Lizzie e
l'Angelo Piangente
C’era
un Angelo Piangente al numero 29 di Craven Road; ogni giorno Lizzie
gli passava davanti nell’enorme casa che abitava da sola,
dopo che la sua
vecchia zia era morta. C’era solo lei, nessun altro.
L’Angelo
Piangente la osservava camminare sul parquet, i capelli biondi
stretti in una treccia. Ogni tanto Lizzie si fermava davanti a lui per
stringersi
i lacci delle scarpe da ginnastica o cercare qualche foglio volante,
che dal
passaggio da una stanza all’altra spariva incredibilmente:
Lizzie viveva in
quella casa ed era lì che lavorava, spedendo al suo capo gli
articoli per il Times tramite il
fax che teneva nello
studio.
L’Angelo
Piangente la osservava e per Lizzie era sempre stato una statua,
una splendida statua di pietra che non avrebbe mai permesso fosse
portata via
da lì. E l’Angelo aspettava ogni giorno che Lizzie
attraversasse il corridoio,
tappandosi gli occhi quando avvertiva i suoi passi avvicinarsi.
Chissà di che
colore erano i suoi occhi.
Con
il passare del tempo l’Angelo Piangente perdeva le forze,
diventava
debole, ma nessun visitatore suonava al campanello di Craven Road, 29.
Non avrebbe
mai potuto toccare Lizzie, non quell’anima persa che
camminava avanti e
indietro nel corridoio in cerca di ispirazione, come un pesce in una
boccia,
costretto a nuotare nel poco spazio a disposizione. Come lui, che
restava imprigionato
nella boccia che era il corridoio.
Voleva
toccarla, ma non poteva, perché l’avrebbe persa
per sempre. Voleva,
fredda pietra, posare una mano sulla sua spalla, accarezzare i suoi
capelli,
sentirla. Nel corso dei millenni che aveva passato sulla Terra,
l’Angelo aveva
scoperto che gli umani amavano toccarsi per dimostrare il loro affetto.
Voleva
farlo anche lui. Voleva toccarla, voleva toccarla, voleva…
Avrebbe voluto che fosse ancora
lì.
Angelo Piangente, Wish you were here, Pink Floyd.
Craven Road... Beh, in quale altro posto si potrebbero trovare certe creature?