The Little Mermaid.
Parte
5.
È
seduto sul divano di casa, adesso, i vestiti ancora macchiati del
sangue del
ragazzo per cui è rimasto sveglio tutta la notte, gli occhi
serrati, le mani
strette in grembo l'una nell'altra, le labbra chiuse e le urla di suo
padre
nelle orecchie; non capisce cosa gli stia dicendo, non gli interessa,
non vuole
vederlo né sentirlo: se n'era andato, era riuscito a
fuggire, perché è di nuovo
nel salotto della casa dove è cresciuto? Com'è
possibile che la sua libertà sia
durata solo una notte?
Un
dolore improvviso alla guancia lo costringe a sollevare le palpebre, le
labbra
che si socchiudono per un'esclamazione di stupore, le iridi azzurre che
incontrano quelle furenti di suo padre.
– Cosa
ti passava per la testa? – grida l'uomo, la mano che l'ha
schiaffeggiato ancora
sollevata; Louis non l'ha mai visto così furioso, nemmeno
quando l'ha scoperto
a baciare Niall in camera sua, quasi due anni e mezzo prima.
– Potevano
riconoscerti! A cosa diavolo stavi pensando, eh? Tu e quegli schifosi
froci dei
tuoi amici! Ti avevo avvertito, ti avevo detto di smetterla con le tue
porcate
da deviato e tu, tu cos'hai fatto? Hai continuato alle mie spalle, per
tutto
questo tempo!
Louis
ha paura di suo padre, ne è terrorizzato, e non solo in quel
momento ma sempre,
da tutta la vita; per questo rimane in silenzio, anche se fa male, fa
male
sentire quell'uomo orribile insultare lui e i suoi amici senza sapere
nulla,
senza capire nulla, e chiude ancora gli occhi per trattenere le
lacrime. È
stupido forse, ma non può impedire ai suoi pensieri di
tornare subito a Harry,
il ragazzo che ha conosciuto solo poche ore prima, che adesso
è all'ospedale,
forse sveglio o forse ancora addormentato, e che vuole rivedere: vuole
rivedere
il suo viso, senza lividi e sangue e ferite, i suoi enormi occhi verdi,
il suo
sorriso a metà tra il timido e lo sfacciato; vuole di nuovo
infilare le dita
tra i suoi ricci, baciarlo, perdersi ancora nella sensazione del suo
corpo
solido schiacciato contro il proprio, sentirsi al sicuro tra le sue
braccia
senza nessuna ragione logica; vuole finire ciò che hanno
cominciato, vuole
tutto di lui con un'intensità nuova, mai sperimentata prima
di quel momento.
– Papà?
Louis?
Ha
gli occhi ancora chiusi, quando la voce di una delle gemelle gli arriva
alle
orecchie, camuffata dall'enorme orso di peluche con cui dorme la notte,
ma li
riapre all'istante, voltandosi verso di lei con un sorriso forzato
sulle
labbra; non guarda verso suo padre, non ha la forza di farlo e ha paura
che
l'arrivo della sua sorellina possa peggiorare le cose. Prende una delle
copertine di pile piegate sulla penisola del divano, aprendola e
stendendosela
addosso per coprire il sangue di Harry che gli sporca i vestiti, e fa
cenno
alla bambina di avvicinarsi. Daisy ha gli occhi sgranati, sembrano
giganteschi
sul suo visetto infantile, ma non ci pensa un attimo prima di correre
tra le
braccia del fratello e accoccolarsi su di lui, il pollice destro in
bocca e il
braccio sinistro che stringe forte il pupazzo.
– È
successo qualcosa? – chiede, le parole storpiate dal dito in
bocca, guardando
dritto negli occhi di Louis e sfregando il volto contro il suo petto;
le labbra
del ragazzo si piegano istintivamente in un sorriso intenerito, sincero
questa
volta, e posa un bacio sulla fronte della bambina scuotendo il capo.
– Nulla,
piccola, papà ed io stavamo solo discutendo di una cosa,
– le risponde,
guardando per la prima volta verso il genitore e trovandosi i suoi
occhi
addosso, un misto di rabbia e disgusto nei suoi confronti e d'affetto
per la
bambina; è un'altra pugnalata, un altro dolore, ma lo ignora
come ha ormai
imparato a fare e si alza in piedi con la sorellina ancora stretta tra
le
braccia. – Ti porto a letto, va bene? È domenica e
sicuramente è troppo presto
per essere già sveglia.
Si
sveglia che ormai è pomeriggio, esausto nonostante le lunghe
ore di sonno, e
appena mette a fuoco i contorni della sua stanza un attacco di nausea
lo
costringe ad alzarsi e correre in bagno; si inginocchia davanti al
gabinetto,
le mani strette alla ceramica mentre gli spasmi del suo stomaco lo
fanno
lacrimare di dolore. Non si accorge della presenza di sua madre
finché la donna
non gli accarezza la schiena, con gentilezza, e si inginocchia accanto
a lui
per scostargli i capelli dalla fronte sudata; ha visto il sangue sui
suoi
vestiti, ancora quelli che indossava la notte prima, ma rimane in
silenzio
finché Louis non smette di tremare e solleva una mano per
tirare lo sciacquone,
tossendo, le lacrime che ancora scivolano sul suo viso pallido e
provato.
– M-mamma,
– geme, chiudendo gli occhi per paura di vedere nei suoi lo
stesso sguardo
disgustato del padre, ma la donna lo zittisce dolcemente e gli
accarezza
entrambe le guance con la stessa gentilezza con cui gli ha sfiorato la
schiena;
Louis si lascia manovrare senza opporre resistenza, troppo stanco e
demoralizzato per fare alcunché.
– Non
piangere, tesoro, – sussurra Jay, baciandogli la fronte dopo
averlo messo in
piedi, e comincia a sfilargli i vestiti piano, facendo attenzione a
dove il
sangue secco ha attaccato il tessuto alla sua pelle; Louis rimane
fermo, gli
occhi chiusi e le lacrime che nonostante le parole della donna
continuano a
bagnargli il volto, e quando è completamente nudo si lascia
spingere nella
doccia, – lavati, poi parleremo di cos'è successo
stanotte e del perché Daisy
stamattina mi ha costretta a venire in camera tua per controllare se
stessi
bene; papà ha portato le ragazze fuori, siamo solo noi due.
Louis
annuisce, con gli occhi ancora serrati, e aspetta che sua madre chiuda
il box
prima di allungare una mano verso le manopole dell'acqua; rimane
immobile sotto
il getto tiepido per quelle che sembrano ore, lasciando che il sudore,
la
sporcizia ed il sangue scivolino nello scarico, senza trovare la forza
di
prendere il bagnoschiuma e lavarsi per davvero. Si appoggia di schiena
contro
la parete fredda della doccia, e in un attimo è seduto a
terra, le braccia
incrociate sul ventre e le gambe sollevate e strette contro il petto;
appoggia
la fronte contro le ginocchia, gli occhi ancora chiusi, e comincia a
singhiozzare.
Scende
in cucina quasi un'ora più tardi, una vecchia tuta addosso
perché tutti i suoi
vestiti sono ancora a casa di Liam, e trova sua madre seduta a tavola;
sembra
stanca, nota Louis, e ha delle orribili ombre scure sotto gli occhi
chiusi. Si
morde un labbro con più forza del necessario, chiedendosi se
suo padre le abbia
già detto qualcosa, e si riprende dalla sua improvvisa
paralisi solo quando
sente il sapore del proprio sangue sulla lingua; si costringe a fare
qualche
passo nella sua direzione, prima di sedersi accanto a lei, senza sapere
cosa
aspettarsi.
– Mamma?
– chiama, stringendo i pugni in grembo per l'ansia che lo
divora all'idea che
anche lei lo tratti come suo padre; non è certo di poterlo
sopportare. Jay apre
gli occhi, sbattendo un paio di volte le palpebre per mettere a fuoco
il viso
pallido del figlio, e sorride appena, prima di alzarsi ed avvicinarsi
ai
fornelli per riscaldare gli avanzi del pranzo; ha un'espressione
strana, si
trova a pensare Louis, osservandola di sottecchi e notando quante volte
si
passa una mano sul viso, e quanto la sua pelle sembri più
tirata del solito.
Per quanto voglia bene alle donne della famiglia, si rende conto con
una fitta
di senso di colpa al cuore, non si è mai fermato a pensare
come potesse davvero
essere il rapporto tra i suoi genitori; ricorda le loro discussioni
animate
quando Jay aveva appena partorito le gemelle, ma le aveva catalogate
come
semplici litigi tra marito e moglie e dopotutto non li sentiva alzarsi
la voce
a vicenda da anni. – Mamma, come stai? – si
affretta a chiedere, alzandosi di
scatto dalla sedia per avvicinarsi a lei ed appoggiare una mano sulla
sua
schiena.
Jay
scuote il capo, stendendo le labbra in un sorriso che, lo nota solo
ora, non
raggiunge i suoi occhi e sembra piuttosto una smorfia; il senso di
colpa lo
travolge, e prima che il suo cervello possa registrarlo stringe la
donna in un
abbraccio, affondando il viso nei suoi capelli. Le braccia della madre
si
avvolgono intorno ai suoi fianchi un attimo dopo, e singhiozzi
soffocati
cominciano a farle tremare il petto; Louis chiude gli occhi, cercando
di
impedirsi di piangere ancora, ma è inutile e pochi secondi
dopo sono entrambi
in lacrime, stretti l'uno all'altra come per sostenersi a vicenda.
Louis
non ha mai pensato a se stesso come una persona egoista, ma lo sfogo di
sua
madre lo fa ricredere: ha trascorso due anni ad autocommiserarsi,
badando
solamente ai propri problemi, quando Jay aveva bisogno di lui; avrebbe
dovuto
essere più attento, pensa stringendola più forte,
avrebbe dovuto considerare di
più gli sguardi gelidi che di tanto in tanto lei e suo padre
si lanciavano da
una parte all'altra del tavolo e che passavano inosservati a tutti
tranne che a
lui.
– Dio,
scusa, – borbotta la donna, dopo diversi minuti,
allontanandosi dal figlio e
asciugandosi gli occhi e le guance con le dita, – perdonami,
Lou, non dovevo
perdere il controllo.
Il
ragazzo non può fare a meno di lasciarsi sfuggire una risata
amara, pensando al
modo in cui quella mattina suo padre ha perso il
controllo; gli occhi di
Jay si illuminano di consapevolezza, e la donna allunga una mano per
accarezzargli la guancia che quella notte è stata colpita.
Louis non si è
guardato allo specchio, vestendosi, e non sa in che condizioni sia il
suo viso,
ma è certo che ci sia qualcosa che non va perché
le labbra della madre
cominciano a tremare, e un attimo dopo la donna scoppia di nuovo a
piangere.
–
Mi
dispiace così tanto, – singhiozza, guardandolo, e
Louis capisce in quel momento
che lei sa, che ha sempre saputo; il senso di colpa di poco prima
svanisce,
incredulità e rabbia che prendono il suo posto in un secondo.
–
Tu
sapevi? – chiede, pur sapendo già la risposta, e
quando la donna annuisce è
come se qualcuno stesse cercando di strangolarlo: non ha più
aria nei polmoni,
si sente soffocare, eppure non può fare altro che accettare
la notizia; è quasi
più doloroso di tutti gli insulti che suo padre gli ha
rovesciato addosso negli
ultimi due anni, perché ha sempre pensato che sua madre non
fosse a conoscenza
della situazione, che in caso contrario avrebbe fatto qualcosa per
difenderlo,
per aiutarlo. Sente gli occhi riempirsi ancora una volta di lacrime,
questa
volta di rabbia, ma riesce a ricacciarle indietro; stringe i pugni fino
a farsi
sbiancare le nocche, si sente tradito ed è furioso come non
lo è mai stato.
–
Mi
dispiace così tanto, – ripete la donna, facendo
per avvicinarsi a lui, forse
per abbracciarlo di nuovo, ma Louis indietreggia, gli occhi sgranati e
i pugni
ancora stretti, le unghie che incidono la pelle dei palmi.
–
Non
toccarmi, – sibila, senza pensare, e questa volta non si
sente nemmeno così in
colpa nel vedere l'espressione di puro dolore sul viso della donna;
pensava che
sarebbe stata dalla sua parte, almeno lei, ma l'ha tradito e merita di
provare
esattamente quello che prova in quel momento.
Senza
dire un'altra parola, né guardarla un'altra volta, esce
dalla cucina.
Non trova il suo cellulare da nessuna parte;
non in salotto, non in camera sua, non nel bagno. Ha paura di averlo
lasciato
nella macchina di Liam, la mattina, mentre portavano Harry in ospedale;
una
fitta inaspettata di dolore lo sorprende mentre pensa a lui, ma si
sente così
vuoto, così svuotato dagli ultimi eventi
che non riesce nemmeno a
trovare la forza di preoccuparsi davvero per lui. Sa che è
in ospedale, sa che
almeno lì è al sicuro.
Suo padre e le sue sorelle sono rientrati un
paio d'ore prima, ma ha ignorato stoicamente il bussare delle gemelle
alla
porta e le voci preoccupate di Fizzy e Lottie che lo chiamavano per
sapere come
stesse: sicuramente Daisy ha detto loro ciò che ha visto
quella mattina, pur
non capendone il significato perché è ancora
troppo piccola, e probabilmente le
due più grandi hanno capito che non si era trattato di una
semplice
discussione.
Ha la fronte appoggiata alla finestra della sua
stanza, le palpebre pesanti e gli occhi rossi per tutte le lacrime che
ha
versato nelle ultime ventiquattro ore, più di quante ne
abbia pianto in tutta
la sua vita, quando la voce di Niall gli giunge alle orecchie. Si
raddrizza
all'istante, svegliandosi di colpo dalla trance in cui era caduto, e
sbatte un
paio di volte le palpebre per capire come sia possibile che il suo
migliore
amico sia entrato in casa sua dopo il disastro successo con suo padre.
Ed è proprio la voce del padre, furiosa come la
notte prima, che lo fa scattare in piedi per correre alla porta e
girare la
chiave, per fiondarsi sulle scale e scendere nell'ingresso, dove lo
aspetta una
scena che non si era mai aspettato di vedere: Niall è
davanti al suo genitore,
gli occhi infuocati per la rabbia, e Liam è al suo fianco, e
sembra si stia
trattenendo dal dare un pugno in faccia all'uomo che grida loro contro.
Pensa
distrattamente che non l'ha mai visto così incazzato, che il
suo sguardo non ha
mai lanciato saette come in quel momento, prima che suo padre afferri
malamente
il colletto della polo azzurra che Niall indossa, gridandogli in faccia
di
sparire immediatamente da casa sua, che non vuole un altro frocio sotto
il suo
tetto nemmeno per un attimo, ed è in quel momento che Liam
perde tutto il suo
autocontrollo e si scaglia contro l'uomo per spingerlo con violenza via
dall'amico. Tutto rimane immobile per qualche istante, gli unici suoni
presenti
nell'ingresso sono quelli dei respiri accelerati dei presenti, e solo
in quel
momento Louis si rende conto che dietro di lui, a guardare la scena con
occhi
sgranati e forse un po' spaventati, ci sono Fizzy e Lottie, e che
probabilmente
hanno sentito quello che loro padre ha detto, e che adesso sanno tutto.
La poco
energia che aveva in corpo lo abbandona
in un secondo, la sua visione si fa sfuocata, e l'ultima cosa che sente
sono le
braccia delle sue sorelle strette intorno al torace e le loro voci
apprensive
nelle orecchie.
Ok, questo
capitolo non era propriamente
previsto, all’inizio, e ha leggermente modificato le mie idee
per i prossimi; è
anche l’ultimo già scritto, quindi metto le mani
avanti e vi dico che non sono
sicura di riuscire ad aggiornare regolarmente la domenica, da oggi in
poi. Credo
che ce la farò, ma non si sa mai.
Btw.
Giuro che non odio Louis, né nessuno dei
ragazzi o dei personaggi di questa storia, ma adoro farli soffrire
perché sono
una sadica bastarda che si nutre di hurt/comfort e.. sì,
ecco, soffriranno un
po’ tutti per poi consolarsi a vicenda; e no, questo non
è uno spoiler, perché la
long è basata su un cartone della Disney e a parte
Pocahontas tutti i cartoni
della Disney hanno il lieto fine fluff, no? :D
Spero
che tutto questo angst non-gratuito (prometto che più avanti
capirete
perché sono stata così cattiva) non vi abbia
fatto troppo schifo, e che
continuerete a farmi sapere cosa ne pensate (grazie alla solita
pirisilla (♥),
a _OneD e a Louissass_ per le recensioni al capitolo precedente, se
volete
continuate pure a fare ipotesi sui personaggi, mi piace da morire
leggere le
vostre idee! :D).
Ci
risentiamo al prossimo aggiornamento, spero
domenica prossima!
(E,
giusto per, qui
c’è uno stamp di un discorso tra me
e Irene, lol, mentre plottavamo la storia. ♥)