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Autore: Loda    08/02/2013    4 recensioni
Se non ti guardi allo specchio, non lo vedi che stai piangendo. Ma le lacrime ne hanno anche un altro di riflesso, che è tutto interiore, ed è più crudele di esse stesse, infinitamente.
Si tratta del sangue.
"Non si tratta di essere buoni o cattivi, non si è mai trattato di questo. Ci sono solo epoche da attraversare, scelte da compiere e personalità che crescono. Nessuno vive così poco da non cambiare volto nemmeno una volta"
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ventunesimo capitolo
CAPITOLO XXI
PAROLE MAGNETICHE






Ogni volta che riapriva gli occhi e tornava a respirare, era come riemergere dall’acqua più gelida e sporca in cui avesse mai nuotato – o meglio, in cui fosse mai annegato.
Viridio scavò velocemente la terra sopra di lui e in un attimo fu in superficie. Si scrollò di dosso il terriccio e la polvere che gli imbrattavano la tunica. Ricordava ancora bene la notte in cui per la prima volta si era svegliato sotto terra. Ancora la ricordava e ancora gli venivano i brividi. Era passato solo qualche giorno e ancora aveva voglia di urlare e di scappare, ma una cosa l’aveva capita. Il sole non gli era amico, mentre le terra sì.
Si guardò intorno e vide che Acilia era già alzata. Seduta, col busto chino sulle proprie gambe piegate, si stava pulendo i piedi.
Viridio trattenne un’imprecazione. Ogni notte sperava che lei non ci fosse più.
La donna alzò lo sguardo e si accorse di lui. Distese le gambe e le divaricò, con un sorriso che non aveva nulla di bello.
“Salve” lo salutò“Me lo vuoi dire oggi il tuo nome?”.
Viridio scosse la testa e ad Acilia si spense il sorriso.
Lo guardò, con le sopracciglia inarcate. “Dovrò pur chiamarti in qualche modo”.
Lui esitò.“Chiamami Kaeso” disse infine, arrendendosi. Se c’era una cosa di cui era certo, era che quel mostro non l’avrebbe maichiamato con lo stesso nome che pronunciava sua moglie. No, non riusciva neanche a pensarlo, il nome di Prisca, senza che qualcosa di terribile gli comprimesse il petto.
Si voltò dall’altra parte, per evitare di guardare Acilia.
Ma quella si alzò e gli fu dietro in un attimo. Viridio sentiva l’alito di lei sulle sue spalle.“L’ho vista la tua smorfia” disse, divertita “E’ inutile che ti giri, è inutile che ti trattieni… Non ci riesci a piangere!”. Ridacchiò e quella risata orribile raggiunse l’orecchio di Virido amplificandosi di più ogni secondo che passava. Era una tortura per il suo orecchio e lui si voltò, guardandola in faccia.
Ella aveva il volto perfetto, avvolto nel suo pallore, nella sua malvagità.
“Perché mi hai fatto questo…” fece Viridio, sentendo la propria voce affievolirsi per la disperazione. Ogni notte era costretto a uccidere qualcuno per sopravvivere. Non l’avrebbe potuto evitare neanche quella notte, no, l’avrebbe fatto… Ma l’orrore stava prendendo il sopravvento dentro di lui, e sentiva ogni parte di lui urlare per la paura e l’indignazione.
Acilia lo guardò con un volto fintamente compassionevole.“Andiamo, Kaeso, è inutile piangersi addosso. Anch’io ero tanto triste all’inizio, come te, ma ci si fa l’abitudine…”. Il suo viso si illuminò e lei si mise di nuovo a ridere. “Ho detto piangersi addosso… Che espressione infelice eh!”.
“Ti ho chiesto perché mi hai fatto questo!” urlò Viridio, frustrato “E smettila di ridere!”.
Acilia si fece seria tutto a un tratto, e sgranò gli occhi. Erano folli quegli occhi.
“Avevo bisogno di compagnia” disse, con l’espressione di una pazza.
Bisogno di compagnia.
Viridio si allontanò trattenendo l’impulso di gridare.
Bisogno di compagnia.
Era stato trasformato in un mostro per un bisogno di compagnia!
Diede un pugno all’aria e crollò sulle ginocchia. Quando era stato… Come… Stava giocando con Iulia…Iulia…
Perché non venivano fuori le lacrime?! Le avrebbe dedicate tutte a lei, alla sua piccola Iulia, che si trovava senza padre…
“Voglio andare da lei” mugugnò, rivoltò alla terra “Voglio andare da loro…”.
Sentì un peso sulla propria testa, che premeva e gliela spingeva giù. Con un gemito, si trovò con la faccia immersa nel terriccio, e non riusciva ad alzarsi.
Acilia agitò le dita del piede nudo tra i suoi capelli.
“Se vai da loro le ucciderai”.
“No…” fece Viridio, mentre la terra gli entrava in bocca “Non…”.
Acilia spinse con più vivacità. “Sì. E’ la nostra natura, Kaeso. Gli umani sono solo nutrimento. Non possiamo convivere con loro, possiamo solo mangiarli”.
Viridio fece dei versi tristi, soffocati, senza neanche provare a lottare. Lo sapeva che quel mostro era più forte di lui.
Ogni giorno, quando sorgeva il sole e lui chiudeva gli occhi, come se morisse, sperava di morire davvero e di non svegliarsi più. Ma poi gli occhi si riaprivano sempre e ogni notte si chiedeva perché mai era successo a lui. Quale orribile incubo era quello! Quale dio gli aveva fatto questo? No, non esistevano dei, non esistevano più per lui… E la natura, un tempo tanto bella, era così mostruosa…
E’ la nostra natura, Kaeso.
Che parola orribile era diventata natura!
Passò qualche attimo e poi si sentì libero dalla pressione del piede di Acilia. Non si voleva alzare, sarebbe rimasto lì per sempre. Ma la sentiva dentro di sé, la fame che cresceva. Lui l’aveva provata la fame, il non avere il cibo sulla tavola, sentire lo stomaco che soffriva e la testa che doleva. Ma quella era diversa…Era tutta un’altra cosa… Era qualcosa che ti prendeva non solo lo stomaco e la testa, ma tutto il corpo, ogni arto era in fibrillazione, il cervello si spegneva, il dolore agli occhi, alla bocca, quegli orribili denti…
“Ti vuoi alzare?”.
Viridio si diede una spinta con le braccia, e si alzò da terra.
Acilia lo stava fissando con le braccia incrociate al petto. “E’ ora di mangiare, andiamo”.
“No” disse lui, deciso, serrando i pugni “Non vengo”.
Acilia lo guardò confusa.
“Non vengo” ripeté lui “Non voglio più uccidere nessuno. Non voglio vivere così!”.
Quell’orribile donna con l’aspetto di ragazzina gli si avvicinò, le bocca talmente dritta, gli occhi talmente spenti…
“Vuoi metterti qui e aspettare la morte?”.
Viridio annuì, chinando lo sguardo. Non riusciva a reggere quegli occhi, gli mettevano soggezione, gli incutevano timore, quegli occhi non erano umani, non potevano esserlo mai stati!
“Guarda che la morte è dolorosa”.
Non importava. Se non avrebbe mai più rivisto Prisca e Iulia, tanto valeva farla finita. Per cosa poteva vivere? Quale sarebbe stato ora il suo scopo?!
“Se vuoi esporti al sole, bruceresti per giorni prima di morire. Forse per settimane” continuò Acilia, avvicinandosi a lui sempre di più, con quella voce crudele che gli si insinuava nella pelle, in profondità “Se non vuoi più bere sangue, non moriresti. Saresti sempre più debole, e secco, e rimarresti per l’eternità immobile, a riflettere, a meditare, a ricordare: una vera gioia”.
Viridio deglutì. Ricordare sua moglie e sua figlia senza più avere la speranza di rivederle? Ricordare i volti di chi aveva ucciso, tormentarsi senza poter morire? Avrebbe rinunciato, sì, ma a quale prezzo… Quale prezzo…
Acilia si era fatta vicinissima. Viridio si poteva perdere nei suoi malvagi e disumani occhi. Ma per la prima volta notò qualcos’altro in essi.
Qualcosa di magnetico.
“Inoltre sono la tua creatrice, Kaeso” continuò Acilia, persuasiva “E mi devi obbedire”.
Lo prese per un braccio e lo tirò.
Viridio si lasciò condurre, come fosse un giocattolo, un burattino. Un burattino nelle mani sbagliate, un giocattolo di una bambina capricciosa, cattiva, perversa.



Passò qualche secondo prima che Emily si riprendesse.
Jacque aveva il volto mortificato che si tramutò nel più vivo sollievo quando lei si mise a tossire.
Eike lanciò un’occhiata di sbieco all’espressione orripilata del signor Dixon, stringendo la pistola di lui tra le dita. Il signor Dixon, tornato in salone dal piano superiore con una pistola, spaventato a morte da quello che stava capitando, aveva sparato un colpo dritto a Jacque. Eike però l’aveva previsto e l’aveva spinto, sviando il proiettile che ora si trovava sul pavimento, ai piedi della poltrona. Gli aveva preso la pistola, come fosse stata una caramella.
Spostò il suo sguardo su Emily che, annaspando, si stava riprendendo. La signora Dixon era china su di lei e tremava come una foglia. Fortunatamente Jacque si era fermato, appena in tempo. La ragazza era pallida come uno straccio, mentre lui si stava rinvigorendo. Le mani erano meno rosse e il sangue si stava ritirando.
Poi Eike puntò gli occhi sugli altri ragazzi. Quella bionda, che si chiamava Lydia, aveva gli occhi lucidi e Michael – presumibilmente il fratello minore di Emily – aveva la bocca aperta, sgomento.
Emily e Jacque si guardavano ed Eike si chiedeva cosa ci fosse in quello sguardo. Lui si avvicinò a lei e lei trattenne il respiro. Eike chinò la testa leggermente di lato. Sembrava uno di quei film melensi che davano in televisione il martedì sera.
“Bisogna medicare la ferita” stava dicendo Jacque. Visto che Emily, ancora molto pallida, sembrava non fosse in grado di muoversi, il ragazzo si rivolse alla signora Dixon, che ancora lo guardava con occhi sbarrati.
“Prenda del cotone e del disinfettante” disse Jacque “Per favore” aggiunse poi.
Neanche la signora Dixon pareva in grado di muoversi, anche se per altro motivo, allora sopraggiunse la voce di Lydia. “Ci penso io”.
Eike guardò la ragazza allontanarsi in tutta fretta verso una porta, poi ripuntò lo sguardo sull’interessante quadretto. Beh, Jacque non poteva proprio fare conoscenza dei suoceri in circostanze migliori! Quale padre e quale madre non desidererebbero per la loro unica figlia femmina un ragazzo che ha rischiato di dissanguarla con un solo morso sul braccio?
“Che ti è saltato in mente… Tu, brutto vampiro…”fece la voce del signor Dixon, vibrante di rabbia, facendo oscillare il suo sguardo da Jacque ed Eike, tant’è che Eike neanche sapeva a quale dei due si riferisse.
Emily fece un respiro profondo, poi parlò. “L’ho deciso io, papà. A Jacque serviva del sangue”.
Gli occhi del signor Dixon parvero uscire dalle orbita. “Ti stava uccidendo!”.
“Come vedi, non l’ha fatto” ribatté Emily.
“Ha ragione tuo padre” intervenne Jacque “Non dovevi farlo”. Oh, ecco, pensò Eike, l’aitante giovanotto, pretendente la mano della fanciulla, cerca di rimediare al suo disastroso ingresso in famiglia, con un po’ di sana adulazione al pater familias.
Il signor Dixon effettivamente parve spiazzato. Aveva aperto la bocca pronto a ribattere a qualunque cosa, ma poi la richiuse.
“Non riuscivo a fermarmi” insistette Jacque.
“L’hai fatto invece, ti sei fermato” ribatté la ragazza.
“Non potevi sapere che…”.
Emily ridusse i suoi occhi a due fessure. “Bastava un semplice grazie” lo interruppe freddamente.
Accidenti, pensò Eike, c’è aria di tempesta, malintesi ancora non risolti. Ovviamente sentiva puzza di Acilia.
Lydia intanto era tornata con disinfettante, cotone e garze. Senza degnare di uno sguardo Jacque, si sedette sul pavimento, accanto ad Emily, chiedendole di tendere il braccio. La ragazza obbedì.
Lydia operò in silenzio e non appena ebbe fasciato il braccio in prossimità della ferita, alzò lo sguardo sull’amica. Lei la ringraziò debolmente.
Michael a un certo punto fece qualche passo avanti. “Emi, si può sapere come li hai conosciuti questi vampiri?”.
“Giusto… Giusto” si rianimò il signor Dixon “Spiegaci come cavolo…”.
“Okay”lo interruppe Emily, un po’ scocciata, mentre si alzava in piedi aiutata da Lydia. Si sedette sul divano e invitò i suoi familiari a fare altrettanto. Il signor Dixon si appollaiò sulla poltrona, col sedere sulla punta, come se fosse pronto a scattare in piedi. La signora Dixon e Lydia si sedettero ai lati di Emily. Michael, che era momentaneamente sparito, tornò dalla cucina con in mano due sedie. “Per… Ehm, gli ospiti” disse educatamente.
Jacque si rialzò da terra e ringraziò il ragazzo. Eike si sedette senza ringraziare e Michael sparì di nuovo in cucina, per prendere evidentemente una terza sedia.
Quando tutti furono seduti, Emily trasse un respiro profondo. Eike fece vagare serenamente lo sguardo nella stanza. Erano disposti in una specie di cerchio deforme e le facce che vedeva erano scavate e segnate da forti sentimenti, sembravano chiedersi cosa ci facessero lì. Emily in particolare aveva proprio la faccia di chi stava per alzarsi e dire Ciao, sono Emily. Non bevo da tre mesi.
Ma la ragazza non si alzò e disse: “Ho conosciuto Jacque per caso e ho capito che non mi avrebbe fatto del male”.Guardò in giro nervosamente che reazioni avesse suscitato ma Eike non notò alcun cambiamento. Il signor Dixon pareva una pentola a pressione che stava per esplodere, e sarebbe esplosa se Emily avesse continuato a dire sempre le stesse cose.
L’umana si decise ad andare avanti: “Ho scoperto che i vampiri hanno un sistema politico. Il motivo per cui noi riuscivamo a vivere le nostre vite serenamente…”.
La signora Dixon emise un verso scettico.
Abbastanza serenamente”acconsentì Emily“è che fino a poco tempo fa il Presidente della loro Rappresentanza era membro di un partito di vampiri che cerca la pacifica convivenza con gli umani”.
La faccia del signor Dixon parve sgonfiarsi. “Convivenza?”emise, in un sibilo.
“Rappresentanza? Partito?” stava dicendo Lydia, incredula.
Eike notò che Jacque si stava guardando i piedi. Lo imitò, pensando che fosse decisamente più interessante. Ora ci sarebbero stati vari urletti increduli e scettici, poi domande, e spiegazioni, e ancora domande, e spiegazioni…
“Come-diavolo-sarebbe-possibile-la-convivenza-tra-vampiri-e-umani?!”digrignò il signor Dixon, lanciando loro una lunga occhiata sprezzante.
“Non lo so” ammise Emily, paziente “Sta di fatto che per loro uccidere è contro la legge”.
Un silenzio attonito accolse le ultime parole della ragazza.
“Contro la legge?”starnazzò la signora Dixon “La loro legge? E quella strage di capodanno, eh? Ve la ricordate? E quella strage che è avvenuta…”.
“Mamma, andiamo!”esclamò Michael “Se una cosa è contro la legge non vuol dire che non può avvenire! Quegli assassini li avranno messi in prigione, o li stanno cercando… Giusto?”. Guardò speranzoso i due vampiri ed Eike alzò un sopracciglio. Stava parlando proprio con loro?
“Oh, già” farfugliò la signora.
“E’molto difficile arrestare un vampiro” intervenne Jacque “Ma non si tratta di un nostro compito. Io ed Eike siamo troppo giovani perfino per votare”.
“Ma certo” continuò la signora Dixon, azzardando un’occhiata ad Eike “Quello è un bambino!”.
Eike le sorrise, amabile. “Ho novantadue anni, signora”.
Quella strabuzzò gli occhi, poi si mise una mano sul cuore. “Ha più anni di mia madre!”.
“Mamma” fece di nuovo Michael, alzando gli occhi al cielo “E’ un vampiro”.
“Certo, certo… Lo so…”.
Il signor Dixon aveva stretto gli occhi e con quelle due fessure squadrava chiunque parlasse. Eike lo trovava piuttosto inquietante.
“Emily” disse poi l’uomo “Hai detto fino a poco tempo fa…Fino a poco tempo fa c’era questo strano presidente… Questo vampiro buono…”.
“Sì, ci stavo arrivando” rispose la ragazza. Guardò Jacque ed Eike. “Non è più lui al potere…Cosa…Cosa gli è successo?”.
“Kaeso l’ha ucciso”rispose Eike.
“Ma come è possibile?” esclamò Emily “Lyuben era il vampiro più vecchio in assoluto, no? Chi potrà fermare ora Kaeso?”.
“Il vampiro più vecchio?” fece Michael, eccitato “Quanti anni aveva?”.
“E Kaeso? Quanti anni ha?” insisteva Emily.
“Ma chi se ne frega!” esplose il signor Dixon “Chi se ne frega di quanti anni ha… Chi è questo Keso?”.
“Più un vampiro è vecchio, più è forte” spiegò Emily, sbuffando piano.
Il padre sembrava piuttosto perplesso.
“Non lo so quanti anni ha” disse Jacque, scrollando le spalle“Parecchi, immagino. Il nome è latino, no?”.
Latino?!” fece di nuovo il signor Dixon, come folgorato.
“E questo Kaeso, dunque, è al potere?” chiese Lydia, concentrata.
Jacque ed Eike annuirono.
“E questo significa che…” iniziò la bionda, lasciando in sospeso la frase e guardando i due con aria interrogativa.
“Che siete nella merda” disse Eike, tranquillamente.
“Diciamo che le ultime stragi avvenute… Sono stati lui e i suoi amici, a compierle” si affrettò ad aggiungere Jacque.
Tutti gli umani presenti continuavano a guardarli come dei mongoli e ad Eike sfuggì un risolino.
“Le leggi sono cadute. Non c’è più controllo. Anarchia”provò a spiegare Jacque.
Ancora qualche attimo di silenzio, poi tutti scoppiarono a parlare insieme.
Eike faceva fatica a districare quel vespaio di parole agitate e confuse, e rinunciò subito. Jacque aveva alzato le mani, in un tentativo di placare la situazione.
Poi Lydia si alzò in piedi e si allontanò, col cellulare in mano ed Eike la sentì dire “Devo chiamare Sam”.Sparì oltre la porta da cui era venuta quando aveva preso il necessario per disinfettare la ferita di Emily.
Eike si voltò a guardare Jacque, ricordandosi di una cosa. Gli aveva detto che avrebbero cercato anche Claire.
“Jacque… Jacque!”lo chiamò.
Quello, ancora con le mani alzate, si girò verso di lui.
“Li abbiamo avvertiti, ora stiamo perdendo tempo. Andiamo da Claire”.
Il suo creatore parve sconcertato. Eike l’aveva capito che lui non aveva nessuna intenzione di separarsi da Emily.
Stupido Jacque, pensò, quando lo capirai che ti piace mille volte di più Acilia?
“Un momento” fece d’un tratto il signor Dixon “Per quale motivo questi due vampiri vorrebbero proteggerci? Perché hanno portato dell’argento proprio a te, Emily?”.
Prima che Emily potesse rispondere, Jacque disse: “Beh, non abbiamo molti amici umani, oltre ad Emily”.
Claire. Ci sarebbe anche Claire.
Eike guardò il suo creatore, un po’ arrabbiato. Claire aveva concesso loro il suo sangue e loro la ripagavano facendola morire? Invece Emily cos’aveva fatto? Si era solo intromessa tra Acilia e Jacque. Anzi, aveva mandato in pappa il cervello di lui.
“Amici” ripeté il signor Dixon, come se fosse una parola disgustosa “Amici…”.
Eike notò che Emily aveva accuratamente evitato di parlare del patto del sangue, del fatto che molti vampiri l’avessero vista, e la conoscessero. Erano lì per quello del resto, perché era in pericolo. O perché Jacque l’amava?
Eike li guardò di sbieco entrambi. Sembravano evitare di guardarsi in faccia.
E’ così, Jacque? Addirittura l’ami?
Ne era infastidito.
“E adesso che si fa?” domandò Michael.
La signora Dixon infilò bene i piedi nelle pantafole arancioni e si alzò in piedi, guardando torva il ragazzo. “Si va a letto, Michy. E’ già l’una e mezza, e domani hai scuola”.
Il ragazzo la guardò come se fosse impazzita. “Letto? Scuola? Mamma, hai capito quello che sta succedendo?”.
La madre fece un sospiro enorme e lui continuò, con tono saccente: “Come farei a dormire?”.
“Andate a dormire”disse Jacque “Resteremo a fare da guardia, per questa notte”.
Eike guardò il proprio creatore, stralunato.
Emily intervenne subito: “La guardia? Ma loro sono molto più forti di voi, non potete!”.
“Sì, Jacque, non possiamo” le diede man forte Eike, continuando a fissarlo con occhi sgranati.
“Solo per questa notte” insistette Jacque “Non credo capiterà nulla questa notte… Poi vediamo come evolverà la situazione”.
La signora Dixon lo stava guardando con una strana espressione. Sembrava qualcuno in procinto di vomitare. Eike immaginò fosse combattuta. Una parte di lei voleva ringraziarli, un’altra voleva solo andare a letto e dimenticare la loro presenza nella sua casa. Sì, doveva essere così, stava cercando di vomitare la parola grazie. Alla fine non ci riuscì e con uno sguardo quasi allucinato si allontanò verso le scale e con morbidi passi arancioni sparì.
Michael, con uno sbadiglio, si avvicinò ad Eike. Lo scrutò e dopo un po’ gli disse: “Mi fai vedere le zanne?”.
Eike lo accontentò subito, formando un ghigno con le labbra.
L’umano spalancò lo bocca. “Che for…”.
“Michael!” abbaiò il signor Dixon, evitando di guardare le zanne di Eike “A letto!”.
Il ragazzo sbuffò scuotendo la testa bruna, poi si allontanò con passo strascicato su per le scale, seguito dal signor Dixon che continuava a guardarsi indietro con sguardo circospetto. A un certo punto inciampò su uno scalino e si decidette a guardare in avanti. Poi sparì anche lui.
Emily si era alzata e si stava avvicinando a Jacque ed Eike, con uno sguardo carico di sensazioni. Aveva la bocca mezza aperta, come se dovesse dire qualcosa, ma non diceva niente. Assomigliava vagamente all’espressione che aveva sua madre quando pareva dover vomitare.
“Acilia e gli altri proveranno a fermarlo?” disse infine.
Jacque scrollò le spalle. Eike ne era convinto, ma preferì tacere.
Una porta sbatté e nel salotto comparve di nuovo Lydia, le lacrime che sgorgavano da due occhi marroni sgranati. Aveva una mano tra i capelli, che continuava a tirarli indietro, come se non sopportasse più la loro presenza sul suo viso. “Sam non mi risponde” annunciò “L’avrò chiamato una decina di volte! Non…”.
Emily le fu davanti e le mise le mani sulle spalle, cercando di calmarla.
“Lydia, tranquilla, Sam starà dormendo”.
“No!”protestò l’altra“oggi è giovedì. Il giovedì ha allenamento… E dopo l’allenamento mangiano sempre una pizza… E stanno fuori fino a tardi…”.
“Lydia”insistette Emily “L’allenamento può essere saltato. O magari era stanco ed è andato a casa. O magari…”.
Lydia scosse la testa, singhiozzando. “Ho bisogno di certezze, non di sentire tutte le eventualità”.
“Magari non ti risponde perché ti odia” se ne uscì Eike, squadrando la bionda che continuava a piangere senza alcun motivo fondato.
Emily, Lydia e anche Jacque lo guardarono con gli occhi spalancati.
Lui si strinse nelle spalle. “Ah, scusate. Era un’altra eventualità”.
La bionda si asciugò gli occhi. “Può essere che sia ancora arrabbiato… E che non mi voglia rispondere”rifletté.
Emily annuì vistosamente. “Certo”.
“Ma perché diavolo…Perché diavolo è ancora arrabbiato?!”.
Eike alzò gli occhi al cielo e si voltò, guardando da un’altra parte. Tra Emily e Jacque che giocavano a fare gli innamorati inconsapevoli e quella lì che piangeva perché uno stupido ragazzo non le rispondeva, si era ritrovato in una tempesta d’amore. Tutta per colpa di Kaeso che aveva deciso di buttare il mondo nel panico. Si sa che nel panico le storie d’amore fioccano o si aggiustano come per magia.
Si diresse fiaccamente verso il divano e ci si stravaccò sopra.
Dopo poco lo raggiunse anche Jacque, che si sedette accanto a lui sospirando.
“Sarà una lunga notte” disse, guardando le due ragazze che si abbracciavano.
Eike incrociò le braccia, un po’ alterato. “E’ stata una tua idea, capo”.


La tensione che era calata nella stanza era quasi palpabile.
Acilia strinse i pugni, appoggiati sulle sue cosce ricoperte dai jeans, e serrò le labbra, in attesa di una qualche reazione.
Il primo a dire qualcosa fu un vampiretto che aveva la faccia molto giovane. Dimostrava qualche anno in più di Eike.
Era a bocca aperta, poi esclamò: “Se l’hai creato tu, perché è così?”.
Certo, pensò Acilia amaramente, tutti hanno in mente Jacque, il perfetto vampiro buono che ho creato, il mio magnifico lavoro. Ricordò la paura che aveva quando aveva trasformato Jacque, la paura che tutt’ora aveva di lasciarlo andare.
Guardò il vampiro che aveva parlato, ed esitò prima di rispondere. Abbiamo tutti un passato, voleva rispondere. Ma non lo fece.
“Ci siamo persi di vista più di mille anni fa” disse semplicemente “Ciò che ha fatto dopo di allora, io non lo so”.
Ci fu ancora qualche minuto di silenzio attonito. Acilia evitava accuratamente di incrociare lo sguardo di Ramona, che era seduta proprio di fianco a lei. Teneva il volto fisso su Dubris, che fissava il pavimento. Avrebbe voluto che dicesse qualcosa anche lui.
Ma parlò Victoire. Aveva le sopracciglia alzate e la chiara espressione di qualcuno che è stato preso in giro. “Da quanto tempo eri diventata vampiro?”.
Acilia si sforzò di riflettere. “Non ricordo…”.Pensa, si diceva, pensa. Marcus era morto da parecchi anni, dopo la morte di lui, lei… Era sempre stata sola. Forse era questo che l’aveva fatta impazzire. “Meno di due secoli. Poco meno, credo”.
Victoire aveva ancora quell’espressione. E poi arrivò quella domanda. “Perché non ce l’hai mai detto?”.
Se l’era chiesto anche Acilia, tante volte. Non aveva trovato spiegazioni. Si vergognava di quello che aveva creato?
“Aci?”.
Aveva tentato lei stessa di dimenticarlo, e ce l’aveva quasi fatta. Dirlo ad alta voce sarebbe stato come ricominciare da capo.
“Aci! E’ il capo del PO da sette mesi! Perché non ce l’hai mai detto?”.
Acilia aprì la bocca. Neanche sapeva quello che avrebbe detto, ma forse sarebbe uscita la verità.
“Che differenza avrebbe fatto… Non sapevo dove trovarlo, e non mi avrebbe ascoltato: è totalmente fuori controllo, anche dal mio” disse.
Continuava a leggere una forma d’accusa nel volto di Victoire.
“E non l’avrei ucciso” continuò Acilia, sentendo qualcosa che si diramava, sotto la sua pelle“Non volevo ucciderlo…”.
In realtà aveva provato a parlargli, a Kaeso. Ma anche con lui, si sentiva sotto accusa.
Smettila. Credi di riuscire sempre a far fare agli altri quello che vuoi?
A volte ci pensava…Come dargli torto?
Al suo fianco qualcuno emise un verso che stava a metà tra uno sbuffo spazientito e un lamento esasperato.
Acilia si voltò finalmente per guardare Ramona.
Lei la guardava con un’espressione dura, che non aveva mai avuto. “Non lo vuoi uccidere? Tu non lo vuoi uccidere?”.
Acilia cercò di rimediare. “Ora la situazione è diversa…”.
“Non poteva non degenerare la situazione” la interruppe Ramona, severa. Trasse un respiro profondo, ma ciò non la calmò. I suoi occhi si fecero sempre più cattivi.“Neanche Lyuben lo sapeva?”.
Perché Lucius ha detto che la tua anima è sporca?
Acilia tentennò. Avrebbe potuto dirglielo, in quel momento… Cosa le costava? Forse l’avrebbe fatto, ma Lyuben non aveva insistito.
Ognuno ha i suoi segreti, Aci.
Non aveva insistito, perché ne aveva anche lui.
Ramona interpretò il suo silenzio correttamente e sbottò: “Lui si fidava di te!”.
Si alzò in piedi, tremante. Tutti i suoi ricci scuri, così ruffi e mosci da quando era morto Lyuben, parvero riprendere vita, per la rabbia.
Acilia voleva dire qualcosa, ma Dubris l’anticipò. Anche lui si era alzato dal divano e aveva raggiunto la sua creata con fare rassicurante.
“Ramona, calmati, ascolta…”.
“Sono calmissima”fece lei, evitando di guardarlo.
“Anche se Lyuben l’avesse saputo, non avrebbe potuto certo impedire quello che è successo”.
“No” rispose Ramona, sempre fissando un punto di una parete “Lei avrebbe potuto impedirlo”.
Dubris fece un sospiro. Poi disse: “Io avrei potuto impedirlo. Avevo Kaeso nel mirino della mia pistola, e non ho sparato. Se Lyuben non se la prenderebbe con me, non biasimerebbe neanche lei”.
Ramona socchiuse gli occhi. Sarebbe parso così naturale vedere delle lacrime scorrerle sulle guance. Poi finalmente si voltò a guardare il suo creatore, sgranando i suoi occhi scuri più che mai, deformandoli quasi. “Sono stanca di dire quello che Lyuben farebbe o non farebbe” disse, con la voce che vibrava “Lui non c’è più…E ci sono io! Io!”alzò la voce “E non voglio parlare con nessuno di voi due!”.
Anche Acilia si alzò ma Ramona, senza degnarla di uno sguardo, si diresse verso la porta di casa, guardando dritto davanti a sé. La ragazza fece per seguirla ma Dubris la fermò, tenendola per un braccio, ed entrambi la guardarono uscire, sbattendo forte la porta dietro di sé.
Ad Acilia dispiacque tantissimo. Il sentimento di colpa che provava era così umano, ancora lei era in grado di sentirlo. Mentre le parole che lei stessa aveva rivolto a Kaeso solo qualche mese prima le tamburellavano nelle orecchie così forte, anche se erano solo nella sua mente, come se qualcuno le stesse urlando.
Me la vuoi far pagare, non è vero?



Curtis, seduto al tavolo della cucina, giocherellava con la fede nuziale, che si metteva e toglieva in continuazione, ultimamente.
Karen era fuori a lavoro ma presto sarebbe tornata. Sapeva che lei in casa non voleva sentir parlare del lavoro di lui, quindi si voleva affrettare a sbrigare le sue faccende. Sospirò, mentre scorreva sul display della macchina fotografica vecchie foto, alcune di esse non erano mai state stampate. Mostravano solo vuoti paesaggi, o vuote stanze.
Non la capiva, Karen. Si sforzava di parlarne, lui voleva davverosalvare il loro matrimonio ma lei insisteva col dire sempre le stesse cose o peggio, si ostinava a restare muta. Non era sempre stato così. C’era stato un tempo in cui lei lo ammirava, tutto ciò che lui faceva accendeva la loro passione. Ma poi era venuto il matrimonio, la nascita dei gemelli, il suo rincasare così tardi. Karen, da contabile qual era, non lo comprendeva proprio. E se continuava così, era ovvio che prima o poi Curtis si sarebbe stufato. Era ovvio che guardasse altre donne, era istintivo, naturale che si sentisse attratto da quella ragazza, Emily.
Qualcosa di magnetico.
Curtis non si doveva far sopraffare. Sapeva qual era il suo posto, e sapeva anche che amava Karen, e che non si sarebbe cacciato ulteriormente nei guai, per Selwyin e Sally.
E’ quello che dice sempre lei…
Si infilò la fede nell’anulare, poi prese il cellulare e compose un numero. Aspettò pazientemente che qualcuno rispondesse poi disse: “Ho qualcosa in mano”.
Il suo interlocutore reagì stizzito ma Curtis lo ignorò. Sapeva di averci messo molto tempo. Aveva forse temporeggiato apposta?
Scambiò qualche altra informazione con l’uomo all’altro capo del telefono, poi chiuse la chiamata, proprio nel momento in cui sentì la porta di casa aprirsi.
Karen apparve nel salotto, in gonna e giacca e lo salutò in maniera distaccata.
“Preparo io la cena” disse Curtis “Poi esco”.
Karen fece un vago cenno d’assenso, irrigidendosi ulteriormente. Ormai neanche gli chiedeva più dove andasse. Sembrò esitare, poi prese il telecomando sul tavolo, vicino alla macchina fotografica di Curtis, e accese la televisione. Trovò un telegiornale e i suoi occhi scrutarono la telegiornalista che annunciava una serie di morti. Gli attacchi dei vampiri stavano aumentando a dismisura ed ella consigliava, come tutti, di rincasare sempre prima del tramonto e di non uscire mai prima dell’alba. Gli occhi scrutatori di Karen persero la loro freddezza, coma la neve che si scioglie.
Era la paura, che la muoveva, la faceva muovere a scatti, arrabbiata ma triste.
Curtis le si avvicinò, in un tentativo di abbraccio ma lei lo allontanò con un gesto della mano. Non lo guardava in faccia e il suo viso era contratto in una smorfia. Stava trattenendo le lacrime.“Non uscire questa sera, Curtis, per favore”.
Lui spalancò gli occhi. No, questo era impossibile. “Devo”.
“Per una sera… Per favore” insistette Karen, continuando a non guardarlo.
Curtis cercò di essere dolce. “Tu e i bambini sarete al sicuro, non vi accadrà niente”.
Karen si voltò finalmente a guardarlo, con occhi increduli. Scosse la testa, aprendo a metà la bocca, per dire qualcosa, ma qualunque cosa fosse le sfuggì via e lei girò i tacchi e uscì dal salotto.
Curtis strinse i pugni, sentendo la rabbia che saliva. Qualunque suo sforzo, la moglie lo mandava sempre in frantumi.
“Devo lavorare, lo capisci?!” sbottò.
Non ottenne risposta ed uscì dal salotto, desideroso di vedere i bambini. I loro visetti lo rasserenavano più di qualunque altra cosa, anche se a volte, paradossalmente, accadeva che gli mettessero ancora più angoscia.
Fece capolino con la testa sulla soglia della loro cameretta.
La testa castana di Sally era china sul suo tavolino, a disegnare con delle matite colorate. Selwyn era seduto sul pavimento, circondato da macchinine.
Quella era una di quelle volte che gli cresceva l’ansia. Curtis cercò di calmarsi. A volte si domandava se Karen sarebbe mai stata capace di lasciarlo e di portarsi via i figli. Non vederli più, era questa la più grande paura di Curtis. Non vederli più perché Karen gliel’avrebbe potuto impedire oppure per un altro motivo. La stessa cosa che temeva Karen, e la rendeva così scontrosa, e rabbiosa…
Non uscire questa sera.
Avevano tutti paura della stessa cosa, e allora perché non riuscivano a parlarsi?
Sally alzò la testa, accorgendosi del padre, e fece un risolino. Si alzò dalla piccola seggiola e corse verso di lui con un foglio in mano. Gli mostrò orgogliosa il suo disegno.
Curtis le sorrise e afferrò il foglio. C’erano due persone stilizzate. Quello che sembrava un ragazzino con un cespuglio marrone scuro sopra la testa teneva per mano una figura dai capelli lunghi e dritti, che aveva una riga per la bocca, e sotto di essa c’erano dei triangolini storti.
Curtis strabuzzò gli occhi. “Sally… Cosa… Cosa significa? Chi sono?”.
Sally fece un sorrisetto soddisfatto e il suo corpicino ondeggiò di contentezza. “Lui” disse, indicando il cespuglio marrone“è un ragazzo… E lei… è un vampiro!”.
Curtis si chinò e poggiò le ginocchia sul pavimento, per stare comodo.
“E perché si tengono per mano?”.
Sally fece spallucce, continuando a ondeggiare su stessa, con il pancino in fuori. “Se lo fanno… Sarebbe bello”.
Curtis sbatté più volte le palpebre. Non era sicuro di aver capito bene. Per un momento pensò che Sally avesse voluto suggerirgli qualcosa, ma poi lei tornò allegramente alla sua postazione da disegnatrice e lui si ricordò che la bambina aveva solo cinque anni. Cosa poteva capirne di quelle questioni?
Si accorse che Selwyin lo stava fissando e, inconsapevolmente, trasalì.
Il bambino non distolse lo sguardo. “Esci anche oggi, papà?”.
Curtis annuì.
Selwyin chinò lo sguardo e mosse una macchinina rossa.
“Ma torni?” fece la voce di Sally.
Sempre quella domanda…
Era Karen che li spaventava, con il suo sguardo fisso e triste che aveva ogni volta che lui usciva?
“Certo, Sally”disse Curtis, guardando con tenerezza i due bambini “Certo che torno”.
Uscì dalla camera, e qualcosa dentro di lui si fece di piombo, quasi fino a mozzargli il respiro.



Tante belle parole, tante belle parole aveva detto Marcus! Che ridere che facevano, le sue belle parole! C’è un modo per vivere anche per noi, oh sì, non siamo dei mostri. Tutte parole, un maestro di retorica era il vecchio Marcus. Mi ha impedito di buttarmi sotto il sole, me lo proibiva tutti i giorni. E io, perché mai gli ho obbedito? Perché mai ho obbedito a quel traditore della sua specie, traditore del suo sangue?

Kaeso aveva la bocca sporca di sangue e Acilia lo guardava con soddisfazione.
L’umana di cui si stavano nutrendo respirava ancora flebilmente e rivoli di sangue correvano giù per il suo petto nudo, tingendo la pelle bianca, arrivando all’ombelico, riempiendolo.
Acilia fece una smorfiosetta compiaciuta. “Comincia a piacerti, non è vero?”.
La vedeva nel volto di Kaeso, quell’eccitazione, quella frenesia, forse pazzia.
Ma lui a un certo punto discostò lo sguardo, tenendo ancora l’umana tra le sue braccia, appoggiata sulle sue ginocchia piegate.
“Acilia” mormorò“Non hai mai pensato che… Potremmo nutrirci di… sangue animale?”.
Aveva un’aria così triste, nei suoi occhi blu.
Le piacevano quegli occhi, le ricordavano il mare.

Marcus diceva che è impossibile nutrirsi di sangue animale. Non ci soddisfa, non è quello che cerchiamo. Se beviamo sangue animale, la nostra fame si accende ancora più fastidiosamente, e il desiderio diventa un’assatanata voglia di sangue. E’ andare contro la propria natura, diceva Marcus. La natura… Ma la nostra natura è quella di uccidere, Marcus, lo sai? Non ti stai contraddicendo? Non ti sei contraddetto sempre? La tua morte non è stata la più grande contraddizione del mondo?!

Acilia gli si avvicinò e leccò il sangue dalle sue labbra. Lo sentì irrigidirsi. Poggiò la mano sulla sua tunica, tra le gambe. Oh, sì, si era irrigidito.
Lo guardò, maliziosa.
“Lo sai che hai gli occhi del color del mare?”.
Kaeso evitava di guardarla.
“Fammeli vedere questi occhi” insistette lei, accarezzandogli il viso.
Lui cedette e la guardò. Era molto bello, sembrava una statua di un bianco perfetto.
“ll mare, Kaeso…”sussurrò lei, avvicinandosi sempre di più col corpo. Sfiorò il corpo dell’umana morente. La sentiva muoversi debolmente, grugnire qualcosa, soffrire così atrocemente…
Com’è divertente…
La ignorò mentre quella si aggrappava lievemente al suo braccio, invocando forse pietà. Fece passare una gamba dietro la schiena di Kaeso, sedendosi sopra di lei, che era sdraiata sopra di lui, che era seduto su un bianco materasso.
“La natura”continuò Acilia, parlando all’orecchio di lui“Non ti piacciono le bellezze della natura?”.
Kaeso non rispondeva e lei si avvinghiò al suo petto, buttandogli le braccia al collo, parlando più forte, eccitata e concitata:“La lotta, l’istinto di sopravvivenza, nutrirsi a spese di altri pervivere, e la morteNon è natura questa?”.
Gli passò le mani tra i capelli, glieli strinse e lei spinse il suo corpo in avanti, sentendolo accendersi. “L’arte è la riproduzione della natura… Noi siamo questo, siamo arte, Kaeso! Arte!”.
Con le labbra cercava quelle di lui.
“Non abbiamo altra via d’uscita, Kaeso, accettalo”.
Si incollò alla sua bocca, creando qualcosa che credeva perfetto. Lui esitò un momento, poi ricambiò il bacio e quello dopo un po’ si fece sempre più passionale, sempre più violento. Con le zanne le ­­morse il labbro e il sangue di lei andò a mescolarsi con quello dell’umana che lui aveva ancora sulla lingua. Il sapore del sangue, dell’amore, della perfezione…

Marcus, perché mi hai fatto credere ci fosse una via d’uscita? C’è solo sangue intorno a noi, ed è buono, ed è bello. E tu non l’avevi capito. Ti sei ucciso e mi hai dimostrato che eri solo una barzelletta. Ti ringrazio per avermi aperto gli occhi. Ti ho amato, lo sai? E ti ritroverò sempre, quando vorrò, nel sangue, il sangue che mi hai donato per farmi rinascere, lo sento ancora dentro di me, e ci sarà sempre. Bugiardo e falso. Amore mio, grazie per questa vita che mi hai donato!

Quando riemersero dal bacio, l’umana aveva cominciato a muoversi più forte. Aveva cominciato a dire qualcosa. Chiedeva aiuto.
Acilia si alzò e l’afferrò per le braccia. Senza dire nulla, la lanciò per terra e lei emise un debole grido. Ci fu un brutto rumore, forse la donna si era rotta qualcosa. C’era ancora più sangue.
Acilia si voltò e rise quando vide la stanza piena di sangue. Era una stanza bianca, tinta di rosso. L’umana si contorceva per terra, accanto ad altri dieci cadaveri. Erano tutti bianchi, tinti di rosso.
Si fermò davanti al materasso, dov’era seduto Kaeso, che aveva di nuovo il volto oscurato.
Lei si chinò su di lui, con un sorriso.
“Facciamolo, ti prego” bisbigliò, vogliosa “Facciamolo sopra al sangue”.
Lui si lasciò trascinare, in quella stanza bianca, tra le bianche vesti che furono tolte, e la loro bianca pelle, che divenne rossa.

Perché l’hai fatto, Marcus? Perché mi hai abbandonata?



Jacqueera uscito di casa in gran fretta, quella sera. Acilia gli aveva chiesto dove andava ma non aveva avuto risposta. Eike le aveva spiegato che sarebbero andati da Emily per la seconda notte consecutiva. Certo, aveva pensato Acilia con tristezza, Emily ha fatto il patto del sangue, Emily è in pericolo. Erano tutti in pericolo, ed era colpa sua.
Non lo vuoi uccidere? Tu non lo vuoi uccidere?
Non lo voleva ancora uccidere, Kaeso, dopo quello che aveva fatto a Lyuben?!
Eike aveva seguito Jacque con un’espressione scontenta. Lei doveva far qualcosa. Anche Jacque ed Eike ora erano in pericolo… Avrebbe sacrificato il mondo intero pur di non uccidere Kaeso?!
Pensò a quanto fosse innocente Jacque, a quanto fosse diverso da Kaeso, suo fratello…
No, non avrebbe permesso che il mondo pagasse per i suoi errori, che erano di lui, ma soprattutto di lei.
Si affrettò ad uscire di casa. Bisognava pensare a un piano, fare qualcosa, parlarne, guardarsi in faccia… Sarebbe andata da Dubris, e ci sarebbe rimasta finché non avessero pensato a qualche cosa.
Chiuse la porta e si avviò, camminando veloce, ma a passo d’uomo. Come al solito, sarebbe andata nel bosco.
Le sue scarpe pestavano con frenesia il cemento del marciapiede. Poi si fermarono. Acilia trattenne il fiato quando riconobbe una figura che sembrava aspettarla in fondo alla strada.
Si guardò intorno. C’era qualcosa che non andava, qualcosa di strano.
Curtis si avvicinò, con l’aria più seria che lei gli avesse mai visto.
“Emily” la salutò“Dove vai?”.
Curtis che aveva capito dove abitava, che l’aspettava nei luoghi in cui si faceva vedere più spesso, che le stava col fiato sul collo, che la chiamava, che la voleva vedere. Non era un maniaco.
Lei arretrò lentamente.
Da due macchine parcheggiate lì accanto uscirono degli uomini con delle armi.
Acilia forse l’aveva capito, quando Curtis aveva insistito così tanto per una maledetta foto.
Non era affatto un fotografo.
Gli uomini l’accerchiarono e anche Curtis le stava puntando una pistola addosso.
“Qual è il tuo vero nome, Emily?”.
Erano state solo tante, belle, parole, che per lei avevano avuto uno stupido effetto magnetico. Umani e vampiri, erano tutti deboli, pronti a farsi ammaliare, solo da delle parole.
Curtis aveva saputo interpretare bene la sua parte, molto più di lei.
E ora lei era in trappola.














Ben ritrovate! Boh, non saprei, in certi punti questo capitolo l'ho scritto di malavoglia.. spero vi sia piaciuto lo stesso! E non odiatemi Curtis :3
Che dire, ringrazio tutte voi ragazze che mi seguite e mi lasciate sempre bellissime recensioni ^^ Come vedete mi sono messa a rispondere in privato, è una cosa molto più pratica (una volta non c'era questa possibilità, quindi mi ero abituata a rispondere all'interno degli stessi capitoli). In particolare, grazie mille e complimenti a Red per aver recuperato alla velocità della luce ed essersi messa in pari! :DD

Non saprei bene dirvi quando pubblicherò di nuovo. Ora rallenterò un po' il ritmo perché ho sia lezioni da seguire sia esami da dare, poi mettiamoci anche la ginnastica per non diventare balene e un minimo di vita sociale.. E' un peccato, perché siamo agli ultimi capitoli, ma ce la faremo, ogni "scrittrice" come si deve lo trova il tempo per scrivere e vedrete che non ci metterò troppo u.u
Alla prossima ;)

ps: se vedete delle parole in corsivo attaccate a parole non in corsivo non fateci caso.. Ho provato a staccarle tutte ma magari me n'è sfuggita qualcuna.. Il simpatico Nvu me le attacca, per qualche misterioso motivo o_O
   
 
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