Fanfic su artisti musicali > One Direction
Segui la storia  |       
Autore: Nefelibata    15/02/2013    2 recensioni
'In lontananza scorsi il mare e per l'ultima volta provai l'impulso di scappare, ancora, di fare un'inversione a U e tornare nel mio modesto appartamento di New York, sorseggiando caffè e sfogliando il giornale, ignorando la sezione dedicata alla cronaca.'
Pairing: Larry
Note: Fisher!Louis
Disclaimer: Con questo mio scritto, pubblicato senza alcun scopo di lucro, non intendo dare rappresentazioni veritiere dei caratteri di queste persone, ne offenderli in alcun modo. Sfortunatamente nessuno dei personaggi mi appartiene.
*
Scritta in collaborazione con _larrysmoments
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

The only exception

Harry: WithJustOneLook
Louis: _larrysmoments



HARRY

“Ciao papà.
Come si sta lassù?
Sai, ogni volta che provo a immaginarmi il paradiso, nella mia mente si forma l'immagine di una barca, una barca di legno che a prima vista può sembrare sciatta. Alcune parti sono dipinte di rosso.
Era il tuo colore preferito, giusto papà?
Una barca nell'immensità dell'oceano, ma non è mosso, no, l'acqua si muove lenta, creando leggere increspature di schiuma, e lì sotto c'è vita, c'è magia.
È il mondo perfetto.
Ma non è forse questo il paradiso papà? Un vecchio ricordo, momenti felici, gioia nel cuore, immaginazione?
Alla mamma piaceva raccontarmi di te che cavalcavi grosse creature marine ed esploravi mondi meravigliosi e sconosciuti.
Vorrei essere là anch'io, papà, in un mondo meraviglioso e sconosciuto.
Solo noi due, Harry e Tom.
Non sai quanta voglia ho di fuggire.
Già, fuggire, lo faccio spesso ultimamente.
Sto fuggendo dai demoni, dai ricordi, fuggendo dal dolore, sono fuggito da questo posto e successivamente fuggito da New York, sto fuggendo dalle colpe, dalle immagini che impresse negli occhi con mille spillatrici mi impediscono di vedere il mondo con occhi diversi.
Sto fuggendo anche da Louis.
L'ho rifatto, papà.
Ora lo sto aspettando. Ho capito papà, ho capito tutto. Le parole di mamma continuano a risuonarmi nella mente, sai?
Non sono sicuro di nulla, aspetto ancora delle risposte ma aspetto anche lui.
Mi aveva sorriso, papà.
Ricordi quanto era bello il tuo sorriso?
Io si.
L'ho lasciato andare via come se fosse uno di quegli stupidi strizzacervelli, uno di quelli per bene, che non fanno altro che giudicare.
Lui mi aveva solo sorriso.
Ma ora lo sto aspettando, e lui non arriva.
Questa è la sesta lettera che ti scrivo, sono dovuto tornare a casa a prendere altre bottiglie.
Sta fuggendo anche lui, papà?
Ma, in fondo, non siamo tutti dei fuggitivi?
Il sole sta tramontando, e con lui anche tutte le mie speranze di specchiarmi ancora in quegli occhi.
Se li avessi visti, papà, li avresti trovati i più belli del mondo.
Non sono di un colore definito. Sono azzurri, si, ma anche grigi e gialli, anche verdi e rossi.
I suoi occhi sono l'universo. Si può fuggire dall'universo?
Mi manca.
Mi manchi.

                                                                                                                                    Harry”

Camminavo con passo lento e veloce allo stesso tempo, stringendomi sempre di più nel cappotto nero e cercando invano di proteggermi dal forte vento mentre i miei piedi affondavano nella sabbia, i gabbiani erano già svegli e alcuni pescatori già al lavoro.
Soffocai l'impulso di chiedere a qualcuno se non avesse bisogno di una mano, solo per rivivere quelle sensazioni.
Lui era lì, me lo sentivo.
Mi ero alzato presto e, presa una bottiglia, non avevo fatto altro che seguire il mio istinto.
Ma non avevo fretta, mi godevo quella passeggiata nella pace, pensando e ripensando ad ogni nostro incontro, ogni volta che i nostri occhi si erano incrociati, ogni volta che le sua labbra si erano curvate in un sorriso magnifico, privo di convenevoli.
Non me n'ero reso conto prima, ma io avevo bisogno di un amico.
Non un amico qualunque, di quelli descritti nei romanzi, avevo bisogno di qualcuno che mi facesse fuggire dalla sporca realtà in cui vivevo, farmi vivere qualcosa di speciale, o semplicemente farmi vivere.
E Louis era questo, un modo per scappare dalla realtà, anzi no, lui la realtà la modificava, rendeva il mondo qualcosa di magnifico, i suoi occhi erano magici e quasi vivere era meraviglioso solo per osservarlo, sfiorarlo, stare con lui, in un prezioso silenzio.
Se avevo perso lui, il mio primo amico, non me lo sarei perdonato.
Mentre camminavo inciampai su una bottiglia di Vodka vuota, e senza pensarci presi su anche quella, una bottiglia in più mi sarebbe servita.
Ad un certo punto, in lontananza, scorsi un corpo, un corpo che io conoscevo bene.
Louis era sdraiato in una posizione innaturale sulla riva, l'acqua gelata gli sfiorava dolcemente i piedi nudi prima di ritrarsi, era vestito come l'ultima volta che l'avevo visto, i capelli erano scompigliati e immersi nella sabbia.
Quella visione.
Spalancai gli occhi mentre sentivo il panico impossessarsi di ogni centimetro del mio corpo.
Attorno a me silenzio, solo un battito che andava veloce, troppo veloce, ed era quello del mio cuore.
Solo pelle d'oca, solo mani che tremavano, solo muscoli che si muovevano da soli.
E non c'era nulla che potessi fare, se non correre più veloce che potevo, senza sentire davvero il mio corpo, e fiondarmi su quella figura.
Nella mia testa immagini diverse che si susseguivano senza sosta e istintivamente portai una mano alla tempia in cui avvertivo continue fitte.
Sangue.
Acqua.
Pezzi di legno.
Urla.
Lacrime.
"Non può essere" pensai.
Mi buttai di fianco a lui scuotendolo violentemente, mentre continuavo a tremare.
Contro ogni mia aspettativa, lui mugugnò qualcosa e dopo qualche secondo aprì gli occhi, sorridendomi dolcemente subito dopo.
Ma cosa.. ?
Non ebbi tempo di formulare nemmeno un pensiero, che il castano sbiancò e scattando a sedere iniziò a vomitare, stringendosi la pancia con le mani fredde e cercando si sottrarsi alla mia vista.
Abbassai lo sguardo ancora tremante sulla bottiglia di Vodka e capii.
Louis si era ubriacato, era arrivato fino a qui e si era addormentato a riva.
Iniziai a piangere e singhiozzare, chiudendomi come a guscio e affondando i ricci tra le ginocchia strette, sentendomi stupido e spaventato.
Si, ero più di tutto spaventato.
Era stato come rivivere tutto al rallentatore, una seconda volta.
Se mi concentravo riuscivo quasi a sentire il rumore delle sirene, vedere le luci che vagavano senza sosta sul nero mare, cercando qualcosa.
Louis, dopo aver vomitato, si girò verso di me e nel vedermi in lacrime il suo lieve sorriso si spense.
Mi venne vicino e mi abbracciò stringendomi possessivamente.
Era la prima volta che avevamo un contatto del genere, e non mi dispiaceva.
Era come se nelle sue braccia mi sentissi protetto, come se i demoni non potessero raggiungermi lì.
<< Hey, non piangere. Shht. Perchè piangi, Harry? >>.
<< Tu.. i-io credevo che.. >> presi un respiro profondo cercando di controllarmi ma lui non fece altro che stringermi a se e << Shht. Non importa >> mormorare.
Ma io non ero contento, volevo che lui sapesse.
Volevo che sapesse che io lo volevo, lo volevo con tutto il cuore, volevo essere suo amico.
Per questo alzai la testa, asciugai le copiose lacrime con la manica del cappotto, trovai il coraggio di guardarlo e << Mi dispiace. Mi dispiace per l'altro giorno. Mi dispiace di essere fuggito. Mi dispiace >> mormorare.
<< Non voglio scappare da te, Louis. Tu mi sei simpatico, mi fai sentire bene. Io, tu.. voglio essere tuo amico, Louis. >>
<< E allora non farlo Harry, non scappare più da me.. >>.
Annuii guardandolo negli occhi e quando lo vidi sorridere dolcemente sentii qualcosa muoversi nel mio stomaco.
Era forse serenità, quella?
<< Troppo dramma per oggi, non credi anche tu? >> sentenziò poi alzandosi e pulendosi i vestiti dai granelli di sabbia e io rimasi sconcertato da quel suo improvviso cambio di umore.
<< Che ne dici se ti porto in un posto e proviamo a ricominciare? >> non riuscivo a smettere di guardare il suo sorriso e, per la prima volta, accettai.
Non solo accettai la sua mano che mi tirava su, non solo accettai l'invito e la sua richiesta.
Accettai di farmi aiutare, di lasciarmi amare, di lasciarmi andare.
Solo tu puoi spezzare quelle catene.

Ci trovavamo sulla sua barca, io seduto di fronte a lui, e il silenzio ci guidava mentre alternavamo scambi di sguardi e sorrisi imbarazzati.
Lui stava remando e io mi sentivo come quando ero con lui.
Sentivo la potenza dell'acqua muoverci, sentivo la sua energia, sentivo il rumore dei remi che scalfivano l'acqua.
Ero in mare, senza di lui.
Ma ero con Louis.
Lui riusciva ad infondermi lo stesso senso di protezione, lo stesso affetto nello sguardo.
Dopo poco tempo sentii la terra sotto di noi, mi guardai intorno e rimasi incantato.
Ero su un'isola.
Era davvero piccola, per lo più coperta da alberi, davanti ad essi si ergeva una capanna fatta alla bell' e meglio con dei pali di legno, delle assi poste sopra a fare da tetto e degli stracci qua e la.
All'interno c'erano un vecchio tappeto e delle sedie, oltre che un piccolo tavolo rovinato.
Louis saltò giù dalla barca e, ridacchiando per la mia faccia meravigliata, << Ti piace? >> chiese.
<< Wow >> riuscii a mormorare piano e quell'esclamazione la ricordavo bene.
<< Ho scoperto questo posto quando una sera ho litigato con i miei genitori e girando con la barca mi sono ritrovato qui. Ho deciso che sarebbe stato il mio posto segreto, non ne ho mai sentito parlare perciò non credo che qualcun'altro ne sia a conoscenza.. >> spiegò. Poi, vedendo che fissavo la “capanna” aggiunse << Ora sono stato cacciato di casa, perciò emh.. ho dovuto arrangiarmi in qualche modo. Però stare qui mi piace, mi sento tutt'uno con la natura, è davvero una bella sensazione. >> sorrise.
Non capivo come facesse a sorridere sempre, soprattutto dopo aver detto di essere stato cacciato di casa.
Quale genitore sarebbe capace di una cosa simile? Certo, Louis era maggiorenne e aveva l'età per vivere da solo, ma non mi sembrava affatto viziato e non riuscivo a capire il perchè di questa decisione.
Ma non mi azzardai a fare domande, sapendo l'effetto che poteva avere un semplice punto interrogativo posto ad alta voce.
Entrai nella cappa e continuai a guardarmi attorno, studiando ogni piccolo dettaglio meravigliato.
Tom avrebbe potuto viverci per il resto dei suoi giorni.
Sorrisi.
Poi cercai un qualunque argomento di conversazione per rompere il silenzio, sedendomi sul tappeto.
<< Non.. non lavori? >> chiesi mentre si sedeva di fianco a me.
<< Faccio il pescatore nelle barche che vedi al porto, ma è più un modo per passare il tempo e non sempre ne ho voglia.. >> e io sussultai perchè rivedevo sempre un po' di mio padre in quel ragazzo.
Rimanemmo un po' a parlare, senza però toccare argomenti personali, mentre sentivo l'insicurezza abbandonarmi.
Mi raccontò del suo lavoro, di come amasse questo paese, del suo amico Stan e di come aveva abbandonato gli studi.
Io gli raccontai della mia vita a New York, del mio lavoro nel bar in cui venivo pagato bene, del traffico quotidiano.
Ero a conoscenza del fascino che le grandi città potevano avere su persone provenienti da un paese come quello, io stesso ne ero rimasto incantato appena ci avevo messo piede.
Ma lui si era limitato ad un << Ugh, odio le città. Voglio dire, in quei posti dove lo trovi un posto come questo? O una calma del genere? Dove la trovi una spiaggia pulita e intatta? >> e dovetti riconoscere che aveva ragione, anche se a me New York piaceva.
Quando il buio iniziò a calare << è meglio se ti riporto in paese >> disse e io annuii sorridendogli, contento della giornata passata.
Nel tragitto di ritorno parlammo di più, mentre gli confidavo il mio odio-amore verso il mare e lui della sua repulsione nei confronti del potere, dei soldi, della società.
Arrivati alla riva, salto giù per primo, con i piedi nudi e i pantaloni rossi arrotolati fino al ginocchio e portò la barca sulla sabbia, dandomi poi la mano e aiutandomi a scendere.
<< Bhe, è stato un piacere conoscerti Harry, buonanotte >> sorrise mentre spingeva la barca un po' più indietro preparandosi a tornare sull'isola.
Ma io non ero stanco, non ero stanco di lui e non avevo intenzione di tornare a casa, perciò in un impeto di coraggio << Ti va di fare una passeggiata sulla spiaggia? >> chiesi a bruciapelo.
Con un sorriso lui << Con piacere >> acconsentì affiancandomi e cominciando a camminare.
Arrivati alla “nostra” scogliera di sdraiammo l'uno di fianco all'altro ammirando le stelle.
<< Sai.. a volte guardo le stelle e mi sembra di vedere il viso di mio padre.
Quel giorno non c'erano stelle, sai? Era tutto nuvoloso, il cielo era nero.
Mia madre gli aveva detto di non andare, gli aveva detto di non rischiare, ma lui era voluto uscire comunque. “Se non lavoro io chi porta a casa i soldi? Eh?!” aveva urlato e io mi ero rifugiato in camera come sempre perchè in quei momenti mi faceva paura. Era cambiato già da un po', continuava a uscire di casa e si irritava per ogni cosa, solo quando era con me tornava ad essere quello di prima, come se rappresentassi per lui la calma più totale, e il resto del mondo lo portava ad una crisi di nervi.

Sai qual'è stata l'ultima cosa che ha detto a mia madre prima di uscire quella sera? >>.
<< Cosa? >> chiese lui continuando ad ammirare il cielo mentre io avevo girato la testa ad osservare il suo profilo.
<< Sono stufo dei tuoi capricci, esco >> mormorai con un filo di voce, mentre mi lasciavo andare totalmente e aprivo il mio cuore al mio nuovo amico.
<< Non mi aveva nemmeno salutato, era solamente uscito di fretta.. >> continuai, con mia sorpresa, senza piangere.
Lui girò lentamente la testa verso a mia fissandomi negli occhi ed << E.. poi? >> chiese e stavolta deglutì prima di farlo, e io capii come quella domanda facesse paura a lui quanto la facesse a me.
<< E poi è successo tutto in un attimo, mi sono ritrovato mia madre che correva qui insieme a me, le sirene dell'ambulanza a fracassarmi i timpani e troppa gente che cercava di spiegarmi nel modo più delicato possibile che mio padre non c'era più, che il mare in tempesta l'aveva ucciso e aveva ridotto a brandelli la sua barca >> spiegai senza esitazione.
<< Mi dispiace.. >> mormorò.
<< è quello che dicono tutti.. >> risposi io.
<< Com'è tuo padre? >> chiesi poi.
<< Lui è .. non lo so. Da tempo le cose sono degenerate tra di noi, non accetta il mio amore per questo luogo, vuole che vada a studiare in qualche città e torni con una laurea. Mi sono ribellato e ha deciso di cacciarmi di casa. >> e mentre pronunciava queste parole tornò a guardare il cielo, togliendomi la possibilità di perdermi nei suoi occhi.
<< Non ti manca? >> chiesi stranito.
<< No, lui non tanto. Mi manca quello che era prima, mi manca mia madre, anche se non ha mai alzato un braccio per difendermi e mi manca un posto confortevole in cui abitare. >>
Ormai avevo smesso di ascoltarlo, passavo gli occhi su tutto il suo profilo che risplendeva alla luce della luna, potevo vedere i suoi occhi muoversi sul firmamento e le sue ciglia sbattere più volte, le sue labbra muoversi, sospirando durante le pause e le sue mani tastare la sabbia sottostante, accarezzandola.
Senza rispondergli mi alzai a sedere, continuando a guardarlo.
Lui se ne accorse e dopo aver voltato il viso verso di me, si tirò su anche lui e fissò il suo sguardo nel mio.
<< Non guardarmi negli occhi, ho paura che te ne accorga.. >> sussurrò dopo un po' distogliendo lo sguardo dai miei occhi che invece ne bramavano l'intensità.
<< Di cosa ? >> chiesi sinceramente incuriosito continuando a scrutarlo.
<< Del fatto che mi sto innamorando di te >> spiegò a voce bassa riposando lo sguardo sul mio e venni investito dalle sue parole, dalle sue iridi.
La testa mi girava, le mani tremavano e la mente non ragionava mentre mi avvicinavo con lentezza estenuante a lui.
Non riuscivo a fissarlo negli occhi, perciò spostai lo sguardo sulle sue labbra così sottili e invitanti.
Cercavo di annullare i pensieri, di offuscare i ricordi anche solo per qualche secondo, di lasciarmi andare e fare ciò che avevo sempre desiderato nel mio subconscio.
Solo tu puoi spezzare quelle catene.
E stavo per farlo, almeno fin quando il mio sguardo non cadde sulla sua tasca sinistra, da cui spuntava un foglio spiegazzato e rovinato.
Parole e parole erano scritte con un largo corsivo, parole che avevo già letto, corsivo che conoscevo bene.
La verità mi investì in pieno, facendomi alzare di scatto e il mio dito si alzò in automatico, posandosi su quel foglio.
<< Quel foglio.. >> mormorai mentre la rabbia prendeva possesso di tutto il mio essere.
Lui si alzò spaventato e lo tirò velocemente fuori guardandomi in faccia e porgendomelo.
<< Harry, m-mi dispiace tanto, io... volevo solo.. >> ma non lo lasciai finire.
Gli strappai il foglio dalle mani con uno scatto e << Ma chi ti credi di essere, eh?! >> urlai con rabbia guardandolo negli occhi << Arrivi nella mia vita e all'improvviso credi di sapere tutto? Credi di poter capire? Chi ti credi di essere? Solo perchè hai degli occhi meravigliosi credi di potermi scombussolare la vita? Che diritto avevi di leggere quel foglio?! Sei solo un ipocrita che non sa farsi i cazzi suoi e cerca di rendere la sua monotona vita interessante frugando nei pensieri altrui! Ho sbagliato a fidarmi di te, ho sbagliato a considerarti un amico, avrei dovuto seguire il mio istinto. Non cercarmi più, non voglio rivederti mai più! >> lo aggredii e dopo aver ripreso fiato presi a correre mentre << No, aspetta! >> gridava lui ma io non sentivo più nulla, solo l'umiliazione dei miei segreti sparsi al vento, i miei ricordi profanati e le mie parole sottratte.
Stavo fuggendo, di nuovo.
Non farlo Harry, non scappare più da me.

Ma in fondo non siamo nati per questo? Non stava forse fuggendo, Louis, dalla società? Dalle regole di suo padre? Non stavano forse fuggendo i suoi occhi dal mio sguardo furente? Non stavano forse calpestando il duro asfalto i miei piedi doloranti?
Mi sto innamorando di te.

Non siamo forse tutti dei fuggitivi?

 

 

 

 

 



LOUIS

Ero un idiota, un perfetto idiota. Come avevo potuto credere che tutto potesse iniziare a prendere la giusta piega? Questa volta non avevo bisogno di riflettere se scaricare la colpa su me stesso o far finta che fosse tutto dettato dal destino. No. Questa volta era solamente mia la colpa se le cose erano andate in quel modo.
Portavo quel foglio ovunque con me per tenerlo vicino, per provare a non sentirmi solo quando in realtà lo ero. Avevo ripensato a quelle parole tutte le volte che avrei voluto urlargli di uscire dalla mia testa, dai miei pensieri, ogni volta che avrei voluto essere scrutato da quegli occhi, solo per poter dare anche ai miei la possibilità di fare lo stesso con lui. Come avevo potuto crede che forse qualcosa stava davvero cambiando?
La consapevolezza che le cose mai sarebbero potute andare diversamente, fece calmare per pochi attimi il battito accelerato del mio cuore.
Mai e poi mai avrei avuto la forza di separarmi da quella lettera, mi aveva dato la forza di resistere a quel suo comportamento ostile, la forza di saper aspettare il momento in cui sarebbe venuto lui a cercarmi, e così era stato.
Potevo averlo perso davvero questa volta, ma non potevo negare che, anche in un’altra occasione, le cose sarebbero andate nello stesso identico modo. Quella lettera mi apparteneva e la custodivo e difendevo come fosse più preziosa di un tesoro.

I granelli di sabbia ripresero a pungermi il viso, tutta colpa delle folate di vento che mi colpivano impetuose la pelle già ricoperta da un brivido di disprezzo.
Mi alzai pulendomi i pantaloni e girandoli fino alle caviglie perché bagnati dalle lente e penetranti onde del mare; solitamente mi piaceva portarli arrotolati fino alle caviglie, mi faceva sentire più in tema con il luogo, più.. me stesso, ma in quel momento non mi importava, nell’essere me stesso avevo rovinato tutto, un’altra volta.
Pensavo che, magari, facendo le cose inversamente da come le progettavo, e comportandomi in maniera più ostile, forse sarei riuscito a riconquistare il suo mondo, forse avrei smesso di soffrire per qualcuno che probabilmente preferiva cancellarmi dalla sua vita piuttosto che farmene fare parte.

C’era una cosa però che non avrei potuto cambiare di me, che nessuno avrebbe potuto cambiare di me, ed in questo momento, nonostante fossi certo che Harry mai avrebbe risolto le cose nel modo in cui io stavo per fare, diedi ascolto al mio ormai istinto avvicinandomi di nuovo alla mia barca.
Il legno bianco, liscio, lo percepivo quasi vellutato sotto la mia mano, un sogno.
Chiudendo gli occhi, respirai affondo l’aria umida che mi invadeva le narici, lasciando anche sulle mie labbra un sapore salato e terribilmente familiare.
Iniziavo già a sentirmi meglio.

Presi a spingerla verso le onde del mare che parevano volermi inghiottire ogni passo di più, immersi le mani nell’acqua buttandomene un po’ sul viso.
Un’ultima occhiata alla terra ferma poi salii, tenendo ben salde le mani sul bordo della barca.

Iniziai a remare incapace di rendermi conto di cosa stessi per fare.
Remavo, remavo, remavo senza accorgermi di quale direzione stessi prendendo. Remavo aspettando il momento in cui, stremato i remi sarebbero caduti dalle mie mani senza il mio consenso, remavo perché mi faceva sentire bene, remavo perché mi impediva di pensare.

L’acqua limpida ondeggiava sotto i miei occhi, riuscivo quasi a vedere il mio riflesso; mi sporsi, intento a delinearne la sagoma ma quello che i miei occhi scrutarono mi incusse paura..
Non riuscivo a distinguere il mio volto dal resto del mare, pareva mi stessi dissolvendo in esso, mentre solo la sagoma dei miei occhi risaltava in quell’immensità d’azzurro.
Stavo per caso scomparendo? Perché era così che iniziavo a sentirmi.
Stavo diventando parte di esso, e per quanto avessi voluto odiarlo per rendermi la vita così dannatamente difficile, non potevo far altro che acconsentire, sporgendomi verso la superficie marina dove un’incontrollabile voglia di tuffarmi e non riemergere più mi travolse completamente.

Più mi avvicinavo, più il contorno del mio viso iniziava a prendere forma, riuscivo ad intravedere le mie sottili labbra, i capelli disfatti che mi scendevano sulla fronte, le guance pallide e scarnite, quasi irriconoscibili.
Chi era quel ragazzo di fronte ai miei occhi?
Chiusi la mano sinistra a pugno, battendola in acqua, proprio al centro del mio riflesso.
Piccoli schizzi mi colpirono la maglietta, facendomi avvertire freddo sul petto appena scolpito.
La mia mano era ancora in acqua, non avevo voglia di tirarla su; mi sentivo attratto, proprio come una calamita da quell’azzurro così misteriosamente perfetto.
Cercai di toccare la mia impossibile ed inafferrabile felicità, poi portai la mano alla bocca, bagnandomi le labbra.
Se solo Harry non si fosse accorto di quella lettera, probabilmente in quel momento avrei scoperto il sapore delle sue labbra, così dannatamente carnose e bramanti di baci che purtroppo non erano i miei.
Magari avrei avvertito il sapore salato del mare e probabilmente sarebbe stato solo grazie al luogo dove avevamo impiegato tutto il nostro tempo, ma avrei volentieri finto che quel sapore gli apparteneva, così come il mare appartiene al mio cuore.
Mi sedetti guardando il posto vuoto davanti a me. Quanto avrei voluto non sentirlo lontano nonostante avessi ancora con me la sua lettera.
Aveva ragione, chi ero io per piombare nella sua vita in un momento come questo? Chi ero io per cercare di compatirlo quando in realtà era lui il primo a voler stare solo?
Una fortissima folata di vento mi invase i polmoni distogliendomi dai pensieri mentre facevano a botte fra loro.
La barca prese ad ondeggiare sempre più violenta, la sentivo sballottarmi impetuosa a destra e a sinistra.
Alzai gli occhi al cielo; aveva iniziato ad imbrunirsi sopra la mia testa facendo riflettere la mia ombra tra la schiuma delle onde.
Afferrai i remi, sotto le mie mani gelide; il momento di tornare a riva era arrivato.
Mi voltai alle mie spalle quando, l’unica cosa che riuscivo a decifrare era il mare. Avevo perso del tutto l’orientamento; quello che per me era vita, stava d’un tratto diventando il mio terrore.
Avevo perso il controllo di me stesso, della barca e di tutti i pensieri affollati nella mente, mi ripetevo che avrei dovuto calmarmi e prendere la situazione i mano così come avevo sempre fatto, ma questa volta non mi risultò così semplice.
Ondeggiavo spaesato cercando di tenere i piedi ancora scalzi ben piantati sul fondo della barca, afferrai i remi, cercando di dirigerla in verso opposto.
Il vento iniziava ad aumentare, troppo forte anche solo per starmene lì a guardare cosa il destino aveva in serbo per me; ero solo, solo con la mia barca.
<< Aiuto! >> urlai quando delle finissime goccioline di pioggia presero a cadermi fra i capelli. Alzai lo sguardo al cielo ricoperto da nubi grigiastre che parevano volermi inghiottire.
<< Aiuto! >> continuai a gridare in preda al panico.
La barca continuò a beccheggiare, mentre la vedevo avventurarsi sempre più verso l’infinito che era il mare. Manovrare diventava costantemente faticoso. Ogni volta che riuscivo a stabilizzare le ondate, sprecavo ogni singola forza per cercare di non perdere il controllo.
Le mani mi bruciavano terribilmente, quasi scottavano quando quel legno mi scorreva fra le dita.
Non era la prima volta che mi trovavo in mezzo a violente burrasche, ma questa volta era diverso; due volte a causa di raffiche improvvise rischiai di perdere l’equilibrio salvandomi solo perché la ventata si interruppe rapidamente, così com’era nata.
Una sola mossa avventata e quelle acqua ormai torbide mi avrebbero inghiottito.
Un lampo spaccò a metà il cielo, udendone il tuono pochi secondi dopo.
Solo pochi minuti, mi ripetevo, solo pochi minuti.
Rivolsi lo sguardo in un punto impreciso del mare, mentre aspettavo che quest’incubo ad occhi aperti finisse.
Mi venne in mente Harry, la sua storia, la sua paura. Dovevo resistere pensando a lui, dovevo resistere perché se così non fosse stato, avrebbe ricominciato ad accusare il mare di prepotenza verso la vita di chi ha ancora tanto da scoprire.
Come una luce soffusa davanti ai miei occhi, un peschereccio avanzava nella mia direzione. Per un attimo credetti fosse solo frutto della mia immaginazione ma man mano che si avvicinava riuscivo perfino a distinguere il nero pesto dello scafo spiccare sul bianco accecante che era il resto.
Lasciai la presa dei remi, agitando le mani sulla mia testa, non curante del fatto che, una manovra così azzardata avrebbe potuto costarmi la vita. Così fu.
Un’onda colpì il lato della barca con una tale violenza che mi spinse a piegarmi in avanti, sbattendo la testa sul bordo in legno della barca e, in estasi dal forte dolore, caddi in acqua privo di sensi.
Aprì gli occhi di soprassalto, mentre rumori ovattati mi rimbombavano nelle orecchie. Immagini ombrate si muovevano presuntuose vicino il mio volto, impiegai un po’ a decifrare il volto di James, il vecchio marinaio del porto che agitava le mani narrati la difficoltà del lavoro di una vita a soli pochi centimetri dal mio naso.
Sbattei ripetutamente le palpebre ancora incapace di ricordare cosa fosse successo. Ero circondato da volti sconosciuti di passanti che si fermavano curiosi di sapere la mia storia; cercavo di capire chi fossero, riconoscere qualcuno di loro magari, ma James mi distolse ancora una volta.
<< Louis, sei impazzito per caso? >> disse serio, guardandomi negli occhi.
Feci per rispondere, ma l’acqua che avevo ingerito iniziava a risalire. Mi sporsi in avanti tossendo e sputandone un po’ per terra, sentivo un insopportabile bruciore alla gola che quasi mi impediva di respirare se non affannosamente.
<< Dov’è la mia barca? >> sussurrai.
Lui rise abbassando lo sguardo. << è questa l’unica cosa che conta per te? >> rispose ironico. Dandomi un leggero schiaffo sul volto si alzò allontanandosi con ancora quel sorriso indecifrabile sul volto.
Che cos’era successo?
Mi guardai le mani e rosse e piene di graffi, i vestiti completamente zuppi, la manica della maglietta strappata. Non avevo la forza di alzarmi, di reagire.
D’un tratto, vidi la cerchia di persone alla mia sinistra allontanarsi, mentre una signora dal volto familiare fece capolino tra tutta quella folla.
Mi rivolse un veloce sguardo, durato due secondi appena, quando iniziò a scagliarsi contro i passanti che man mano accrescevano attorno a me.
<< Allontanatevi. Non c’è nulla da vedere qui. >>
Ero ancora steso per terra con le gambe raccolte e la testa poggiata su un ammasso di robe che non erano le mie. Non avevo idea di cosa volesse da me, ne tantomeno mi interessava saperlo; speravo solo di non dovermi trovare ad affrontare una di quelle conversazioni moraliste vista la sua età.
Si avvicinò con fare distratto verso di me, poi si piegò sulle ginocchia e puntò gli occhi sulla mia tempia destra. Iniziò a lisciarmi la fronte, io ero incapace di oppormi.
<< Che ti è saltato in mente, ragazzo? Sei troppo giovane per mettere a repentaglio la tua vita in questo modo >>
Avrei voluto risponderle, ma tutto ciò che uscì dalla mia bocca fu una debole tosse.
<< Ti sanguina la tempia. >> disse poi, rovistando nella sua borsa in cerca di qualcosa.
<< Dov’è.. dov’è la mia barca? >> domandai ancora una volta in cerca di risposta.
La vidi alzare lo sguardo oltre la mia testa, serrò gli occhi, socchiuse le labbra.
<< Il lato destro è sfasciato, ma il resto sembra integro. Pare sia andata a sbattere contro uno scoglio, per quanto possa intendermene.. >>
Mi sollevai un po’ per sputare altra acqua interrompendo la medicazione che stava impedendo al sangue di scorrere ancora.
<< Qualunque sia il motivo per cui l’hai fatto, sappi che non ne vale la pena. >>
<< Cosa ne sa lei? >> riuscì finalmente a ribattere << Comunque non avevo intenzione di farla finita. E’ capitato e basta. >>
Mi lanciò un’occhiataccia, poi riprese a tamponare il fazzoletto sulla mia tempia con una delicatezza tale che quasi non riuscivo a sentire.
Per quanto cercassi di nasconderlo, iniziai a battere i denti dal freddo, i miei vestiti bagnati a contatto con la pelle di sicuro non mi aiutavano.
<< Hai dei vestiti con te? >> chiese.
<< No. Ma ho una coperta nella stiva della barca. >>
Si alzò senza fiatare allontanandosi.
Avrei voluto tanto sapere il motivo del perché lo faceva; tutti mi abbandonano prima o poi, perché una sconosciuta mi stava tendendo la mano se io non portavo nulla di buono? Ero solo un peso per gli altri.
<< Eccoti la coperta. >> sentii da dietro le mia spalle la sua voce. Me l’avvolse attorno al corpo, incrociandone le due estremità davanti al petto.
Riprese il fazzolettino tra le dita sottili delle mani e, strappandone un po’ l’aderii di nuovo alla ferita.
<< Ha presente quando si è certi di aver fatto qualcosa di sbagliato, ma consapevoli che se pur tornando in dietro le cose sarebbero andate nello stesso identico modo? >> uscì come un sibilo dalla mia bocca.
<< Ne sei pentito? >> domandò.
Annuii abbassando lo sguardo.
<< Beh, se sei consapevole che niente sarebbe cambiato, non dovresti esserlo. >>
<< E, secondo lei, chiunque può essere perdonato? >>
Un abbozzo di sorriso comparve sul suo volto. << Può succedere di sbagliare alla tua età. Tutti abbiamo fatto e continuiamo a fare errori. Non serve arrivare a gesti estremi solo perché chi ti sta attorno è momentaneamente accecato dalla rabbia. >> dichiarò con un sorriso rassicurante.
Sapevo dove voleva arrivare, ma non era quella la strada giusta.
<< Non è ai miei genitori che mi riferisco, se proprio vuole sapere. >>
<< Ah no? Ed allora chi? >> parve sorpresa.
<< Qualcuno di più importante.. forse. >> ed un sorriso incontrollato apparve sul mio volto. 

*

Ta daaaaaaaaaaa!
Eccoci qui con un nuovo capitolo! E stavolta siamo in orario!
Mi è appena arrivato e l'ho postato subito! Che ve ne pare?
Sarò sincera, ultimamente non sono affatto soddisfatta di come sta venendo il tutto.
Non è per Sharon, lei è perfetta e davvero sta facendo un ottimo lavoro.
é il corso della storia, non me l'aspettavo così.. angst.
Non l'ho messo nemmeno tra i generi, perchè non volevo che lo fosse.
Insomma forse sto esagerando con i sentimenti? Sono troppo giovani per soffrire così?
Non so.. ditemelo voi, ditemi cosa ne pensate.
Bhe, finalmente Lou sputa il rospo, non era forse ora?
Vi avviso che nei prossimi due capitoli saranno presenti dei flashback, per capire meglio il passato dei ragazzi.
La canzone dei Killers è splendida, perciò o la ascoltate o la ascoltate.
Probabilmente nel prossimo capitolo ci saranno i Linkin park perchè si.
Ho scritto un'altra piccola os het (blasfemia! Il mondo het non fa per te! nessuno la leggerà!) che tra l'altro è originale.
è tardi, ho sonno e tutto quanto, perciò se volete contattarmi su Twitter, askarmi o cose varie andate al capitolo precedente o mandatemi un messaggio privato qui.
Grazie a quelle due o tre povere anime che trovano il tempo di recensire i capitoli, siete la mia salvezza.
Grazie alle lettrici, vi amo.
- Nicole

 

  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: Nefelibata