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Autore: Remiel    07/02/2013    3 recensioni
Protagonista di questa storia è la semidea Cithara, figlia di Apollo, che scoprirà di possedere sin dalla nascita una dote particolare...
Arrivata al Campo Mezzosangue in seguito al rapimento della madre, Thara farà la conoscenza di varie persone tra le quali Emile, figlio di Ermes, incaricato di accompagnarla alla scoperta del mondo delle divinità e dei suoi poteri di semidea, e Raven, figlio di Apollo e capo dormitorio, nonché capo della banda musicale del Campo.
Il mistero del rapimento della madre di Thara si infittisce con la sparizione di altre donne. Chi le sta portando negli Inferi, e a che scopo?
Dal Cap.2
"Mi accorsi che era tempo di andare all’entrata e scesi le scale circolari con calma, assaporando il rimbombo del rumore che i piccoli tacchi delle ballerine producevano a contatto col marmo bianco. Chiusi gli occhi, deliziata da questo suono, mentre riconoscevo senza problemi prima un La, poi un Do provocato da un passo più deciso, un Fa… Questo era il vero dono che mi aveva fatto mio padre: la Musica."
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La storia è "ambientata" nel mondo di Percy Jackson, più che essere una fanfiction vera e propria... Dunque, buona lettura anche a chi non conosce i libri!:)
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gli Dèi, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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[Drive it like you stole it - The Glitch Mobe]
[The World Calling - There for Tomorrow]
[Sunrise - Norah Jones]
[Due Respiri - Chiara]
 
Avevo dimenticato di tirare giù la visiera e, a contatto col vento, gli occhi mi si stavano appannando di lacrime.
«Emile! Cosa diamine è quel coso che ci sta inseguendo?!»
La moto aveva di certo superato gli 80km/h, cosa non molto saggia in un centro cittadino, eppure la belva continuava a tenerci testa senza perdere terreno.
«Non ne sono sicuro... Ma ho paura che quello sia il Leone di Nemea!» urlò Emile per sovrastare il rumore della moto.
«Beh… Qualunque cosa sia, non pare per niente amichevole!»
Certo, l’unico posto tranquillo per i semidèi era il Campo Mezzosangue, dove i mostri mitologici attratti dal nostro sangue divino non potevano entrare... Non essendo ancora mai stata importunata da questi (tralasciando il rapimento di mia madre da parte di uno Stinfalide) non mi ero resa conto di quanto potesse essere pericoloso per un semidio lasciare il Campo.
«…Tieniti forte, Thara!» Mi strinsi di più a lui mentre passava col rosso, evitando per un pelo un camioncino proveniente da destra.
«Spero che non ti tolgano la patente…» Non potei fare a meno di pensare anche alle eventuali multe che sua madre si sarebbe ritrovata a pagare.
A dispetto della situazione assurda in cui ci trovavamo, scoppiammo a ridere entrambi.
«Speriamo piuttosto di arrivare vivi a casa…» commentò lui, scartando un’altra macchina.
Grazie alla sua guida spericolata, finalmente il Leone pareva aver rallentato l’andatura per non finire la propria corsa addosso a un veicolo.
«Non possiamo continuare così per sempre!» disse Emile imprecando.
Ci eravamo allontanati dal centro cittadino, e adesso la moto sfrecciava lungo una larga strada costeggiante un parchetto col campo da calcio. Senza preavviso Emile sterzò rapidamente verso il giardino, facendomi prendere un colpo. Grazie agli dèi non c’era nessuno nei paraggi: un morto sulla coscienza era l’ultima cosa che volevo!
Il ruggito infuriato del Leone mi fece intuire che non aveva gradito il nostro cambio di rotta, gelandomi il sangue nelle vene.
«Benvenuta al West River Memorial Park, Thara!» fece lui, rallentando leggermente.
«River? Dove sarebbe il fiu…?» La domanda mi morì in gola quando vidi davanti a noi il fiume avvicinarsi a velocità vertiginosa.
Speravo che Emile sapesse cosa stava facendo, perché avevo la maledetta impressione che saremmo volati dritti dentro l’acqua se non avesse frenato o sterzato in fretta. Forse intuendo i miei pensieri, il ragazzo virò e prese a fiancheggiare il fiume.
Feci in tempo a chiedermi cosa fosse quell’ombra scura che si stava avvicinando da destra prima di realizzare che il Leone ci era piombato addosso, facendo perdere il controllo della moto ad Emile.
Urlai con gli occhi sgranati dal terrore mentre volavo al rallentatore verso il fiume, finché non entrai a contatto con l’acqua gelida e tutto divenne buio.
Dopo essermi ripresa dallo shock iniziale, trafficai con la cinghia del casco per non morire annegata. L’acqua aveva cominciato a riempirlo e non avevo più aria da respirare.
Appena lo tolsi, una mano dalla stretta sicura mi prese per il braccio, tirandomi in superficie a forza.
«Thara! Stai bene?» Emile era bagnato fradicio, con la spada di Chirone in mano e un’espressione preoccupata sul volto. Lì per lì mi chiesi se era più ansioso per lo scontro col Leone che si sarebbe svolto di lì a poco o per la sorte della moto, abbandonata al suo destino verso i cespugli del campo.
«Più o meno…» annuii con poca convinzione, tentando di riprendere fiato.
Il ruggito del Leone interruppe il nostro discorso e impallidii nel realizzare quanto grande fosse. Sarà stato alto almeno tre metri, con una fila di denti aguzzi come pugnali, una coda fiammeggiante e uno sguardo decisamente poco cordiale.
Ruggì di nuovo, avvicinandosi alla nostra postazione, e questa volta Emile non si fece intimidire, partendo all’attacco. Il Leone scartò i primi fendenti con facilità, continuando ad emettere un roco borbottio dalla gola e menando artigliate.
Mentre mi apprestavo a riportare alla forma originale di arco il mio braccialetto, pensai fosse davvero una fortuna che l’acqua dov’eravamo caduti fosse così bassa (anche se arrivava alla cinta, rallentando un po’ i movimenti) e la corrente non fosse abbastanza forte da trascinarci con sé.
«Hyaaa!!!» La spada andò finalmente a cozzare con la pelle del mostro, producendo però un clangore non molto rassicurante. Giusto, il Leone di Nemea era famoso per la sua pelle impenetrabile.
Emile sbuffò frustrato, parando una zampata  e indietreggiando.
Cercai di uscire dall’acqua mentre pensavo a una strategia di attacco per non sprecare le sei frecce contro la pelle adamantina del mostro, quando realizzai che il gorgoglio della sua gola si era fatto più insistente.
Alzai lo sguardo preoccupata e mi paralizzai nel sentire l’urlo di Emile. Il Leone aveva appena sputato una fiammata nella sua direzione, bruciandogli parte della camicia.
«…Ma il Leone di Nemea sparava fiamme?!»
«Non mi sembrava!» Eppure non c’era dubbio, quello doveva essere il Leone di Nemea.
Il ruggito fu seguito da un’altra fiammata ed Emile fu costretto ad allontanarsi verso l’acqua per cercare riparo. Io ero già uscita dal fiume e continuavo a guardarmi attorno alla ricerca di una soluzione.
Il mostro tentò un paio di agguati al ragazzo, costringendomi a usare tre frecce per deviare la sua attenzione su di me e lasciare ad Emile il tempo di riprendersi e tornare a fronteggiare il Leone.
«Non credo resisteremo a lungo se non troviamo un’idea» fece lui. Aveva ragione, mi doleva ammetterlo ma sembravamo spacciati!
Poi ricordai. Ercole lo aveva eliminato strangolandolo con la sua innumerevole forza, che noi non possedevamo, ma l’unica parte vulnerabile del corpo del mostro rimaneva sempre quella.
«… Emile, il punto debole è la bocca, mira lì!»
Non potevo essere certa che avrebbe funzionato (d’altronde il vero Leone di Nemea non avrebbe dovuto lanciare fiamme, quindi chi mi assicurava che il suo punto debole fosse lo stesso dell’originale?) ma tanto valeva provare.
“O la va, o la spacca.”
«…È una parola…!» rispose lui, parando al meglio le artigliate.
Era madido di sudore e immaginavo avesse paura di avvicinarsi troppo all’essere per la fiammata di prima. Il braccio leso doveva ancora bruciargli.
Quando il Leone ruggì nuovamente, tirai una freccia verso le fauci aperte ma il mostro la deviò coi denti e mi rivolse uno sguardo carico di odio. Ebbi l’inquietante sensazione che avesse capito il mio obiettivo e che non avrebbe più aperto la bocca senza motivo.
Cosa potevo fare per indurlo a mostrare il suo punto vulnerabile…? Mi restavano due frecce (non volevo arrischiarmi a raccogliere quelle cadute, troppo vicine alla belva) e sembravano pressoché inutili contro la bocca serrata del Leone.
«… Provo ad arrampicarmi sulla sua groppa!» mi urlò Emile.
«Ok, ma…» Già, ma a cosa poteva servire se non apriva le fauci?
Continuai a guardarmi attorno fino a quando lo sguardo non mi cadde sul tubo di plastica usato per annaffiare le piante del giardino. Forse…
Tornai a voltarmi dopo aver sentito un ruggito di protesta: Emile era inaspettatamente riuscito a saltare sul Leone! Stava tentando di rimanere aggrappato alla sua criniera mentre questo si scrollava senza sosta.
Trascinai l’irrigatore il più vicino possibile al Leone infuriato, correndo poi ad aprire la valvola dell’acqua.
«Emile? Tieniti forte e stai pronto con la spada!»
«Cosa…?»
Presi il tubo tra le mani e lo alzai verso il mostro. Il getto d’acqua fu talmente violento da travolgerlo del tutto, tanto che ebbi paura che Emile cadesse dalla sua groppa.
Il Leone cominciò a ruggire e cercò di vomitare qualche lingua di fuoco, subito spenta dall’acqua, allora tornò a divincolarsi dalla stretta di Emile.
«Maledetto… E stai un po’ fermo!» sentii urlare il ragazzo.
Tra gli spruzzi, vidi baluginare la spada alla ricerca della bocca del Leone.
«GAAAAAAAHHHH!!!» …Doveva averla appena trovata.
Buttai a terra il tubo per tornare a imbracciare l’arco. Incoccai entrambe le frecce, tirandole verso le fauci spalancate del Leone, l’elsa della spada appena visibile che spuntava dalla gola tra i fiotti di sangue.
Con un ultimo ruggito, l’animale si scrollò nuovamente in un grido di dolore, lanciando Emile nel fiume prima di scomparire in una nuvola di fumo.
«Emile!!!» urlai, correndo verso il punto in cui era caduto.
“E se fosse caduto male? E se avesse battuto la testa su un sasso sul letto del fiume?” La spinta era stata piuttosto violenta… Ma perché diamine non riaffiorava?!
Le lacrime iniziavano già a salirmi agli occhi quando finalmente la sua testa bionda apparve dall’acqua.
Gli saltai letteralmente addosso, senza lasciargli il tempo di riprendere fiato e abbracciandolo con foga.
«…Idiota!!! Mi hai fatto prendere un colpo! …Avevo paura di averti ammazzato!»
Lo sentii ridere accanto al mio orecchio.
«In effetti l’idea dell’irrigatore è stata un po’ azzardata e rischiosa…. Ma ha funzionato.»
Non ne volevo sapere di staccarmi dal suo abbraccio per non fargli vedere le lacrime sul mio viso, così lui iniziò ad accarezzarmi i capelli bagnati fino a quando non ebbi ripreso un po’ di contegno.
«…Sei stata stupenda. Ti rendi conto che siamo riusciti a sconfiggere un mostro mitologico?» In effetti, pareva molto più importante di vincere una Caccia alla Bandiera, forse anche perché c’era stata in ballo la nostra vita.
Annuii sorridendo.
«…Siamo una bella squadra.»
Il tocco di Emile si fermò per spostarsi sotto l’attaccatura dei capelli, sulla nuca, causandomi un brivido.
«…No, siamo una bella coppia.» Mi sembrò quasi che il cuore si fosse fermato.
Sciolsi l’abbraccio per poterlo guardare negli occhi e capire se aveva realmente detto ciò che avevo sentito.
Incontrai lo sguardo e il sorriso più dolci del mondo, perché sì, avevo capito bene.
«Thara… Mi piaci da impazzire.»
Aveva tentato di dirmelo molte volte e in tanti modi e finalmente ci era riuscito, ma soprattutto, finalmente io ero pronta a dare una risposta. Ormai ne ero sicura, lo sapevo già la prima volta che mi aveva fatto da istruttore al tiro con l’arco, quando le sue braccia avevano cinto le mie. Quando lo avevo curato e quando era venuto a proteggermi, nonostante tutto, durante la Caccia. E ancora, in camera sua e la sera prima, quando mi aveva dato la buonanotte.
Ero totalmente innamorata di Emile.
Non aveva senso dare una risposta a parole, quindi lasciai i miei soliti freni inibitori, decisa a fregarmene di tutto, e lo baciai.
…In realtà non avevo mai baciato nessuno prima, non ero troppo sicura della tecnica da adottare, ma nello stesso momento in cui le mie labbra toccarono quelle di Emile capii che non c’era bisogno di farsi tutte quelle domande.
Ero con Emile, tra le sue braccia, consapevole del suo corpo contro il mio e delle sue mani calde sul mio bacino. Null’altro mi importava che sentire le sue labbra avide sulle mie, forse inesperte ma altrettanto bramose.
Ci staccammo brevemente per concederci una risata di gioia e lui mi baciò sulla punta del naso.
«Sei la cosa più bella che mi sia capitata.»
Lo baciai ancora sulle labbra, inebriata da questo nuovo tipo di contatto fisico, prima di rispondere.
«…Non dovrei dirlo prima di aver riabbracciato mamma ed Eleuse, ma… Sono quasi felice che sia iniziata tutta questa storia, perché mi ha permesso di incontrarti.»
«Oh Thara…» Quando posò la fronte sulla mia chiusi gli occhi, assaporando la sua voce. «…Finirà tutto bene. Ne sono certo.»
Strinsi di più le braccia attorno a lui, nascondendo il viso nell’incavo del suo collo per  nascondere il rossore delle guance.
«Grazie per essere sempre al mio fianco, Emile.»
Mi abbracciò forte, cullandomi.
Stava per sussurrarmi qualcosa all’orecchio, ma un misterioso bagliore di luce al nostro fianco attirò la mia attenzione.
«Oh, ehm… Capito al momento sbagliato?» Il mezzobusto di Chirone galleggiava sull’acqua accanto a noi grazie alla magia dell’Iride-phone.
Io ed Emile ci allontanammo quel tanto che bastava per avere un’aria composta, rimanendo però mano nella mano.
«No, no…  È successo qualcosa?» rispose Emile, più pronto di me.
Il centauro annuì con aria grave.
«Dovete subito tornare al Campo, sembra che sia troppo rischioso uscire dalle sue barriere protettive. I mostri si sono fatti più forti. Piuttosto… Stavate cercando refrigerio dall’afa estiva?» ci chiese con un sopracciglio alzato. Eravamo stati così presi dai nostri sentimenti da dimenticarci di uscire dal fiume, dovevamo apparire ridicoli ammollo nell’acqua, con i vestiti e i capelli fradici!
«Abbiamo incontrato un mostro e…»
«…È stata una battaglia un po’ travagliata» conclusi con un mezzo sorriso.
«Capisco» disse Chirone, accondiscendente. «A maggior ragione, vi consiglio di tornare il più presto possibile. Il permesso di 72 ore vi è stato revocato, dovete essere al Campo per stasera al massimo.»
Annuimmo all’unisono, salutandolo. Non era nemmeno ora di pranzo, darci un lasso di tempo così lungo per tornare era stato molto gentile ‒anche se un po’ sconsiderato per la nostra incolumità‒ da parte sua. Probabilmente aveva intuito qualcosa, notando le nostri mani intrecciate.
Una volta scomparso Chirone in una nuvola arcobaleno, io ed Emile scoppiammo a ridere uscendo dal fiume.
«Sembra che non vogliano lasciarci in pace!» mormorai tra le lacrime, aggrappandomi a lui.
«Però una cosa buona c’è… Abbiamo un po’ di tempo per noi.» Lo disse con la sua voce provocante e l’espressione maliziosa che mi ricordava il tempo passato all’infermeria dopo quel bacio sulla guancia.
«Uhm… Prima dovrei medicarti la bruciatura» feci, accarezzando il suo braccio destro.
Il sorriso si allargò sul suo volto e mi domandai se avessi forse detto qualcosa di provocante.
«Hai ragione… A proposito, ti ho accennato che mamma non sarà a casa prima delle 17, oggi?» sussurrò al mio orecchio, abbracciandomi.
Avvampai all’istante all’idea di noi due da soli a casa sua. Per un attimo ripensai alle parole di Martha e l’idea di fermarmi in farmacia non mi sembrò così assurda, poi tornai alla realtà.
«Sempre a fare lo scemo tu…» dissi, ma lo baciai premendomi contro di lui.
Emise un sospiro.
«Tu mi farai morire, credi a me…» Lo guardai senza capire mentre si allontanava con un sorriso, per andare a recuperare la moto.
Per fortuna aveva finito la sua folle corsa contro un cespuglio e non era ridotta poi così male, escludendo qualche graffio e un po’ di fango. Non sapevo quanto l’avesse danneggiata la volta precedente ma di sicuro adesso se l’era cavata bene.
Presi i caschi abbandonati vicino al fiume e mi accostai ad Emile
«Ora sì che avremo freddo…» borbottò, alludendo agli abiti bagnati. Se avessi saputo che ci saremmo ridotti in questo stato, avrei optato per i jeans piuttosto che rovinare il vestito.
Saltai in sella dietro di lui, cingendogli la vita.
«Resisti, pensa alla doccia calda che faremo a casa!» Mi accorsi troppo tardi di come la mia frase potesse sembrare una proposta sexy.
Lo sentii ridere dentro il casco, le spalle scosse dal freddo e dalle risa.
«Uh uh… Mi piace come idea… Se intendi dire di farla assieme allora preparati a varcare l’uscio in meno di cinque minuti!»
Battei i pugni sulla sua schiena ma tornai subito ad aggrapparmi a lui quando mise in moto.
Inutile dire quanto il rossore al volto avesse già provveduto ad innalzare oltre il necessario la mia temperatura corporea.
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«Piccola? … Siamo arrivati.»
Il dolce sussurro di Emile e il suo bacio mi svegliarono dallo stato di torpore in cui ero caduta.
Dovevo essermi addormentata quasi subito nel taxi, perché ricordavo qualche strascico di discorso e l’abbraccio rassicurante di Emile, dopo c’era stato soltanto un calore piacevole.
Scesi dalla vettura ancora un po’ intontita, mano nella mano con lui, e ci dirigemmo verso la foresta alla ricerca dell’ingresso del Campo Mezzosangue.
«Avrei voluto avere più tempo…» si lamentò, attardando il passo alla vista della barriera e stringendomi più forte a sé.
Riflettendoci, come ci saremmo dovuti comportare al Campo? Avremmo potuto continuare a stare vicini come adesso, ignorando le occhiate sospettose di alcuni nostri fratelli, o avremmo dovuto fingere, vivendo una “storia clandestina”?
Questi pensieri mi causarono una sensazione spiacevole all’altezza dello stomaco, quindi decisi di lasciar cadere il discorso.
«Io non potrei desiderarne di più, Chirone è stato già troppo buono.»
Lo sguardo che mi lanciò Emile mi fece arrossire.
«…Vuoi dire che ti sarebbe dispiaciuto stare ancora un po’ a casa mia? …Nella mia camera?» Si avvicinò al mio orecchio. «…Nel mio letto?»
In realtà la descrizione più appropriata sarebbe stata “SUL mio letto”, ma non glielo feci notare. Nascosi il volto nella sua maglietta e gli assestai uno schiaffetto sulla spalla.
«Ovvio che mi sarebbe piaciuto, scemo...»
Ridacchiò debolmente, avvicinando il suo viso al mio per cercare le mie labbra.
Era stata davvero una bella giornata, non potevo negarlo… Una volta tornati a casa, avevo convinto Emile a rendere presentabile la moto mentre mi facevo la doccia e, dopo essersi lavato a sua volta, si era arreso all’idea di farsi medicare la bruciatura prima di fare alcunché. Poi… Beh, poi tutto era intriso del profumo di Emile, delle sue carezze e dei suoi baci. Avevamo passato il pomeriggio accoccolati sul suo letto, raccontandoci qualche aneddoto di quando eravamo piccoli o del Campo, anche se la maggior parte del tempo eravamo semplicemente rimasti abbracciati a baciarci. La verità è che sarei rimasta volentieri in quella stanza, dimenticandomi di tutto e di tutti.
«…Piccioncini?» Una vocina invadente che ben conoscevo mi riportò al presente, urlando al di là della barriera.
Sospirai scrollando la testa, senza avere la forza di lanciare un’occhiataccia a Martha: ed ecco che l’ipotesi della “storia clandestina” e di un po’ di riservatezza per me ed Emile andava in fumo. Quanto ci sarebbe voluto, prima che l’intero Campo venisse a conoscenza della nostra relazione?
Lui la salutò piuttosto allegro, trascinandomi per mano verso il Campo.
«Scusate, non volevo interrompervi ma il Signor D. si stava spazientendo…» disse mia sorella, sinceramente dispiaciuta.
«Figurati… Ehm, magari la prossima volta però evita di urlare quella parola ai quattro venti quando ci vedi…» cercai di obiettare.
«Quale? “Piccioncini”?» …Senza risultati.
Emile rise, abbracciandomi.
«A me non dà fastidio! Adesso ho te, perché dovrebbe importarmi di essere preso in giro dai miei fratelli?»
Abbassai lo sguardo imbarazzata quando mi baciò sulla guancia.
«Uff… È solo una questione di discrezione.»
Martha mi sorrise.
«Oh, ma tanto lo avevano capito già tutti che vi piacevate! Non siete tanto bravi a dissimulare i vostri sentimenti.»
Ora era il mio turno di ridere. Come se Emile avesse mai cercato di dissimularli!
«…E va bene! Adesso però sarà meglio andare da Chirone a fare rapporto.»
Emile convenne con me e ci allontanammo assieme, lasciando una Martha felice come una pasqua a saltellare vicino alla barriera.
 
Il colloquio con il centauro era sembrato un vero e proprio interrogatorio. Fino all’ora di cena eravamo rimasti a rispondere alle sue domande, raccontando per filo e per segno quello che era successo da quando avevamo messo piede a New Haven.
Alla fine, io ed Emile avevamo deciso di non rivelare il dettaglio della profezia. Se Eleuse non l’aveva fatto doveva aver avuto i suoi motivi e noi ci fidavamo di lei, quindi perché avremmo dovuto dirlo?
Dopo aver mangiato coi miei fratelli (ed essermi sorbita pure le occhiate maliziose di Martha e quelle diffidenti di Raven, alleviate solo dal supporto morale di Loren), andai direttamente in camera, seguita a distanza da Emile. Mi ero appena adagiata sul letto, distrutta dalla giornata faticosa, quando lui entrò socchiudendo piano la porta e venendosi a sedere accanto a me.
«È stato un giorno pieno di emozioni, eh?» disse in tono affabile, carezzandomi il viso.
Posai la mano sulla sua e gli sorrisi.
«Decisamente! Diciamo che credo di essere a posto per un bel po’…» Purtroppo non avevo dimenticato che trascorsa una settimana, volenti o nolenti, saremmo dovuti tornare da Kimon per andare a salvare Eleuse e mamma. In effetti, non avevamo detto nemmeno questo particolare a Chirone.
Emile si chinò a baciarmi e dopo poco si stese al mio fianco. Il suo cuore risuonava come una dolce melodia sotto la mia mano…
«…Come riuscirai a filartela da questa stanza senza farti notare?» gli chiesi, sottovoce.
«Mmm, pensavo di andarmene di soppiatto una volta che ti fossi addormentata… Potrei uscire dalla porta a notte fonda e…» Con le dita cominciò a mimare dei piccoli passi sul mio braccio «… Scivolare lungo il corridoio buio e poi aprire piano piano il portone…» Le dita si spostarono dolci verso il mio collo. «…Per correre verso la mia Casa.» Avvicinò le labbra dove prima mi aveva accarezzato, deponendo una serie di baci che mi fecero ridere per il solletico.
«Uh uh… Allora spero tu riesca a non farti beccare da quelli di guardia! Non so quanto siano indulgenti riguardo le infrazioni del coprifuoco…»
«Ehi, ho detto che me ne andrò solo una volta che ti sarai addormentata! Ma non credo lo farai molto presto…»
Sorrisi stretta nel suo abbraccio, decisa a godere di tutta la felicità donata da quel piccolo momento d’intimità.
Relegai i problemi in un cassetto della mia mente: avevo ancora a disposizione sette giorni da passare senza troppe preoccupazioni. Di certo non potevo immaginare che proprio la notte, il periodo della giornata in cui cercavo rifugio per rilassarmi, sarebbe diventata la mia maggiore fonte di angosce assieme ai sogni, in quei sette giorni.
 
 
 
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Nota dell’Autrice:
Ciao a tutti! Piaciuto il capitolo? :) Insomma... Finalmente questi due poveri ragazzi si sono dichiarati!!! XD
Bene bene, pensavo di condividere con voi qualche disegno partorito durante la stesura della storia.


Emile e Thara ripresi durante il loro volo al rallentatore verso il fiume. Lo so, nella storia hanno i caschi, ma disegnando ho preferito l'effetto swissh dei capelli, rendono meglio l'idea!;) Ah... Ecco cosa stava realmente pensando Emile, altro che Leone!X'D


Thara ed Emile dopo essersi dichiarati... Li trovo così dolci. :')


...E ancora, un'altro disegno di loro due. (E' una mia impressione o sembrano più grandi?)
 
Remiel
   
 
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