che andava fatto, della guerra che non faceva altro che provocare morte e distruzione e del l'albero della vita visto quella notte nel giardino in mezzo alla foresta.
Rion Tenbri era impegnato ad aiutare nelle cucine per il pranzo, quando vide arrivare di corsa Eonas che si apprestava a chiamarlo.
"Tu! Dannato babbeo! Sei venuto qui perché non ne hai avute abbastanza eh?" disse il cavaliere, diventato già rosso per la rabbia.
"Calmati sire Rion, lascia che parli!" fece uno dei cuochi cercando di afferrargli il pugno destro che stava per partire contro il volto del ragazzo.
"Il capitano Rart ti vuole vedere immediatamente" annunciò lo scudiero mantenendo si distante il più possibile.
"Cos'è? Hai bisogno della sua protezione eh? Forse non hai il coraggio di farti sotto!" sbottò improvvisamente Rion, senza accennare a volersi calmare un secondo.
"No, hai frainteso! Io non ho detto niente a Rart, anche perché lui deve essere tornato molto tardi ieri sera" disse Eonas che cominciava a sudare per la paura.
L'ufficiale sembrava non voler sentire ragione ma dopo qualche secondo si calmò e decise di seguire il ragazzo senza aggredirlo.
Quando i due furono davanti al recinto per i cavalli, notarono che gli animali erano stati fatti uscire e si trovavano legati ai piccoli abitacoli in pietra. Vicino all'ingresso della staccionata, invece, vi era il capitano che stava attendendo il nobile cugino, impugnando una spada di legno mentre un'altra era posta al fianco, infilata nella cintura.
"Che cosa significa tutto questo?" domandò Rion avvicinandosi a passi inverti alla recinzione.
"Eccoti finalmente! Non sei contento di aiutare il capitano nel suo allenamento?" lo accolse Rart, lanciandogli la spada di legno.
Il parente afferrò l'arma, comprendendo l'intenzione del cugino: voleva sfidar lo a duello, uno contro uno e siccome il capitano non aveva fatto altro che scrivere per tutti quegli anni, il vantaggio non poteva che essere di Rion stesso.
"E allora giochiamo un po'!" esclamò l'uomo, quasi esaltato.
Attorno alla staccionata si stava radunando sempre più gente, oltre a Derath, Jirk e lo scudiero, mentre i cuochi imprecavano perché il pranzo era quasi pronto e si sarebbe raffreddato entro poco tempo.
Anche Norren e Corassath che erano giunti per chiedere al capitano della partenza, si accingevano ad osservare i due nel duello.
Rart sguainò la spada da allenamento dalla cintura in cuoio, quindi si mise in guardia afferrando l'arma con una sola mano, portando il peso sulla gamba sinistra che stava più in dietro rispetto all'altra.
Rion reggeva la spada con entrambe le mani, tenendola in alto a destra mentre lasciava scoperto tutto il corpo da eventuali attacchi. Il capitano contò già quello come primo errore, mentre aveva pianificato come capire quando e come sarebbe migliorato. Ogni volta che avrebbe fatto una mossa falsa si sarebbe dovuto correggere e ogni volta che avrebbe messo in difficoltà l'avversario, sarebbe stato un punto a suo favore, significando in un piccolo miglioramento.
Rion non voleva rimanere sulla difensiva, così decise di cominciare con un montante diretto alla faccia del cugino.
Rart, per tutta risposta, si spostò lateralmente a destra rispetto all'avversario e spinse l'arma lontano, tentando poi un fendente laterale al fianco del cavaliere. Quest'ultimo non perse tempo e si spostò in diagonale andando contro al capitano, portandosi più vicino a lui in modo da schivare l'attacco ed essere più vicino per un colpo ascendente, veloce e preciso che l'avversario parò per un soffio, alzando la spada e facendo scivolare la lama dell'altro alla sua sinistra in basso.
Rart aveva già commesso uno sbaglio e il cugino ne aveva approfittato, entrando nel suo spazio e impedendogli di muoversi con facilità, anche se la parata si era dimostrata efficace nonostante brandisse la spada con una sola mano mentre Rion le utilizzava entrambe. Infatti avendo inclinato l'arma verso il basso, la spada dell'avversario e l'impatto scivolarono completamente a terra, portando a vantaggio il capitano.
I due avevano preso le distanze e si studiavano movimenti a vicenda per capire quando fosse il momento più giusto per sferrare un'attacco. Fu così che Rart mise in atto una vecchia strategia ideata anni prima e fatta a posta per occasioni di stallo come in quel momento. Fortunatamente si era ricordato, infatti, che la soluzione era lasciare un,apertura nella propria difesa, in modo che l'avversario attaccasse e reagisse all'ultimo, schivando o spostandosi di scatto.
Rion aveva notato che il cugino stava spostando il peso sulla gamba davanti, mentre portava la spada più verso il fianco sinistro, sollevandola e inclinando la come aveva fatto prima per parare. Sapeva bene che c'era qualcosa sotto ma non approfittarne poteva significare perdere una grande occasione. Dopo tutto Rart non era più abituato a combattere e di certo i suoi movimenti non erano gli stessi di una volta, così decise di avvicinarsi e attaccare con un affondo diretto al fianco sinistro dell'avversario.
Rart reagì come una trappola innescata, quindi portò improvvisamente il peso sulla gamba sinistra e fece roteare la spada, già alzata, contro la schiena del cugino. Rion si accorse che l'affondo era preciso e mirato al punto esatto in cui si trovava l'avversario quando aveva il peso in avanti ma al momento il colpo non poteva arrivare. Decise allora di scattare in avanti ancor più velocemente, buttandosi a terra e rotolando più lontano che poté. Rart riuscì comunque a colpire la spalla del cugino ma non era sufficiente, così decise di non perdere tempo e lasciarsi all'attacco. Era un'altro punto a suo favore che significava molto, però non poteva correre d'impeto contro il parente che ormai era quasi in piedi. Commettere imprudenze del genere non era da lui ma il capitano cercò ugualmente di scattare di fianco al cugino, preparando un montante diretto al petto.
Rion vide il capitano appena in tempo per parare il colpo ma Rart aveva sempre una mano libera, quindi cambiò e decise di reggere l'arma con la sinistra, bloccando la spada con la punta a terra, per reggere contro quella dell'avversario e con la destra gli afferrò la spalla, portandosi poi con metà corpo dietro di lui.
A quel punto Rion sapeva di essere spacciato ma la spada del capitano stava cedendo e quando l'ufficiale spinse ancora di più, ruppe l'arma di Rart. Era troppo tardi però e il pubblico rimasto col fiato sospeso, vide quel l'ultima azione del capitano che sbilanciò l'avversario con la mano destra e con il piede sinistro, che tra i due piedi di Rion, spazzò con violenza quello del cugino, facendolo cadere a terra mentre mollava la spada per cercare di appigliarsi a Rart. Mossa ancor più incauta perché il capitano si spostò di pochi centimetri e afferrò prontamente l'arma del cugino, appoggiandola con la punta semplicemente al petto di quest'ultimo che rimase a terra, sopraffatto. Il movimento aveva provocato una piccola nube di sabbia che si era levata intorno ai due, posandosi a terra solo dopo alcuni istanti.
Le persone che si erano radunate intorno alla recinzione rimasero ancora in silenzio per un paio di secondi, ma poi tutti finirono inevitabilmente per esultare, gridando il nome del capitano più e più volte, rendendosi conto che in realtà Rart non era mai cambiato ma aveva solo bisogno di una semplice "spolverata" dall'assenza di allenamenti durata anni. Norr accennò un sorriso, notando con piacere che i Tenbri erano veramente degni di dominare su tutto il loro territorio e sul Vallo dei Prodi.
Anche Corassath sembrava compiaciuto da quella sfida così emozionante, non che i prodi fossero da meno, chiaramente.
"Aah..." gemette Rion, massaggiandosi una spalla.
Entrambi erano sporchi di sabbia e terriccio ma, tra i due, il capitano era ovviamente quello messo meglio.
Rart provò ad aiutare il cugino a rialzarsi, tendendogli una braccio ma l'altro rifiutò scostando via la mano del parente, cosa alquanto prevedibile.
I soldati acclamavano il loro capitano, arrivando addirittura a pensare che con lui la guerra sarebbe finita prima e Rart si sentiva quasi come ai vecchi tempi, quando vinceva tornei o si guadagnava il secondo posto, facendo divenire sua anche la folla.
Rion si rialzò lentamente e si diede una scrollata, cercando di ripulirsi da tutta quella sabbia che gli aveva anche rovinato gli indumenti, probabilmente a causa dell'impatto a terra quando si era gettato per rotolare e fuggire, e quando con quell'ultimo attacco il cugino lo aveva atterrato.
Rart si avvicinò a Norren e Corassath, intuendo che volevano parlargli.
"Un'ottima prova capitano, lieto di vederti intero e più in forze" disse Norr.
"Ti ringrazio. Mi ero accorto che non potevo andare in battaglia senza saper più combattere" rispose Rart accennando un inchino per salutare.
"Vorremo chiederti quando avresti intenzione di partire, se questa sera o prima" aggiunse Corassath inchinandosi a sua volta.
"Questo pomeriggio tardi, verso le cinque. Ho già dato le disposizioni per i miei uomini" disse il capitano uscendo dal recinto.
"Molto bene, allora faremo in modo che il passaggio attraverso le montagne sia davvero sicuro, invierò un paio di esploratori e una pattuglia prima della vostra partenza" affermò Norr.
"Si, dopo tutto è il minimo che possiamo fare perché siete stati il primo esercito a non chiederci praticamente nulla durante la permanenza al Vallo, comunque vi aspetteremo davanti al portone principale a nord verso le cinque" aggiunse Corassath.
"Vi ringrazio signori, spero di riuscire a contattare mio padre per dirgli di inviare in questa zona più uomini e magari anche qualche contadino che occupi le terre attorno al Vallo, che un tempo erano la ricchezza dell'intero continente" rispose il capitano, quindi si congedò e si diresse verso un grande capanno dove erano presenti i graduati più esperti e i veterani più fedeli.
"Capitano, abbiamo ordinato di predisporre i carri e le attrezzature per la partenza, mentre le macchine d'assedio sono state spostate al secondo livello" annunciò Seafor non appena vide entrare il capitano.
"Dopo pranzo fate mobilitare la cavalleria da inserire nell'avanguardia, mentre il resto delle truppe ha ancora tempo per prepararsi a dovere. Riguardo al resto della cavalleria, va tutta nella retroguardia, tranne qualche cavaliere da tenere come esploratore" aggiunse in fine Rart.
Alle quattro e mezza i preparativi erano già terminati, i soldati pronti a mettersi in marcia mentre viveri e diverse risorse come pietre focaie e medicinali erano stati aggiunti ai carri. La lunga fila di uomini, animali e mezzi che copriva un ampio spazio, dal terzo livello dove erano accampati, al primo dove avrebbero raggiunto il portone per uscire, erano tutti pronti. Seafor e Rion erano in prima fila ad affiancare il capitano, il resto degli ufficiali, invece, era diviso in vari punti al centro e nella retroguardia, in modo da poter comandare i soldati al meglio, avendo ricevuto istruzioni in caso di attacco.
"È tutto pronto? Possiamo partire?" domandò Rart guardandosi attorno.
"Si capitano" confermò Seafor.
Ecco che anche l'ultimo giorno di tranquillità era finito e si cominciava a fare sul serio, infatti anche le imboscate sarebbero state molto più probabili da lì in poi, dopo la città fortificata.
"In marcia!" gridò Rart, dando inizio al piccolo viaggio che sarebbe durato poco più di mezza giornata, contando di non cadere in attacchi da parte degli Oskaret o dei loro alleati.
Il portone a nord era una struttura che qualsiasi persona avrebbe definito come epica, tanto era la sua imponenza. Si trattava di un grande passaggio attraverso la roccia della montagna, scavata e allargata dai prodi secoli e secoli prima, chiamata anche Himlok dal nome di colui che ne ideò la costruzione. Le porte erano poco arricchite da qualche ornamento, dettaglio che in ogni caso il resto delle fortificazioni nella città non possedeva. Una scala alta una decina di metri conduceva ad una piccola terrazza dove erano situate trenta feritoie ma solo un paio di uomini vi erano appostati.
Non appena Himlok venne aperto, si ebbe subito un gran fracasso dovuto allo strusciare a terra delle due porte. Il materiale con cui era costruito era conosciuto soltanto ai prodi e consisteva in una miscela di diversi tipi di roccia, sali e intrugli particolari a base di pietre e fango.
Ad attendere l'esercito e davanti al portone c'erano Corassath e Norren, i quali erano affiancati da una ventina di guardie corazzate pesantemente.
"Siete di qualche minuto in anticipo, capitano" disse Corassath facendo pochi passi in avanti.
"Ahah, si è vero. Me ne meraviglio io stesso" rispose Rart sorridendo mentre scendeva da cavallo per poter salutare meglio i due.
"Ti saluto e auguro a tutti voi di vincere e finire al più presto questa guerra" concluse l'uomo più basso e grassoccio, aprendo le braccia per abbracciare il capitano in segno di saluto.
"Stammi bene amico mio" salutò anche Norren.
"Norr, amico mio" fece Rart stringendo la mano al prode, poi però lo abbracciò ringraziando a bassa voce per la sera precedente.
"Ora non avrai più problemi da quel lato" disse Norren sorridendo.
"Certo ho scoperto che non conviene smettere di allenarsi" rispose il capitano.
Anche gli altri ufficiali salutarono i due governatori del Vallo dei Prodi, poi si rimisero in marcia e varcarono la soglia del loro destino, che li attendeva oltre al Vallo. Nella parte del portone che dava all'esterno, il materiale con cui erano fatte le due grandi ante sembrava essere più spessa e lo strato superficiale era coperto da spuntoni acuminati e ricoperti di una sostanza secca infiammabile che, in caso di attacco, poteva essere incendiata per ostacolare ad eventuali arieti di sfondare l'ingresso.
La fila di uomini uscì dala Vallo dei Prodi, varcando per una decina di minuti lo stretto corridoio naturale che formava la roccia e che diveniva più largo man mano che andavano avanti. Le mura non erano più in vista da un pezzo quando l'esercito sfociò fuori dal passaggio e iniziò un sentiero in salita che passava sopra ad una piccola parte della catena montuosa. Il cielo era grigio, coperto da innumerevoli nuvoloni che minacciavano pioggia.
Solo dopo tre ore circa di viaggio, tra pendenze di vario tipo e passaggi bloccati da frane e alberi caduti, il capitano riuscì a scorgere in lontananza una torre elevata sopra la quale si intravvedeva un grande falò. Doveva essere l'inizio dell'avamposto lungo il fronte, dove, più lontani, erano ben visibili fumi neri e bianchi, sparsi per tutto l'orizzonte.
I soldati non dissero nulla, nessuna esclamazione si levò dalle truppe ma solo parecchi bisbiglii di voci rauche per il freddo preso e lamenti misti a mugugni per la delusione che si provava nel trovarsi lì, in quei luoghi così vicini alla morte.
"Seafor" disse Rart rivolgendosi al sottoposto.
"Signore?"
"Ordina alle truppe di aumentare il passo. Preferisco andarmene al più presto da questa zona che sarebbe perfetta per le imboscate"
"Subito" rispose l'ufficiale recandosi prima dagli attendenti e poi nelle retrovie.
Il capitano non temeva più di tanto un attacco, quanto di cadere in depressione nell'osservare attentamente la meta. La vista del campo di battaglia dall'alto non poteva certo dirsi il migliore degli scenari e Rart volle evitare sbrigativamente che i suoi uomini cominciassero a voltare lo sguardo e correre diventando disertori, anche perché il dovere di giustiziare chiunque fuggisse era proprio riservato a lui stesso.
Pochi minuti più tardi il sole cominciava già a tramontare e il cielo si tingeva di sfumature rosse, arancioni e violacee, colorando anche le nuvole e formando uno spettacolo che poteva anche dirsi perfetto come ultimo ricordo prima di dire addio al mondo intero.
Oltre il confine il cielo, invece, era più limpido che mai, non che la cosa importasse molto ai cavalieri delle due regioni che, in ogni caso, non potevano certo dire di vivere abbastanza da goderselo.
L'esercito dei Tenbri scendeva dalla strada in pendio che portava alle prime tende dell'accampamento, dove una decina di soldati avevano notato i rinforzi e stavano preparando i bracieri per cuocere la poca carne da aggiungere alla brodaglia quotidiana.
"A quanto pare questa sera riusciremo a mangiare qualcosa di decente" fece uno di loro mantenendo sempre la stessa espressione cupa.
"Si, ci voleva proprio" aggiunse un'altro.
I due si rimisero al lavoro e non salutarono nemmeno con un cenno i rinforzi, cosa che Rart non trovò molto simpatica ma scontata, dato che quei fanti dovevano trovarsi lì da mesi e le cose che potevano aver visto non avrebbero potuto certo dirsi piacevoli.
Inoltre, a giudicare dalle uniformi e dai blasoni sugli scudi e cuciti nelle vesti, dovevano essere degli uomini appartenenti al feudo degli Aspur, il cui stemma era una lettera A posta su di una saracinesca e affiancata da due lance.
"Buona sera, sono il capitano Rart. Sapete indicarmi dove posso trovare la tenda del capitano più vicino?" domandò il comandante dell'esercito appena arrivato.
"No, io non lo so ma forse puoi chiedere a quell'ufficiale laggiù" rispose uno dei fanti in tono stizzito, indicando un piccolo avamposto più avanti.
Il capitano si diresse al luogo indicato accompagnato solo dagli altri due ufficiali, mentre il resto dell'esercito rimase in attesa. Rart non ringraziò nemmeno l'uomo che gli aveva risposto in quel modo e non lo fece per ragioni ovvie: rivolgersi a quel modo ad uno dei cavalieri più alti in grado dell'intero fronte, non era cosa accettabile e qualcun altro, al posto suo, avrebbe ringraziato a modo suo il soldato.
Rion scese da cavallo per primo perché non vedeva l'ora di sgranchirsi le gambe, atto poco praticato da un qualsiasi cavaliere che viaggi su di un destriero. Anche il cugino fece lo stesso, seguito dall'altro ufficiale, quindi entrarono nel piccolo avamposto e chiesero del capitano che comandava quella parte del fronte.
Pochi secondi più tardi comparve un uomo alto e dai capelli grigi che portava il vessillo della casata Villi, una delle cinque ancora indipendenti ma anche la "minore" insieme agli Aspur. Il loro feudo si trovava a nord, esattamente sopra ai Tenbri e affiancata da Aspur a ovest e dai Lubers a est.
"E così siete arrivati, finalmente" disse l'uomo avvicinandosi a Rart e stringendogli la mano.
"Siamo giunti con quanti più viveri potevamo portare con noi, forse per questo abbiamo tardato un po'" rispose Rart.
"E ai miei uomini non farà altro che piacere. Devo ammettere anche che ormai non ci speravo nemmeno più nell'arrivo di rinforzi, per via della popolazione che continua a diminuire sai..." continuò il capitano Villi, poi fece segno a Rart di seguirlo e lo condusse sopra ad una piccola palizzata in legno e fango, "comunque il mio nome è Gunìn e bado a tutta questa sezione qui, che dovrebbe essere larga due chilometri circa, ogni tanto aumenta e a volte diminuisce" proseguì l'uomo, indicando il fronte all'orizzonte.
"Piacere, io sono Rart Tenbri e ho al mio seguito un migliaio di uomini. Mi è stato detto di prendere in comando una parte del fronte".
"Allora avrai quella di Giagud, che ha una porzione di territorio troppo ampia e difficile da controllare. Si trova ad ovest di qui, a fianco alla mia zona" stabilì Gunìn.
I due capitani si congedarono e ognuno ritornò ai suoi compiti, mentre Rion era andato a riferire agli altri ufficiali che si sarebbero accampati più a ovest.
Se c’era uno stemma che Rart non ricordava mai alla perfezione, quello era sicuramente l’emblema dei Villi, non che si trattasse di un simbolo particolarmente elaborato: un fulmine argenteo su sfondo blu. Il capitano poteva non averlo memorizzato bene, forse proprio perché le popolazioni nordiche erano quasi sempre in disparte, sia quando si trattava di spostarsi, sia quanto riguardava la politica. I loro ambasciatori erano presenti di rado e così anche lo stemma del feudo non si vedeva mai o in rare occasioni.
A volte, quando i soldati dei Tenbri attraversavano alcune zone del grande campo colmo di tende, sentivano una puzza insopportabile, nauseante che doveva provenire dal capannone dove erano portati i feriti, o dal recinto per le bestie dove si trovavano solo un paio di maiali sporchi di fango.
Lungo tutto il fronte non c'erano altro che tende, grandi e piccole; bandiere di ogni dimensione e forma, uomini lerci e cavalieri che dormivano per terra e piccole carovane di soldati che portavano l'acqua di tenda in tenda, cavalli morti, forse perché uccisi durante la giornata dai nemici, da portare alle cucine. Qualche schiavo veniva maltrattato e fustigato pubblicamente perché non aveva eseguito alla perfezione il proprio compito o perché chiedeva un pezzo di pane e da bere. Qualche donna veniva lasciata passare o usciva dalle tende degli ufficiali e in ogni angolo si sentiva un odore sempre più pestilenziale, di sangue, di qualsiasi cosa che potesse provocare la nausea.
Una decina di uomini sboccarono non riuscendo a sopportare la vista e la puzza che li circondava, o al solo pensiero che avrebbero dovuto sopravvivere in quel posto e in condizioni sempre peggiori.
"Prima avanziamo e meglio è..." mormorò Seafor.
"Già, non ci tengo a rimanere in questo luogo, se ci spostiamo di qualche chilometro in più la situazione non cambierà molto però " disse Rart.
"Perché? Non sarebbe meglio andarsene da questo fetore?" domandò l'ufficiale perplesso.
"Non credo che l'accampamento degli avversari puzzi meno del nostro" concluse il capitano, ponendo fine a ogni dubbio sul perché non fosse meglio avanzare prendendosi un pezzo di terra dubbiamente meno appestato. L'unica cosa che poteva spingerli ad andare avanti era la vittoria e la possibile conclusione della guerra.
Un paio di ore più tardi, dopo che l'esercito arrivato da poco ebbe completato l'accampamento in una zona più lontana dal cattivo odore, i soldati si adunarono per la cena, alla quale parteciparono anche diversi altri cavalieri di paesi differenti. C'erano molti Arvi, assimilati dai Pemry dall'inizio della guerra e molto numerosi, anche se in costante odio verso il feudo che li aveva sottomessi e trattati con disprezzo a causa delle ribellioni iniziali. Poi erano presenti anche altre casate minori, molte delle quali, sempre sotto il dominio dei Pemry, ad esempio c'erano i Delfi, gli Orrfera e gli Hurr. Questi ultimi, in effetti, erano parte di un feudo molto antico ma dalle origini sconosciute e non proprio nobili, molto probabilmente legato alle popolazioni barbare che vivevano sulle montagne al confine ovest con i Tenbri.
I militari di altri accampamenti si erano uniti ai nuovi arrivati per la quantità di viveri e acqua incontaminata presente, portando così il fetore anche in quella postazione.
"Finirò presto col vomitare, di questo passo..." mormorò Jirk mentre trangugiava un boccone di minestra e pane, affiancato dall'amico Eonas.
"Ma guardali, stanno spazzolando via tutto" osservò lo scudiero, un po' irritato da quel fatto.
Anche gli ufficiali, molti dei quali erano abituato a mangiare per conto loro o, comunque, lontani dai soldati semplici, trovarono disdicevole quel comportamento da parte degli alleati e alcuni di loro andarono a lamentarsi dal capitano.
"Allora? Hai deciso di farmi sboccare, cugino? Non ti danno ribrezzo questi... esseri?!" sbottò Rion sperando che il parente facesse qualcosa.
"Fidati che tra qualche giorno saremo tutti ridotti allo stesso modo, e anche tu spererai di poter partecipare a qualche cena da parte di rinforzi. Non ti preoccupare per il cibo e l'acqua, ho posto le guardie più fidate a controllare i carri" rispose Rart che, dal canto suo, era tentato di scacciare via gli ospiti indesiderati.
Le bistecche erano sopra una brace, insieme al poco pesce salato e speziato e molte verdure e formaggi si trovavano su di un piccolo e basso tavolo in legno, dentro a vassoi e contenitori di ogni dimensione. Anche il vino, l'acqua e gli alcolici erano sistemati sul tavolino al centro esatto dell'accampamento, dove centinaia di uomini brindavano con liquori a tutto andare, per cercare di dimenticare che si trovavano in quel luogo, con quella puzza.
Sul fuoco del grande falò e legate ad un'asse di metallo, erano situate almeno quattro pentole di diverse dimensioni, contenenti minestroni di verdure miste, cereali, pane e tuberi. La frutta era quasi del tutto assente, fatta eccezione per una ventina di mele, arance e una grande quantità di limoni, utili anche per condire la carne e la verdura. Gli agrumi erano stati inviati anche a due tendoni per le medicazioni, dato le proprietà curative per cui erano ritenuti famosi.
I volti delle persone erano rossi o violacei per la quantità di alcol bevuta e tutto cominciò a farsi più caotico. Perfino Rart bevve più del solito ma per fortuna era un tipo che reggeva abbastanza, anche se molti ufficiali e soldati sembravano aver perso il controllo già da tempo. C'era chi danzava, chi ruttava a non finire, così qualcuno rideva osservando gli altri e c'era chi rideva da solo, sbraitando a volte cose senza alcun senso. Il capitano era divertito da tutto quel movimento e dagli schiamazzi inopportuni e vivaci dei commilitoni, mentre Rion era già partito da un pezzo e ora si apprestava a scavare una piccola buca nel terreno per poi sputarvi dentro e ricoprirla.
Che senso aveva tutto ciò? Quasi certamente nessuno, però cosa importava? Non era forse l'ultima notte di pace per i suoi uomini? E allora non potevano esserci troppe polemiche al riguardo, almeno non sino a quando giunse un soldato stranamente serio che spingeva con violenza un cavaliere apparentemente ubriaco.
"Cosa succede?" domandò Rart alzandosi in piedi.
"Capitano, abbiamo trovato un disertore che stava fuggendo dall'accampamento con uno zaino colmo di viveri" disse il soldato che doveva essere di guardia lungo il confine delle tende.
"Non è detto che sia un disertore e poi non vede che è ubriaco?" fece notare il capitano, osservando il poveraccio che rideva come un idiota senza alcun motivo.
"Con tutto il rispetto, da quel che ne sappiamo potrebbe essersi finto ubriaco e poi stava portando con se abbastanza viveri per affrontare cinque giorni di cammino" insistette la guardia.
"No, quest'uomo lo ho visto io mentre trincava vino a volontà. Avrà bevuto almeno due litri di alcol, quindi non posso giustiziarlo se non sono certo che si tratti veramente di un disertore" mentì Rart, sapendo che probabilmente si trattava di un fuggiasco ma non sentendosela di decapitarlo, "ad ogni modo voglio che lo gettiate nella recinzione per i prigionieri e che lo leghiate a un palo, così domani potrò parlargli di persona e valutare se condannarlo o no" aggiunse per non farsi apparire debole di fronte ai suoi uomini.
"Come ordini" rispose il soldato, quindi scortò l'uomo nel recinto dove venivano condotti tutti i prigionieri.
Per quella sera Rart aveva potuto evitare di giustiziare un uomo, ma la volta che sarebbe accaduto nuovamente, non ci sarebbe stata alcuna speranza per il malcapitato di turno.
La quiete nel grande campo non smise nemmeno un attimo, anche se il rumore si affievolì di molto intorno alle due di notte, momento in cui gli ufficiali si concessero di andare a dormire alle proprie tende.
Rart aveva il capogiro, forse perché dopo la breve discussione con la guardia, si era lasciato andare la mano un po' troppo con il vino rosso, nonostante avesse mangiato anche molto tra carne, verdura e tanto pesce che doveva essere la prima cosa a finire tra tutta la quantità di cibo.
Il mattino seguente il capitano non si svegliò naturalmente, sentedosi ben riposato e più lucido che mai, ma per merito degli assordanti squilli di tromba provenienti da tutto il fronte, che imponevano a chiunque di svegliarsi.
Dovevano essere le sei e mezza e da fuori alla grande tenda si udivano ancora grida, possibile che i soldati fossero ancora ubriachi? Qualcosa gli diceva che tutto il campo doveva essere in movimento e che qualcosa di più spiacevole stava per accadere, così si sciacquò il viso, mise gli abiti ricevuti dal maestro Palrid e uscì. Scostando il velo dell'ingresso nella tenda, Rart notò con stupore il caos assordante dei cavalli e dei soldati che si preparavano per la battaglia.
Seafor e Derath si stavano dirigendo proprio verso di lui, anche se il capitano li riconobbe solo dopo essersi avvicinato a sua volta ai due, perché il cielo era ancora buio e solo ad ovest cominciava a schiarirsi, mentre le nuvole si erano spinte a nord est e la temperatura si era abbassata notevolmente, anche se doveva essere sopra lo zero perché l'acqua nei vari secchi e piccoli pozzi, non era ancora ghiacciata.
"I nemici, signore. Stanno per caricare!" lo avvertì Seafor agitato.
Attorno a loro stavano arrivando anche gli altri ufficiali per chiedere istruzioni, compreso Rion che aveva una faccia così stravolta da non sembrare più lui.
"Molto bene, vedete di radunare gli uomini intanto e fate in modo che si dispongano in file ordinate lungo la linea di confine, intanto andrò a consultarmi col capitano Gunìn per eventuali strategie da attuarsi" ordinò Rart, ancora un po' confuso.
I due cavalieri rimasero un tantino perplessi da quella risposta così vaga che non era da lui, ma non obiettarono confidando in ordini più dettagliati in seguito.
Il capitano era rimasto meravigliato da se stesso: di solito era lui stesso ad avere una strategia pronta ma questa volta si era dimenticato di pianificare e organizzare la disposizione delle truppe, proprio in un momento del genere, quando la priorità andava alla strategia da attuarsi. Ad ogni modo si sarebbe recato da Gunìn perché un piano di battaglia era necessario e gli schieramenti dovevano collaborare un minimo tra loro per poter affrontare al meglio gli avversari.
"Capitano Rart!" esclamò il cavaliere della casata Villi quando vide l'uomo entrare nella tenda dove si erano radunati pochi ufficiali.
Insieme a Rart c'erano anche Rion, Derath e altre due guardie di scorta.
"Mi scuso per il ritardo, quale azione suggerisci?" domandò velocemente il capitano dei Tenbri.
"Bé, una sola direi: serrate i ranghi e avanziamo, diamine!" rispose semplicemente Gunìn, indicando una carta che raffigurava il territorio circostante. "Guarda bene, da qui in poi sono tutte colline deserte e nient'altro. Pensa che addirittura ci sarà un tratto di deserto più avanti ancora!" concluse l'uomo.
"Vuoi dire che non è stata definita alcuna strategia? Nessuno ha pensato di inviare piccole pattuglie anche solo per spiare o esplorare la zona oltre il confine? I miei uomini cosa faranno?" replicò Rart sconvolto dalla situazione in cui si trovavano.
"Dunque il terreno è quello che è, quindi non ci sono zone più nascoste o meno difese dove potersi infiltrare, comunque hai a disposizione tutti i soldati che rientrano nella tua fascia di controllo" disse Gunìn.
"E le manovre di attacco? Almeno un minimo di supporto tra noi dovremmo darcelo" fece il capitano dei Tenbri osservando la mappa.
"Infatti dovremmo metterci meglio d'accordo non appena giungerà anche il messaggero del capitano Giagud. Presumo che lui impegnerà tutta la fascia ad est, mentre io controllerò quella ovest. Le manovre di accerchiamento e semi accerchiamento sono tutte escluse, rischieremmo di sbilanciarci troppo".
La situazione era complicata e Rart doveva farsi venire qualcosa in mente e subito, anche se il tempo a disposizione non era pochissimo, dato che sarebbe rimasto lì insieme agli altri ufficiali e alti graduati, per pianificare lo scontro.
"Signore, il nemico comincia l'avanzata!" esclamò un cavaliere irrompendo all'improvviso nella grande tenda.
"Va bene! Rart, fai preparare i tuoi uomini che la battaglia si avvicina, dai il comando a uno degli ufficiali e sistemati qui" ordinò Gunìn Villi, riferendosi a una piccola poltroncina davanti ad una bottiglia di vino posta sul tavolo. Il capitano dei Tenbri non sembrava molto allettato dalla proposta, pensando che, in fondo, il suo compito era quello di condurre gli uomini e di vincere la guerra; rammentò il combattimento al Vallo, quella sera, ricordò Norr e la sfida contro il cugino. Aveva condotto quell'esercito fino a lì e non poteva abbandonare i suoi uomini proprio in quel momento, quando avrebbe dovuto incoraggiarli. Dopotutto era il suo sogno di quando era una ragazzo, un po' sfrontato e desideroso di farsi valere e di combattere.
"No!" sbottò il capitano.
Il rumore continuo di servi e attendenti che blateravano e di ufficiali che sbraitavano ordini tutto il tempo, cessò di colpo e tutti si erano voltati verso Rart.
"Io combatterò con i miei uomini. La strategia ve la illustrerò adesso, in poco tempo e fate in modo di ricordarvela bene!"
Solo cinque minuti più tardi i soldati dei Tenbri videro tornare il loro capitano, tutti in riga come era stato ordinato in precedenza.
Rion era confuso perché inizialmente preoccupato di dover prendere il comando delle truppe sotto ordine del cugino che, invece, aveva deciso di guidare i suoi uomini di persona e direttamente sul campo di battaglia. Nel frattempo la moltitudine di nemici infedeli si erano schierati dalla parte opposta, avanzando lentamente e fermandosi a volte per mantenere l'ordine delle file.
Il capitano non voleva pesanti armature tranne il pettorale in metallo leggero, dov'era posto l'emblema della sua famiglia, quindi una T affiancata da due mezze lune su sfondo blu scuro. Montò sul cavallo nero e brandì lo scudo che solitamente poneva dietro la schiena, poi infilò, per la prima volta dopo tanto tempo, l'elmo che copriva giusto testa, fronte, orecchie e naso, quindi si recò da ogni ufficiale per dare istruzioni più dettagliate, in base anche agli accordi fatti con gli altri due capitani che comandavano gli schieramenti ai loro lati. Ma non c'è persona che non abbia mai ascoltato di condottieri abili nel combattere quanto nel rincuorare i propri uomini, quindi Rart cercò di incoraggiare i soldati da lui comandati e si pose al centro dell'intero schieramento.
"Uomini! Signori di Ennearel! Io non dovrei essere qui in questo momento, a condirvi laggiù, tra le armi avversarie, tra il sangue e la morte. Io non dovrei e non avrei voluto trovarmi qui oggi ma ho capito che se voglio andarmene dovrò lottare. Vi ho portati fin qui e intendo portarvi oltre, anche a casa se ci sbrighiamo a finire questa guerra! Avete visto o sentito quanto possa valere un cavaliere o un fante qualsiasi di Foraz-Dor e del nostro feudo. Avete visto me è mio cugino mentre ci allenavamo! Ora, voi stessi, vedrete cosa sarete capaci di fare! Come vi distinguerete in battaglia! E i nostri nemici vedranno di cosa siamo capaci! Tra di noi ci sono molti uomini delle montagne: Villi, Aspur, Lubers, Tenbri e Pemry con tutti gli antichi feudi, e io credo che gli dei della luce e delle tenebre possono aiutarci, oggi e per sempre! Ennearel avanza! Ennearel abbatte chiunque la ostacoli! Rendiamo questo giorno memorabile e facciamo tremare quelle pecore che si trovano di fronte a noi, sfortunate per la sorte che le attende! D'ora in poi, sempre in prima linea!" gridò Rart con più forte che poté, con tutto il fiato che aveva in corpo, in modo che almeno i suoi mille uomini riuscissero a sentirlo, anche perché metà del discorso era principalmente rivolto a loro, ragione per la quale il capitano aveva deciso di schierarli davanti agli altri uomini. Da quel momento in avanti sarebbe andato sempre in prima linea.
I soldati esultarono all'unisono, gridando e sguainando le lame , alzando le lance e gli stendardi, le asce e gli archi con le frecce già incoccate. Un discorso un po' banale forse, tuttavia perfetto perché all'interno vi era tutto, dal ricordare la propria patria al dare del codardo all'avversario, erano stati nominati tutti i feudi accennando anche quelli annessi dai Pemry, senza usare il termine "sottomessi" che avrebbe potuto urtare non di poco buona parte dell'esercito. Proprio un discorso che ci si sarebbe potuti aspettare da Rart. Gli uomini gridavano anche loro frasi per darsi carica, come "Mindael ci proteggerà" oppure, "Cacciamo gli eretici e bruciamo i loro figli": frasi dal significato inesistente secondo il capitano, che aveva preferito evitare di ricorrere alla religione per lanciarsi all'attacco.
Il nemico era fermo ma più in alto rispetto a loro che si sarebbero stancati nel lanciarsi in una faticosa carica in salita, però gli avversari avrebbero sfruttato la pendenza che poteva permettergli un impatto di gran lunga maggiore, così le trombe squillarono e tutti i cavalieri sguainarono le proprie spade dai foderi, quindi Rart prese a galoppare facendo avanzare velocemente tutti i cavalieri, mentre i fanti che stavano dietro e non erano visibili dai nemici, camminavano normalmente senza accelerare. I soldati della regione di Sikowalth erano schierati secondo un tradizionale ma efficace metodo, infatti i fanti che comprendevano picchieri, lancieri e alabardieri stavano davanti, mentre gli arcieri erano posti direttamente dietro e le truppe a cavallo e su cammello che potevano contare su una maggiore velocità e resistenza.
D'un tratto lo schieramento avversario riprese a muoversi ma solo per aprire un passaggio alla cavalleria, con grande sorpresa del capitano dei Tenbri.
Rart aveva già intuito le intenzioni dell'avversario e sapeva che avrebbero mandato prima una parte di truppe a cavallo, poi le avrebbero fatte ritirare per dare ordine agli arcieri di scoccare frecce e dardi, una volta che lo schieramento di Ennearel si fosse lanciato all'inseguimento della cavalleria. Un piano astuto che avrebbe funzionato contro un ufficiale qualsiasi ma Rart non lo era.
Intanto l'esercito di Sikowalth non si era accorto che la linea che stavano formando gli avversari era parecchio storta e tendeva a scendere in diagonale, nonostante lo scontro si mostrava frontale, benché i soldati fossero estremamente convinti, lo schieramento centrale di Ennearel era storto, in un certo senso, proprio perché tutto il lato destro aveva cominciato più tardi l'avanzata e più a destra si trovavano, più gli uomini tendevano a stare in dietro.
Mentre la cavalleria degli Oskaret era ancora impegnata a posizionarsi, Rart decise di caricare prendendo ancora più velocità, precedendo gli avversari per evitare che rimanessero in vantaggio trovandosi sopra di loro.
Così le truppe a cavallo non poterono fare altro che lanciarsi all'attacco a loro volta, poiché era troppo tardi per tornare dietro alla linee, quindi decisero di caricare subito senza nemmeno riuscire a serrare i ranghi. Ecco che Rart era riuscito a porre la sua situazione a suo discreto vantaggio e l'orda di cavalieri che lo seguiva cominciò a posizionarsi affianco a lui, nascondendo ancora l'avanzata dei fanti che marciavano a formazione a triangolo senza essere visti. La fila comandata da Gunìn era storta anch'essa ma rivolta più verso ovest, come se avessero voluto accerchiare gli uomini di Rart e così aveva fatto anche il capitano Giagud dalla parte opposta.
I cavalieri delle due regioni erano sempre più vicini e galoppavano a pari velocità, durante quegli ultimi istanti che parvero interminabili. Il capitano si sporse più in avanti che poté per reggere meglio l'impatto con tre uomini che lo avevano puntato e strinse le redini.
L'impatto provocò un frastuono spaventoso e per gli uomini che si trovavano nelle retrovie sembrava di assistere ad un macello senza precedenti, anche se molti cavalieri di Ennearel riuscirono a sfondare la linea nemica in diversi punti, infiltrandosi e colpendo ai fianchi o alle spalle molti avversari, sbaragliando la loro formazione. Il capitano era stato ferito ad una coscia ma non riusciva a capire di quanto grave e profonda potesse essere la ferita, però non aveva tempo per preoccuparsene, infatti era già un miracolo che fosse vivo, grazie anche al cavaliere alla sua sinistra che aveva deviato con la spada un colpo a lui diretto.
Non c'era niente da dire e la situazione parlava benissimo già da sé: la cavalleria nemica era stata già dimezzata e molti cavalieri erano in rotta o allo sbando raggruppati e isolati in diversi punti del campo di battaglia, quindi sarebbe durato ancora pochi minuti se non secondi, prima che qualcuno ordinasse la ritirata.
Rion stava combattendo contro due cavalieri mentre vicino a lui si trovava Derath che si faceva strada con la lunga lancia.
Ecco che, come previsto, le truppe a cavallo di Sikowalth battono in ritirata, troppo vicini alla loro stessa fanteria e quindi rendendo impossibile lanciare frecce per bloccare l'avanzata dell'esercito di Ennearel. Gli arcieri scagliarono comunque, anche se le frecce erano dirette alle retrovie e alla fanteria degli avversari. I soldati non esitarono a proteggersi con gli scudi, anche se molti caddero perché non riuscivano a difendere bene e interamente il corpo, venendo colpiti alle gambe o ai piedi, o perché non erano proprio dotati di scudo. Rart ordinò di continuare l'avanzata della cavalleria fino a giungere al resto dello schieramento dov'era sistemata la fanteria, pronta a riceverli con lance, picche e alabarde.
La situazione in quel momento non poteva certo dirsi delle migliori per il capitano dei Tenbri, sapendo che la prima e la seconda fila composta dalla fanteria si sarebbe rivelata efficace contro i cavalieri, quindi aspetto che anche le sue truppe a piedi giungessero lì, il più vicino possibile e ordinò agli arcieri a cavallo di aprire un varco dove potersi insinuare senza rischiare troppo.
Quando anche la fanteria raggiunse la posizione della cavalleria, Rart ordinò l'attacco frontale, che portò sorprendentemente ad una impetuosa carica da parte di fanti e uomini a cavallo insieme, mentre gli arcieri tra la cavalleria cercavano di fare strada ai commilitoni. I tiratori rimasti nelle retrovie, invece, ebbero l'ordine di scagliare frecce a volontà più in lontananza dove era ritornata la cavalleria nemica e dov'era situato il resto dell'esercito.
Le truppe di Sikowalth decisero di spingere a loro volta gli avversari e mandarono all'attacco tutta la fanteria, cosa che Rart aspettava già da qualche minuto. Infatti il capitano diede ordine a tutti gli uomini di mantenere la posizione a triangolo e fece ripiegare la cavalleria, in modo tale che, quando i nemici avanzarono per attaccare, si trovassero ai lati molto più vicini alle retrovie dell'esercito di Ennearel. La formazione non era stata decisa a caso, poiché Rart aveva dato ordine di piazzare diversi pezzi di artiglieria, comprendente baliste e piccoli onagri, proprio lì dietro, nei punti in cui era stato fatto avvicinare lo schieramento avversario e in modo di poter utilizzare le macchine da una giusta distanza, senza rischiare di colpire lo sbarramento diagonale di fanteria. Dall'alto dei monti una persona qualunque avrebbe potuto notare il campo di battaglia e le formazioni dei soldati nei dettagli. Lo schieramento del capitano Rart aveva formato un largo triangolo con la fanteria, i cui due angoli alla base si trovavano vicinissimi all'accampamento ed all'artiglieria, mentre ai lati erano poste altre lunghe fila di soldati che tornavano a salire allontanando i nemici nel punto in cui le macchine non avevano gittata sufficiente da poter operare. Per capire meglio bastava immaginarsi una sorta di tridente, le cui tre punte erano a forma di triangolo. Il dente centrale era più basso e largo e subito attaccati alla base, sui lati, gli altri due triangoli rettangoli più allungati verso l'alto.
Quando l'artiglieria fece fuoco nei punti più vicini dove si trovavano i nemici, gli schieramenti laterali, impegnati contro ai battaglioni degli altri due capitani, si spostarono per colmare quei "buchi" che si erano formati grazie all'efficace azione delle baliste e degli onagri, che sparavano dardi e grappoli di pietre e sassi. Riempiendo quegli spazi, però, l'esercito di Sokowalth ridusse le fila laterali che badavano ad attaccare gli schieramenti di Ennearel che affiancavano quello centrale. Gunìn osservava bene la situazione da sopra un avamposto nelle lontananze e diede ordine ad un cavaliere di attuare l'ultima fase del piano.
In lontananza si udirono tre suoni di corno e Rart intuì che era giunto il momento di resistere il più possibile, mentre i battaglioni del capitano Giagud e di Gunìn iniziarono una manovra avrebbe chiuso le fila nemiche.
La cavalleria tornata dei due reggimenti laterali passò in prima fila a formazione serrata e la stessa cosa fecero i cavalieri che erano stati fatti ripiegare al centro da Rart.
Una combinazione a dir poco eccellente, con gli uomini a cavallo che caricarono ai fianchi la fanteria nemica, mentre il resto degli uomini andava a circondare e chiudere totalmente la loro postazione. Ora l'esercito di Sikowalth era stato accerchiato e quando gli ufficiali degli Oskaret se ne accorsero, era troppo tardi per suonare la ritirata.
Rion aveva il volto coperto di sangue, la vista quasi annebbiata e continuava a combattere senza sosta da almeno un quarto d'ora. Intorno a lui non c'era altro che gente morta a terra o corpi mutilati e facce di uomini disperati, sia nemici che alleati.
Purtroppo lo scontro non era così come se lo immaginava, perché aveva sempre creduto in combattimenti di persone valorose, forti e leali, in grado di conquistarsi da sole grandi onori. Quello che vedeva, invece, non era altro che un grande ammasso di soldati che si spingevano l'un l'altro, facendosi largo con lo scudo e con l'ascia, calpestando cadaveri e persone ferite, urlando di rabbia o per il dolore, stramazzando a terra senza nemmeno aver assestato un colpo al nemico. Che cosa orribile e quanto spargimento di sangue! Solo tristezza e sconforto avrebbero dominato i loro animi inizialmente impetuosi.
Ad un tratto l'ufficiale non si accorse che un uomo armati di mazza lo stava per colpire con una mazzata in testa, cosa che accadde facendolo cadere a terra, vivo per miracolo, probabilmente grazie all'elmo. Era vulnerabile e non poteva nulla contro l'avversario che nel frattempo aveva anche ucciso un fante che gli si era parato davanti. Rion era incespicato tra i brandelli di cadaveri e feriti, cercando di alzarsi ma sembrava più pesante, come se stesse sguazzando senza trovare appiglio per rimettersi in piedi. Il nemico lo guardava un po' incredulo, come meravigliato per il fatto che fosse ancora vivo, tra il caos e la confusione totale, così sollevò la mazza chiodata per assestargli il colpo di grazia dritto in faccia.
"È così che morirò? Spero solo di non soffrire troppo..." biascicò Rion, consapevole che la sua voce non si sarebbe sentita nemmeno se avesse gridato con tutta la sua forza e nemmeno lui stesso era riuscito ad ascoltare le sue parole.
Il destino era quello? Forse no, perché un cavaliere era giunto in suo soccorso, parando il colpo. Era Derath che aveva affondato e incastrato la lama della sua spada nel legno della mazza del nemico. Quest'ultimo non permise al ragazzo di averla vinta, così portò il vantaggio dalla sua parte, tirando con forza l'arma e facendo cadere il cavaliere in avanti, vicino a Rion. Ora le vittime del nemico erano due, belle che pronte davanti ai suoi piedi, immobili. Peccato solo che il capitano Rart avesse assistito alla scena e non aveva esitato a dare un colpetto sulla spalla di quell'uomo, il quale si voltò ricevendo come sorpresa uno scudo in piena faccia, facendo gli sanguinare il naso. Il soldato armato di mazza sembrava un gigante, alto due metri, grosso e robusto. Rart non aveva tempo per poter badare unicamente a quell'avversario, quindi gli scattò incontro e quando l'altro fece per colpirlo al viso, il capitano si abbassò a terra compiendo una strisciata dirigendosi contro i piedi del guerriero. L'uomo lasciò cadere la mazza chiodata e stramazzò a terra come un sacco di patate, quindi il capitano gli tagliò la gola prima ancora che potesse accorgersene.
I due cavalieri a terra erano ancora sbalorditi e si affrettarono a rialzarsi, lasciandosi aiutare da Rart, che dopo avergli dato un'occhiata per constatare sbrigativamente che non fossero feriti, si gettò nuovamente nella mischia. Poco dopo i nemici batterono in ritirata in modo disordinato, cosa di cui i cavalieri di Ennearel approfittarono, accerchiando e chiudendo piccoli gruppi di fuggiaschi, massacrandoli.
Rart ordinò ai suoi uomini di non inseguire i nemici, perché lo avrebbero fatto i battaglioni ai lati, in particolar modo la cavalleria che per gran parte della battaglia si era tenuta da parte, fatta eccezione per quella centrale che aveva attaccato per prima, ovviamente.
Quello scontro si era concluso e il numero di morti per loro non era così elevato come al solito, prima dell'arrivo di Rart, anche se erano stati fatti pochissimi prigionieri e molti dei quali erano feriti gravemente.
Il capitano si guardò attorno e vide il campo quasi deserto, colmo solo di corpi senza vita e di uomini che lanciavano grida di dolore e lamentele. Cosa stavano facendo lì? Che cosa avevano fatto? Com'era possibile che ancora nessuno avesse aperto gli occhi di fronte ad uno simile scempio? Rart non riusciva a spiegarselo.
Jirk era ferito lievemente ad un braccio ma niente di irrimediabile, mentre Eonas aveva subito la mutilazione di un dito alla mano sinistra, a causa di una sciabola che era riuscita a penetrare nello sbarramento di scudi e la prima cosa che aveva trovato era stata proprio la mano del ragazzo. Rion e Derath sembravano anche più sconvolti e disperati, guardando come la cavalleria degli alleati si fosse lanciata all'inseguimento mentre dal campo veniva fatta avanzare l'artiglieria pesante.
Il primo scontro, la prima vittoria o forse l'ultima. Nessuno poteva prevedere quante altre volte ancora sarebbero sopravvissuti, ma per quel giorno era fatta e non si poteva tornare indietro, a meno che qualcuno non lo avesse ritenuto necessario. A meno che la guerra si fosse spostata alle loro spalle, lontano, direttamente a nord.
   
 
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