Serie TV > CSI - New York
Segui la storia  |       
Autore: margheritanikolaevna    11/02/2013    7 recensioni
Oggi è la Giornata della Memoria: nessuno di noi ricorda l'Olocausto, eppure ognuno di noi ha il dovere di ricordarlo.
Questa strana storia è il mio personale contributo per non dimenticare.
Vi siete mai chiesti come sarebbe la nostra vita se la Seconda Guerra Mondiale non fosse andata nel modo che conosciamo?
Partecipa ai contest "Worldwide" di Yuki e "Quando l'ispirazione bussa alla porta..." di Dominil B
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mac Taylor
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 Dunque, amici lettori, con qualche giorno di ritardo ecco il nuovo capitolo: la prima parte segue il filo dei capitoli precedenti, mentre il finale si apre verso uno sviluppo della storia che spero vi sorprenderà.
 

I fans esauriti come me riconosceranno di sicuro la scena… fatemi sapere.
 
 
Capitolo secondo
 
 
Le parole toccanti di Hanne Liebmann risuonavano nella vasta sala, adesso immersa nel più perfetto silenzio: persino quelli tra i ragazzi che fino a poco prima non avevano perso occasione per lanciarsi strilli e sfottò ora ascoltavano muti, come rapiti, e Mac, osservandoli, notò persino baluginare in quegli occhi giovani il riflesso di una lacrima furtiva.
Certo, tutti loro erano stati fortunati: gli Alleati avevano vinto la guerra, sia pure pagando un prezzo altissimo, e il mondo era stato liberato dal flagello del Nazionalsocialismo ma… e se fosse andata diversamente?
L’uomo rabbrividì a quel pensiero e si strinse nella giacca, attraversato da un gelo improvviso.
Guardando quel volto avvizzito ma pieno di determinazione, ancora solcato dalla straziante tristezza del rimembrare, Mac a sua volta non poté fare a meno di ripensare a ciò che aveva scoperto su suo padre grazie al lavoro di Lesnick: c’era qualcosa nella storia della sua famiglia - e quindi, in un certo senso, anche nel proprio stesso destino - che la legava all’Olocausto.
Un velo umido gli passò davanti agli occhi e, senza distogliere lo sguardo, represse un sospiro.
In quell’istante, una mano si posò sulla sua spalla e il volto sorridente di Stella Bonasera spuntò dalla penombra della stanza.
In silenzio, ma senza smettere di sorridere, la collega si sedette accanto a lui proprio nell’istante in cui le luci si riaccendevano e un applauso intriso di autentica commozione salutava l’uscita della coraggiosa Hanne.
“Come hai fatto a trovarmi?” esclamò Mac, ricambiando il sorriso dell’amica.
“Dimentichi che ho doti da indovina! Non ti ricordi quando ti lessi i fondi di caffè greco?” scherzò lei (5).
Dopo un istante aggiunse, più seria: “Quando ho visto che non eri in ufficio come al solito - sebbene fosse il tuo giorno libero - ho pensato o che fosse successo qualcosa di grave oppure che avessi qualcosa di molto importante da fare… e quando ho letto dell’inaugurazione di questa mostra mi è venuto in mente che forse ti avrei trovato qui e che magari ti avrebbe fatto piacere un po’ di compagnia”.
“Insomma, o sono dannatamente prevedibile, oppure tu mi conosci dannatamente bene!” ribatté l’altro, sentendo per la prima volta in quel pomeriggio allentarsi la tensione. E il merito era di Stella, che sempre riusciva a leggergli nel cuore, rimanendogli accanto con dolcezza e insieme con forza incrollabile.  
“Mmm… propenderei per la seconda ipotesi” fece lei, appoggiandosi contro lo schienale della poltroncina e dando un’occhiata alla sala che via via si svuotava.
“Mi spiace essere arrivata in ritardo, è stato interessante?”.
Mac annuì lentamente.
“Sai perché sono voluto venire qui? La storia dell’Olocausto mi ha sempre toccato nel profondo, fin da quando la studiavo a scuola.
E adesso la sento ancora più vicina…
C’è una cosa che non ho mai raccontato a nessuno: ricordi quando indagavamo sull'omicidio del titolare di una casa d’aste e scoprimmo che era un neonazista coinvolto nel traffico di oggetti appartenuti alle vittime dello sterminio?”.
La tristezza oscurò per un momento lo sguardo terso di Stella, mentre ripensava a quanto fosse disgustosa la sola idea che qualcuno fosse disposto a pagare duemila dollari per un paio di scarpe da uomo prese a Treblinka, cinquemila per una bambola di porcellana disseppellita da una fossa comune a Dachau… o diecimila per un paralume rivestito in pelle umana.
Rabbrividì e guardò il collega.
“Il presidente della “Foundation for Remembrance” proseguì a quel punto Mac “mi inviò un video contenente l’intervista a un uomo sopravvissuto al campo di sterminio di Buchenwald.
Lui racconta che nel 1945, mentre dormiva sul pavimento di una baracca, era stato d’improvviso svegliato e aveva sussultato per il terrore pensando che fossero le guardie del campo o le SS che, avendo capito che la guerra era persa, stavano cercando di eliminare quanti più testimoni possibili delle loro efferatezze.
Però poi aveva guardato colui che aveva di fronte, squadrato la divisa che indossava e letto l’orrore nei suoi occhi, capendo quindi che si trattava di una persona mandata lì non a ucciderlo, bensì a liberarlo.
Il prigioniero era calvo, forse pesava sì e no quaranta chili e la sua pelle era grigia e fredda come quella un cadavere, ma nonostante ciò il militare americano lo aveva tirato su - vincendo la repulsione che quel contatto suo malgrado gli provocava - gli aveva offerto la propria giacca e poi lo aveva portato fuori dalla baracca piena di morti accatastati tenendolo tra le braccia perché non riusciva a camminare.
Una barretta di cioccolato era stato tutto ciò che aveva potuto dargli, tutto ciò che il suo stomaco vuoto sarebbe stato capace di tollerare, però lui gli aveva sussurrato tra le lacrime che nulla avrebbe avuto mai lo stesso sapore”(6).
“Stella” concluse dopo una breve pausa “quel soldato era mio padre…”
“Mio Dio” mormorò la donna, tornando a guardarlo in viso “deve avere visto cose orribili laggiù!”.
“Già” rispose Mac “evidentemente è per questo motivo che non ne parlava mai volentieri, tanto che per capirci qualcosa di più sono stato costretto ad andare in biblioteca appena ho avuto l’età per farlo”.
“Tenente Taylor!” la voce allarmata del rabbino fece quasi sussultare i due poliziotti.
“Il signor Lesnick mi ha detto che lei era qui… deve venire subito con me, nel palazzo qui accanto è successa una cosa gravissima!”.
 
***
 
Il giovanotto in smoking è palesemente sconvolto: i capelli arruffati, il volto deformato dalla disperazione, ansima stringendo ancora nella mano destra un piccolo coltello insanguinato.
Corre con tutto il fiato che ha in corpo e non si ferma, nemmeno quando sente la voce del poliziotto che lo sta inseguendo.
Scende le scale a perdifiato, voltandosi ogni tanto per controllare che lo sbirro non abbia guadagnato terreno: non lo vede, perché quello ha usato l’ascensore per precederlo, e non sa che non lo ha mai perso di vista, nemmeno per un istante.
A un tratto, se lo vede sbucare davanti.
Cerca di reagire, si divincola, ma quello gli punta contro la pistola e grida: “Fermo, getta l’arma!”
Il ragazzo esita: è ancora sconvolto e non sa che fare.
“Non muoverti, fermo! Fai scivolare il coltello verso di me” ripete il detective, sempre tenendolo sotto tiro.
Masticando le proprie lacrime, il giovane urla: “Meritava di morire, si è presa tutto ciò per cui ho lavorato!”.
All’altro non importa sapere come e perché: in quel momento deve solo riuscire a disarmarlo.
Per un lunghissimo istante si fronteggiano; poi il giovane capisce che quel tipo non ci penserà su due volte a piantargli un proiettile in corpo… in fondo, ai suoi occhi non è altro che un pericoloso assassino.
Allora getta l’arma e si guarda intorno, cercando una possibile via di fuga.
“Fai scivolare il coltello verso di me. Ora!” grida ancora il poliziotto, senza abbassare la pistola.
Con un piede, tenta di coprire la lama per impedire al ragazzo di afferrarla di nuovo; per una frazione di secondo la sua attenzione non è più concentrata su di lui e quello ne approfitta.
Gli si lancia contro e, quasi sollevandolo di peso, lo getta oltre la balaustra, facendolo precipitare sul pavimento due piani più sotto.
Un breve grido, il suono metallico della pistola che tocca terra, la voce disperata di Don che urla il suo nome.
Poi, il buio (7).
 
(5)  Il riferimento è alla puntata “Fondi di caffè greco”.
(6)  La storia viene raccontata in “Yahrzeit”.
(7)  Il riferimento è alle prime scene dell’episodio “Punti di vista”.
 
 

  
Leggi le 7 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > CSI - New York / Vai alla pagina dell'autore: margheritanikolaevna