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Autore: Emerald Liz    08/02/2013    2 recensioni
“Non c’è nulla di strano in un gruppo di ragazzine che parlano tra loro. Proprio niente.” Cerco di rassicurarmi. “Dopotutto, sono in una scuola femminile.”
Come si comporterà Kakashi nelle vesti di supplente in un istituto femminile?
Genere: Commedia, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kakashi Hatake, Sakura Haruno, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Premessa: scusate tantissimo per il ritardo atroce con cui aggiorno, ma dire che non ho più avuto un secondo di tempo neanche per pensare a come continuare la storia sarebbe riduttivo. Comunque, d'ora in poi cercherò di aggiornare il più presto possibile, e sicuramente non lascerò la storia in sospeso, per cui buona lettura e a presto!
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Un raggio di sole che entrava dalla finestra mi colpì in pieno viso, svegliandomi impietosamente.
Mi rigirai, cercando di scivolare di nuovo nel sonno, ma inutilmente.
Socchiusi gli occhi, guardando verso la sveglia: erano le undici di mattina.
Mi tirai su a sedere, contemplando lo stato pietoso della mia camera: durante la notte le coperte erano finite quasi completamente sul pavimento, accanto ai vestiti che avevo indossato la sera prima e alla borsa che, dopo che l’avevo scagliata a terra, aveva riversato tutto il suo contenuto attraverso la stanza.
Tutta quella confusione mi fece tornare in mente, chiarissimo, il ricordo della serata precedente.
Sentii un nodo in gola, e dovetti trattenere di nuovo le lacrime.
Ma, oltre alla tristezza, cominciavo a sentire anche un altro sentimento, sempre più prepotente: la rabbia.
Come si era permesso Kakashi di andarsene e lasciarmi lì, da sola, a farmi prendere in giro dai ragazzini?
Il solo pensiero del ragazzo a cui avevo chiesto aiuto, con quello sguardo di commiserazione, mi faceva montare dentro una rabbia cieca.
Era troppo.
Senza pensare, presi in mano il telefono e composi il numero di Kakashi.
Ma, appena prima del primo squillo, riattaccai istintivamente.
Ero sicura di volerci parlare?
In realtà, no.
Non volevo rischiare di mettermi a piangere per telefono, o di dire cose di cui mi sarei potuta pentire in seguito.
Mi convinsi che, in quel momento, parlare con lui avrebbe fatto più danno che altro.
Per cui rimasi lì, seduta sul letto, a fissare il vuoto, con il cellulare in mano.
Da parte sua, nessuna chiamata, nessun messaggio.
Dovevo tenermi impegnata in qualche modo, non potevo continuare a pensare.
Mi alzai faticosamente, scendendo in cucina.
Mossa inutile: il solo pensiero di mangiare mi faceva venire la nausea.
Mi guardai intorno, disperatamente in cerca di qualcosa che assorbisse la mia attenzione, ma non potevo rimanere in casa, mi sentivo soffocare.
Mi infilai una tuta e uscii a correre.
Correvo velocissima, a testa bassa, quasi travolgendo le poche persone in giro a quell’ora, ma non mi importava, non rallentavo nemmeno.
Mi fermai solo parecchio tempo dopo, quando ormai ero arrivata quasi in aperta campagna.
Mi avvicinai al fiumiciattolo che scorreva tranquillo accanto a me, e mi sedetti, senza fiato.
Era una bellissima giornata di sole, e l’acqua del fiume risplendeva, mandando bagliori che illuminavano tutto intorno. L’erba era di un bellissimo verde primaverile, e stavano spuntando i primi fiori dopo l’inverno.
Di fronte a tutta quella bellezza, non ressi più: scoppiai a piangere disperatamente, abbracciandomi le ginocchia, quasi soffocando nei singhiozzi.
Quando credei di non avere più lacrime, mi stesi sull’erba, sotto al sole, e lì mi addormentai.
Mi svegliai diverse ore dopo, era già tardo pomeriggio.
Mi alzai in piedi indolenzita e con i vestiti bagnati di umidità, ma mi sentivo meglio: ero più calma e mi sembrava di aver ritrovato il controllo di me stessa.
Mi incamminai per tornare a casa, e intanto pensavo a come risolvere quella situazione; alla fine, decisi per la soluzione più ovvia, che era però anche la più difficile: avrei dovuto parlare con Kakashi di persona.
Decisi quindi di passare a casa sua.
Non mi preoccupai neanche di cambiarmi, temendo che un’esitazione avrebbe potuto farmi desistere.
Ero ormai arrivata davanti casa di Kakashi, e, piena di buone intenzioni, mi stampai in faccia il mio migliore sorriso, bussando alla porta.
Kakashi venne ad aprire sorridendo, senza neanche chiedere chi avesse bussato.
«Sakur… Ah! Sei tu, Tsunade!»
Kakashi arrossì.
I miei buoni propositi svanirono in un soffio.
“Sakura?!”
«Scusa, sono solo io, Kakashi.» risposi, col tono più glaciale che riuscii a trovare.
«Si. Scusa. Vieni, entra.» Kakashi era terribilmente imbarazzato.
«No, non c’è bisogno. Non voglio disturbarti, se aspetti visite.» replicai, sorridendo sarcastica.
«Non aspetto nessuno.»
«Non mi sembrava.»
«Senti, perché non entri?»
“Evidentemente è preoccupato di una scenata davanti ai vicini, poverino.”
La mia rabbia aumentava di secondo in secondo.
«Perché dovrei? Così appena mi distrarrò un attimo tu potrai scomparire con un’altra ragazza?» stavo quasi urlando.
«Ho dovuto farlo, Tsunade!» anche Kakashi stava perdendo la calma, ma non ero disposta a cedere di un passo.
«Certo! E hai dovuto staccare il telefono e non fare neanche una chiamata, non mandare neanche un messaggio, neanche per sentire se ero tornata a casa sana e salva oppure…»
«Tsunade! Smettila!»
Kakashi, sempre calmo e pacato, aveva alzato la voce per la prima volta da quando lo conoscevo.
Ammutolii di botto.
«Tsunade, mi dispiace molto per come mi sono comportato.» proseguì, con tono più dolce. «Ma non avevo scelta. Sakura…»
Basta, non ne potevo più.
«Sakura, Sakura! Sempre Sakura! Da quant’è che ti conosco non ha parlato d’altro! Perchè non hai chiesto a lei di uscire a cena, se ti interessa tanto?!»
Ormai non sapevo più neanche cosa stavo dicendo, urlavo e basta.
Mi sentivo di nuovo vicinissima alle lacrime, per cui decisi che era il momento giusto per andarmene: non avrei mai permesso a Kakashi di vedere quanto il suo comportamento mi aveva ferita.
Senza aspettare una risposta, girai i tacchi e me ne andai, lasciando Kakashi sulla soglia ad affrontare lo sguardo di disapprovazione di due vecchiette che passavano lì davanti in quel momento.
Sentii una di loro mormorare un “Brava, ragazza, bisogna fare così!” e mi sentii improvvisamente molto bene: ero accecata dalla rabbia, ma essere arrabbiata mi piaceva, mi faceva sentire forte, non uno straccio come mi ero sentita fino a poco prima.
E così, Sakura, eh?
Molto bene.
Giurai solennemente a me stessa che la mia alunna dai capelli rosa l’avrebbe pagata molto cara.
  
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