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Autore: shotmedown    10/02/2013    2 recensioni
"Ho cercato in mille modi di fartelo capire, Pierre. Non ho mai avuto a che fare con uno più testardo di te, e, dannazione, non sono ancora riuscita a rinunciare alla tua stupida faccia. Neanche dopo quindici anni."
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Pierre Bouvier
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cinque amici e un paio di chitarre.'
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<< Scusa. >>
Non riuscivo a credere alle mie orecchie. Pierre Bouvier aveva davvero chiesto scusa alla sottoscritta? Per quanto ne sapessi, era la prima volta… In tutta la sua vita. La mia espressione doveva molto probabilmente tradire la mia intenzione di apparire calma, dato che sul volto di Pierre si dipinse una smorfia di disappunto. Probabilmente sapeva stessi valutando le sue parole e stessi cercando di ricordare quand’era stata l’ultima volta che le aveva pronunciate.
Be’, poco importava, perché in quel momento si stava avverando quello che avevo atteso per dieci lunghi anni. Ora, però, si poneva un altro problema: io non avevo mai pensato ad una probabile risposta. Sì, perché una cosa era immaginare, l’altra era vedere avverarsi tutto. Molto probabilmente lui si aspettava mi piombassi tra le sue braccia, cancellando in un nanosecondo tutto il male, tutto il dolore che avevo sopportato in quell’arco di tempo. Lui mi aveva ferita come mai nessuno aveva fatto, e ora se ne usciva con la scusa bella e buona del “non credevo di averti ignorata”. L’uomo più ottuso della Terra se ne sarebbe reso conto, dati i suoi comportamenti e quant’altro. Ma non lui.

Si sa, Pierre è fuori dal mondo.

Come spiegazione non reggeva affatto. Non poteva pretendere che io eliminassi tutto, in un momento. Avevo sempre avuto bisogno dei miei tempi, e quel caso non era da meno.
<< Pierre, io… Ci devo pensare. >> Affermai, recuperando un po’ di forza di volontà e capacità cerebrale per potergli rispondere a tono.
Dalla sua reazione compresi che proprio non si aspettava una reazione del genere da me. Non da colei che gli aveva sempre perdonato tutto, ma quello, quello che avevo passato, la continua ricerca di una risposta ad una domanda che neanche sapevo quale fosse, in che ambito fosse inserita, era molto più di un gioco. Non era una piccola bugia detta a fin di bene, non era un pezzo del mio dolce preferito rubato a pranzo, per il quale bastava un po’ di broncio per sistemare tutto.

Mi ci voleva tempo.

Per smaltire la rabbia accumulata in dieci anni, in cui non c’era stato.

Mi ci voleva spazio.

Per capire dove intendessi mettere lui e la sua nuova, umana personalità.

Mi ci voleva Pierre.

Per sistemare tutto.

Solo che in quel momento dovevo fare leva solo sulle mie capacità.
<< Immaginavo ti servisse tempo. Non sarò io a negartelo, non potrei. >> L’ombra di un sorriso spense quasi ogni mia più intima paura, ma non bastò ad alleviare il senso di colpa. La mia coscienza gridava forte di lasciar passare tutto, perché Pierre valeva tutti quegli anni spesi a pensare a cos’avessi fatto di sbagliato per perderlo. E io? Io che valevo? Dovevo pensare a me, e la sua improvvisa umiltà mi fece sperare che lui avrebbe aspettato. Perché a me, di aspettare, andava. Tutti quegli anni senza di lui, avrei resistito un altro po’.
<< Grazie. >> Dissi, e mi alzai, seguita da lui.
<< Solo una cosa, Hail. >> Mi voltai, trovandolo fermo, a pochi centimetri dal tronco. << So di non essere nella posizione giusta per dirlo, ma non farmi aspettare troppo. >>
<< Non ne sono mai stata in grado. >> Ammisi, distogliendo lo sguardo.
<< Lo so, ma ora è diverso. Non ti sto chiedendo di cancellare dieci anni in un momento, solo di pensarci davvero e non lasciare che passino mesi e mesi prima di darmi una risposta. Voglio tornare ad essere tuo amico, e voglio farlo nel modo migliore. Non eri l’unica a sentirsi utile, allora, quando mi davi man forte con i compiti, con la mia famiglia e, indirettamente, anche con la band. Mi sei mancata parecchio. Troppo, direi. >>
Mi trattenni a forza dal corrergli incontro e gettargli le braccia al collo. La mia forza di volontà era di gran lunga superiore all’istinto, in quel momento, e ne ero realmente felice. Perché nonostante il fatto che quelle parole fossero quello che aspettavo da quasi una vita, restava la questione della sicurezza.
Dovevo essere sicura che tornare indietro fosse la cosa giusta da fare. E dovevo parlare con Chuck, assolutamente.
<< Torniamo? >> Chiesi, e lo vidi annuire, per poi prendermi la mano e camminare verso le nostre famiglie. Non sapevo come interpretare quel suo gesto, perché poteva tanto trattarsi del solito teatrino quanto di un primo passo verso il perdono. Il mio cuore preferì di gran lunga la seconda, tanto che un sorriso enorme e smagliante mi caratterizzò per tutto il resto della giornata.
Quando tornammo a casa, mia madre chiese di parlarmi, ma non avevo tempo per farlo e mio padre iniziava a sospettare qualcosa. Così salii di sopra e cercai qualcosa da mettere per uscire con i ragazzi, dopo tanto tempo. Dovevo assolutamente rivedere Seb, era cambiato tanto. Con Chuck dovevo chiarire delle cose e poi intendevo approfondire la conoscenza con David e Jeff. Pierre non sapeva se si sarebbe presentato, aveva del lavoro da fare.
Mi chiesi a cosa si riferisse, ma era rimasto muto e capii che se avesse voluto, lo avrebbe detto da sé. Non era ancora il momento di pretendere tanto.
Feci una doccia veloce e indossai una canotta nera – che non ricordavo essere così scollata, e, d’altronde, m’ingrossava il seno – e un paio di shorts, anche se ero restia dal farlo, dato che a Montréal le escursioni termiche erano quel che erano. Ma saremmo stati in un locale, quindi la temperatura sarebbe stata accettabile.
Mi guardai allo specchio, converse comprese e non mi riconobbi. O meglio, rividi la Hailey di dieci anni prima, quella che di quel vestiario aveva fatto il proprio stile. Non c’erano abiti o tacchi riflessi, c’ero io. Io. Mi venne spontaneo sorridere e migliorare il mio umore istantaneamente. Presi una giacca dalla valigia e legai i capelli in una coda, prima di scendere di sotto e salutare i miei come da tanto tempo non facevo.
Promisi che non avrei fatto tardi e valutai se andare a piedi o prendere l’auto. Due passi non avrebbero potuto farmi male.
Mi incamminai per il sentiero che ero solita fare da ragazzina per andare a scuola, e passai di fronte casa Bouvier, salvo poi oltrepassarla e arrivare alla fine della strada. Continuai fino ad arrivare in centro, dove già una piccola folla di persone iniziava a riempire le strade. Chiamai Chuck e gli chiesi il nome del locale, non avendolo fatto prima, e mi sorpresi quando mi disse il St. Hubert. Avrei rivisto quel ristorante dopo una vita! Dio, speravo davvero di vedere ancora Jean, l’omonimo di mio padre, e di poter dire ancora “il solito”, prima di essere servita con un piatto di petto di pollo grigliato.
Quando entrai nel ristorante, respirai aria di casa. Mi era mancato tantissimo, e il tavolo dove ero solita sedermi era ancora lì. Non aveva spostato nulla, non aveva modernizzato gli interni, né tantomeno gli esterni. Era tutto come lo ricordavo.
<< Buonasera signorina, è sola? >> Un uomo brizzolato, con folti baffi fianchi, mi accolse. Ci misi un po’ a riconoscerlo, dati i profondi cambiamenti fisiologici. Ero stata così impegnata coi miei quando tornavo a Montréal che era dalla mia partenza che non mangiavo da Jean.
<< Sono io, Jean. Hailey! >> Inarcò un sopracciglio, calandolo poi mano mano e assumendo un’espressione meravigliata.
<< Mio Dio! Sei cresciuta tantissimo, piccola! >> Lo abbracciai, sentendo ancora il classico odore di muschio  e dopobarba. Avevo sempre detto che sapeva di nonno e da quando i miei erano andati via, Jean era davvero rimasto l’unico anziano della mia “famiglia”.
<< Solo qualche centimetro. Come la tua barba, dopotutto. >> Lo seguii al bancone, mettendomi a sedere su uno degli sgabelli. Servì in fretta un cliente che chiedeva il conto e tornò da me, raggiante. C’erano della rughette intorno agli occhi che lo rendevano ancora più nonnoso, come mi piaceva definirlo.
<< Gli anni passano, Hail. Anche per Jean, sebbene io rimanga l’uomo affascinante di un tempo. >>
<< Che modesto. >> Ironizzai, ridendo. << Mi sei mancato tantissimo. >>
<< Anche tu, piccolina. Dieci anni che non ti vedo, non sei più tornata? >> Stavo per rispondere, quando venni interrotta da una voce familiare.
<< La piccolina veniva rapita puntualmente da sua madre. Altrimenti sarebbe venuta a mangiare qui una vita fa. >>
<< Seb! >> Mi avventai su di lui senza pensarci su due volte e lo strinsi forte, cercando di farmi perdonare anche la poco decorosa uscita di scena l’ultima volta, dopo il concerto di Vancouver. Non avevo avuto modo di parlarci, ed era l’unica cosa di cui mi ero sinceramente pentita quel giorno.
Sembrava stesse soffocando, così decisi di lasciarlo andare. Entrambi avevamo indossato un’espressione a metà strada tra la gioia e la meraviglia: non l’avevo guardato poi così bene l’ultima volta, incentrata com’ero a osservare i cambiamenti fisici di Pierre. Aveva sì tinto i capelli, ma gli erano anche cresciuti, e poi ora, a differenza dell’ultima volta, indossava colori più chiari, ma sempre rimanendo sullo stile che caratterizzava tutta la band. Gli occhi erano come illuminati e sembravano ancora più azzurri.
Poco dopo fece il suo ingresso anche Chuck, mentre io e Seb eravamo impegnati a chiacchierare con Jean.
Strinsi anche lui, incurante del fatto che, in primo luogo, era quello che avevo visto di più durante quei due giorni, e in secondo luogo, avevo completamente rimosso la questione Pierre.
Pensai subito a David e Jeff, che arrivarono un istante prima che prendessimo posto. David era inquietante, in certi momenti. Il problema era che, a primo acchito, sembrava strano data la sua tendenza a mettere quel filo di matita che gli rendeva gli occhi ancor più scuri di quanto in realtà non fossero, in contrasto coi capelli biondi, evidentemente tinti. Poi apriva bocca, e tutto passava in secondo piano, perché era divertente, simpatico, ed eccentrico.
Jeff era tutt’altro che un uomo serio. Aveva venticinque anni, coraggio da vendere. Scoprii che era di ritorno dall’ospedale dove suo padre era stato ricoverato. Mi mostrai dispiaciuta per lui, ma mi disse di non preoccuparmi, perché tutto si sarebbe risolto.
<< Sai che a Dave piace urinare nella doccia? >> Quasi non sputai tutta l’aranciata al suono di quell’affermazione assurda. David fulminò Chuck con lo sguardo, e fui pronta a giurare che era pronto a vendicarsi.
<< Non c’è granché da dire su Chuck, a meno che tu non intenda sentire un elogio di me stesso. >>
Inarcai un sopracciglio, dubbiosa. << Sei la sua vita? >> Chiesi, infine.
Annuì con decisione, chiudendo gli occhi e sorseggiando la sua birra. Mi trattenni dal ridere, non ancora certa di come prendere una persona come lui.
<< Dicci un po’, Hailey. Cosa fai a Vancouver? >> Domandò Jeff, sporgendosi sul tavolo. Mi avvicinai anch’io, essendosi affollato il locale. Non si sentiva granché.
<< Lavoro come insegnante in una scuola media. >> Quasi gridai, per farmi capire meglio. << Insegno letteratura inglese ed italiana. >>
<< Dev’essere interessante. E dì, ce l’hai un ragazzo? >>
<< Jeff, sei impegnato! >> Lo riprese Seb. Risi, appoggiandomi nuovamente allo schienale.
<< Sì, Jeff. Sono fidanzata. Si chiama Christian. >> Affermai, ricordandomi improvvisamente che avrei dovuto chiamarlo. Era da quando mi ero messa in viaggio che non lo sentivo, anche se neanche lui accennava a farsi vivo. Capivo fosse impegnato col lavoro, ma esisteva anche la sottoscritta. E si dava il caso fossi la sua fidanzata, non toccava sempre a me ricordargli che fossimo una coppia. A meno che non servisse un post-it da appendere sulla testiera del suo letto.
Sbuffai, afferrando il cellulare e controllandolo: nulla. Possibile che dovessi sempre fare io il primo passo?
Ecco, per l’appunto. Questa volta sarebbe stato diverso. Se avesse voluto, avrebbe dovuto appurarsi delle mie condizioni, o si sarebbe scordato tutto per un bel po’. Giusto il tempo di fargli mettere la testa a posto.
<< Parlate del moscio? >> Mi ridestai, mentre nella mia mente ancora prendevo a parole il per nulla povero Christian Walker.
Pierre.
Ma non aveva un impegno?
Si mise a sedere accanto a me, sorridendomi. Ricambiai, e subito lo sguardo dei suoi amici si spostò su di me. Ero pronta a giurare che le loro mascelle avrebbero toccato terra se fosse stato possibile.
<< Non chiamarlo così. >> Lo rimproverai, ridendo. Nonostante tutto, non era per niente cambiato.
<< Mi viene spontaneo, scusa. E’ che ho sempre trovato, nei tuoi precedenti ragazzi, tutti i motivi per cui non dovresti stare con loro. Il moscio è potente, ma credo solo a livello monetario. >>
<< Pierre, non… >>
<< Avete fatto pace? >> Mi interruppe Sebastien, congiungendo i due indici, mimando un riavvicinamento. Abbassai lo sguardo, e fu Pierre a rispondere per me.
<< Ci stiamo lavorando. Work in progress, Sebbi. >>

Sebbi?

L’ultima volta che li avevo visti insieme si chiamavano quasi per cognome, anche se erano sembrati amiconi già dal primo istante.
<< Quindi c’è la remota possibilità che Hailey possa diventare la nostra groupie? Ho molte voglie, sai… Sono un tipo strano e… >> David aveva preso a parlare a ruota libera, lasciandomi a bocca aperta per la strada che aveva intrapreso il suo discorso insensato.
Non avrei mai soddisfatto le loro voglie sessuali, e il sentirne parlare mi stava facendo venire la pelle d’oca. Perché avevano tutti la faccia da classico fratellone strampalato e scazzato.
<< Dave, zitto. Hailey è territorio proibito. >> Intervenne Chuck, e non potei fare a meno di ringraziarlo e sospirare. David sembrava fare davvero sul serio, data l’espressione per nulla ironica che aveva assunto.
<< Ma poi, Dave, io? Sei una rockstar, puoi avere chi vuoi. >> Sdrammatizzai, ridendo.
<< Dio mio… >> Pierre roteò gli occhi, guardandomi. << Quante volte ti avrò detto che non devi disprezzare il tuo corpo? >>
<< Un migliaio, credo. >> Feci mente locale, e pensai che forse un migliaio era un eufemismo.
<< Hey, sei sexy Hail. >> Arrossii seduta stante, imbarazzata per quel complimento di David. Seb rise, osservando il mio volto e annuendo. Mi ero cacciata in un pasticcio ancor più grande, pur volendo semplicemente scherzare. Decisi di cambiare totalmente argomento, cercando di scoprire qualcosa in più sull’origine della band.
Fu interessante scoprire come David avesse un po’ tentennato prima di decidersi ad entrare a far parte dei Simple Plan, che avevano preso quel nome in virtù di un film che avevano visto. Fui ben felice di ascoltare alcuni aneddoti interessanti, alcuni riguardanti la sfera privata, altri pubbliche umiliazioni.
Intercorreva, tra i fan, l’idea che Pierre e Dave dovessero stare insieme. Li guardai meglio entrambi e poi scoppiai a ridere, tenendomi lo stomaco per il dolore. Ce li avrei visti proprio all’altare, ma tra i due non sapevo dire chi avrebbe interpretato la donna. Ce lo vedevo proprio Pierre in abito bianco…
Immediatamente, all’immagine che mi stavo figurando nella mia mente, al volto di David sposo si sostituì il suo e a quello della sposa il mio. Rimasi allibita per le mie stesse fantasie.
Stavo realmente immaginando me e Pierre all’altare? Stavo impazzendo, influenzata dal cliché del matrimonio tra migliori amici. Ma la cosa più sconvolgente era stata la mia reazione al suo quasi bacio alla moglie. Mi ero vista felice, mentre ora… Confusione. Avevo bisogno assolutamente di pensare, perché a quel punto rischiavo seriamente di impazzire. Ordinai un alcolico forte, per liberare la mente, ed evitai di rivolgere il mio sguardo nella sua direzione.
 
Neanche toccai quello che doveva essere il mio piatto preferito, fingendo di ridere a battute che neanche sentivo.
Senza rendermene conto, svuotai quattro bicchieri di mojito, e iniziai a sentirmi alquanto alticcia. Jean non poteva credere alle sue orecchie quando avevo ordinato il terzo e giurai di aver visto un’espressione preoccupata sul volto di Pierre. Mi appoggiai allo schienale della sedia, sospirando.
<< Hailey? Tutto bene? >> Da quanto in qua Chuck era bicefalo? Allungai una mano verso di lui, ma prima che potessi toccare uno dei due volti, questa cadde nel vuoto. Era inconsistente.
<< Yo, baby. >> Affermai, scuotendo il capo al ritmo di una canzone che neanche c’era. Ma che diavolo, un po’ di musica no? << Andate a rappare come solo voi sapete fare! Uh, ho fatto la rima. Sono una brava freestyler, eh?>> Incitai i ragazzi. Perché facevano quelle smorfie? Sembrava volessero ridere, ma era come se si trattenessero.
<< Noi non rappiamo. >> La voce di Jeff era ovattata, e la sua testa davvero lucida. Sembrava quasi una sfera di cristallo. Gli chiesi di leggermi il futuro, ma non capì, interpretando la mia richiesta come qualcosa di assurdo. Chissà se nel mio domani c’era anche Pierre. Mi voltai verso di lui, che non sorrideva come gli altri. Perché era così serio?
D’un tratto si alzò ed annunciò ai ragazzi che mi avrebbe accompagnata a casa. Nonostante le chiassose lamentele, che avevano attirato numerosi sguardi, compreso quello di mio nonno.
Non è mio nonno, è Jean. Bello, Jean. Guarda quei baffi.
Quando fummo all’aria fresca, sentii freddo. Mi avvinghiai a Pierre, chiedendogli di scaldarmi, ma tutto quello che fece fu porgermi la sua giacca. Quando me la posò sulle spalle inspirai a fondo il suo profumo, mormorando qualcosa che non compresi neanche io.
Giungemmo a casa mia in cinque minuti, ma non ne volli sapere di scendere dalla sua auto. Ad un tratto mi tornarono alla mente le fantasie di poco prima e sorrisi come un’ebete e sentii un fuoco divampare nel basso ventre. Era l’alcol, certamente.
<< Che hai ora? >> Chiese.
<< Vuoi baciarmi, Pierre? >>

COSA? Cristo, Hailey, riprenditi!

Coscienza fastidiosa! La zittii e tornai a guardare Pierre: quasi bicefalo anche lui. Quattro occhi sbarrati incrociavano i miei.
<< Vieni, ti porto a letto. >> Lo fermai con un braccio e lo strinsi forte. Chiuse di nuovo la portiera, prendendo a guardarmi curioso. A quel punto mi concessi un po’ di curiositas, resa audace e sconsiderata dall’amico Mojito. Lo ringraziai e lo maledissi al tempo stesso, quando mi avvicinai a Pierre, che non accennava a distogliere gli occhi dalle mie labbra.
<< Io ti piaccio, Pierruccio? >>

Pierruccio?

<< Hailey, dai, sce… >> Mi avventai sulle sue labbra, quasi ne avessi necessità da una vita.
Cosa stavo facendo?
Le sue mani, prima rimaste a penzoloni, risalirono la mia schiena, prima di fermarsi sulle mie spalle per allontanarmi. Lo sentivo rigido, teso. Lo guardai intensamente, prima di accoglierlo di nuovo, lasciando alla sua lingua libero accesso alla mia bocca. Infilai le mie dita tra i suoi capelli per spingere il suo volto verso il mio e mi feci spazio per riuscire a salirgli sulle gambe. Il volante fu un ostacolo che aggirai velocemente, e in breve sentii i palmi di Pierre premere sui miei fianchi e spingere il mio bacino verso il suo, mentre le sue labbra continuavano a torturare le mie.
Sapevo che era sbagliato, l’alcol di certo non mi aveva reso meno stupida e quel bacio, anziché destabilizzarmi, mi stava scindendo. Una parte di me desiderava Pierre, lo desiderava ardentemente e l’eccitazione che sentivo crescere nel cuore e nel basso ventre ne erano la prova; l’altra mi chiedeva di smettere, perché avrei complicato tutto, proprio ora che eravamo arrivati ad un punto importante. E poi c’era Christian.

Stavo tradendo Christian.

Quel pensiero fu smorzato dal gemito che mi provocò il sentire il respiro di Pierre sul mio collo.
Era vorace, era ardente. Pierre era passionale.
E, nonostante tutto, tra le sue braccia e sulle sue labbra stavo più che bene.






TADAAAAA!
Salve a tutte, ragazze u.u
Piaciuto il colpo di scena? Ahahahahah
In realtà non era previsto, ma, diamine! Una piccola scossa ci voleva (come se non fosse bastata la prostrazione di Pierruccio).
No, è orribile chiamarlo così, ma non ho proprio resistito! Mi serve un soprannome per il nostro amato, poi capirete perché u.u
VIA CON  I SUGGERIMENTI!



 
  
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