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Autore: Charlene    15/02/2013    13 recensioni
"Una facciata può benissimo essere solo una facciata. Sia che l'apparenza sia positiva, che negativa. Basta saper guardare." Kei è un galeotto tirato fuori di prigione dal padre di qualcuno che conosciamo... e da lì inizierà una nuova vita in un liceo esattamente del tipo che lui detesta. Se la caverà? E il resto lo saprete leggendo.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hilary, Kei Hiwatari, Rei Kon, Takao Kinomiya, Yuri
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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VENTESIMO CAPITOLO

 

-Non devono trovarlo. Se lo prendessero e lo portassero in Russia, non lo recupereremmo più. Ma finché è qui si può fare qualcosa, ci sarebbero diecimila cavilli legali per impedire tutto quanto.- spiegò Kanako, prendendo le chiavi della macchina. Hara, molto turbata, fece sì con la testa.

-Non si tratta nemmeno di “cavilli”, ci sono delle procedure piuttosto lunghe e loro le stanno scavalcando tutte.- aggiunse lui, anche per auto convincersi. Soprattutto per auto convincersi.

-Stai andando a prenderlo?- gli chiese la moglie, mentre Takao scattava in piedi. –Vengo con te!-

-Non… sì, d’accordo.-

-Aspettate. Non vi pare che, a meno che non siano scemi, quelli potrebbero non aspettare altro e seguirvi?- chiese Hara. Kanako e Takao rimasero zitti, poi si guardarono, sconcertati dalla loro stessa avventatezza.

-Mio dio. Grazie, tesoro.-

 

***

 

-E ti starebbero inseguendo con manganelli elettrici, sarebbero venuti qui dalla Russia, avrebbero fatto tutto questo casino solo per… portarti dove legalmente dovresti essere?- chiese Crawford.

-Già.- fu l’ermetica risposta di Kei.

-Però, che senso del dovere. E ovviamente tu non ci vuoi andare.-

Il ragazzo annuì.

-Mh. Potrebbero essere ancora qui intorno.-

-Non ha intenzione di sbattermi fuori?-

Ryo alzò gli occhi al cielo: -L’avrei già fatto, se avessi voluto.-

Si  guardarono con espressioni indecifrabili, e Hilary si intromise: -Io devo vedere in che condizioni è ridotta casa mia…-

-Tu non ti muovi da qui.- sbottò Kei.

-Perché? Se ne sono andati, e se anche tornassero, basta che dica che non so dove sei.-

-Ho detto di no, stai qui.-

-Hiwatari…- disse Crawford, finendo il proprio caffè e poggiando la tazza sul tavolo. –Quanto è pericolosa questa gente?-

Kei sgranò gli occhi. Non voleva andare a parare lì, anche se sapeva benissimo quanto fosse ormai difficile “coprire le spalle” alla Borg. Quanto era paradossale doverlo fare? Ma si era già sufficientemente pentito di aver parlato con Kanako riguardo a ciò che realmente accadeva lì dentro. Non poteva permettersi che altri iniziassero a sapere troppe cose, era pericoloso. Era sufficiente che pensassero che fosse un posto orrendo, al livello di molti altri collegi o orfanotrofi dove i ragazzini crescevano a pane e calci.

-Non… no.-

-Hanno manganelli elettrici.- ripeté Ryo.

-Sono guardie, è normale.-

-No che non lo è!-

Kei pensò di arrampicarsi ulteriormente sugli specchi, ma concluse che il mutismo fosse la soluzione adatta.

Crawford sospirò, piuttosto esasperato dalla situazione. Hilary, mal sopportando la tensione che si era creata, alzò la mano.

-Takibana santo cielo, non siamo a scuola.-

-Scusi. Potrei usare il bagno?- chiese, tesa.

-Sì, certo.-

Hilary lo ringraziò e uscì dalla cucina, sparendo nell’andito.

-Hiwatari, mi rispondi?-

-No.-

Ryo si mise una mano sugli occhi.

-Come sei finito in quel postaccio? Tuo nonno era miliardario, non ti ha trovato di meglio?-

-Mi ha sempre odiato, anche quando ero un bambino.- rispose Kei con un’alzata di spalle.

-E i tuoi genitori?-

-Sono morti. Ero piccolo. È stato allora che lui mi ha mandato lì.- nel dirlo Kei alzò lo sguardo. -E adesso ci devo ritornare.- concluse amaramente.

Crawford annuì mentre Kei lo squadrava. Non aveva mai constatato quanto fosse giovane per essere un insegnante. Ryo si sentì fin troppo osservato, e piantò gli occhi -di un azzurro talmente chiaro da tendere al colore del ghiaccio- nei suoi.

-Non è detto che ci riandrai. Kinomija è un ottimo avvocato, avrà già trovato un modo per evitarlo.-

-Beh, ma è come ha detto lei… se hanno i manganelli un motivo c’è.-

-E in questo caso chiameremo la polizia.-

Kei si stropicciò gli occhi, stava morendo di sonno. Ed era stanco, fisicamente e mentalmente. –Mi troveranno.- stabilì.

Crawford aveva sentito, ma non disse niente.

Kei iniziò a sentire risalire la tensione. Era vero, non avrebbe potuto scappare all’infinito, anche se quello era ormai il suo unico piano. Iniziò a giocare nervosamente con il portafogli, aprendo e chiudendo il bottone.

Ryo lo vedeva sempre meno come un teppista e sempre più come il ragazzino in crisi che era. Era un processo iniziato già nel momento in cui aveva visto in che condizioni fosse la sua schiena: un campo di battaglia di cicatrici. Non aveva mai visto niente del genere e aveva fatto fatica a levarsi dalla testa quell’immagine.

Che Kei avesse paura era evidente, anche se era troppo orgoglioso per dimostrarlo. Così aveva preferito darsi ai tic nervosi, svuotando il portafogli sul suo tavolo.

-Perché tieni tutta quella roba lì dentro?-

Crawford alludeva alle tonnellate di scontrini e ricevute.

-Mi dimentico di buttarle.-

Sigarette, sigarette, sigarette. Sigarette. Quanto accidenti fumava quel ragazzo?

Kei prese qualcosa da una tasca del portafogli, e sogghignò: -Sa quante volte li ho odiati?-

-Scusa?-

-I miei genitori. Li ho odiati perché sono morti e mi hanno lasciato solo.-

Ryo non aveva davvero idea di cosa dire. Non era tipo di molte parole, non riusciva nemmeno a consolare i suoi stessi amici in momenti del genere, figurarsi un ragazzo che detestava e da cui veniva puntualmente detestato.

-Non… è una cosa giusta, per un ragazzino.- riuscì a dire infine.

Kei si rigirò la vecchia foto tra le mani. –Ora ho un’età decente e mi dovrei rendere conto che la colpa non è loro. Ma li ho odiati quando ero in prigione, quando ero in disgustose case famiglia, quando ero al monastero… e adesso. Ora che sono costretto a scappare e a nascondermi, perché i miei genitori non ci sono. Di loro ho solo questa foto.-

Il ragazzo gettò l’oggetto, piuttosto consunto e rovinato, in mezzo agli scontrini.

Ryo non l’aveva nemmeno guardata apposta, gli era solo caduto l’occhio nella chiazza scura dei capelli della donna ritratta nella foto. Ma quando aveva messo a fuoco l’immagine, aveva perso un battito. Tese una mano e prese il vecchio scatto, forse aveva visto male.

Una giovane coppia sorrideva all’obbiettivo. Lui aveva i capelli scuri, sembrava piuttosto alto. Teneva un braccio intorno alle spalle di… lei. Era bella, era mora e aveva due grandi occhi viola, pieni di vita.

-Rin…- disse piano. Kei si riscosse dal suo stato comatoso, raddrizzandosi bruscamente sulla sedia.

-Cosa?-

-È… è tua madre?-

-Sì.-

-Rin Harada?-

-Sì, è il suo nome.- rispose Kei, con aria interrogativa e il cuore a mille.

Ma Crawford sembrava aver perso la lingua, e continuava a fissare la foto senza dire nulla, senza spiegare.

-Professore, la conosceva? Conosceva mia madre?- insistette allora il ragazzo.

-Sì noi… eravamo compagni di scuola. Eravamo amici.-

 

***

 

Hilary udì del movimento oltre la finestra del soggiorno. Camminò cauta, senza accendere la luce della stanza, fino ad accostarsi al vetro. Erano tornati ed erano a qualche metro di distanza, nel giardino di casa sua.

“Merda…” mormorò fra sé, vedendo che stavano guardando verso quella di Crawford. Se avessero dato una controllata, non ci avrebbero messo molto a trovare il foro e a fare due più due. Hilary corse verso la cucina, stupendosi di non trovare più nessuno.

-Kei? Prof?- chiamò a media voce. Imboccò le scale, diretta al piano di sopra. Non le piaceva il fatto di stare vagando in casa altrui, ma doveva avvisare Kei.

Entrò in quello che sembrava essere uno studio e li vide di spalle, intenti a guardare un libro che Crawford stava sfogliando. Hilary si avvicinò, chiedendosi se cinque minuti in bagno fossero bastati perché quei due diventassero compagni di merende. La risposta era ovviamente no, così si chiese cosa stessero facendo esattamente.

Kei in quel momento era troppo intento a guardare quella serie di scatti contenuti nell’album di foto che il professore aveva tirato giù da una mensola.

Soichiro Hiwatari aveva provveduto a far sparire ogni traccia del fatto che Kei avesse avuto dei genitori. L’unico ricordo che gli era rimasto di loro era proprio quella vecchia foto che custodiva nel portafogli.

Ora invece poteva vedere nitidamente sua madre, giovane e stupenda, sorridergli con gioia sincera.

-Eravate…- Kei esitò. Gli sembrava tutto incredibilmente assurdo, e aveva un groppo in gola che gli impediva di parlare. –Eravate molto amici?- chiese, alludendo al gran numero di foto insieme, ma soprattutto alle loro espressioni. Crawford era in grado di ridere, e questo Kei non lo aveva mai pensato.

Ryo annuì, fissando con aria spenta l’immagine di Rin appesa come uno zaino sulle sue spalle. Non rimembrava esattamente chi l’avesse scattata, ma ricordava quel momento; era poco prima del diploma. Si era addormentata durante un falò in spiaggia. In effetti si addormentava dappertutto.

Kei girò pagina. Ballo di fine anno, senza dubbio.

-Kei….-

La voce di Hilary sorprese entrambi, non l’avevano sentita entrare.

-Scusate ma… sono tornati e sono nel mio giardino, credo che capiranno che siamo qui.- spiegò, tesa.

-È meglio se me ne vado.- rispose Kei, iniziando a muoversi.

-Non puoi uscire adesso! Ti vedranno!- protestò la ragazza.

-Vi ho già creato troppi problemi, da adesso faccio da solo.-

-Kei, no.- insistette Hilary. Ma ormai era ben deciso.

-Ho già in mente dove andare. Ora sento Boris, gli chiedo se mi dà una mano con la mia roba. Non preoccuparti.-

Ryo si riscosse dal torpore e intervenne: -Non puoi uscire adesso. Pensi di aprire la porta di ingresso e andartene come se niente fosse?-

Fece per dire di sì, ma Crawford aveva ragione; avevano ragione entrambi. Kei capì di stare sragionando e di doversi dare una calmata, non era da lui perdere la testa così. Sospirò e annuì.

-Se osano cercare di entrare in casa mia, chiamo la polizia.- continuò Ryo accigliato, iniziando già a comporre il numero sul cellulare e mettendoselo in tasca. Per l’appunto, in quel momento suonarono alla porta.

-Che palle!- ringhiò Kei.

Crawford li superò e si diresse verso le scale: -State qui e non muovetevi.-

I due lo guardarono sparire oltre la porta, poi si lanciarono un’occhiata preoccupata.

-Che facciamo?- chiese Hilary, tesa. Kei inaspettatamente sorrise. La ragazza iniziò a credere che stesse impazzendo completamente.

-Perché sorridi?-

-Scusa. È che la stai prendendo proprio a cuore.-

Lei rise nervosamente a sua volta: -Mi lascio coinvolgere da tutto, lo so.-

Kei si guardò intorno. Forse era il caso di nascondersi. Hilary sembrò pensare la stessa cosa, e indicò un armadio enorme.

-Sarebbe divertente se ci nascondessimo di nuovo dentro un armadio.- osservò lui.

-Un po’ ripetitivo, forse, ma sì. Divertente.-

Sentirono delle voci al piano di sotto e smisero di perdere tempo. Per la precisione Kei afferrò Hilary per un polso e si nascosero, rannicchiandosi a fatica proprio dentro l’armadio.

-Sai che sarà il primo posto in cui controlleranno quando e se saliranno, vero?- chiese la ragazza, tirando le ante verso di sé e appallottolandosi accanto a Kei. Il ragazzo sbatté la testa contro una tavola da surf e imprecò. –Sì, lo so, ma meglio che farci trovare lì in mezzo come due idioti. E poi quelli sono tutti scemi.- spiegò, determinato comunque a saltare fuori e a stendere qualunque guardia si fosse trovato davanti, giocando sull’effetto sorpresa.

Rimasero lì dentro per secondi che parvero ore, e si irrigidirono entrambi quando sentirono dei passi su per le scale.

-Ok…- sussurrò Kei nel suo orecchio. –Tu stai dentro.-

-Non fare cazzate!-

Kei era pronto a sbattere le ante in faccia a chiunque si fosse avvicinato a quell’armadio, ma si fermò quando sentì i toni “soavi” di Crawford: -Dove accidenti siete finiti?-

Hilary sbucò timidamente dall’armadio. Crawford alzò gli occhi al cielo e la aiutò a uscire fuori, senza sognarsi di fare lo stesso con Kei, incastrato tra tavole e oggetti vari.

-Come ha fatto a mandarli via?- chiese il ragazzo.

-Ho detto che non ti ho mai visto in vita mia, che non me ne fregava niente della questione, che stavano facendo casino da due ore e che avevo già chiamato la polizia… poi gli ho sbattuto la porta in faccia e se ne sono andati.-

-Perché sono stati così arrendevoli?-

Ryo sembrava già sufficientemente alterato senza che Kei facesse domande piuttosto stupide. –E io che ne so?-

-Forse li ha convinti.-ipotizzò Hilary.

-Non credo proprio…- rispose Kei, ricevendo un’occhiataccia dal professore.

-Non lo so, e non mi interessa. Ad ogni modo… hai intenzione di uscire da quell’armadio?-

 

***

 

Se n’erano andati davvero. Kei aveva mandato un messaggio a Boris, dove lo aggiornava sui fatti e gli diceva di preparagli la valigia. Il russo gli aveva risposto solo con un inopportuno “Che cazzo ci fai a casa di Crawford?” che Kei aveva ignorato, dicendogli di concentrare quel poco di cervello che aveva sul resto del messaggio.

Per andare sul sicuro decise di chiamarlo, mentre Crawford e Hilary erano in cucina a bere altro caffè.

Boris rispose dopo pochi squilli: -Ehi! Sto andando a casa tua. Sto passando per i giardini delle case, per non farmi notare.-

Kei si mise una mano in faccia e sospirò: -Non puoi farlo, capisci?-

-E perché? Non mi vedono, e come scavalco muretti e steccati io non lo fa nessuno. Non si sa mai che siano ancora qui in giro. Apprezza i miei sforzi anziché rompere con la violazione di domicilio.-

-D’accordo, grazie.-

-Volevo rubare la macchina a mio cugino, ma l’ha presa lui.- spiegò Boris, mentre Kei poteva udire chiaramente dei suoni, dei fruscii e infine un tonfo.

-Vuoi battere il record dei reati in un giorno?-

Il russo, che era appena sceso dal muro fino al giardino dei Kinomija, aspettò un secondo e poi rispose: -Disse quello arrestato per possesso d’arma da fuoco, furto d’auto e violenze varie e non specificate. A proposito, non mi hai ancora raccontato che diavolo stavi facendo!-

-Ti sembra il momento?!- sbottò Kei.

-Aspetta, sto entrando in casa. Ti richiamo quando ho finito, ok?-

Kei mugugnò in risposta e riattaccò.

Si guardò intorno, esaminando il soggiorno. Non che avesse mai pensato alla casa di Crawford, ma avrebbe scommesso su un arredamento minimal. Di quelle case bianche, enormi e praticamente vuote, tristi. Invece era un bel posto, doveva ammetterlo.

C’erano foto alle pareti, una televisione gigante, una Xbox. Stava giusto pensando di accenderla, quando Hilary spuntò dalla cucina.

-Vuoi altro caffè?- gli chiese, avvicinandosi. Lui annuì, stancamente.

-Che cosa stavate facendo prima?- aggiunse la ragazza.

-Guardando foto. Di mia madre, lui la conosceva.-

Hilary lo vide rabbuiato, più del solito, e gli mise una mano sulla spalla.

Piombò un silenzio imbarazzante e teso, e a questo i due non erano abituati.

Kei voleva solo tornare al piano di sopra e continuare a guardare le foto di sua madre fino a imprimersele nel cervello, per quanto fosse un’attività inutile e alquanto stupida, a suo parere. Ma poco prima, nel guardarle, aveva provato qualcosa di talmente nuovo e talmente strano, aveva sentito un calore così forte all’altezza del petto, che desiderava davvero continuare a farlo. Pazienza se era una sciocchezza.

-Torno subito, ok?- disse all’improvviso. Hilary annuì. –Non sparire. Ti avverto quando il caffè è pronto.-

Kei si incamminò su per le scale, dimenticandosi del fatto che non fosse a casa propria. L’album era lì dove l’avevano lasciato.

 

-Si sente bene?- chiese Hilary, preoccupata. Ryo non si era nemmeno accorto di aver riempito la tazza di caffè fino all’orlo e oltre, dal momento che aveva fatto un pasticcio sul tavolo. –Oh.- rispose soltanto, mentre la sua ospite prendeva qualcosa per pulire.

L’attenzione dell’uomo era da tutt’altra parte. Si chiedeva in modo martellante come avesse fatto a non capirlo subito. Dio, avrebbe dovuto capirlo solo guardandolo negli occhi. Quel teppista di Kei era il figlio di Rin.

“Il figlio di Rin.” Ripeté mentalmente, iniziando a sentire una fitta fastidiosa alla testa. Non ci poteva credere, sembrava uno scherzo –di pessimo gusto. E si rese conto di quanto si fosse solamente illuso, fino a quel momento, di essere riuscito a lasciarsi alle spalle tutto quello che era successo.

 

Kei prese una foto e se la mise in tasca, poi rimise il raccoglitore al proprio posto. Pochi minuti prima Boris gli aveva scritto che stava venendo a prenderlo, che era riuscito a farsi prestare una macchina da un suo amico. Che poi non avesse la patente, gli era parso un dettaglio poco rilevante.

Cercò di pensare a quale finestra fosse la più adatta per darsela a gambe. Uscì in balcone, che dava sul giardino. Ma sì, era piuttosto basso e c’era un albero molto vicino che avrebbe potuto usare per scendere.

Aspettò di sentire il suono del motore di un’auto. Si sporse e riconobbe i capelli di Boris, così fece per salire sul cornicione.

-Che cavolo fai?- chiese una voce alle sue spalle, e l’altro sobbalzò fino quasi a cadere.

-Sto andando via.-

-Ma perché?!- protestò Hilary, afferrandolo per un braccio.

-Perché prima vado in un posto sicuro, meglio è.- rispose Kei.

-E dove andrai?-

-Per il momento da un conoscente. Stai tranquilla.-

Hilary annuì, ma era poco convinta.

Kei si chiese perché la sua preoccupazione lo interessasse. Di solito gli dava fastidio quando qualcuno si comportava così con lui, sapeva perfettamente quello che faceva. –Senti, davvero. So badare a me stesso. Chiedi scusa a Crawford per il disturbo, da parte mia.-

Lei fece di nuovo sì con la testa, e gli lasciò il braccio. Kei si voltò, facendo per scendere. Aspettò qualche secondo, poi cambiò idea e si girò di nuovo verso Hilary. La castana lo guardò con un’espressione interrogativa e tesa. Non si aspettava che subito dopo lui si sarebbe sporto verso di lei e che le avrebbe dato un bacio a fior di labbra. Era leggero, niente di particolare, ma il cuore della ragazza perse un battito.

-Grazie.- le disse piano, prima di darle definitivamente le spalle e scendere con un balzo agile.

Hilary rimase immobile e si portò la mano sulla bocca. Poi fu travolta da una strana sensazione. Come se sapesse che non avrebbe dovuto permettergli di andarsene.

 

*****

 

Ehilà! Ho deciso, d’ora in poi non prometterò più aggiornamenti veloci. Tanto sono un disastro e non lo faccio mai <_<

Cambiamo formula: prometto solennemente che mi impegnerò al massimo per non farvi invecchiare nell’attesa :D

Ok, non piangerò quando mi lancerete i pomodori.

Da brava autrice dovrei anche dire due paroline sul capitolo… beh, chi aveva pensato che la ragazza nel sogno/ricordo di Crawford fosse la madre di Kei, ci aveva preso. I due si conoscevano.

Spero che le lettrici fan della KeixHilary siano liete dell’evento finale! (Per un bacetto del cavolo, pure farlocco? Ma muori! NdLettriciFanDellaKeixHilary)

Uh, sul portafogli di Kei pieno di spazzatura ho preso spunto da me stessa. Prima di trovare le (poche) banconote, tiro fuori due tonnellate di scontrini e ricevute. Li getto tutti dentro il portafogli quando pago e mi dimentico di buttarli ò.ò

Un abbraccio a tutti (sperando ci sia ancora qualcuno in ascolto)!

  
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