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Autore: Viki_chan    09/02/2013    1 recensioni
Anna-chan, vent'anni, fotografa.
Questa è l'identità che il caso, l'ansia e alcuni "lost in translation" mi hanno portato a creare.
Tutto quello che viene dopo è un insieme di (s)fortunati eventi poco chiari, totalmente involontari e piuttosto divertenti. Di mezzo, oltre a una grande confusione, ci siamo io, la mia vita prima e la mia vita dopo l'incontro con i Super Junior. E l'amore, in tutte le forme che vivere a contatto con questi ragazzi mi ha permesso di conoscere.
#1: La clandestina;
#2: Mister Park...;
#3: Il lavoro extra...;
#4: L'interprete Siwon...;
#5: L'ospite inaspettato...;
#6: Il messaggio in codice...;
#7: SUKIRA...;
#8: Le diversità...;
#9: L'incubo, la canzone e...;
#10: Fantasticherie romantiche, differenze linguistiche e..;
#11: Gli angeli, l'assenza e...;
#12: L'attesa, la voce metallica e...;
#13: Gli sguardi, la cena e...;
#14: Le modelle, il chiarimento e...;
#15: l'incontro con Park, il Tokyo Dome e...;
#16: Il compagno di shopping...;
#17: Non Anna-chan, l'appartamento e...;
#18: Le terrine vuote, le forme e...;
#19: La cena, la trasformazione e gli abbracci;
#20: La valigia, Incheon e la scatola di scarpe;
#Epilogo
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Una serie di (s)fortunati eventi



Evento #2

 

 

SM entertainment è una delle etichette discografiche più famose della Corea del Sud. Ha creato gruppi famosissimi, tra cui, neanche a dirlo, i Super Junior.
Il quartier generale dell'organizzazione è a Seoul, in un grattacelo di tot piani, altissimo.
Serissimo.
Impenetrabile.
La notte passata in dormiveglia non mi ha riposata un granché e non mi ha nemmeno permesso di trovare qualcosa di meglio da fare che bazzicare davanti alla sede di un colosso della musica coreana.
Mi sono vestita con il mio abito migliore, mi sono truccata e pettinata al meglio. Ho preso la metropolitana, mi sono persa più o meno venticinque volte, ma alla fine sono arrivata.
Con la valigia a seguito non riuscirò a far nulla ma, come dice Ayane-chan e come mi ripeto da tutto il giorno, non ho nulla da perdere.
L'ingresso della SM è formato da una porta girevole in vetro, che si attiva a vicinanza. Faccio un passo in avanti e si mette in movimento. Ho come l'idea di non uscirne viva.
Prendo un respiro profondo e entro. L'ambiente è come me lo aspettavo: una hall immensa, con un bancone bianco e due receptionist in tailleur; a destra, una decina di divani bianchi sistemati a ferro di cavallo, a mo' di sala d'attesa e, a sinistra del bancone, una fila di ascensori.
“Buongiorno.” dico in inglese avvicinandomi. Una delle due receptionist indossa delle cuffie e sta parlando al telefono. L'altra mi sorride.
“Cosa posso fare per lei?” chiede anche lei in inglese.
“Ho un appuntamento con il signor Park.”
La balla migliore che la notte mi aveva fatto pensare. Il nome Park è quello più diffuso in Corea. Per la legge dei grandi numeri deve esserci un maledetto Park in questo edificio.
“Ora lo chiamo e chiedo conferma.” dice la receptionist affabile.
Sono fregata.
Mentre indossa le cuffie, inizio a sudare freddo. Cerco di stare tranquilla e attendo.
Non capisco che cosa si stiano dicendo.
“E' italiana?”
“Sì.” rispondo confusa e sorpresa.
“Il signor Park dice che il suo ospite italiano dovrebbe già essere arrivato.” commenta lei.
“Sono solo un po' in ritardo, mi scuso.”
La donna riferisce, poi chiude la conversazione e si toglie le cuffie.
“Piano ventiquattresimo. Lo aspetti fuori dal suo ufficio, lui è ancora in riunione.”
Annuisco, mi avvicino all'ascensore e faccio per salire.
“Ha bisogno della sua valigia?” chiede la receptionist alzandosi dalla scrivania.
“No.”
“La lasci pure qui, allora.”
Mi avvicino, le lascio in consegna il mio trolley e entro nell'ascensore.
E mi prende il panico.
Inaspettatamente sono riuscita a superare il controllo, a entrare nell'edificio. Le pareti dell'ascensore, che lento e inesorabile sale i piani, sembrano restringersi intorno a me.
Prendo il cellulare dalla borsa, non c'è campo.
E anche se ci fosse non saprei chi chiamare.
Quest'ultimo pensiero mi da il colpo di grazia e, con il respiro sempre più affannato, inizio a piangere.
Calmati, mi dico.
Respira.
L'ascensore ha uno scossone, si ferma al ventiquattresimo piano e le porte si aprono.
Tiro su con il naso, esco e mi trovo in un corridoio bianco. Sui muri ci sono locandine di concerti e foto promozionali. Nonostante gli occhi appannati dalle lacrime, trovo una foto di Leeteuk.
Meraviglioso.
Mi fermo a guardarlo, la posa studiata e lo sguardo su di me.
Mi soffermo sulla sua espressione sognante, sulla fossetta appena accennata.
Sembra che mi stia guardando.
Cosa devo fare, Teuk?
Sono davvero dentro alla tana del lupo.
Un lupo meraviglioso, certo.
Tiro ancora su con il naso e proseguo nel corridoio. Alla fine trovo una sala d'aspetto, poltrone nere dall'aspetto comodo e ricercato.
E non solo.
“Ehi.”
"Lei.” dico.
L'uomo dell'aeroporto. I have nothing to declare, insomma. Seduto, in giacca e cravatta.
Lui.
“Che ci fai qui?”
“Io...” mi interrompo. “Lei lavora alla SM?”
“No, no. Sono qui perché sono il rappresentate di uno dei loro fornitori. Facciamo istallazioni luminose per alcuni delle scenografie dei loro video. Il Made in Italy va molto in Corea.” dice tranquillo. “Sei qui per vedere il signor Park anche tu?”
“No.”
Sono shoccata.
L'uomo mi guarda confuso, poi si volta verso il corridoio: siamo soli.
“Stai aspettando qualcuno?” chiede.
Parole come un fiume in piena. Non so come, ne perché, ma un istante dopo parto con la descrizione di tutto ciò che mi è successo dal nostro incontro all'aeroporto fino a questo momento. Gli spiego dell'intrattabile Sandro, della catapecchia in cui ho dormito, del visto scaduto, del bisogno di trovare un lavoro. Non sono mai stata una piagnona, eppure di tanto in tanto una lacrima mi riga il viso.
Mi sento perduta.
L'uomo annuisce appena, ascolta, poi scuote la testa.
Finisco di parlare e taccio.
“Vuoi un fazzoletto?”
“No, grazie. Ce l'ho qui in borsa.” rispondo con un mezzo sorriso lacrimoso.
E' inspiegabile come io riesca a incastrare così tante cose in così poco spazio. Alla fine, per trovare i fazzoletti, sono costretta a togliere dalla borsa il portafoglio, il beautycase di emergenza e la macchina fotografica che ho comprato a mia sorella per il compleanno, ma che non ho ancora avuto il tempo – e i soldi – per spedirle in Italia.
L'uomo aspetta che io mi riprenda, poi apre la bocca per parlare.
Troppo tardi: sentiamo il rumore dell'ascensore e qualche istante dopo un uomo ci raggiunge.
“Mister Park.” esclama l'uomo in un perfetto inglese, alzandosi.
“Scusi per il ritardo, Mister Freddi.”
Entrambi si fanno un profondo inchino. Il signor Park non è il tipico coreano: è molto alto e ha le spalle larghe, da sportivo. Anche i tratti somatici, salvo il tipico taglio degli occhi, sono molto occidentali.
“La ragazza è con lei?” chiede dopo aver scambiato alcuni convenevoli molto formali. Anche il suo inglese è impeccabile.
Il signor Freddi si volta verso di me un istante, come se si fosse appena ricordato della mia presenza.
“Sì, è Anna, la mia assistente.” risponde infine. “E' qui per...”
Silenzio.
Panico.
“Fotografare le scene.” dico cercando di salvare la faccia di entrambi. Mi alzo e gli mostro la macchina fotografica, poi mi inchino.
Il signor Park non reagisce a quel momento di imbarazzo e mi fa un inchino.
“Andiamo nel mio ufficio, la signorina può aspettarci qui fuori.”
Il signor Freddi annuisce, poi segue Park nel corridoio. Prima di entrare nella porta poco più avanti, mi lancia un ultimo guardo.
Ha fatto tutto quello che poteva.
Rimasta sola mi guardo intorno, ma non sono tranquilla. Ho come la sensazione che il signor Park abbia mangiato la foglia e stia mandando la sicurezza a prendermi.
I miei dubbi rimangono tali per tutto il tempo, ma non ho intenzione di andarmene con le mie gambe.
Finché avrò un poster dei Super Junior davanti e una poltrona comoda su cui stare seduta, questo posto sarà comunque meglio di tutto ciò che mi aspetta della gelata e sconosciuta Seoul.
Venti minuti dopo l'ingresso dei due uomini nell'ufficio del signor Park, sento l'ascensore aprirsi.
Ci siamo.
I secondi che mi separano dalla vista del nuovo arrivato sembrano non finire mai.
E' una donna in tailleur.
Mi passa accanto come se fossi invisibile e bussa alla porta dell'ufficio.
Non mi guarda, non si volta. Non fa tempo ad entrare che è di nuovo fuori, tacco dodici e profumo dolciastro a seguito. Veloce come è comparsa, scompare di nuovo.
Salva.
Alla fine, i due simpatici amici ci mettono un'ora e, quando escono, sono piuttosto soddisfatti entrambi.
“Hannah, vieni.”
Vorrei dire che non mi chiamo Anna o Hannah, ma non mi pare di potermi prendere una tale confidenza, al momento. Mi avvicino ai due uomini e mi sento come se stessi aspettando la sentenza di un processo.
“Hai detto di essere una fotografa, non è così?” chiede il signor Park con un mezzo sorriso.
“Sì.” mento.
“Una domanda: parli coreano?”
“Ad essere sincera, non molto.” dico. Appena dietro alle spalle del signor Park, il signor Freddi scuote la testa impercettibilmente. “Ad essere sincera sincera, non so fare una frase di senso compiuto.”
Perfect. E' tutto quello che mi serve sapere.

   
 
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