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Autore: KaienPhantomhive    13/02/2013    3 recensioni
[NUOVA EDIZIONE - VERSO LA PUBBLICAZIONE
Dopo 7 anni di blocco dello scrittore, riprendo in mano finalmente questo progetto, con una revision e correzione integrale dei capitoli già pubblicati, oltre a proseguire la storia.
Indispensabili lettori e recensori, aiutatemi a trasportare questo sogno da EFP alle pagine di un libro!
Completa | Prosegue in: "EXARION - Parte II"]
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"Quando i Signori della Luna penetrarono per la prima volta il nostro cielo, ciò avvenne come un monito, portando con sé il Freddo Siderale. [...] E da quel giorno il Cielo fu d'Acciaio."
Anno 2050: dopo più di un secolo, l'Umanità imparerà ad affrontare nuovamente la sua più mortale nemesi; se stessa.
Zeitland, Natasha, Helena, Arya, Misha, Màrino, Aaron: qual'è il filo invisibile chiamato 'Exarion' che lega queste anime? Quale la vera natura e il segreto del contratto che li lega alle misteriose sWARd Machines, gigantesche entità bio-meccaniche dai poteri soprannaturali? Una storia di Amore e Odio, Ricordi e Desideri, conflitti, legami, alchemiche coincidenze e destini incrociati. La Storia dell'Amore Egoista e dell'ultima Guerra del Mondo.
Genere: Guerra, Introspettivo, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'EXARION: Tales of the EgoSelfish sWARd Machine'
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1.

Il Lato Oscuro della Luna

 

 

Quarantadue giorni dopo. Ore 06:45.

Cella della Siren; Settore-9; base Golgotha. Lato Oscuro della Luna (ca. 5.000 km dal Bacino Moscoviniense).

 

Un canto lieve si levava nell’oscurità sfumata d’azzurro della stanza silenziosa. Una giovane dai lunghissimi capelli intonava una melodia antica, fatta di parole sconosciute e vocalizzi liquidi. Nell’impossibilità di comprendere quel testo chiunque avrebbe potuto sentirci ciò che la psiche suggeriva, vagando tra finti ricordi di epoche mai vissute.

Nella sua grande cella, la donna intonò una seconda strofa, fissando la parete centrale costituita da un’unica vetrata affacciata su un orizzonte di bianca polvere e minuscole stelle.

Un tenue lume turchese si innalzava dalla vasca al centro del pavimento ricoperto di maioliche pregiate e si spandeva sulle pareti buie, mentre i riflessi dell’acqua disegnavano arabeschi argentati su ogni superficie.

 

Und der Herbst-Regen löscht die Erinnerung.[1] – la voce giunse alle sue spalle, cogliendola di sorpresa.

 

La Sirena smise improvvisamente di cantare, voltandosi di scatto con un piccolo sussulto.

Era bellissima, di una bellezza fuori dal mondo.

Inginocchiata con grazia sul pavimento, il profilo sottile e raffinato del suo volto risplendeva come porcellana negli scintillii della luce; lunghissimi capelli setosi le correvano fin sotto la schiena, spandendosi a terra dove sedeva, come una colata d’oro chiarissimo.

Una ciocca di capelli era legata in una treccia che le cingeva la nuca da tempia a tempia; le punte delle chiome sfumavano in un innaturale color rosa della più delicata tonalità. Aveva occhi d’ametista.

Dopo un primo istante di stupore, si rasserenò: “Ah…sei tu.”

“Sembri delusa.” – rispose l’uomo sulla soglia della porta blindata di acciaio, coperta di strani intarsi.

 

Stava a braccia conserte, con la schiena appoggiata allo snodo della porta; non arrivava ai trent’anni. Nell’oscurità generale della stanza, il suo volto era una chiazza bianca incorniciata da una chioma bionda ordinata e un accenno di barba; i suoi occhi sottili erano di un azzurro talmente chiaro da ricordare il ghiaccio. Il resto del corpo si fondeva all’ombra, vestito com’era da una tuta nera sulla quale risaltavano due spille d’argento: un’aquila e una croce celtica.

“Non lo sono.” – rispose lei, con voce tenue – “Tutt’altro: temevo che oggi non saresti venuto.”

“Sai che sarei venuto comunque.”

Un breve silenzio.

La ragazza riprese: “Stai imparando piuttosto in fretta il Linguaggio dell’Acqua: hai tradotto il mio ultimo verso.”

“È uno dei miei preferiti. Sto imparando a riconoscere alcune parole; sentirti cantare mi calma.”

“Calma? Sei agitato?”

 

Lui non rispose, ma si strinse ancora di più nelle spalle e domandò:

Lui è già venuto a trovarti, stamattina?”

“Non ancora.” – ammise lei, chinando lo sguardo – “Credo sia molto…preso dagli accadimenti.”

Il ragazzo si avvicinò lentamente, aggirando la piscina, e le si accostò. Notò che da sotto l’ampia gonna perlata ricamata d’oro spuntavano le caviglie nude della giovane; quella destra era chiusa da una catena cromata che serpeggiava per la stanza. Allungò una mano per provare a forzarla, ma lei si retrasse come se l’avesse scottata e gli trattenne il polso: “No, aspetta!”

Lui restò più contrariato che stupito.

Portando una mano al cuore, lei aggiunse: “Non farlo tu. Lui se ne potrebbe accorgere. Aspetterò.”

“Come vuoi.” – si risollevò in piedi; il suo volto tornò nella penombra. Scoprì il polso sinistro e sul piccolo orologio in argento lavorato notò l’orario. - “Si sta facendo tardi; dovrei andare, ora.”

“Va’ pure.” – annuì lei, rialzandosi – “Dopotutto oggi è il giorno prestabilito.”

Lentamente, avanzò verso la vasca infossata nel pavimento, immergendo un piede scalzo in acqua. Scendendo un gradino alla volta, prese delicatamente tra le dita le spalline di velo rosa, lasciandole scivolare sulle braccia nude e bianchissime. L’acqua le arrivava già alla base della schiena, mentre il lungo abito si allargava e increspava sulla superficie. La sua figura contro il nero ed il bianco lattescente dello Spazio oltre le finestre…era una dea.

Si stava ‘purificando’. Lo faceva sempre, all’inizio e alla fine di ogni rivoluzione lunare.

Ogni volta che la osservava, il ragazzo provava un brivido fin dentro il suo animo. Non era né paura né attrazione: era fascino, con una punta di timore giustificato.

Lei era quasi troppo meravigliosa per essere vera; più volte si era domandato se lo fosse sul serio. Lo era, quello ormai lo aveva capito. Perfino quello strano rituale ora iniziava a sembrargli meno inquietante. Ma i suoi occhi…quegli occhi non poteva toglierseli dalla mente; c’era qualcosa in quella donna senza età che non sarebbe mai riuscito a spiegarsi.

Lei inclinò appena il capo all’indietro, guardandolo con la coda dell’occhio: “Siamo al prologo della Profezia. Non possiamo cambiare il Passato, ma possiamo almeno scrivere il Futuro desiderato. Da adesso sta tutto a te…mio solitario Zeitland.”

 

*   *   *

 

La pesante porta blindata del Settore-9 si chiuse automaticamente alle spalle di Zeitland, seguita da un clangore metallico di meccanismi interni, sigillandola. Prima di uscire, si era assicurato di indossare una maschera nera che gli nascondeva il setto nasale e gli occhi.

Due soldati erano a guardia della porta, vestiti di lunghi impermeabili scuri e ingrassati che ricadevano su armature in fibra di carbonio e kevlar. I loro caschi, marchiati da due “S” bianche e spezzate, coprivano volti nascosti da grossi respiratori neri e protezioni oculari accese di rosso in corrispondenza delle pupille. Lui li degnò appena di un cenno, mentre loro scattarono in un saluto marziale: “Sieg Heil, Oberstleutenant!”

Zeitland Dietrich attraversò il breve vestibolo e raggiunse il trasportatore all’ingresso. Prese il morsetto in dotazione standard che portava alla cintura e lo assicurò a un gancio del mezzo, salì a cavalcioni e indossò il casco lasciato sul manubrio. Con l’azione di una sola leva, il trasportatore si avviò oltre la camera stagna in cui si trovava ed emerse sulla sterminata piana lunare.

Sfrecciò rapido su una singola monorotaia che dalla minuscola prigione metallica correva per oltre un chilometro sul suolo bianco, verso un complesso di edifici mastodontici, grandi cupole geodetiche ammonticchiate e mura squadrate che sembravano scolpite nella roccia.

 

*   *   *

 

Quando Dietrich rientrò nel Settore-12, dedicato alle zone abitative, il solito lungo segnale acustico che risuonava per tutta la Base non si smentì, nel suo essere molesto e puntuale: alle ore 7:00, un nuovo giorno senza alba era iniziato.

Le porte automatiche che aveva varcato si trovavano al livello più alto del Settore-12, dove si congiungeva con il suolo lunare. Sotto di esso, la colonia di Golgotha si sviluppava in una serie di livelli sotterranei, ricavati intorno le pareti di profondi crateri e che scendevano per quasi duecento metri nel corpo del pianeta. La voragine del Settore-12 era rivestita di un vetro rinforzato che lasciava entrare l’albedo della Luna, garantendo una vaga illuminazione naturale, coadiuvata dalle migliaia di piccole e fredde lampadine elettriche che correvano per ogni corridoio, stanza o boccaporto della Base. Le pareti circolari del cratere – come tutto, del resto – erano state rivestite di piastre e tubature di metallo scuro che annegavano la già fioca luce; lungo la circonferenza si aprivano corridoi, porte blindate e ponti in ferro a diverse altezze. Su tutto aleggiava un fumo di un indefinibile color grigiastro, che si levava stancamente dal centro della cavità.

 

Dopo che il segnale acustico ebbe smesso di suonare, Zeitland poté sentire il vociare e lo scalpiccio generale che iniziavano a riecheggiare ovunque, segno che la gente di Golgotha tornava a svegliarsi.

A differenza degli ambienti interni, le sezioni di passaggio – come tunnel o crateri – non erano provvisti di un meccanismo di regolazione artificiale della gravità, quindi Zeitland dovette agganciare ancora il moschettone al corrimano del ballatoio che costeggiava tutta la voragine. Bastò una piccola spinta per iniziare a scivolare lungo di esso.

Raggiunto livello inferiore entrò nel suo appartamento privato: una cella 3x3 e alta due metri e dieci, foderata di metallo, con una sola lampada al centro del soffitto che spandeva un lume malato. Due prese d’aria e un interfono erano collocate negli angoli del soffitto. Un letto, già rifatto prima di uscire, era addossato alla parete antistante la porta; nelle altre erano collocati, rispettivamente, una scrivania in ferro fusa con il muro, 3 aperture rettangolari che dovevano fungere da libreria (vuota) insieme a quello che poteva sembrare un montacarichi al momento chiuso e su cui era accesa una spia rossa, e infine un cubicolo dotato di un rozzo lavandino, un WC chimico estraibile sotto di esso e una rientranza nel muro che ospitava la sua doccia.

Dietrich si spogliò della tuta per operazioni nello spazio esterno e si infilò sotto la doccia. Come ogni giorno, aprì la valvola e i tubi idraulici in alto e ai suoi fianchi gettarono acqua bollente mista a una sostanza che puzzava di canfora. Come ogni giorno trattenne il brontolio di dolore quando l’acqua quasi gli ustionò le spalle e come ogni giorno la pulizia durò trentadue secondi esatti, seguita da quindici secondi di aria calda emessa dalle griglie laterali e sotto i suoi piedi.

In risposta al termine della procedura di disinfezione, la spia del montacarichi nella parete opposta passò da rossa a verde e il vano metallico si aprì di scatto, rivelando un vassoio con degli abiti e un secondo compartimento con un pacchetto rettangolare di circa otto centimetri.

Uscì dalla doccia già asciutto, attraversò nudo la camera e nel montacarichi trovò ad attenderlo la divisa da ufficiale e della biancheria intima, lavate, piegate e impacchettate in una busta numerata. Le prese e prese anche il pacchetto rettangolare: la sua barretta extra di proteine e carboidrati liofilizzati. L’avrebbe consumata a pranzo. Con la rapidità di chi ha ripetuto quei movimenti centinaia di volte, indossò i calzoni e gli stivali di vernice nera, ci infilò dentro la camicia bianca e strinse cinta e cravatta. Abbottonò la lucida giacca nera a doppio petto e si assicurò che le spille, le mostrine e la catenella d’argento del Reich fossero ben allineate sul petto. Sistemò una fascia rossa con Svastica sul braccio sinistro e da ultimo indossò guanti, cappello da Ufficiale e ancora la mascherina nera.

 

Terminata la vestizione, uscì dalla stanza e scese ancora lungo il margine del cratere. Stavolta trovò molti più individui lungo il ballatoio perimetrale: esseri minuti, poco più che emaciati, dalla pelle chiara al punto da mettere in mostra le vene dove era più sottile e con i crani rasati. Indossavano tutti camici e pantaloni di un grigio fumo uniforme, numerati all’altezza degli avambracci e del torace e tutti muniti di una cinta con il moschettone di sicurezza. Procedevano in fila, un po’ camminando e un po’ ondeggiando nella gravità ridotta del cratere, facendo scorrere il moschettone sul corrimano come un gesto istintivo. Ogni volta che incrociavano lo sguardo di Zeitland rispondevano scansandosi per lasciarlo procedere e stendendo il braccio destro per i timorosi “Sieg Heil, mein Herr” o “Sieg Heil, Schwarz Ritter” di rito. Zeitland era ormai arrivato al punto di quasi non sollevare più il braccio e biascicare un “Sieg Heil” di risposta quasi indistinguibile.

 

Arrivato al Höhe -3, subito dopo le due fasce di zone abitative e prima del Livello alimentare, Zeitland si fermò davanti a una porta ad apertura manuale: Medizinische Versorgung (Meisters allein)[2].

Bussò e una voce maschile lo invitò ad entrare.

Guten Morgen, mein Oberstleutenant. Puntuale come sempre.” – fu un uomo sui quarant’anni ad accoglierlo, in camice medico. Aveva capelli grigi e ripartiti con una riga laterale, molto puliti, e un paio di piccoli occhiali tondi. Era accerchiato da endoscopi, 2 lettini medici e un tavolo in acciaio, scatolette metalliche di ignoto contenuto, elettrodi per la rilevazione di impulsi corporei e altri macchinari e arnesi che a cui Zeitland non aveva ancora mai avuto dovuto sottoporsi.

Guten Morgen, Doktor Schulz” – rispose il giovane, togliendosi finalmente la maschera. Il dottor Karl Schultz era uno dei pochi civili di Golgotha ad avere l’onore e onore di guardare direttamente gli occhi di un Meister.

Si accomodò al tavolino in acciaio al centro della stanza piccola e affollata e il medico gli si sedette davanti, con già in mano una cartellina di carta riciclata recante il suo nome.

“Ho saputo che oggi ha in programma una sortita sulla Terra.” – disse Schultz – “Cercherò di non farle perdere troppo tempo.”

Sfogliò la cartella e ne estrasse un foglio con una serie di tabelle stampate, mettendolo sul tavolo ben in vista. Annotò la data corrente con una penna e iniziò a chiedere.

“Dunque. Come descriverebbe la sua condizione fisica attuale?”

“Perfettamente adatta a servire il Reich” – rispose l’altro, ricorrendo all’artificiosa categorizzazione di risposte che quella visita periodica prevedeva.

Gut.” – Schultz spuntò una casella sulla scheda; Zeitland non conosceva il significato di tutti i parametri riportati, ma aveva imparato che i giudizi positivi erano annotati in specifiche caselle. – “E come descriverebbe il suo attuale stato psichico?”

“Perfettamente adatto a servire il Reich.”

“Ha provato desiderio di praticare attività diverse dalla pianificazione mensile?”

“No.”

Sehr Gut.”

Un’altra spunta.

“Ha sognato, di recente?”

“Nemmeno.”

Altra spunta.

“Sente il bisogno di ricorrere a una dose di NBZD?” – questa era fase in cui Zeitland doveva sottoporsi a tediose domande di controllo della sua libido.

“Per ora no.”

“Ha avvertito bisogni sessuali nell’ultima settimana?”

“Non in questa settimana, no.”

Ancora due spunte.

“Ha praticato dell’autoerotismo dal nostro ultimo incontro?”

Zeitland dovette concedersi un paio di secondi prima di rispondere. Era sicuro che la sua condotta fosse in linea con quanto atteso da un non-utilizzatore abituale di NBZD, ma sapeva di poter migliorare ancora. “Una sola volta. Sto provando a portare il limite a dieci giorni.”

“Che pensieri aveva in quel momento?” – a quel punto del questionario la voce di Schultz si venava sempre di uno strano tono e sul suo viso si apriva una smorfia impercettibile.

“Nulla.” – disse apertamente Zeitland – “Avevo solo necessità di finire.”

Gut. È tutto.” – Schultz scribacchiò qualche ultima nota e richiuse la cartella, sorridendo compiaciuto – “Le auguro buona fortuna per la missione di oggi. E che gli spiriti del Terzo Reich la guidino.”

 

*   *   *

 

Poco dopo Zeitland prendeva posto nel refettorio del Höhe -4, il piano alimentare, per consumare la colazione. Come sempre il turno che spettava ai Meister e agli alti ufficiali era quello delle 7:45. Oltre a loro avrebbero avuto accesso alla mensa anche un terzo degli abitanti di Golgotha, mentre il resto della popolazione avrebbe potuto consumare il primo pasto dividendosi nei successivi due turni. Era ancora solo quando si sedette al lungo tavolo centrale, sul quale erano già pronti vassoi pieni. Quattro fette di vitello allevato a gravità ridotta, due fette di pane grezzo a lievitazione accelerata, sessanta grammi di vegetali a foglia verde nate in acquaponica e un bicchiere d’acqua filtrata. Questa sarebbe stata la sua colazione, meticolosamente preparata dagli ingegneri nutrizionisti della Base per garantire la riproducibilità delle scorte, senza sacrificare troppo il gusto e l’apporto di sostanze base. La varietà alimentare era minima, ma andava bene a chiunque fosse nato sulla Luna e non avesse mai assaporato la cucina terrestre.

A Zeitland venne istintivo guardare il vetro infrangibile che costituiva la parete destra della sala. Lo separava dall’enorme mensa comune, un ambiente spoglio come tutto il resto, ma decisamente più illuminato e pulito. Trecentosettantatrè coloni, adulti e minori, donne e uomini, attendevano la loro razione di cibo, divisi in sei lunghe file. Occhiate furtive volavano attraverso la sala in direzione della stanza separata dei Meister. I bambini, rasati anche loro, erano quelli che con più difficoltà si trattenevano dal comparare quel poco che intravedevano del cibo degli alti Ufficiali con le tre puree dai colori appena differenti che invece il resto di Golgotha riceveva come pasto. A consolarli, e in qualche modo a metterli allo stesso livello, era almeno la presenza di due elementi: il primo, la barretta proteica del pranzo che tutti, senza eccezione, conservavano gelosamente durante la giornata; il secondo, la pasticca biancastra che trovavano all’inizio di ogni settimana sui loro vassoi: la NBZD, un mix di neurolettici e benzodiazepine dosato ad arte, con funzioni di antidepressivo (di discutibile efficacia) e inibitore della libido (decisamente più riuscita). Questa, però, ai Meister non veniva somministrata.

 

“È sempre lei, nicht whar? Sei sempre così mattiniero, quando devi visitarla!” – una voce di ragazza, squillante e velata di sarcasmo distolse Zeitland da quella visione.

“Io sono sempre mattiniero, Helena.” – rispose gelidamente, senza voltarsi.

“Questo perché passi così tanto tempo da quella stramba Siren!” – la voce aveva fatto il giro del tavolo ed era davanti a lui.

“Ci sono problemi?” – il giovane alzò la testa, con la pazienza che iniziava a cedere.

La figura esile e slanciata che aveva davanti aveva un abito aderente e complesso, dai colori vivaci, assolutamente alieno rispetto al contesto generale. La ragazza strinse un pugno senza darlo troppo a vedere e si sforzò di risultare il meno interessata possibile: “No. Affatto. Solo vedi di sbrigarti! Manca meno di un’ora al Rat[3] e al Mond-Führer non piacerà affatto se qualcuno ritarda!”

“Non ci sono problemi.” – i venticinque minuti concessi per il turno della colazione sarebbero stati più che sufficienti. Lui mise in bocca una forchettata di carne, deglutì e le lanciò un’occhiataccia: “Ed è Kaiser, non Führer.”

 

*   *   *

 

Sala del Mond-Rat. Settore-1. Stessa Base.

 

La seduta del Consiglio iniziò sempre secondo il medesimo rituale.

Alti pilastri di marmo bianco, sulle cui sommità erano abbozzati dei seggi squadrati occupati da altrettanti individui, salivano lentamente all’interno di un condotto circolare verticale, al termine del quale un’intensa luce bianca filtrava dagli spazi vuoti di una stella a sette punte. Uno ad uno, cinque seggi emersero oltre la superficie di quel bizzarro soffitto, che ora si rivelava come il pavimento di una sala sopraelevata. La sede del Consiglio; una stanza a pianta circolare alta dodici metri e ampia sette, ideata per accogliere i supremi organi decisionali del Quarto Reich Lunare. Gli altissimi scranni si fermarono in corrispondenza delle punte della stella, tranne due: quelle agli estremi Sud e Nord. Quest’ultima, però, sarebbe presto stata colmata. Dietro, le mura in cemento e acciaio grigio della sala cedevano il posto a un’unica, colossale parete a vetri contornata di intricate ramificazioni di in ferro, oltre cui si estendeva l’orizzonte nero e bianco della Luna. Sulle pareti spiccavano quattro lunghi arazzi rossi, recanti una svastica centrale unita tramite una linea spezzata a tre tondi bianchi sopra di essa e altrettanti al di sotto, in una specie di ‘S’. Lo stesso emblema che i presenti portavano legato al braccio sinistro.

 

Poi, con un rumore di ingranaggi in movimento, qualcosa iniziò a sorgere dall’ultima punta rimasta vuota: il Mond-Kaiser. L’Imperatore Lunare.

La torre su cui sedeva era più alta e ricca di tutte le altre, sovrastandole; il trono che si ergeva sulla cima splendeva d’oro, intagliato in curve barocche, imbottito di broccato rosso. Un uomo sedeva avvolto in un’ampia tunica nera, vistosamente ricamata in oro con grandi occhi stilizzati. Una fascia di seta viola gli cingeva torace, spalle, schiena e si inseriva nella grande cintura d’argento, per poi ricadere fino ai piedi del trono. Il suo volto era celato da una maschera dorata arricchita da lunghe piume di corvo. Piume scure, ma non come quei capelli: lunghissimi, di una lucidità innaturale, raccolti alla base del collo e poi lasciati pendere in un fiume nero come la notte.

I presenti stesero all’unisono il braccio destro: “Heil, Kaiser!

Wilkommen, Ratsmitglieders.[4] – li accolse; aveva una voce giovanile, eppure profonda, decisa – “Comincio dimostrandovi la mia soddisfazione. A poco più di un mese dal nostro ritorno sul pianeta madre grandi passi avanti sono già stati compiuti e i nostri progetti si svolgono secondo quanto programmato. Tuttavia, ho saputo che alcune Nazioni della Terra stanno mostrando resistenza più di altre.”

Poi si voltò alla sua destra: “Oberst-Gruppenführer Albrecht.”

 

L’uomo a cui si stava rivolgendo era Erwin Albrecht, noto a chiunque al di fuori di quella sala solo come “Luft-Oberst[5]. A trentotto anni era il secondo uomo più potente sulla Luna, Generale d’Armata del Quarto Reich e Generale della Divisione Schwarz Pik[6], con mandato speciale per la gestione delle relazioni terrestri. Indossava una giacca di lana battuta nera colma di gradi militari, dal bavero abbastanza alto da sfiorargli le orecchie e con due grosse fibbie metalliche per chiusura; sotto la visiera del cappello, si intravedevano basette ingrigite che incorniciavano un volto virile e sbarbato, tagliato in due da una benda nera a coprire l’occhio sinistro.

 

“Gli ultimi aggiornamenti.” – incalzò il Kaiser.

“Gli accordi segreti per la formazione del Nuovo Asse procedono bene. Il Cancelliere tedesco ha siglato il documento per l’assunzione fiscale delle spese di ricerca bellica e stiamo lavorando per sfruttare le dipendenze economiche degli Stati confinanti con la Germania, in modo da creare una cintura politica tra Russia ed Eurasia dell’Ovest. Le nostre talpe ci informano che potremmo ricevere presto anche il sostegno di alcuni gruppi separatisti delle Nazioni Arabiche Unite e del figlio dell’imperatore giapponese.”

Il Mond-Kaiser voltò la testa di tre quarti, rivolgendosi alla donna alla sua sinistra, su un seggio leggermente più basso di quello di Albrecht: “E la questione italiana?”

“Quella fastidiosa incongruenza sui limiti di territorialità è stata rimossa, mein Kaiser.” – ripose l’interpellata, accavallando le gambe – “Di certo la presenza del Vaticano come zona franca sta creando delle frizioni per guadagnare la piena disponibilità dello Stato, ma nulla che possa ritardare i piani.”

 

Fu Katrina Winkler a rispondere. Trentadue anni, slanciata, vestita di guanti e stivali alti e lucidi e di un corsetto metallizzato intagliato a squame di pesce. Sotto la cascata di capelli corvini, interrotti da una lunga ciocca blu che le correva fino al seno, un viso dalla carnagione afro-latina. Era di certo l’unica mosca nera in un mare di mosche bianche, lì a Golgotha. E come mosche ronzavano i commenti, bisbigliati nella curva di un corridoio o tra un boccone di cibo e l’altro, sulle origini di “Undine[7]” e di come fosse potuta arrivare ai vertici dell’Ordine ariano del Reich: Gruppenführer della Divisione Marine Kreuz[8] per le operazioni navali e Capo della Commissione per il Rinvenimento delle sWARd Machines sulla Terra.

Il Kaiser gettò uno sguardo al trono immediatamente adiacente a quello della Winkler, l’unico rimasto vuoto: “Da quel che vedo Ninagal non è ancora stato trovato.”

Sorridendo garbatamente, Undine lo corresse: “Piuttosto non si è ancora risvegliato: il Quarto Soggetto Designato è stato già localizzato con un buon margine, anche se la posizione corrente della Machine resta incerta.”

“E anche se la ritrovaste, cosa vi fa pensare di aver visto giusto?” – dalla parte opposta, su un seggio più basso, una ragazza dall’abito appariscente la interruppe senza troppe cortesie – “Siete davvero certi che la sWARd Machine segua i vostri stessi parametri?”

Il suo intero abbigliamento non poteva passare inosservato: un completo unico – come una tuta di seta e velluto blu dai ricami dorati – la ricopriva interamente; gambe e braccia erano fasciate da guanti e stivali in vernice bianca, mentre sulla testa portava un largo copricapo blu con una retina nera e due grandi fiori di stoffa dello stesso colore. Helena Heathfield, ventitré anni, un genio. Gruppenführer della Divisione Lieblos Herz[9] per lo sviluppo degli armamenti del Reich e Terzo Soggetto Designato alla guida di una sWARd Machine di tipo ibrido. Per tutto il resto di Golgotha, era solo “Manticora”.

 

Dal suo seggio, Zeitland Dietrich squadrò la giovane. Sapeva che quella ragazza aveva la lingua troppo lunga per partecipare a una seduta del Consiglio ma, a dispetto di tutto, il Kaiser si ostinava a volerla tra la cerchia dei suoi protetti. Forse.

“Le analisi statistiche condotte dalla Commissione di Ritrovamento sono sempre impeccabili!” – la leader di Marine Kreuz incrociò le braccia con una smorfia; se c’era qualcosa che Katrina Winkler non sopportava era farsi contraddire da coloro che riteneva inferiori, per grado e autorità. – “I calcoli per la triangolazione seguono le indicazioni contenute nei Registri.”

“La decifrazione dei Registri di Paracelso richiede procedure supplementari.” – una quinta voce si aggiunse alla discussione. Proveniva dall’uomo sul pilastro adiacente a quello di Helena Heathfield e di altezza pari a quella del Generale Albrecht.

 

Era un uomo dalla voce tagliente e impostata, che sedeva con la gamba destra rigidamente accavallata sulla sinistra e con i gomiti ben piantati sui braccioli. Come i suoi pari indossava un completo dalla foggia incredibilmente appariscente: una giacca a doppio petto di velluto scarlatto ricamato con losanghe dorate, polsini di pizzo a sbuffo e alti stivali di pelle ricamata. Il viso asciutto e dalla fronte alta era reso ancor più spigoloso dai capelli grigi impomatati all’indietro. Ma se anche si fosse spogliato di tutto, non avrebbe mai potuto lasciar cadere la lente ottica che gli copriva l’occhio sinistro, sorretta da un intrico di cavi e meccanismi direttamente innestati nel suo orecchio. Adler Jung, l’unico membro della Divisione Seeles Karo[10] e Primo Soggetto Designato. A parte il suo vero nome e l’appellativo con cui si lasciava chiamare dai civili – Schattennarr[11] – era il mistero personificato, come il Mond-Kaiser stesso.

 

Adler Jung continuò: “Sebbene al momento siamo nelle condizioni di tradurre le copie dei Testi Fondamentali restano ancora da chiarire alcune dubbiosità, come la scelta dei Meisters e del reale rapporto tra il Limitatore di Oreikhalkos e l’anima delle Machines.”

“Rimanderemo ad altra sede queste discussioni.” – tagliò corto il Kaiser, come volendo aggirare l’argomento.

Jung sorrise tra sé, tacendo. Sapeva il perché di quello stroncamento a caldo. Sapeva che l’Imperatore non era incline a discutere dei misteriosi manoscritti rinvenuti in un luogo a chiunque sconosciuto ed ora in mano all’Ordine Nazista del Quarto Reich.

“Veniamo al dunque.” – continuò il Kaiser e lanciò un’occhiata al Generale Albrecht.

“Come ho già anticipato al Mond-Kaiser” – spiegò l’uomo – “dal rapporto sulla Convenzione di Ginevra per gli accordi internazionali emerge che la Russia continua a dichiararsi opposta alle nostre condizioni, anche se impegnata in uno stato di non-belligeranza. Ma grazie alla conquista della base Artemis sul Lato Chiaro della Luna abbiamo ora accesso allo storico delle rilevazioni della rete satellitare HAARP-3. Già da qualche mese, le letture registravano delle variazioni elettromagnetiche anomale in corrispondenza del lago Baksheevo, a circa centosettanta chilometri da Mosca. Si tratta di un ex-sito militare che avrebbe dovuto essere dismesso con il disarmo del 2033, ma abbiamo motivo di pensare che stiano sviluppando qualche nuovo armamento. Per questo motivo, io e l’Oberstleutenant Dietrich ci recheremo sul luogo per un accertamento.”

“Ad essere sincero…” – la voce di un giovane uomo impedì ad Albrecht di aggiungere altro – “…era mia intenzione chiedere una sortita in solitaria.”

 

A parlare era stato Zeitland. Ventisei anni, Tenente Colonnello della Divisione Schwarz Pik e Secondo Soggetto Designato come Meister di un’unità sWAn, Zeitland Dietrich era unanimemente considerato il soldato più abile del Reich. Dalla condotta pressoché irreprensibile, trascorreva la maggior parte del suo tempo in solitudine e non aveva mai trasgredito un ordine, mai espresso un parere fuori luogo, a memoria d’uomo. Eppure, nemmeno questo sembrava impedire alla maggior parte degli abitanti lunari di provare una certa diffidenza nei suoi confronti: che fosse molto più vicino al Kaiser di chiunque altro (a parte forse Adler Jung) era evidente, nonostante nessuno sapesse il perché. D’altro canto, come per gli altri Soggetti Designati, rivolgergli la parola era fuori discussione e agli occhi degli altri era solo lo ‘Schwarz Ritter’.[12] Ma per pochissime persone, per le quali le dita di una mano erano sufficienti, lui poteva anche concedersi di farsi chiamare ‘Zeit’.

Una leggera, quasi inconscia, scossa era corsa lungo la sua schiena quando il Generale aveva parlato. In un istante gli era balenato in mente il volto di Arya e le settimane precedenti passate a sussurrare con lei di un fantomatico ‘momento’ che sarebbe dovuto giungere e a cui avrebbe dovuto prendere parte da solo.

Era arrivato.

 

Colto alla sprovvista, il leader di Schwarz Pik si voltò verso di lui: “Da dove esce questa novità? Non me ne avevi parlato.”

“Chiedo scusa, Oberst-Gruppenführer.” – rispose con fermezza – “Ho meditato su questa possibilità solo di recente. Si tratterrebbe di una semplice visita d’accertamento, penso di avere le capacità per poterla condurre in autonomia. Ovviamente solo se il Mond-Kaiser e lei mi benedirete con la vostra fiducia.”

E chinò leggermente il capo, in segno di rispetto.

“Ne sei certo, Schwarz Ritter?” – chiese l’Imperatore, gravemente – “Non credi che avresti almeno bisogno di una scorta?”

“Sei uomini e due Nacht Jägers basteranno.” – il giovane non sembrava avere indecisioni.

Dietrich non era solito imporre le sue decisioni su quelle di un superiore, ma stavolta era diverso; questa volta aveva dovuto farsi sentire prima che la sua occasione svanisse. Non sapeva cosa attendersi da quella missione, ma sentiva che più che seguire un ordine aveva bisogno di risposte a interrogativi ignoti perfino a lui. Qualcosa doveva accadere, qualcuno doveva incontrarsi, ma le modalità e le motivazioni erano avvolte nell’ombra.

Approfittando del silenzio generale, incalzò: “E se le cose dovessero volgere al peggio potrei contare sulla mia Machine. L’Anbar Atanor che era stato rinvenuto è pronto al processo di apertura tramite Elettroconduzione messa a punto da Herr Doktor e con l’aiuto della Siren il suo risveglio dovrebbe poter avvenire senza violare il Limitatore di Oreikhalkos.”

“In effetti anche lo Steins Gatter è pronto all’utilizzo su campo.” – aggiunse Helena – “Grazie ad HAARP-3 il Cancello di Trasporto Materico potrà bypassare i satelliti terrestri e inviare le nostre Unità ovunque.”

Il Mond-Kaiser restò ancora alcuni secondi in silenzio, poi acconsentì.

“E sia. Faremo a modo tuo, Schwarz Ritter. Partirai per la Terra oggi stesso. Ti assicurerai che quello scomodo avamposto militare non ci dia problemi.”

Jawohl.” - Zeitland ribadì il concetto con un cenno della testa – “Vielen Danke, mein Kaiser.[13]

 

Il Kaiser sollevò una mano, avviandosi alla conclusione: “Così è deciso. Ricordate la nostra missione, Membri del Consiglio. Il mondo è corrotto. Ci ha esiliato per non affrontare la sua debolezza, ma ci riprenderemo ciò che ci è stato tolto per lungo tempo e riporteremo infine il sistema all’ordine naturale delle cose.”

Di rimando, i presenti stesero il braccio destro e ripeterono il motto dell’Ordine:

Mögen die Geister des Dritten Reiches uns führen! Heil Kaiser![14]

E il suono di quella parola risuonò ancora, mentre i seggi si ritiravano nel condotto sottostante.

Heil Kaiser! Heil Kaiser! Heil Kaiser!

Ma prima che scomparisse del tutto dalla sua vista, Zeitland poté scorgere il Mond-Kaiser ancora ritto sul suo pilastro, che lo fissava dall’alto. Il giovane Cavaliere Nero ebbe appena il coraggio di sostenerne lo sguardo, poi il buio del condotto lo avvolse.

 

[1] Dal Tedesco; lett.: “E la pioggia d’autunno cancella le memorie.”

[2] Dal Tedesco; lett.: Assistenza Medica (solo Meisters).

 

[3] Dal Tedesco; lett.: Consiglio, Concilio

 [4] Dal Tedesco, lett.: “Benvenuti, Membri del Consiglio.”

[5] Dal Tedesco, lett.: “Generale dell’Aria.”

[6] Dal Tedesco, lett.: “Picche Neri.”

[7] Dal Tedesco, lett.: “Ondina.”

[8] Dal Tedesco, lett.: “Fiori Marini.”

[9] Dal Tedesco, lett.: “Fiori Marini.”

[10] Dal Tedesco, lett.: “Quadri dell’Anima.”

[11] Dal Tedesco, lett.: “Giullare dell’Ombra.”

[12] Dal Tedesco, lett.: “Cavaliere Nero.”

[13] Dal Tedesco, lett.: “Sissignore. Grazie molte, mio Imperatore.”

[14] Dal Tedesco; lett.: “Possano gli spiriti del Terzo Reich guidarci! Salute all’Imperatore!”

   
 
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