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Autore: giambo    12/02/2013    8 recensioni
Un guerriero tormentato dai sensi di colpa.
Una cyborg incapace di lasciarsi alle spalle un passato di morte, dolore e follia.
Un mondo che cerca, dopo il Cell-Game, di ripartire.
Rabbia, dolore, sensi di colpa, amore, eros, follia.
Sono questi sentimenti che stanno provando gli eroi di questo mondo.
Sta a loro cercare un motivo per andare avanti e ricostruire questo mondo, oppure lasciarsi andare nell'oblio.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: 18, Altri, Crilin | Coppie: 18/Crilin
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Buonasera! Dopo mesi di silenzi torno con questo capitolo lunghissimo che, all'inizio, doveva essere la conclusione di questa parte della storia ma che, in realtà, mi obbliga a rinviare di un capitolo la fine della faccenda dell'immortalità di C18. Lo so che è noioso, e che ormai vi sarete stancati di me e delle mie divagazioni che non portano a nulla. Ma spero che apprezzerete lo stesso i miei sforzi nel rendere i miei deliri leggibili.

E' stato un capitolo lungo, duro, difficile. Ci ho passato settimane sopra, limandolo, correggendolo e cambiandolo più volte. E, alla fine, è uscito questo. Non ho idea di cosa ne sia uscito. Spero però che vi piacerà. Come al solito, ricordo a tutti che le recensioni, anche critiche, le accetto con molto piacere.

Buona lettura!

 

Capitolo 23

 

Bulma sorseggiò con lentezza la propria tazza di tè, assaporando il delicato gusto che le invadeva il palato. Si godette per qualche istante, ad occhi chiusi, il rinfrancante calore della bevanda che, lentamente, le invadeva il petto. Una volta che fu sicura di aver assaporato ogni piccolo frammento di quel momento così rilassante, la scienziata aprì gli occhi con un mezzo sorriso stampato sulle labbra.

Quello che vide la deluse profondamente. Dopo aver provato un piccola sensazione di rilassamento, ciò che la donna avrebbe voluto vedere sarebbe stato suo figlio Trunks, oppure gli occhi brucianti di Vegeta. Di sicuro, e di questo Bulma ne era convintissima, non avrebbe voluto vedere Muten che osservava, con occhio critico, la sua nuova cucina.

Sospirò. Era un peccato aver sprecato quel piccolo momento di piacere con quella visione non certo tra le sue preferite. Tuttavia, dato che in quel momento Muten non stava cercando di compiere gesti moralmente discutibili, l'azzurra decise di lasciar perdere. Si stampò invece il suo sorriso più gentile, risultato di anni di presenze forzate ai ricevimenti dell'alta società della sua città, e decise di fare come se niente fosse.

“Allora? Ti piace?” domandò con voce gentile.

Muten annuì visibilmente soddisfatto.

“Non è affatto male.” dichiarò. “Dubito che avrei potuto permettermi un modello così costoso con le mie magre finanze. Grazie mille Bulma.”

“Non devi ringraziarmi.” rispose l'altra assaporando un nuovo sorso di tè. “E' un modello piuttosto vecchio che ho trovato per caso nel magazzino di casa mia. Non mi costa niente regalartela. Anzi, così facendo, mi liberi solo un po' di posto in casa.”

L'anziano maestro di arti marziali non rispose visto che, in quel momento, era profondamente impegnato ad esplorare la capienza della sua nuova dispensa. Mentre aspettava che il vecchio guerriero esaurisse la sua curiosità, Bulma cominciò a divagare un po' con il pensiero.

Le era sempre piaciuto quel posto. Quando era più giovane, e libera dagli asfissianti impegni di lavoro, la donna approfittava di ogni momento libero a sua disposizione per andare su quell'isolotto sperduto in mezzo al mare, godendosi in tal modo giornate rilassanti su quella piccola e confortevole spiaggia.

Eppure, Bulma sentiva che quella casa era cambiata rispetto ai suoi spensierati anni giovanili. Era più tetra, più cupa e anche molto più silenziosa. Senza gli schiamazzi di Goku e Crilin, senza le battutine di Yamcha e senza gli urli rabbiosi di Lunch quella casa sembrava molto più triste. Le orecchie della scienziata ormai sentivano solo l'incessante infrangersi delle onde sulla battigia e il malinconico verso dei gabbiani a rompere il silenzio dell'isola.

Sospirò, provando, all'improvviso, una forte nostalgia per la sua adolescenza. Non era per l'età in se che provava quel sentimento, quanto piuttosto per la sensazione che, con il passare degli anni, molto era stato sprecato e perduto. Troppo. Le pareva di vivere in un mondo più grigio e vuoto tanta era la sua nostalgia. Forse era perché le mancava Goku. Il saiyan era sempre stato un vero e proprio raggio di luce nella sua vita quotidiana. Quando c'era lui, Bulma era sicura che qualcosa di inaspettato sarebbe sempre accaduto. Eppure non era solo il suo migliore amico a mancarle. In un modo o nell'altro, le mancavano tutti i suoi amici. Erano cresciuti, diventati adulti come lei, e il tempo delle follie e dei divertimenti giovanili era scomparso per sempre.

“A cosa pensi?”

Bulma trasalì nel sentire la voce di Muten. Si era talmente immersa nei suoi pensieri nostalgici, da non accorgersi che l'anziano maestro la stava osservando in silenzio da qualche minuto.

“Niente. Ho solo un po' di nostalgia.”

“Nostalgia? Non è da te avere certi pensieri.”

“Eppure li ho.” ribatté seccamente la donna.

“Come mai?”

La domanda di Muten la colse leggermente impreparata. Non sapeva neanche lei che cosa dire per giustificare quel sentimento di vuoto e struggimento per il passato che si era insinuato dentro di lei. In fondo, era una bella donna, con un lavoro che adorava, una famiglia che amava e tutti gli agi che la vita poteva concederle. Eppure, in quel momento, non era felice.

“Non lo so.” rispose alla fine. “E' solo che vedere questa casa così silenziosa e vuota mi ha fatto venire voglia di tornare ragazzina.”

“A tutti capita di voler tornare indietro.” disse l'anziano maestro con voce conciliante. “E' una cosa naturale. Le nostre vite appaiono più belle nella nostra mente che nella realtà.”

La scienziata comprese cosa intendeva: Una cosa non la si rimpiange finché non è scomparsa.

Volse gli occhi verso la finestra. Le iridi color blu marino della donna si soffermarono sulla sabbia dorata che veniva sollevata dalla leggera brezza marina. Il sole illuminava la superficie del mare con intensità, creando giochi di luce accecanti sui cavalloni delle onde. Era una bellissima giornata di fine estate, ma alla scienziata sembrava che un ombra gravasse su quel paesaggio che, ai suoi occhi, era troppo silenzioso e desolato.

Scosse la testa. Non era da lei essere così cupa e malinconica. Doveva essere la mancanza di tutti i suoi più cari amici che le appiccicava quella pellicola di depressione addosso. Con amarezza la donna si accorse che, uno dopo l'altro, i suoi amici si erano staccati sempre di più da lei. Yamcha a cui lei, pur con tutti i suoi difetti, voleva ancora molto bene, si era fatto una vita per conto proprio. Veniva di rado alla Capsule Corporation a causa del suo astio nei confronti di Vegeta. Goku era nell'aldilà ad allenarsi ed a divertirsi. Dimostrando ancora una volta di essere una persona priva di qualunque senso di responsabilità. Il saiyan era quello che le mancava di più. Goku per Bulma era stato tanto, forse troppo. Era un qualcosa di indefinito che l'aveva accompagnata in tutti gli anni più importanti della sua vita. Non era stato un amante, questo mai. Ma definirlo un amico, od un fratello, sarebbe stato probabilmente riduttivo.

E poi c'era Crilin.

La donna dovette ammettere che con lui non ci capiva più niente. Da quando il terrestre aveva conosciuto C18 sembrava si fosse trasformato. Cupo, serio, taciturno, restio a restare in compagnia degli altri. In quegli ultimi due anni il piccolo guerriero sembrava che avesse preso parte del carattere della bella cyborg. Era diventato una persona diversa. E Bulma non era sicura che il nuovo Crilin le piacesse. Lei se lo ricordava come un giovane sempre allegro e pronto a scherzare. Non era stato un irresponsabile come Goku. Questo mai. Per il terrestre la vita era stata, fin da quando era un bambino, una cosa seria. Da non prendere alla leggera come faceva il suo migliore amico. Crescendo questo senso di responsabilità verso il prossimo non l'aveva abbandonato. Rendendolo, oltre ad un buon guerriero, anche una buona persona.

Eppure ora sembrava che il suo forte senso del dovere (che non gli aveva mai impedito di essere pronto a farsi una risata e a godersi la vita) lo stessero schiacciando. Bulma sapeva cosa c'era che turbava profondamente Crilin. Il perché non era riuscito più a trovare pace dentro di sé. Il terrestre si giudicava responsabile della morte di Goku. E questo non gli dava requie. A peggiorare le cose si era messo quell'amore malsano e cupo per C18, che rendeva tutto terribilmente più complesso per lui. Una parte del piccolo guerriero desiderava con tutte le forze vivere assieme alla bella cyborg, l'altra parte però non avrebbe mai smesso di rinfacciargli a quale prezzo aveva ottenuto la donna che amava.

“Ti manca non è vero?” domandò Muten a voce bassa, quasi che le avesse letto nella mente.

“Sì.” ammise la scienziata mentre passava il polpastrello dell'indice sul bordo della sua tazza. “Mi sento in colpa per quello che gli ho detto. Lui non desiderava altro che sposarsi e mettere su famiglia con la donna che ama, ma, a causa mia, ora sa che ciò non sarà possibile.”

“Non devi sentirti in colpa.” ribatté l'anziano maestro. “L'avrebbe scoperto comunque. Tanto vale che l'abbia saputo ora piuttosto che quando sarà vecchio.”

L'azzurra scosse la testa. Muten non capiva.

“Non è solo per questo che lui ora è furioso. Io lo conosco. Lui non si è ancora perdonato il fatto di aver salvato C18, causando involontariamente la morte di Goku. Ha un forte senso dell'onore e delle responsabilità. E questo lo sai anche tu. In questi due anni era riuscito a giustificare quel gesto per donare a C18 una vita migliore. Una vita priva di morte, dolore e disperazione. Ma ora...”

“Ora cosa?”

“Ora che sa che la donna che ama non può invecchiare, cosa credi che provi dentro di se?” domandò con voce cupa Bulma. “Si sentirà un fallito. Un inetto. Penserà che ha condannato a morte il suo migliore amico e causato tanta sofferenza per niente. Si sentirà un mostro.”

“Non puoi essere certa che sia così.”

“Lo conosco, Muten.” dichiarò seccamente la donna. “Lo conosco da tanti, tantissimi anni. Siamo cresciuti insieme. Tu puoi essere stato il suo maestro, ma ti ricordo che con lui ho viaggiato fino a Namecc, e quando condividi simili esperienze con un persona, impari a conoscerla a fondo.”

Nella stanza cadde un silenzio teso. Rotto solamente dallo sciabordio delle onde e dal lamentoso richiamo dei gabbiani. Bulma ora aveva ripreso ad assaporare la sua tazza di tè. Si sentiva stanca e, per la prima volta, ripensando a tutte le avventure a cui aveva partecipato, anche vecchia. Muten, invece, era serio e silenzioso mentre, dietro le lenti dei suoi occhiali da sole, i suoi occhi scrutavano il mare dalla finestra.

“Pensi che tornerà?” mormorò alla fine.

La donna appoggiò la tazza al tavolo. Con un guizzo, pari al rapido colpo di coda di un pesce, la sua mente le proiettò la chiamata che, due anni prima, aveva mandato a Muten. Anche in quel caso Crilin era scomparso, ma in quella situazione era stata lei a chiedere conforto e consiglio all'anziano maestro.

E lui le aveva detto che Crilin sapeva cavarsela.

“Forse.” dichiarò lentamente, mentre le sue unghie curate grattavano via una piccola scheggia sporgente dal tavolo. “E' un uomo ormai. Sono sicura che non corre pericoli, per adesso. Ma in quanto a tornare...beh, questo è un mistero. Nessuno può sapere che cosa gli passi per la testa in questo momento. Ergo, nessuno può rispondere alla tua domanda.”

Muten strinse le mani a pugno mentre, con un mormorio indefinibile, si immerse nei suoi pensieri. Rimase concentrato ed immobile per parecchi minuti, indifferente a tutto ciò che lo circondava. Poi, con grande sorpresa della scienziata, il vecchio guerriero scosse la testa.

“Ti sbagli.”

“Mi capita raramente.”

“Ma può succedere.” ribatté pacato l'anziano maestro. Rimase in silenzio per qualche istante. Poi, quando l'azzurra gli stava per chiedere il motivo per cui si sbagliava, egli pronunciò una sola parola.

“C18.”

Bulma rimase, sul momento, spiazzata. Non aveva considerato la cyborg. Presa com'era a pensare al dolore del suo amico Crilin, la donna aveva trascurato totalmente l'androide. Con un sorriso amaro, la scienziata pensò che era una grave errore trascurare la bionda. In qualunque situazione ci si trovasse, trascurarla era uno di quegli errori che, spesso, li paghi con la vita.

Ricominciò a ragionare a mente fredda sulla cyborg. Non le era mai andata a genio C18. Il suo modo di fare era troppo scontroso ed aggressivo per poter provare simpatia per lei. Riconosceva la sua bellezza, così come riconosceva le sue abilità in combattimento, ma se non fosse stato per il fatto che stava con Crilin, Bulma l'avrebbe detestata senza troppi problemi.

Eppure, la donna si rese conto che era C18 la chiave per risolvere quel problema. Non Crilin, non lei, ma C18. In quell'istante, la scienziata si rese conto che esisteva una soluzione, un metodo per impedire un destino crudele e vuoto all'androide. Ma solo quest'ultima poteva scegliere se compiere o meno quel gesto. Ne avrebbe avuto il coraggio? Bulma non la considerava una codarda, ma quello a cui stava pensando era una mossa veramente estrema e che richiedeva un gran coraggio. Sarebbero bastati i suoi sentimenti per Crilin a darle la forza? Erano domande a cui, purtroppo, non sapeva dare una risposta.

Ma C18 era forte, spietata e, soprattutto, estremamente possessiva ed egoista con Crilin. Il terrestre per lei era qualcosa di più di un semplice compagno, era tutto. E lei, pur non ammettendolo mai, aveva bisogno di lui. Era lampante.

In quell'istante Bulma si accorse, con sua enorme sorpresa, che C18 le piaceva. Nonostante appena qualche minuto prima aveva pensato che la detestava, la scienziata si accorse che, più che disprezzo od antipatia, ciò che provava nei confronti della cyborg era una riluttante ammirazione. Poteva essere scontrosa ed aggressiva ai limiti della maleducazione, ma non poteva negare le sue qualità. Era intelligente, forte di carattere e poco propensa al dialogo. Tutte qualità che a lei piaceva trovare in una donna.

“Forse hai ragione.” dichiarò con tono pensieroso l'azzurra. “Se lei troverà il coraggio, allora per lei e Crilin esiste una possibilità di vivere la loro vita.”

“Trovare il coraggio?” Muten le rivolse uno sguardo perplesso.

“Sì, hai sentito bene. Solo se lei avrà la forza necessaria per agire, loro due potranno tornare a vivere qui con te.” e, di colpo, mentre pronunciava quelle parole, Bulma ebbe la netta sensazione che C18 l'avrebbe fatto. Non sapeva spiegarsi il motivo di quella sicurezza, ma si sentì rinfrancata.

“Ne sei sicura?”

“Torneranno.” dichiaro sicura di sé la donna mentre, improvvisamente, un sorriso spunto sulle sue labbra carnose. “Puoi starne certo, torneranno.”

Vedendola così sicura, Muten non seppe cosa dire. Raramente Bulma sbagliava, quindi poteva darsi che avesse ragione anche questa volta.

Sospirò, rivolse il suo sguardo verso il mare, e rimase in silenzio mentre, davanti a lui, Bulma sorseggiava il suo tè con aria rilassata ed un sorriso radioso sulle labbra.

 

 

Ghiaccio. Un fottuto ghiaccio che lo ricopriva dappertutto. Sui capelli, sulle labbra, sul petto, sulle braghe di tela ormai inzuppate di sangue e neve. Un maledetto ghiaccio che gli ricopriva con malizia ogni ferita sul corpo, che gli infettava le abrasioni, gli avvelenava il sangue, gli creava un senso di infido torpore che gli annebbiava ciò che rimaneva del suo cervello. Una sorta di ulteriore nemico che lo costringeva ad una duplice lotta.

Inspirò con forza l’aria gelida tentando, in questo modo, di schiarirsi le idee. Ci riuscì. Ma ricevette anche una scarica di dolore lancinante dalle sue vie respiratorie gravemente infiammate. L’aria penetrava come un coltello affilato nei suoi polmoni ogni volta che respirava, ferendo e distruggendo i suoi alveoli polmonari.

Attorno a lui c’erano degli alberi. Silenziosi guardiani vegetali della montagna. Esseri privi di qualunque sentimento che vivevano la loro lenta e maestosa vita nell’indifferenza. Nascondendo, con i loro rami carichi di un biancore languido, accecante ed infido, amici ed nemici.

Specialmente nemici.

“Dove sei” pensò con un senso di frustrazione crescente Crilin mentre le sue iridi scure osservavano con circospezione la zona attorno a se. “Dove diavolo sei, maledetto figlio di puttana?”

Il silenzio che gravava sulla valle era assoluto. Ogni minimo movimento, o rumore, veniva sentito distintamente dal piccolo guerriero. La neve attorno a lui ovattava ogni suono come una fredda coperta chiara. Mettendolo in condizioni di percepire qualunque rumore.

Rimase immobile, in una posizione di difesa, per circa altri dieci minuti. I suoi muscoli tremavano dal freddo e dalla fatica di rimanere contratti per lungo tempo. I suoi occhi scattavano da una parte all’altra del suo campo visivo in continuazione. Dando vita ad un movimento ossessivo e continuo. Più il tempo passava, e più il piccolo guerriero si sentiva sul punto di esplodere dalla rabbia. Non capiva. Perché non si faceva avanti? Cosa diavolo stava tramando a sua insaputa?

E poi, all’improvviso, lo sentì dietro di lui.

Fu un fruscio leggero e quasi impercettibile a fargli capire che lo stava attaccando da dietro le spalle. Sentì il pugno di lui fendere l’aria gelata per colpirlo nel centro della schiena. Il terrestre cercò di girarsi per tentare di pararlo, ma fu troppo lento. I suoi muscoli si erano intorpiditi nella lunga attesa e non reagirono con sufficiente velocità. L’unico effetto che ottenne fu quello di ricevere il pugno del suo avversario in pieno petto invece che sulla schiena.

Accusò il colpo. La potenza del pugno del suo avversario era tale che indietreggiò per parecchi metri prima di riuscire ad assorbire la potenza ricevuta. Tuttavia, nel frattempo, il suo nemico si era portato nuovamente alle sue spalle, colpendolo con una potente ginocchiata sulle scapole. Prima ancora di potersene rendere conto, Crilin vomitò un fiotto di denso sangue nero dalle labbra ormai spaccate dal freddo.

Barcollò in avanti, la vista annebbiata dal dolore. Senza alcuna pietà per il terrestre, l’altro combattente lo colpì con un violentissimo calcio, facendolo uscire dalla fitta boscaglia. Con un tonfo attutito dallo spesso manto di neve, Crilin atterrò con malagrazia al centro della piccola valle.

Il moro rimase fermò immobile per alcuni minuti, nel tentativo di riprendere la necessaria lucidità mentale. Impresa resa complicata dalle condizioni in cui si ritrovava. Le ferite, per lo più superficiali, che gli ricoprivano il torso avevano imbrattato il candido manto di neve attorno a lui di un colore rosato. ma il suo problema peggiore era il freddo. Le basse temperature rendevano un inferno doloroso anche un’azione essenziale come respirare. Nel frattempo, il ghiaccio aveva cominciato ad infettare le sue ferite più vecchie, creando croste rosso scuro con i bordi colorati di un malsano giallo sporco.

Con un ringhio di rabbia, il terrestre si puntellò sui gomiti, cercando di rialzarsi. Imprecò sonoramente quando notò la fatica che compiva anche solo per rimettersi in piedi. Ad aggravare la situazione ci pensò la sua mente che, con infido tempismo, gli inviò un immagine del volto sorridente di lei.

Digrignò i denti. Tentò con la forza della disperazione di scacciarla via dalla sua testa ma non ci riuscì. Alla fine, esasperato, il piccolo guerriero si conficcò le unghie nelle ultime ferite che aveva ricevuto. La scarica di dolore che seguì ebbe l’incredibile effetto di ridonargli lucidità mentale e forza sufficiente a rialzarsi.

Quando si alzò, Crilin si girò lentamente, puntando i propri occhi scuri nelle iridi altrettanto nere del suo avversario che, immobile, aveva aspettato che lui si rialzasse. Nonostante fossero ormai al terzo giorno di lotta, il terrestre ebbe un brivido involontario nell’osservare il suo nemico. Non era mai stato allenato ad affrontare avversari di questo genere.

Crilin ci aveva impiegato un giorno ed una notte per crearlo. E in quelle ore aveva patito l’inferno. All’inizio si era morso le labbra a sangue pur di non urlare, ma alla fine il dolore l’aveva vinto. Si era messo a gridare disperato dal dolore. Aveva invocato pietà, si era conficcato le unghie nella carne con forza, aveva urlato fino a ferirsi le pareti interne della gola, era arrivato addirittura al punto di invocare la morte. Convinto che fosse l’unica capace di porre fine a quell’orrenda tortura a cui si era volontariamente sottoposto.

Ma non si era arreso. Nonostante tutto, il piccolo guerriero non si era piegato alle richieste del suo corpo. Un corpo che si ribellava a quell’atto contro natura a cui lo stava sottoponendo. Ma, alla fine, aveva vinto lui. Creando quel guerriero contro cui stava combattendo.

Era stato il vecchio Dio ad insegnargli, durante l’anno in cui si era allenato nel suo palazzo, l’arte di creare delle copie. Non semplici illusione create dalla dispersione della propria energia spirituale, ma esseri di carne, nervi ed ossa capaci di obbedire ad ogni comando del suo creatore. Esseri della stessa potenza di colui che li creava. Potenziali assassini privi di qualunque volontà ed anima.

Non era una tecnica che l’anziano namecciano aveva rivelato ai combattenti Z a cuor leggero. Neppure Goku aveva mai saputo nulla di questa mossa così immorale. Ma con l’avvicinarsi dei saiyan alla Terra, il saggio Dio aveva deciso di insegnare a quei combattenti dal cuore nobile e puro tutto quello che poteva aiutarli in quella difficilissima impresa.

Ma tutto questo aveva un prezzo, e anche molto alto.

 

La possibilità di creare delle copie di pari potenza e totalmente sottomesse alla volontà del loro creatore è un’arte immorale e contro natura. Colui che compie questi atti abominevoli perde parte della propria anima, accorciandosi, così facendo, la propria vita. Non vi rivelo tale malvagità a cuor leggero, ma sono sicuro che voi saprete farne tesoro.”

 

Le parole dell’anziano namecciano risuonavano ancora nella mente di Crilin. A quell’epoca, quando era ancora convinto di essere guidato da saldi principi morali e di poter difendere il proprio pianeta dai nemici che ne minacciavano la pace, il terrestre era rimasto inorridito nel apprendere quale atto contro natura bisognava compiere per ottenere quelle copie. Era convinto che, pur apprendendola, non avrebbe mai usato quella tecnica dato che era contro tutti i suoi principi morali.

Ripensando a quei momenti, al moro veniva da ridere ora. Un riso amaro dettato dal fatto che, con il passare degli anni, aveva capito che i suoi tanto amati principi erano solamente un mucchio di stronzate. Parole vuote ed inutili che sembravano anche offensive se venivano confrontate con la cruda realtà.

Aveva scelto di compiere quell’atto contro natura perché aveva bisogno di risposte. Da troppo tempo si permetteva il lusso di rimandare quell’arduo compito, lasciandosi cullare dalle sue stupide paure. Da quando aveva conosciuto C18 nella sua vita si era scavato un solco profondo. Niente era più come prima, ma lui non riusciva a rendersene conto. Aveva bisogno di risposte, di capire, di comprendere cosa diavolo c’era che non andava in lui. Il perché non riusciva a lasciarsi il passato alle spalle, il perché falliva in tutto quello che faceva, il perché non riusciva a rendere felice la donna che amava.

Doveva trovare una risposta a queste domande. Ma per prima cosa doveva conoscere se stesso. Analizzare ogni azione che il suo subconscio compiva quando era totalmente libero dai legacci della mente e della ragione. Doveva analizzare la sua parte più primitiva e bestiale. Capire quali istinti selvaggi lo portavano verso quei crudeli fallimenti e correggerli immediatamente.

Era stato per questo che aveva costretto il suo corpo a quella duplicazione anormale, a quella mitosi contro natura che solo chi conosceva perfettamente il proprio corpo, fino all’ultima cellula, poteva fare. Anni di meditazione e di allenamento tornavano finalmente utili anche per soddisfare la sua immorale curiosità.

Certo, sapeva che tutto questo gli avrebbe accorciato la vita. Ma in quei frangenti, al piccolo guerriero, non gliene fregava assolutamente nulla. A che pro vivere ancora per moltissimi anni con l’amaro sapore della sconfitta ad inacidirgli il palato? Mille volte meglio vivere qualche anno di meno, se ciò gli permetteva di cambiare una volta per tutte il proprio fato.

Tuttavia, in quei due giorni di furioso combattimento, Crilin aveva sentito montare la frustrazione dentro di se. Non era riuscito a comprende nulla di quello che gli interessava dalla sua copia. Tutto quello a cui era arrivato era stato una lunga e logorante serie di scaramucce vinte in egual misura da ambo le parti, facendogli perdere ciò che restava della sua pazienza, riducendolo ad un fascio continuo di nervi tesissimi.

Quando il terrestre partì all’attacco di nuovo, provò la stessa identica situazione delle volte precedenti.

Pugno. Parata. Parata. Calcio. Contrattacco. Pugno. Una sequenza infinita e ripetitiva che gli rendeva sempre più difficile mantenere alta la concentrazione. In quei momenti, Crilin si domandò se quello che stava facendo fosse la cosa giusta. Se fosse quello il percorso corretto per migliorarsi e correggersi.

Si fermò, irritato per la parità continua che regnava tra lui e il suo doppione. Non riusciva a capirlo, a comprendere qualcosa di nuovo. Ogni movimento gli era noto. Non c’era nulla da apprendere o da scoprire in quella copia. In quei frangenti, la mente del moro formulò una sgradevole domanda.

Possibile che non ci fosse rimedio? Possibile che lui fosse un fallito per natura?

Il solo pensiero lo riempì di un’immensa furia.

Con un ringhio, il piccolo guerriero si portò le mani al fianco destro, dove raccolse tutta la sua energia spirituale. Dopo qualche secondo, una luce azzurrognola cominciò a luccicare dai palmi delle sue mani. Vedendo che il suo avversario lo stava imitando, la sua ira crebbe a dismisura.

“Kamehameha!” ringhiò a denti stretti. La rabbia gli rendeva difficile sciogliere i muscoli facciali per parlare con voce chiara.

Una luce accecante illuminò la valle mentre dalle mani dei due guerrieri partivano due fasci di luce azzurra. Le due onde si scontrarono a metà strada, creando una luminosa cupola di luce. Fasci di energia bianca sprizzavano violentemente da quest'ultima, bruciando tutto quello che incontravano. L'aria si fece, da fredda, bollente, mentre la terra vibrava violentemente a causa dell'energia in eccesso che cadeva al suolo.

La situazione rimase in parità per circa un minuto. Un minuto lunghissimo in cui entrambi i contendenti cercarono di fare il massimo sforzo per vincere la resistenza dell'avversario. La tensione all'interno della cupola si fece sempre maggiore. La sua instabilità cresceva in maniera vertiginosa con il passare dei secondi. E, alla fine, la sfera di energia esplose. Creando un'onda d'urto violentissima che spazzò il terreno attorno per parecchi metri.

Crilin fu investito dallo spostamento d'aria in pieno petto. Mentre una fortissima luce bianca, creatasi dall'esplosione, lo accecò temporaneamente, il piccolo guerriero sentì le sue costole incrinarsi pericolosamente mentre il colpo d'aria lo spedì lontano dal luogo dello scontro. Sbatté più volte contro rocce invisibili, ricoprendosi il corpo di tagli e abrasioni. Urlò dal dolore e dalla disperazione, convinto che quella fosse la sua morte mentre davanti a lui era tutto nero.

Poi, dopo aver colpito violentemente una roccia con la fronte, tutto divenne buio.

 

Quando Crilin rinvenne, la prima cosa che notò fu una lucente stalattite che svettava sopra di lui. Ci mise qualche minuto a comprendere cosa aveva davanti agli occhi dato che un leggero velo di nebbia gli offuscava lo sguardo, rendendogli poco lucida la mente. Quando riuscì finalmente a riprendere pieno possesso delle sue abilità visive, il piccolo guerriero si mise ad osservare con attenzione la formazione rocciosa che pendeva sopra di lui. Era piccola, non più lunga di una ventina di centimetri, e di un colore giallastro che rivelava la presenza di minerali di zolfo all'interno. Tuttavia, verso la punta, la stalattite era di un colore trasparente che, quando la luce la oltrepassava, creava giochi di luce di una bellezza incredibile.

Il terrestre provò ad alzarsi, ma appena fu seduto la vista gli si appannò, mentre un feroce mal di testa lo aggrediva con violenza. Non vomitò solamente perché era a digiuno da giorni. Rapidamente, il piccolo guerriero si mise di nuovo supino.

I ricordi di quello che era avvenuto nella radura gli tornarono poco alla volta. Rammentò la sua visita alla casa di Gohan, i suoi dubbi sull'aspettare C18 alla Kame House, il suo tentativo di studiare le proprie debolezze creando una copia di se; l'ultima cosa che la sua memoria riusciva a riportare alla luce era quando aveva lanciato la sua Kamehameha contro il suo avversario. Poi più nulla.

“Devo essere stato trasportato via dall'urto dell'esplosione che si deve essere creata subito dopo.” pensò. Ma la cosa non gli dava alcun sollievo. Si sentiva debole, stanco e dolorante dappertutto. Fece una smorfia di disgusto. Un tempo non si sarebbe fatto mettere fuori combattimento in quella maniera. Gli ultimi tempi passati senza più allenarsi lo avevano indebolito più di quanto credesse.

Mentre aspettava che il mal di testa la smettesse di tormentarlo, il terrestre decise di dare un'occhiata più attenta al soffitto che svettava sopra di lui. La stalattite che aveva notato appena era rinvenuto pendeva da un soffitto basso, rozzo ed irregolare di roccia dura, di chiara origine naturale. Doveva essere una grotta, ma Crilin aveva appena finito di formulare, dentro la sua mente, tutto ciò, che l'incoscienza lo accolse di nuovo tra le sue oscure braccia.

 

Quando si risvegliò sentì subito di stare meglio. Il mal di testa era sparito, così come buona parte del dolore derivatogli dalle ferite. La fame gli attanagliava lo stomaco, ma quello era un fastidio a cui era abituato.

Un sorriso feroce gli deformò le labbra. Poteva essersi rammollito, ma restava pur sempre un guerriero. In poche ore il suo fisico aveva superato un trauma che avrebbe messo fuori gioco una persona comune per parecchi giorni.

Si rialzò. Accolse con sollievo il fatto che non ebbe problemi nel compiere quel gesto. Nausee e mal di testa se li era lasciati finalmente alle spalle. Finalmente ristabilito, il terrestre poté osservare meglio l'ambiente che lo circondava.

Quella che gli era sembrata a prima vista una grotta risultò essere solamente una profonda rientranza della roccia. Ora che stava meglio, il piccolo guerriero notò numerosi altri particolari che prima gli erano sfuggiti: il soffitto era basso, tanto che persino lui doveva stare attento a non sbattere la testa. L'aria era stranamente tiepida, ma ciò era derivato dal fatto che l'ingresso era parzialmente ostruito da un soffice cumulo di neve. Nel vedere quello sbarramento Crilin ebbe un fremito di paura. Aveva rischiato di morire assiderato nel più stupido dei modi.

Uscì. Ci mise poco a smuovere la neve, friabile com'era. Appena fuori, il gelo montano colpì con violenza il suo petto nudo. Il terrestre batté i denti dal freddo mentre tentava di riscaldarsi sfregandosi con le mani il torso e le braccia. I suoi muscoli si erano raffreddati durante il periodo in cui era stato incosciente, e ciò lo rendeva lento e goffo nei movimenti. Tuttavia, il vento freddo che spirava da nord-est ebbe la capacità di schiarirgli del tutto la mente.

Inspirò a pieni polmoni l'aria della montagna, ma se ne pentì subito dopo. Le sue vie erano ancora fortemente irritate, e questo lo fece piegare in due dal dolore. Solamente dopo qualche secondo riuscì a guardarsi intorno.

L'esplosione tra i due colpi energetici lo avevano spedito piuttosto lontano. Si trovava sul fianco sinistro di una montagna. Vicino alla radura dove si era scontrato con la sua copia. La posizione del sole nel cielo gli fece capire che era stato fuori combattimento per non più di mezza giornata. Crilin sentì, nonostante non potesse avvertirne l'aura, che il suo doppione si era rimesso in moto come lui. La sua mente ritornò velocemente alla sfida interrotta.

Una copia creata nella maniera utilizzata dal terrestre poteva venire distrutta solamente in due modi: o mettendo fuori gioco il suo creatore, o facendola consumare tutte le energie a sua disposizione. Essendo intimamente legati, nelle ore in cui Crilin era stato incosciente lo era stato anche il suo doppione. Tuttavia, ora che il suo creatore si era ripreso, anche la copia si sarebbe rimessa subito in moto. Occorreva dunque trovare una soluzione per porre fine allo stallo che si era creato.

La prima cosa che il piccolo guerriero fece fu azzerare la sua aura. Aveva bisogno di pensare e non voleva che la sua copia lo rintracciasse subito, riportandolo quindi a riprendere il combattimento.

Il vento aveva preso a soffiare con forza sul fianco della montagna, portando con se qualche fiocco di neve. Era un pomeriggio plumbeo e grigio, grosse nuvole si accalcavano sopra di lui, mentre il lamento lugubre del vento gli fischiava nelle orecchie. Nonostante fosse appena metà settembre, tra quei freddi picchi l'inverno era già arrivato.

Crilin sospirò. Quel luogo così freddo, solenne e severo gli ricordava con forza C18. Ma in quel momento il terrestre non aveva voglia di pensare alla cyborg. Doveva concentrarsi su se stesso, su quel combattimento, su come poteva cambiare e migliorarsi come persona e come uomo. Dopo essere riuscito, seppur con fatica, a scacciare l'androide dalla sua mente, il piccolo guerriero cominciò a riordinare i suoi pensieri attentamente. Quasi fosse un artigiano che riponeva ed ispezionava i suoi strumenti di lavoro.

La prima conclusione a cui arrivò fu che non aveva alcun senso combattere con le sue normali tecniche di combattimento. Nonostante avesse ancora qualche asso nelle manica, e tra di essi c'era il kienzan, Crilin era convinto che non avrebbero funzionato. Il suo avversario era se stesso. Nessuna delle sue tecniche avrebbe avuto successo per il semplice motivo che il suo doppione le conosceva bene, troppo bene. E sapeva di conseguenza come neutralizzarle.

Avrebbe dovuto improvvisare. Un'arte, questa, che gli era sempre venuta bene in combattimento. Ma in quel momento il suo cervello doveva essersi arrugginito dato che, dopo più di venti minuti in cui rimase fermo a pensare, non gli venne in mente nulla. Tutto quello che gli passava per la testa erano i soliti lugubri pensieri. La rabbia prese corpo di nuovo in lui. Tanto che, dopo un po', preso dalla stizza si mise ad imprecare sonoramente. Mentre ascoltava l'eco che gli faceva sentire, sempre più fioche, le sue maledizioni, al piccolo guerriero venne in mente il suo caro amico Goku e al fatto che, così come la sua voce si disperdeva tra e rocce, anche il saiyan e lui si erano allontanati nel corso degli anni. Il suo pensiero vagò, leggero ed impalpabile, tra i meandri della sua mente. Quasi fosse un tentacolo che si insinuava lentamente ma inesorabilmente. Il piccolo guerriero ripensò a tutti i bei momenti passati assieme al saiyan e di come questi, ormai, erano solamente un lontano ricordo da custodire con cura. In quegli istanti la sua mente riportò alla luce una lenta marea di ricordi di quella persona così buona, generosa e giusta. Ogni parola, ogni gesto che Goku aveva compiuto in tutti quegli anni in cui si conoscevano divennero nitide e chiare dentro di lui.

E di colpo tutto fu chiaro.

 

Come fai?”

A fare cosa?”

A fare quella mossa strana...quella in cui una strana aura rossa ti circonda.”

Goku, immerso nella piacevole operazione di svuotare l'ennesimo piatto colmo di cibo, voltò lentamente il volto verso il suo amico. Perplesso da quella domanda. Dall'altra parte del tavolo, Crilin assunse un'aria imbarazzata mentre si grattava impacciato la pelata.

Stai parlando del Kaioken?”

Non so come si chiama.” dichiaro il terrestre mentre con una mano giocherellava con una scaglia di pane. “Ma intendo quella tecnica in cui ti circondi di un'aura rossa come il sangue, diventando velocissimo e incredibilmente potente.”

Sul volto sporco di sugo del saiyan comparve un sorriso.

Si chiama Kaioken Crilin. E' una mossa che ho appreso da re Kaio nell'aldilà.”

Ma come funziona? Sì, insomma...come fai a diventare all'improvviso molto più veloce e potente del normale? È questo che non comprendo.”

Goku cominciò a rimuginare alla domanda che l'amico gli aveva posto. Conosceva la risposta, solo che non sapeva come esprimere il pensiero a parole. E sì che quando gliela aveva spiegato re Kaio quest'ultimo non aveva fatto tanta difficoltà a spiegare il concetto. Ma parlare non era mai stato il punto forte del saiyan. Per i successivi dieci minuti, Goku continuò a riflettere su come trovare le parole adatte, mentre Crilin lo osservava in silenzio. Perplesso dalle difficoltà dell'amico nel spiegare una cosa che sapeva benissimo.

Non so bene come spiegartelo.” dichiarò infine, pur con qualche esitazione, Goku. “Per fare il Kaioken tu devi metterti in contatto con le forze che pulsano attorno a te. È attingendo a quelle forze che io posso aumentare tutte le mie capacità di combattimento.”

Di quali forze stai parlando?”

Delle forze del mondo che ci circonda.”

Crilin scosse la testa. Non riusciva a comprendere.

Non capisco Goku. Quali sono queste forze? Dove sono? E, soprattutto, da chi sono compiute tali forze.”

Come pensi che facciano i venti a soffiare? I mari a muoversi? I vulcani ad eruttare? Ogni minimo evento che accade attorno a noi è compiuto da una forza, e tali forze permeano l'aria attorno a noi in ogni istante. Ci circondano, ci comprimono, ci obbligano a consumare energie per fare qualsiasi cosa, anche respirare.”

Ma come fai ad usarle? Insomma, non sono un novellino nella meditazione, ma io queste forze non le ho mai percepite.”

Goku sorrise. Un sorriso allegro e fanciullesco che era caratteristico della sua persona. Stava cominciando a divertirsi a fare la parte del maestro.

Tu parti con l'idea di riuscire a percepire solo le forze degli esseri viventi che ci circondano. Ma essi non sono gli unici che possiedono energia. Quando io uso la Genkidama pensi che faccia ricorso solo alle forze degli animali e delle piante? Se così fosse, combinerei poco o nulla. Pensa solo a quanta energia può donarti una stella del calibro del Sole! Eppure esso non è un essere vivente.”

Crilin rimase in silenzio. Pensieroso davanti alle parole dell'amico. Di solito, tra i due, era il terrestre quello che sapeva sempre tutto. Perciò, sotto un certo aspetto, era una situazione nuova per lui ricevere lezioni da parte di Goku. D'altro canto quest'ultimo riprese a mangiare, convinto di aver risposto alla domanda dell'amico.

Ma qual è allora la differenza tra il Kaioken e la Genkidama?” domandò all'improvviso il terrestre. “In fondo, tu hai detto che per usare entrambi ti servi delle forze che ti circondano. Ma allora cosa cambia tra l'usare una mossa al posto dell'altra?”

C'è una differenza” rispose il saiyan con un sospiro mentre, a malincuore, interrompeva per la seconda volta il proprio pasto. “Nell'usare la Genkidama tu ti limiti a chiedere al mondo che ti circonda di donarti parte della sua energia. Il Kaioken è diverso. In quel caso tu avvii un legame telepatico con le forze che ti circondano e le sfrutti per i tuoi scopi.”

Mi piacerebbe un giorno impararla.” dichiarò il piccolo guerriero con un sorriso.

E' pericoloso” dichiarò Goku con un'espressione improvvisamente seria. “Devi saperti destreggiare perfettamente con la mente mentre combatti dato che, se interrompi il contatto, le forze che tu sfruttavi ti abbandoneranno subito. Inoltre devi saper preparare il tuo fisico a riceverle. Le forze che tu intendi sfruttare sono gigantesche ed immense. Se non stai attento, esse ti consumeranno dall'interno. Uccidendoti in pochi istanti.”

Allora potresti insegnarmelo tu!” fece il terrestre mentre sorseggiava la propria birra. “Sono sicuro che potrei diventare forte quanto te se sapessi usare questo Kaioken!”

Chissà!” disse Goku con un grande sorriso.

 

Crilin rimase immobile per parecchi secondi. Frastornato dall'intensità con cui quel ricordo era ritornato a galla dalle profondità della sua mente. Il ricordo del suo amico morto lo colpì per l'ennesima volta con una violenza inaudita. Mentre sentiva i sensi di colpa che, in modo ormai per lui familiare, ruggivano con rabbia dentro di lui. Graffiandoli l'anima ed il cuore.

Scosse la testa con forza, nel tentativo di liberarsi dalla quella morsa strangolante che era il suo senso di responsabilità. Tenne chiusi gli occhi con forza, mentre cercava di appiattire il turbolento rimescolamento di emozioni e sensazioni che lo privavano della necessaria lucidità di pensiero. Una volta che fu sicuro di potersi controllare, il terrestre aprì gli occhi. Riflettendo su quello che aveva appena rimembrato.

La prima cosa che formulò dentro di lui fu darsi dell'idiota. Si domandò perché, nel periodo di pace di tre anni prima dell'arrivo dei cyborg, non avesse chiesto a Goku di insegnarli ad usare il Kaioken. Sarebbe stato talmente facile rendersi utile nelle battaglie successive se avesse imparato quella potente mossa! Invece non l'aveva fatto. Però la spiegazione del suo amico gli risuonava chiara e limpida in mente.

 

Devi metterti in contatto con le forze che pulsano attorno a te.”

 

Ma cosa significava mettersi in contatto? Avrebbe dovuto mettersi alla ricerca di tali forze con la mente? Goku ci aveva messo un anno per imparare a farlo, e lui non aveva tutto questo tempo. Era anche vero, però, che, in quel momento, lui era molto più forte del saiyan quando andò da re Kaio. Quindi esisteva la remota possibilità che potesse diventare un autodidatta.

Sospirò. Chiuse gli occhi e, con circospezione, allargò il proprio raggio mentale. Cominciando ad entrare in sintonia con il mondo circostante. Ciò che percepì all'inizio gli fu subito familiare: il lento metabolismo degli animali in letargo, le pulsazioni antiche e possenti degli alberi, il brulicare degli insetti nel sottosuolo. Il terrestre riuscì persino, pur con fatica, a captare la presenza di insediamenti umani a parecchie miglia di distanza. Non potendo usare la propria energia spirituale, il piccolo guerriero faceva una gran fatica a usare le sue capacità telepatiche. Dopo dieci minuti di pigre ricerche, il moro non aveva ancora concluso nulla.

 

Ma dove diavolo sono queste maledettissime forze?!”

 

Sempre più irritato, Crilin continuò le sue ricerche telepatiche, mentre il gelo montano lo faceva rabbrividire continuamente. Ad un certo punto, un violento attacco di tosse lo costrinse ad interrompere le sue ricerche per qualche minuto. Dalle sue labbra uscì sangue vermiglio. Ignorando totalmente il suo stato di salute, il terrestre provò e provò di nuovo. Fino a quando, infuriato, non lanciò un urlo di rabbia e frustrazione verso il cielo.

Dove siete?! Se esiste veramente qualche fottuta potenza nascosta, beh che si riveli!” vedendo che solo l'eco rispondeva alla sua collera, il terrestre perse definitivamente le staffe “STRONZI!”

Il dolore che le sue vie respiratorie gli inviarono ebbero il merito di riportarlo a ragionare. Calma. Ci voleva calma e una notevole dose di pazienza. Non poteva pretendere di imparare subito tutto. Doveva concentrarsi e non farsi prendere dalla rabbia.

Ricominciò. Usando, questa volta, anche parte della sua energia spirituale. Pur rischiando in questo modo di essere individuato, i risultati furono confortanti. La sua capacità percettiva era decisamente aumentata. A poco a poco, mentre continuava a sforzarsi di pazientare e di trattenere le proprie emozioni, il piccolo guerriero si immerse sempre di più nella meditazione. Isolandosi dal resto del mondo. A differenza di prima, in cui si era concentrato solamente su una fonte energetica alla volta, questa volta spaziò con il pensiero in modo circolare. La quantità di informazioni a cui arrivò all'inizio furono sconvolgenti: una quantità immensa di percezioni, odori e sensazioni delle creature che accarezzava con il pensiero gli invasero la mente. Tuttavia, nel giro di qualche minuto, Crilin riuscì a mettere ordine in quel flusso caotico.

Districandosi nella natura selvaggia ed impervia di quelle montagne, il terrestre cominciò a essere preso dallo sconforto. Non era ancora riuscito a trovare niente. Stava per rinunciare quando, all'improvviso, sentì un'energia lenta e possente alimentare il vento. Era un soffio leggero, come una spirale di fumo, all'interno della sua mente. Ma Crilin esultò dentro di lui. Ci era riuscito. Aveva finalmente cominciato ad individuare le forze di cui gli aveva parlato Goku.

A poco a poco, il moro riuscì ad individuare ed a localizzare meglio le forze che alimentavano l'aria. Rimase stupito da quanto intense fossero. Pur non potendolo precisare con chiarezza, quello che percepiva erano energia potentissime. Non strabilianti, ma comunque sufficienti per annientare, senza troppi problemi, avversari del calibro di Radish e Nappa.

Studiando a fondo l'energia del vento, Crilin riuscì, poco alla volta, a individuare moltissime forze ed energie che, fino a quel momento, aveva totalmente ignorato. Percepì l'energia frizzante e vigorosa dei torrenti montani, il cupo e possente oceano che si infrangeva orgoglioso contro la terraferma con una potenza che non sarebbe mai riuscito ad eguagliare. Percepì anche, lontano e distante, l'immenso potere del Sole, e di come i suoi raggi fornissero energia a moltissimi esseri viventi con il loro calore. Il conoscere così poco del mondo che lo circondava lo turbò. Quelle forze, quelle energie erano attorno a lui. Dappertutto. Proprio come gli aveva detto il suo amico Goku.

Ad un tratto, il terrestre percepì una potenza spaventosa. Era immensa, infinita, grandissima. Talmente grande che, all'inizio, Crilin pensò che si trattasse di un nuovo nemico. Solo dopo una più attenta occhiata attraverso il suo occhi interiore, il moro comprese che quella forza proveniva dall'interno del pianeta. Era una potenza latente, quasi sonnacchiosa. Ma pronta ad esplodere senza alcun preavviso. Davanti a tanta potenza, il piccolo guerriero rimase esterrefatto. Tuttavia, per quanto riuscisse ora a percepirle, egli non aveva idea di come mettersi in contatto con tali energie. Erano talmente smisurate e potenti che provare ad incanalarle dentro il suo corpo sarebbe stato come riversare uno tsunami dentro un secchio.

Improvvisamente, la sua mente percepì uno spostamento d'aria vicino a lui. Imprecò. A furia di allungare il suo raggio mentale aveva attirato l'attenzione della sua copia che, ora che l'aveva individuato, si preparava a tornale all'assalto.

Precipitosamente, il moro tentò di mettersi in contatto con tali forze. Fu tutto inutile. Appena tentava di avviare un collegamento mentale con queste, esse gli sfuggivano. Quasi fossero delle lucide palle di vetro unte d'olio. Il tempo passava, ed ormai sarebbe bastato poco prima che il suo avversario lo localizzasse. Tuttavia, più si faceva prendere dall'ansia, più il controllo di tali forze gli sfuggiva. Alla fine, esasperato, il terrestre provò a lanciarsi mentalmente contro di esse con la violenza di un toro imbufalito. L'unico effetto che ottenne fu di scontrarsi contro una barriera mentale solida, liscia e, all'apparenza, impenetrabile.

All'improvviso, un ki-blast lanciato contro di lui interruppe bruscamente il suo contatto telepatico. Subito dopo, Crilin aprì gli occhi, rimanendo accecato parzialmente dal riverbero del sole sulla neve. Subito dopo, un pugno andò a conficcarsi con violenza nel suo addome. Colto di sorpresa, il piccolo guerriero si limitò a strabuzzare gli occhi, mentre la violenza del colpo lo spediva a qualche decina di metri di distanza.

Si rialzò lentamente. Era pieno di rabbia e delusione. Ci era andato vicinissimo a raggiungere il suo obbiettivo! E ora, invece, avrebbe dovuto lasciar perdere tutto per colpa del suo doppione.

Se lo poteva scordare. Lui avrebbe imparato ad usare quella tecnica. Fosse anche dovuto perire su quel picco solitario.

Osservò la sua copia. Vide il suo volto inespressivo e rimase, come al solito, turbato da esso. Le loro ombra, identiche, si slanciavano sul manto nevoso alla loro sinistra, mentre i pallidi raggi dell'astro infuocato illuminavano i loro volti sporchi, stanchi ed insanguinati.

Fu quel riverbero a fargli venire in mente un'idea.

Non era nuova dato che l'aveva attuata diverse volte in vita sua. E, sicuramente, il suo avversario avrebbe provato ad anticiparla. Ma il terrestre era sicuro che, quando si sarebbe accorto di ciò, sarebbe stato troppo tardi.

Scattò verso l'alto, subito seguito dal suo avversario. Mentre si dirigeva verso nord, Crilin radunò parte della sua energia spirituale nelle mani. Quando le sentì sufficientemente calde, il terrestre decise di attuare il suo piano.

Kienzan!”

Subito dopo, sui palmi delle sue mani si formarono due cerchi energetici rotanti di color dell'oro. Senza neanche guardarsi dietro, il moro lanciò i due cerchi, con la speranza che il suo avversario si comportasse di conseguenza.

Funzionò.

Il suo avversario, per evitare i cerchi, fece uno scatto repentino verso sinistra. In questo modo, tuttavia, esso si trovò con il sole negli occhi. Il piccolo guerriero non si fece sfuggire l'occasione. Con uno scatto repentino, si portò davanti al suo avversario, portandosi le mani sul volto.

Taiyoken!”

Una luce accecante illuminò la zona, privando ogni oggetto delle proprie ombre e rendendoli, per qualche istante, privi di volume e profondità. Quando tutto finì, Crilin aveva ottenuto il suo scopo.

Il suo avversario, infatti, era rimasto accecato dalla mossa del terrestre. Pur senza pronunciare una sola parola, la copia del piccolo guerriero si portò le mani al volto. Approfittando di quella pausa, Crilin si precipitò al suolo dove ricominciò subito a ricollegarsi con le forze che aveva captato prima. Cercò di non pensare al trucco da lui appena usato dato che gli riportava alla mente brutti ricordi. Era stata quella mossa a permettere a Cell di assorbire C18. E questo lui non l'avrebbe mai potuto dimenticare dato che aveva visto tutto con i suoi occhi.

Appena riuscì a percepire le forze, il terrestre tentò di sfruttare tali forze ma, come prima, si trovò davanti a quella viscida barriera. Cercò più e più volte di sfondarla, ma i suoi risultati furono deludenti. Con il passare dei minuti si fece sempre più teso. Il tempo a sua disposizione stava scadendo. Presto la sua copia si sarebbe ripresa, e lui non avrebbe più avuto occasioni per tentare quella mossa. Provò più volte, in maniera sempre più violenta ed aggressiva, ma l'unico risultato che ottenne fu quello di irrigidire, se possibile, ancora di più la barriera.

Era finita. Doveva rassegnarsi. Non aveva abbastanza conoscenze per attuare il Kaioken. Evidentemente esisteva un metodo particolare che Goku non gli aveva spiegato. Stava per abbandonare del tutto il legame telepatico con quelle forze quando, all'improvviso, una voce risuonò dentro di lui.

Ti stai già arrendendo?”

Crilin rimase immobile. Fulminato da quella voce. Non l'aveva mai sentita, eppure gli pareva di conoscerla da una vita. Era una voce dolce, ma dal chiaro timbro maschile. Una voce carica di saggezza e comprensione, ma anche di potere. La voce, in definitiva, di un essere superiore.

Chi...chi siete?” domandò con tono esitante il piccolo guerriero.

La domanda giusta non è chi sono io” fece la voce. “Ma piuttosto, chi sei tu.”

Non lo sapete?”

So solo che stai tentando di usare il Kaioken. È per questo che ti ho notato. Altrimenti, credo che ti avrei ignorato. Sperduto in quell'angolo della Terra come sei, non ti avrei certo percepito con facilità.”

Ma si può sapere cosa volete? Insomma, se mi avete contattato ci sarà pur un motivo.” dichiarò il terrestre. L'ansia cresceva dentro di lui con il lento passare dei secondi.

Te l'ho già detto. Questa non è la domanda adatta a questo contesto.”

Potreste rispondere lo stesso. Non le pare?”

Beh...sì. Suppongo che abbiate ragione. Ebbene io sono re Kaio. Colui che ha inventato la tecnica che ti ostini a voler usare.”

Crilin rimase letteralmente a bocca aperta. Re Kaio! Stava parlando con il grande re Kaio e non se ne era neppure accorto! Tuttavia, la fretta che dominava il moro in quel momento, ebbe la meglio sulla sorpresa e l'incredulità.

Quindi lei può dirmi dove sbaglio?!”

Beh...sì. Direi che potrei anche dirtelo. Tuttavia, non credo che sia una buona cosa che tu lo sappia.”

E perché?”

Perché quello che stai facendo è sbagliato. Io ho letto il tuo cuore. Ho visto il tuo dolore, la tua rabbia e ho compreso che cosa ti angoscia. E credimi figliolo, non è questa la strada giusta.”

Non mi interessa se questo è giusto o meno! Mi dica dove sbaglio!”

...”

La scongiuro! Me lo dica!” urlò disperato il piccolo guerriero con il cuore pieno di ansia e frustrazione.

E va bene! Te lo dirò! Quello che hai fatto fino ad adesso è giusto nel concetto, ma sbagliato nell'approccio.”

E cioè?”

Tu ti rivolgi alle forze che ti circondano con rabbia e disperazione. Dentro al tuo cuore tu hai un violento desiderio di morte. E ciò spaventa le forze a cui tu stai chiedendo aiuto. Esse rappresentano tutto quello da cui tu rifuggi: la vita, la gioia, la pace. È per questo che non riesci a metterti in contatto con loro.”

Mi dica come posso fare allora.”

Svuota la mente. Annulla il tuo cuore. Abbandona il dolore che ti porti appresso da tanto, troppo tempo. Solo allora potrai entrare in simbiosi con tali forze, e diventare un tutt'uno con loro.”

Subito dopo, la voce di re Kaio lo abbandonò. Lasciandolo di nuovo solo con i suoi pensieri e le sue ansie.

Doveva abbandonare tutto quello che aveva provato in quegli ultimi anni.

Aveva pochi minuti per farlo.

E non sapeva da dove cominciare.

Decise di provarci. Non era facile, lo sapeva. Ma se voleva dominare quella tecnica, doveva lasciarsi alle spalle definitivamente il suo dolore per la morte di Goku, insieme ai suoi sensi di colpa.

Lentamente, Crilin svutò la sua mente. Abbandonò, sia pure con difficoltà, dolore e rabbia. Si liberò dei sensi di colpa. Sapeva che non poteva, in così poco tempo, liberarsene totalmente. Sperò, tuttavia, che il suo gesto venisse apprezzato a chi stava per chiedere aiuto.

E l'aiuto arrivò.

Appena ebbe liberato la sua mente dall'ultima traccia di rabbia, il muro che prima circondava le forze della natura scomparve. Lasciando al suo posto un fiotto densissimo di energia pura che, lentamente ma inesorabilmente, gli riempì il corpo. Trattenne il respiro. L'energia dentro di lui era tanta. Troppa. Gli faceva bruciare i muscoli di energia. Gli aumentava i battiti del cuore ad una velocità che non riteneva possibile raggiungere. Il sudore scorreva a fiumi sul suo corpo tremante di energia, trasformandolo in una statua di bronzo.

Il suo avversario, avendo ormai riacquistato la vista, si lanciò contro di lui a tutta velocità.

Ma Crilin era pronto questa volta.

E fu in quell'istante che, per la prima volta, pronunciò una parola che gli rotolò sulla lingua con familiarità. Quasi fosse stata la prima parola che avesse imparato a dire.

Kaioken!”

 

CONTINUA

  
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