Film > Thor
Segui la storia  |       
Autore: Callie_Stephanides    09/02/2013    12 recensioni
[Thor/Loki] Sconvolto dalle parole di Frigga, Loki sceglie di abbandonare Asgard e, soprattutto, Thor: se restasse al suo fianco, infatti, il figlio di Odino non potrebbe mai essere felice. Tornato su Jotunheim solo per morire, tuttavia, l’erede rinnegato di re Laufey diventa il cuore di una nuova strategia di guerra. E di pace.
(...) “Symrer.”
“È bello. Ti si addice.”
Loki si puntellò sul gomito. “Come fai a dirlo?”
“Anch’io ho pensato a un fiore, quando ti ho toccato.”
Loki schiuse le labbra, ma non riuscì a rispondere.
“Chi te l’ha dato doveva amarti molto, per vederti come sei.” (...)
[ATTENZIONE: questa fanfiction s'inserisce nell'universo narrativo di Anemone. La comprensione degli eventi raccontati è dunque subordinata alla lettura della one-shot succitata e del sequel, But never doubt I love]
Genere: Angst, Guerra, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Loki, Nuovo personaggio, Sif, Thor, Un po' tutti
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Incest, Mpreg
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Fiorirà la neve'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

How did I become an adult? I’ll tell you, I never did learn.
I have to pretend.
― Ian McEwan, First Love, Last Rites

*


3. Una nuova vita

Da quando Symrer era entrato nella sua vita, Gríma aveva scoperto i colori.
Era rosso il calore della febbre, blu la tristezza della notte. Era bianca la solitudine e nero quello che chiamava ‘morbidezza’.
Symrer era quanto Leiptr non avrebbe mai potuto dargli: una voce nel buio.

“Pensavo che fossi un cucciolo.”
I giorni della febbre l’avevano lasciato debolissimo. Gríma sospettava a ragione che, se non l’avesse costretto a mangiare, non avrebbe comunque superato la stagione delle tormente. Rannicchiato nella pelliccia d’orso, Symrer dormiva per la maggior parte del tempo: eppure c’era e quell’evidenza suonava consolante.
“Non me ne stupisco; per la nostra razza sono un nano.”
Gríma gli offrì una ciotola di zuppa, ma la scodella pesava nel palmo senza che nessuno si decidesse ad alleggerirla.
“Non era quello che intendevo dire.”
Symrer gli sfiorò la mano, poi si ritrasse. “Lo so.”
“Sei un mezzosangue? Non ho mai toccato qualcuno che ti assomigliasse.”
“Sono un errore.”
Leiptr guaì da contrappunto.
“Mangia,” borbottò. “O non riuscirai più a rialzarti.”
Symrer sorrise – riusciva a sentirlo. “Per me non cambierebbe niente comunque.”
“Sei un vigliacco?”
“No, sono stanco.”
Gríma mangiò solo anche quella sera, in compagnia della notte e del suo bituminoso silenzio.

“Perché non mi hai lasciato morire?”
Glielo sussurrò nel buio, non appena si sdraiò al suo fianco.
Il corpo di Symrer svaniva tra le sue braccia. La sua bocca era appena tiepida.
“Perché c’è posto per tutti,” rispose con onestà.
“No, non per me.”
Gríma gli accarezzò i capelli.
Symrer non si ritrasse.
“Eppure non occupi molto spazio.”
Fu la prima volta in cui lo sentì ridere.
Avrebbe voluto che non smettesse più.

*


Loki sapeva di non poterlo chiamare ‘amore’, perché amore era Thor e Thor soltanto; perché l’amore poteva darti un nuovo nome, eppure cancellarti la vita.
Non guariva niente, l’amore, ma ti maciullava in mille pezzi. Era un seme velenoso e ingordo, che ti piantava le radici nel cuore. Quel che Gríma gli offriva, invece, era generoso e gentile; al pari di certe pallide gemme del Nord, tuttavia, possedeva una sua forza e una timida, inconfondibile bellezza.
Come Fenrir non poteva sostituire Frigga, ma gli aveva reso più accettabile la vita, così Gríma gli ricordò cosa significasse essere protetti, avere al fianco qualcuno per il quale eri il primo pensiero della giornata, non un inconveniente molesto.
Sebbene Jotun, Gríma non lo respingeva; forse perché era difettoso come lui, forse perché era quello l’ordito che le Norne avevano tessuto per Loki Laufeyson.
Thor Odinson era la creatura più bella dei Nove Regni: come aveva potuto anche solo pensare d’esserne il compagno?

La prima volta in cui Gríma lo abbracciò, era troppo debole per opporre resistenza. Se anche l’avesse violato, in fondo, non avrebbe sentito nulla, né gli sarebbe importato, perché un corpo era tutto quello che lo divideva dal niente, dunque non ne aveva per primo rispetto.
Gríma, tuttavia, si limitò a trarlo a sé e gli strofinò la schiena finché non prese sonno.
Nemmeno si accorse d’aver smesso di piangere.
Quando si svegliò l’indomani, lo Jotun era andato già a caccia, quasi avesse compreso che non avrebbe sopportato di guardarlo in faccia, persino se era cieco e – pareva – poco incline al giudizio. In compenso aveva lasciato di guardia Leiptr.
Devo andarmene, pensò, ma gli mancavano le forze persino per abbandonare il tiepido giaciglio. Il lupo piegò la grossa testa bianca da un lato, poi gli si sdraiò sopra senza chiedergli il permesso.
Tu non vai da nessuna parte, sembravano dire i suoi occhi di ghiaccio. Occhi che ricordavano il cielo di Jotunheim, come quelli di Thor brillavano azzurri al pari della volta e del mare di Asgard.

Poco alla volta, senza che arrivasse a rendersene conto, la vita riprese a soffiargli dentro. Era pallida, fredda e priva di profumo, ma era ancora vita.
Se Gríma riattizzava le braci, gli offriva da mangiare o dormiva al suo fianco, Loki non sentiva più l’urgenza di morire. Doveva solo… Abituarsi?
Era stato un bambino senza terra e senza madre: ora poteva essere un compagno senza cuore.

“Sono nato a nord,” gli confidò una sera, mentre l’altro Jotun cuciva insieme due pelli di volpe – un regalo a lui destinato, ma non lo sapeva ancora. “Oltre il fiume Ifing.”
Gríma sollevò il viso e i suoi occhi, come di consueto, lo trapassarono. “Non era in quei territori che stavano accampati gli Æsir, ai tempi della Grande Guerra?”
“Sì. Proprio quelli.”
“E come hai fatto a sopravvivere a quei mostri?”
Loki schiuse le labbra, ma non trovò niente da replicare.
“I vecchi dicono che sono bianco-larva e coperti di pelliccia come gli animali. È vero?”
“Io… Non so.”
“Non lo sai? Eppure li avrai visti, no?”
Ne amo uno alla follia, pensò, ma preferì inghiottire una verità che Gríma avrebbe inteso per bestemmia.
“Da lontano… Solo da lontano. Ed erano coperti di ferro, perciò…”
Lo Jotun annuì. “Se i tuoi padri ti hanno abbandonato e vivevi tanto prossimo al nemico, non mi stupisce che tu sia sopravvissuto persino alla fame e al freddo. Sei davvero come gli anemoni.”
“O un’erba velenosa.”
Gríma, per tutta risposta, sollevò le pelli e ne spazzolò con energia il verso conciato. “Ti piace?”
“Cosa?”
“Quando le tempeste si attenueranno, ti porto a caccia con me. Non è naturale che uno della nostra razza ami il caldo. Hai bisogno di ricordare chi sei.”
O di dimenticarlo.

*


Tra i crociati accampati lungo l’Oder, era noto come der Löwe des Löwen, il Leone del Leone; per gli slavi dell’Elba, era der Zerstörer, il Distruttore. Gli altri crociati – un pugno di mercenari che dalla Germania slava speravano di ricavare terre buone a trasformarli in valvassori gottosi – lo chiamavano der Stummteufel, il demonio muto, ed era quello, forse, il titolo che Thor Odinson preferiva, perché raccontava di un dio proprio il poco che gli era rimasto – la rabbia. La morte.

Aveva domandato udienza a Odino com’era stato in grado di abbandonare le Camere della Guarigione. Il Padre degli dei era rimasto ad ascoltarlo per meno di mezza clessidra, poi gli aveva indicato il Bifrost oltre la trifora.
“Gli ospiti non sono prigionieri, figlio: se Loki Laufeyson non desidera vivere tra noi, potrei forse imporglielo?”
“Me l’avrebbe detto! Invece è scomparso… Si è dissolto come…”
Odino l’aveva fissato con una condiscendenza che trasudava irritazione.
“Forse perché per primo non gliel’avresti permesso? Credi che sia tuo, ma la verità è che non esiste un mio in amore. Esistono cuori in prestito. Esistono scelte e non catene.”
Per tutta risposta, Thor gli aveva dato le spalle e aveva abbandonato furibondo una sala che minacciava di diventare non la promessa di un futuro di grandezza, ma il teatro delle sue più frustranti sconfitte.

Voi parlate di catene, quasi fossi un bambino crudele che si diverte a strappare le ali alle farfalle.
Voi non conoscete i suoi occhi. Non avreste mai avuto il coraggio di specchiarvi nel sangue per lavarne via la tristezza.

Si era presentato alle porte di Himinbjörg, perché almeno Heimdall gli mostrasse quanto la lingua di Loki aveva taciuto. Il custode dell’Arcobaleno, nondimeno, aveva scosso il capo. “C’è solo nebbia,” aveva detto. “È un incantesimo troppo potente persino per me.”

È un addio, allora?
Davvero non vuole che lo trovi?

Lo schianto violento di un tuono aveva spezzato il silenzio ottuso della sua incredulità ferita.
Dopo quanto avevano affrontato; dopo l’amore e quasi la morte, bastava tanto poco a dimenticare?
Forse a Loki: non certo a Thor Odinson.

Odino l’aveva mandato a chiamare al ventesimo giorno di piogge. “Ora basta,” aveva sibilato. “Dov’è il futuro re di Asgard? Io vedo piuttosto un bambino piagnucoloso!”
Thor aveva stretto i pugni e fissato il cielo.
L’infelicità somigliava a coperta bagnata e tu, come un povero cencio zuppo, potevi solo aspettare che smettesse di grandinare. Fuori e dentro di te.
“Non lo so, padre,” aveva risposto. “Vorrei dimenticare.”
Odino era rimasto in silenzio.
“Avete fatto di me il protettore di Midgard… Forse è lì che me ne andrò, almeno per un po’.”
“Scelta saggia, per uno che deve ancora imparare a usare il cervello,” era stato il laconico commento. “Ordinerò a Heimdall di aprirti il Bifrost.”

Dopo oltre un anno di guerra e fango e morte, tuttavia, gli bastavano appena un fuoco acceso e la lunga treccia di una puttana per ricordare la grotta in cui aveva scoperto il più bel fiore di Jotuhneim.

Symrer.
Loki.

“Non vuoi fare l’amore con me, bel soldato?”

La prese da dietro, per non guardarla in faccia.
Non la baciò nemmeno una volta.

4. Incontro al destino

“Sono tornato.”

Leiptr, uggiolante e bavoso, lo accolse con tanto impeto da rovesciarlo quasi a terra.
Gríma, invece, intento ad affilare il coltello su una grossa selce, si limitò a un grugnito.
Loki si ravviò i capelli, per liberarli dai minuti cristalli che la nevicata ancora in corso vi aveva deposto – gli arrivavano ormai di nuovo alle spalle, lucidi e belli come nei giorni della sua infanzia solitaria.

“Ho fatto qualcosa di sbagliato?”
Gríma sollevò il capo. “È buio da molto.”
“E tu come lo sai?”
“L’odore del vento è cambiato.”
Loki si accoccolò accanto al braciere. “D’accordo, hai ragione… La stella è tramontata senza che me ne rendessi conto, ma…”
“Stavo per uscire a cercarti.”
“Armato?”
“Armato.”
La voce di Gríma era priva di calore, eppure l’onda delle sue emozioni era così impetuosa che arrivava a percepirne appieno l’intensità – l’irritazione e la preoccupazione e il dispiacere e…
“Tu non conosci queste zone e, finché gela, nemmeno Leiptr potrebbe seguire con accuratezza le tue tracce. Se ti capitasse…”
Loki cercò la sua mano e la trattenne nella propria, esercitando sulla pelle fredda dello Jotun una pressione gentile. “Anche se non sono grosso come te, so cavarmela, te l’assicuro. Le tue dita vedono un cucciolo, ma io…”
Gríma, tuttavia, non cercò parole per smentirlo, perché, come Thor gli aveva insegnato, un bacio può essere il modo migliore per eludere un discorso penoso e chiuderti davvero la bocca.
Loki rimase immobile, irrigidito dalla sorpresa. Fuorché un dio d’oro e cielo, nessuno aveva mai avuto accesso al suo corpo, perché nessuno era riuscito a inoculargli un qualunque desiderio di appartenenza.
Aveva desiderato Thor prima ancora di averlo, invece: il momento in cui aveva scoperto d’esser stato accolto era stato il più intenso e dolce di un’intera vita.
Uno Jotun, però?
Tese le braccia e lo respinse, incredulo e pieno di rabbia, perché le sue labbra erano l’ultimo tempio del ricordo e ora un altro le aveva pretese.
“No.”
La sua voce risuonò secca e distante.
Gríma tentò di afferrarlo per i capelli ma Loki fu più rapido: senza guardarsi alle spalle, spalancò la porta della capanna e si consegnò all’ennesima notte di vento e neve.
“Aspetta!” urlò il cacciatore. “Non volevo…”
Loki si arrestò. “Ti devo molto, ma non chiedermi di amarti, perché non accadrà mai.”

Non ho più un cuore da regalare, nemmeno per gratitudine.


Dopo quella sera, l’atmosfera si raffreddò, eppure non gli dispiacque davvero.
Non aveva chiesto di essere salvato, tantomeno amato. Era vivo perché respirava e perché si abbandonava di nuovo al candore delle albe in caccia; la felicità, tuttavia, aveva colori che non poteva spiegare a un cieco.
Probabilmente nemmeno a se stesso.


“Se avevi un compagno, perché l’hai abbandonato?”

L’inconsistente primavera di Jotunheim era già alle porte, quando Gríma gli pose la scomoda domanda; non era una sorpresa – sapeva che quel momento sarebbe arrivato – ma Loki avvertì comunque una sgradevole puntura all’altezza del petto.

“Perché lo amavo.”
“Non mi pare che abbia molto senso.”
Loki trasse un profondo sospiro, gli occhi fissi alle braci sulle quali arrostiva un coscio di cervo. “Era un Áss. Ti basta come spiegazione?”
Lo Jotun sollevò il capo, sorpreso.
“Aspettavo un figlio suo.”
“E poi?”
Loki tagliò un boccone di carne e glielo porse. “L’ho perso.”
“È per questo che…”
“No. Tra il padre e il figlio, avrei comunque sempre scelto Thor.”
Gríma lasciò cadere in terra la carne. Leiptr, sospettoso, drizzò le orecchie.
“Sì, sto parlando di quel Thor.”
“Perciò tu sei…”
Loki raccolse il boccone e lo lanciò al lupo. “… Loki Laufeyson. Immagino che tu abbia sentito parlare di me.”
Gríma annuì.
“Quanti del tuo villaggio hanno preso parte alla caccia?”
“Non ho intenzione di venderti.”
Loki tornò a guardare il fuoco. “Capiterà comunque: quando nelle vene ti scorre sangue maledetto, non c’è speranza che tu possa essere felice.”
“Ne sei davvero sicuro?”
Loki raccolse le mani in grembo. Se non avesse dovuto affrontare Fáfner e consumare il Seiðr per contrastarne il veleno, il cucciolo avrebbe ormai avuto un paio di mesi. Che fosse bello come un Áss o ruvido e freddo come uno Jotun, l’avrebbe amato comunque: l’avrebbe amato per come non era stato né desiderato né protetto, quando era troppo giovane per arrendersi alla solitudine. Invece suo figlio era morto persino prima di somigliare a un’ipotesi di vita; si era aggiunto alla polvere e alle rovine di ogni altro sogno.
“Sì, ne sono sicuro,” rispose, prima di volgere le spalle al fuoco e abbandonare la capanna.
La fame gli era ormai passata del tutto.

*


Gríma non avrebbe mai voluto che quel giorno arrivasse, ma dalla notte in cui Loki gli aveva rivelato la propria identità, cominciò a temere che il principe esposto avesse ragione: il loro tempo insieme era ormai agli sgoccioli. Un giorno o l’altro, qualcuno degli Jötnar di Brant avrebbe cominciato a chiedersi come mai non si facesse più vedere al villaggio o acquistasse più sego del necessario.
Un giorno o l’altro, i vecchi l’avrebbero mandato a chiamare e gli avrebbero fiutato sulla pelle un odore estraneo.

Era un tradimento, il suo?
Potevano condannarlo per quella scelta?

Non voleva chiederselo, né domandare a Loki di andarsene altrove.
Sebbene lo Jotun fosse stato fin troppo eloquente nel segnare i confini della loro intimità, sperava ancora di poterlo conquistare. Erano creature millenarie, gli Jötnar, e Loki non aveva ottant’anni: un cucciolo, secondo i canoni della loro razza.
I cuccioli sono volubili, se impari ad assecondarne i capricci.
Tra la sua gente, d’altra parte, nessuno avrebbe giustificato una simile attrazione, perché il suo era un amore intriso di suggestioni che solo un cieco avrebbe compreso.
Loki aveva una voce particolarmente bella, ad esempio. Non era ruvida e rugginosa come quella degli Jötnar di Brant, ma possedeva la densità e la morbidezza del dorso dei lupi.
I suoi capelli erano piacevoli al tatto, come la pelle del viso; le labbra, più morbide e più calde di quelle di qualunque altro esemplare. Certo, era piccolo – troppo, perché potessi pensare a una prole sana – ma quell’esotismo, anziché respingerlo, lo incuriosiva.
I sentimenti di Loki, tuttavia, gli riuscivano incomprensibili: sapeva di essere cieco – dunque tutt’altro che un partito conveniente, secondo l’etica del loro popolo – ma era un abile cacciatore, autosufficiente e, soprattutto, lo accettava benché fosse un nano.
Pensava di meritare di meglio? Be’, era un ingenuo.

Leiptr, quasi avesse fiutato i suoi pensieri, gli allungò una lappata consolatoria.
Loki, avvolto in una pelle d’orso, riposava accanto al fuoco.
“Un giorno capirà che…”
Un colpo secco alla porta della capanna interruppe il mesto soliloquio.
“Che succede?” domandò Loki, la voce ancora arrochita dal sonno.
“Resta dove sei: vado a vedere,” disse.
“Gríma Benson: obbedisci agli anziani e apri la porta,” intimò una voce. “Sappiamo che non sei solo.”
Una pressione decisa sulla spalla richiamò la sua attenzione.

Loki.

“Lascia parlare me e tutto andrà bene.”

*


Disse d’aver usato il Seiðr per stregare il cacciatore, e difese Gríma da ogni accusa. Era solo uno storpio: come poteva un cieco opporsi a chi aveva tenuto testa ai cani sciolti di re Laufey?
Gli anziani di Brant bevvero ogni sua parola, poiché la menzogna ossequiava regole che la verità tradiva: Loki aveva già avuto modo di tesaurizzare l’esperienza e non era tipo da dimenticare una lezione, soprattutto se dolorosa. Come gli Æsir non arrivavano a concepire l’ipotesi che l’erede dei Nove Regni potesse amare uno Jotun, così gli Jötnar escludevano la possibilità che Loki Laufeyson suscitasse sentimenti diversi dal ribrezzo.
Ai loro occhi era un nano con sangue di døkkálfar: l’odio del re non aveva bisogno di altre giustificazioni.

“Perché sei tornato?” domandò uno Jotun decrepito, sul cui mento fiorivano escrescenze cornee.
“Gli Æsir avevano scoperto le mie trame e decretato una condanna capitale.”

Mentire era facile, persino riposante; potevi essere tutto: cane, eroe, traditore del sangue o salvatore di un’intera stirpe. Vestivi mille pelli diverse, fuorché quelle del misero te stesso.

“Quali inganni?”
“Ho tentato di avere un figlio da Thor Odinson, per impadronirmi di Asgard.”

Questo piacerebbe a mio padre, pensò. Scommetto che mi riconoscerebbe come sangue suo.

Gli occhi dell’anziano erano rosse braci ormai velate dall’età; pieghe cispose conferivano qualcosa di patetico a uno sguardo che, nelle intenzioni, doveva essere penetrante, o forse era solo Loki Laufeyson a cogliere l’involontario, comico grottesco di un simile consesso di mostri. Lo odiavano e lo temevano in eguale misura: era evidente.
Un pugno e gli avrebbero fracassato il cranio, ma nessuno osava toccarlo.
Come sempre, la mia fama mi precede.
Se avessero saputo che non ricorreva alla magia da mesi, al punto da credere di averla persa per sempre, gli avrebbero usato un altro trattamento?
Difficile dirlo.
“Sarai consegnato a re Laufey: Brant non protegge i nemici del trono.”
Loki sorrise e accennò un inchino. Il vecchio, per tutta risposta, sputò in terra e percosse il suolo con il bastone.
“Comandate, venerabile Padda,” grugnì un imponente Jotun dal cranio bitorzoluto. Loki, nondimeno, anticipò il decano.
“Non ho bisogno d’essere scortato: ricordo bene dove vive mio padre.”
“E dovremmo fidarci di te?”
Sollevò ironico un sopracciglio. “Sono pur sempre un principe: io non mento mai.”

Partì per la cinta di Útgarða l’indomani, senza un’ultima parola per Gríma e per Leiptr. Si era rassegnato a troppi addii, in una vita ancora breve, da non averne imparata la prima, forse unica legge: sapevano sempre di sale e non c’era menzogna che salvasse da quell’amarezza.
Proprio nessuna.

   
 
Leggi le 12 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Thor / Vai alla pagina dell'autore: Callie_Stephanides