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Autore: Fragolina84    15/02/2013    2 recensioni
Makani è la parola hawaiana per vento. Ed è un vento nuovo quello che soffia sui Five-0 e sul comandante Steve McGarrett. Questo vento ha un nome, Nicole Kalea Knight, e il volto di una giovane donna dagli splendidi occhi viola. Basteranno questi occhi a catturare un ex Navy SEAL?
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Steve McGarrett, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I miei Five-0'
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Capitolo 3
Non so come gestire questa cosa

 
La sveglia fece il solito mezzo trillo che già la mano di Steve stava cercando il pulsante per spegnerla. Si stiracchiò nel letto e rimase immobile per qualche momento, immerso nella luce del primo mattino che entrava dalla finestra aperta.
Poi si alzò e infilò la canotta blu dei SEAL. Uscì sulla spiaggia e cominciò a correre sulla battigia, facendo alzare in volo dei gabbiani che si stavano disputando la colazione.
Corse per tre quarti d’ora e quando rientrò si sentiva assolutamente rilassato. Fece la doccia e, dopo essersi vestito, scese a fare colazione.
Il tavolo della cucina era ancora occupato dalle carte che aveva studiato la sera prima. Aveva usato il proprio grado per ottenere informazioni su Nicole e si era fatto di lei un’idea abbastanza precisa. Era una donna decisa e tenace, perché altrimenti non avrebbe potuto superare con quei risultati l’Accademia. Lui stesso era stato ad Annapolis e sapeva che i corsi erano abbastanza duri, anche per le donne.
Da quel poco che si erano conosciuti il giorno precedente, era solare e spigliata. Non era semplice ritrovarsi catapultata all’improvviso in una nuova realtà eppure Nicole non si era lasciata intimidire ed era entrata subito nel meccanismo della squadra.
Steve ingoiò il resto della colazione e sciacquò velocemente la tazza nel lavello. Raccolse le carte e le infilò in una cartellina.
In pochi minuti raggiunse Iolani Palace ed entrò. Era sempre il primo ad arrivare eppure le luci erano già accese.
Strano, non mi sembra di aver visto né le auto di Danny e Kono né la moto di Chin, pensò.
In quel momento Nicole spinse fuori da quello che era diventato il suo ufficio una cassa e sussultò quando lo vide.
«Oh ciao, Steve».
C’erano altre casse sparse in giro per l’ufficio e diversi grossi server erano già stati sballati. Alex e Dennis stavano lavorando accosciati a terra, collegando cavi e sistemando tutti quei complessi apparecchi.
Nicole notò che Steve aveva aggrottato la fronte e pensò che fosse irritato per la confusione di casse e scatoloni che ingombrava l’ingresso.
«A che ora sei arrivata?» domandò Steve sbirciando l’orologio.
«Circa un’ora fa» mormorò lei con noncuranza.
Il che voleva dire che era arrivata prima delle sei e mezza.
«Se hai bisogno che io sia operativa entro venerdì, dobbiamo darci da fare», concluse.
Steve lanciò di nuovo lo sguardo intorno e poi lo abbassò su di lei, sorridendole in modo irresistibile. Osservando quegli occhi viola così luminosi non poté impedirsi di pensare che era davvero bellissima e provò l’impulso di chinarsi e baciare quelle labbra carnose appena dischiuse.
Nicole, così vicina in quel momento, vide cambiare il colore dei suoi occhi che si fecero più scuri e intensi e vide ombre agitarsi in quelle profondità, come sagome di squali nell’acqua bassa. Sentì uno strano calore scenderle nel ventre, come una scia di lava infuocata. Capì, senza ombra di dubbio, che era attratta da quell’uomo e nel momento in cui cercava di togliersi dalla testa quel pensiero – era il suo capo, per la miseria! – comprese che era già troppo tardi.
«Hai un momento, sorella?».
Suo fratello Alex la riscosse dalle sue fantasie e Nicole sussultò sorpresa, facendo un passo indietro. Deglutì imbarazzata e vide riflessa sul volto di Steve la stessa confusione.
«Arrivo subito, Alex» disse senza voltare la testa. «Steve, di là ci sono malasadas [1] e caffè caldo».
«Grazie» borbottò Steve e si rintanò nel suo ufficio.
Per i due giorni seguenti, Steve fu intrattabile. Si immerse nel lavoro con concentrazione maniacale dedicandosi a preparare l’operazione di venerdì.
I suoi colleghi capirono l’antifona e lo lasciarono in pace. Danny non ci mise molto a scoprire la causa del malumore dell’amico. L’aveva infatti sorpreso più volte ad osservare Nicole al di là della vetrata del proprio ufficio. La osservava con la stessa bramosia di un tossico per la dose quotidiana finché aggrottava le sopracciglia e si rituffava irato nel proprio lavoro.
Lo conosceva bene e aveva un’idea abbastanza precisa di ciò che gli passava per la testa. Nicole era molto simile a Catherine, anche se – a detta di Danny – era molto più bella. Aveva comunque gli stessi capelli scuri e gli stessi occhi dal taglio a mandorla – anche se quelli di Nicole erano molto più pronunciati e di quel colore mozzafiato – quindi era proprio il tipo di donna che poteva attrarlo. In più, avevano frequentato la stessa Accademia ed erano stati entrambi in Marina. Nicole era un tipo tosto, proprio quello che serviva a Steve.
Sapeva che Steve soffriva la solitudine. Finché era in giro con i SEAL non era mai stato un problema, però con il nuovo incarico con i Five-O risiedeva stabilmente ad Honolulu e si era stancato di attendere che Catherine fosse in licenza per vederla. La loro storia era finita proprio per quello. Steve l’aveva pregata di chiedere il trasferimento a terra, ma lei non aveva voluto sentire ragioni e la rottura era stata inevitabile.
E improvvisamente era arrivata questa Nicole che l’aveva toccato profondamente, a quanto Danny poteva vedere. Immaginava che Steve fosse restio ad ammettere con se stesso ciò che provava, che tuttavia era abbastanza evidente nella luce che non poteva impedire gli illuminasse gli occhi ogni volta che stava parlando con Nicole o tutte le volte – e accadeva spesso – che guardava nella direzione della donna.
Restava da capire cosa provava Nicole. La conosceva poco, quindi poteva fare solo delle supposizioni. Però era un detective e sapeva interpretare ciò che vedeva. Ogni volta che Steve le si avvicinava, il linguaggio del suo corpo suggeriva che era attratta da lui. Era un bell’uomo e aveva quella vena di durezza che molte donne trovano irresistibile. La cosa poteva funzionare e Danny avrebbe senz’altro fatto in modo che funzionasse. Sapeva cosa voleva dire essere soli e, dato che Steve era il suo migliore amico, avrebbe fatto di tutto per avvicinarli. E al diavolo chi diceva che le relazioni sul lavoro non funzionavano mai.
Mentre così rifletteva, Steve si alzò e si diresse proprio verso il suo ufficio. Danny si lasciò andare all’indietro contro lo schienale della poltrona mentre l’amico entrava.
«Danny, ho bisogno di parlarti» mormorò.
Danny gli fece cenno di sedersi ma Steve scosse la testa.
«Non qui» disse, facendo tintinnare le chiavi della macchina.
«Va bene» rispose Danny alzandosi.
Nicole li intercettò mentre stavano uscendo. Da due giorni lei e la sua squadra lavoravano senza sosta per sistemare ogni apparecchio che andava montato e settato nel modo giusto prima di poter essere utilizzato. Il Governatore aveva mantenuto la promessa e le aveva procurato il meglio.
«Siamo pronti, Steve» disse con una nota d’orgoglio nella voce. «Oggi pomeriggio faremo dei test ma direi che siamo in dirittura d’arrivo. Saremo assolutamente pronti per domani sera».
«Molto bene» prese atto Steve e Danny notò di nuovo quel suo sguardo assolutamente morbido con cui accarezzava Nicole.
Penso che non servirà che mi impegni più di tanto per mettere insieme questi due, sono già sulla buona strada. Basterà una spintarella, pensò Danny, notando come Nicole rispondesse a quell’occhiata sporgendo inconsciamente un fianco verso Steve. Era un chiaro segnale che tuttavia McGarrett non parve cogliere.
«Io e Danny stiamo uscendo, ci vediamo più tardi» le comunicò Steve e la donna li salutò rientrando nel proprio ufficio.
«Cerca di tenere a freno gli ormoni, sorella. È un boccone troppo grosso per te» mormorò Alex non appena rimasero soli. Nicole si voltò a guardarlo perplessa.
«Di cosa stai parlando?» domandò, ma sapeva benissimo a cosa si riferiva.
«Sono due giorni che ti guardo flirtare con il tuo capo. Non ti sembra che sia tutto un po’ accelerato?».
Nicole scosse la testa infastidita, ma distolse lo sguardo troppo in fretta. Non stava di certo flirtando con Steve eppure si era accorta di una strana corrente che vibrava tra di loro ogni volta che erano vicini.
«Non sto flirtando con lui» protestò. «È il mio superiore, non potrei mai farlo. Sto cercando di entrare nella sua squadra» borbottò la donna.
«Se lo dici tu» mormorò Alex, sogghignando quando notò la strana espressione sul viso della sorella.
 
Steve rimase zitto per tutta Pinchbowl Street e Danny rispettò il suo silenzio. Sapeva che Steve voleva parlargli di Nicole e capì che, nonostante la grande amicizia che li legava, Steve fosse riluttante a parlarne. Steve svoltò a destra su Ala Moana Boulevard e Danny capì che stavano andando all’Aloha Tower.
«Voglio sperare che sia tu ad offrirmi qualcosa stavolta» bisbigliò Danny. Steve aveva l’allarmante tendenza a scordare sempre il portafogli quando c’era da offrire e toccava sempre a Danny rimediare.
«Sì, tranquillo. Stavolta offro davvero io».
«Allora è preoccupante» commentò Danny.
Steve scalò una marcia ed entrò nel complesso di Aloha Tower.
«Perché?» chiese.
«Non ricordi quand’è stata l’ultima volta che hai offerto tu?» replicò Danny e Steve tacque.
Ricordava benissimo l’episodio, anche perché erano passati meno di due mesi. Catherine se n’era appena andata da casa sua chiudendo la porta dietro di sé. Avevano discusso, come accadeva ultimamente ogni volta che la donna era in licenza.
L’argomento era sempre lo stesso. Steve voleva che si facesse trasferire a terra, ma Catherine non voleva sentire ragioni.
«Capisci che non puoi chiedermi questo, Steve? Tu sei sparito cinque anni. Cinque anni!».
La donna si riferiva ovviamente al periodo in cui lui aveva dato la caccia a Victor ed Anton Hesse, due terroristi internazionali che Steve aveva braccato per mezzo mondo.
«Non sono stato certo a divertirmi, Cathy» aveva mormorato lui, sentendo la rabbia montare.
«Lo so. Era il tuo lavoro e l’hai fatto. Lo capisco. Ma questo è il mio lavoro, Steve».
C’erano già passati. Sembrava ormai che non si parlasse d’altro. Erano lontani i tempi in cui ogni licenza di Cathy riservava solo passione e dolcezza.
«A causa di questo lavoro ho perso tutto, Cathy» aveva bisbigliato Steve con voce spezzata. Durante la missione, infatti, Steve aveva ucciso Anton Hesse e suo fratello Victor si era vendicato uccidendo suo padre. «Puoi capire le mie ragioni? Questa casa è troppo vuota quando non ci sei» aveva affermato Steve.
«È solo per questo, Steve? Per non trovare la casa vuota quando rientri la sera? Lo sai che non sono quel tipo di donna».
Steve si era accigliato. «Che diavolo stai dicendo, Cathy? Che significa che non sei quel tipo di donna?» aveva sbottato.
Catherine lo aveva osservato a lungo, in silenzio, e poi aveva cominciato a raccogliere le proprie cose.
«Ora sei arrabbiato, ne parliamo un’altra volta, d’accordo?» aveva esclamato.
Aveva afferrato la borsetta che aveva lasciato sul divano, ma Steve gliel’aveva tolta di mano.
«No, maledizione! Ne parliamo adesso, non affronterò questo discorso un’altra volta».
«Ne vuoi parlare adesso? E sia». Catherine aveva fatto una pausa. «Mi ami, Steve?» aveva sussurrato poi.
La domanda aveva stupito Steve che l’aveva guardata stranito.
«Che stai dicendo, Cathy?».
La donna aveva alzato le spalle. «Ti ho fatto una banale domanda: mi ami, Steve?» aveva ripetuto.
Steve aveva aperto la bocca per rispondere, ma si era improvvisamente reso conto che non amava quella donna. Si sentiva attratto da lei, ma non l’amava. Non riusciva a pensare ad un futuro con lei che non fosse quello della prossima licenza che probabilmente avrebbero passato a letto.
Aveva richiuso la bocca ed era rimasto immobile a lungo. Entrambi erano chiusi in un mutismo agghiacciante.
«Infatti» aveva preso atto infine Catherine. «Non ci amiamo, Steve».
«Ma noi…» aveva cominciato Steve per poi chiudere la bocca di nuovo.
«Ma noi… cosa, Steve? Andiamo fuori a cena – poche volte, in realtà – e a letto insieme. Che altro facciamo?».
Steve aveva capito solo in quel momento quanto squallida fosse la situazione. Catherine era giunta alla stessa conclusione nel medesimo istante. Aveva sfilato la borsetta dalle mani di Steve e si era alzata in punta di piedi per baciarlo sulla guancia.
«Addio, Steve» aveva mormorato. Poi era uscita, chiudendo delicatamente la porta dietro di sé.
Steve si era lasciato cadere sul divano, restando per almeno mezz’ora a fissare il pavimento. Poi aveva preso il cellulare che stava sul tavolino e aveva composto il numero di Danny.
«Ciao Danny, sono Steve. Possiamo vederci tra mezz’ora all’Aloha Tower? Ti offro una birra» aveva biascicato.
Steve parcheggiò la Camaro e spense il motore, rimanendo con la mano sinistra sul volante. Danny vide quella mano contrarsi sul volante, quasi a volerlo stritolare.
«Non so come gestire questa cosa» proruppe.
Danny scrollò le spalle, fingendo di non capire.
«Oh, tanto lo sapevo che toccava a me pagare» mugugnò, lanciando a Steve un’occhiata di sottecchi.
Steve sogghignò e lasciò andare il volante.
«So che tu hai già capito. Mi conosci bene e sono due giorni che mi tieni d’occhio cercando di non farti notare, con scarsi risultati tra l’altro».
Steve aprì la portiera e scese. Si incamminò verso il molo, seguito da Danny. Trovò una panchina e vi si abbandonò, gettando la testa indietro e chiudendo gli occhi.
«Vuoi dirmi dov’è il problema?» chiese Danny dopo un lungo silenzio.
«Dov’è il problema? Mi prendi in giro, Danno?».
Danny spalancò gli occhi, scuotendo la testa.
«Non so di cosa stai parlando, Steve. Ti prego, comincia dall’inizio».
Steve, sempre ad occhi chiusi, sogghignò.
«Sei un maledetto figlio di buona donna, Danny. Lo sapevi?».
Si raddrizzò sulla panchina, passandosi le mani fra i capelli. Sospirò e cambiò posizione, decidendo alla fine di alzarsi in piedi. Fece due passi avanti, le mani appoggiate sui fianchi, voltando le spalle a Danny che era rimasto seduto in silenzio.
«Mi piace quella donna» sputò infine.
«Chi?» domandò Danny con tono innocente. Steve si voltò di scatto e Danny riconobbe lo sguardo da super SEAL, come lo chiamava lui.
«Va bene, va bene» si affrettò a tranquillizzarlo Danny. «Ho capito cosa intendi. E ho visto come la guardi, non ci voleva un gran detective per capire una cosa così ovvia».
Steve sedette di nuovo vicino all’amico, con i gomiti appoggiati sulle cosce.
«Però» riprese Danny «ti ripeto: dov’è il problema?».
Steve sbuffò.
«É troppo presto. La conosco solo da qualche giorno, non so praticamente nulla di lei».
«Amico, dieci minuti dopo che Rachel mi aveva tamponato, ero già cotto a puntino» rise Danny dandogli una pacca sulla schiena.
«Sono un suo superiore, Danno. Non dovrei nemmeno permettermi di pensare a lei in questo modo» disse, ma l’altro scosse la testa.
«E chi se ne frega se sei il suo superiore? Sei il capo dei Five-O, le regole le fai tu. Se il mandato ti permette di appendere uno ad un cornicione, ti permette anche di corteggiarla».
«Semmai smetterai di fare il detective, puoi sempre tentare la carriera forense. Come avvocato del diavolo sei perfetto» ridacchiò Steve. Poi si fece di nuovo serio. «Chissà cosa penserebbe Nicole di questa conversazione. È sbagliato, Danny. È tutto sbagliato» tuonò all’improvviso, alzandosi di nuovo in piedi.
«Non c’è proprio niente di sbagliato, Steve. Vieni qui. Siediti e ascoltami, per favore».
McGarrett sedette di nuovo e Danny trasse un lungo sospiro prima di parlare.
«Lunedì, quando Nicole è entrata nel nostro ufficio, ho visto l’occhiata che vi siete scambiati. E mi sono rallegrato. Mi sono detto: finalmente! Non c’è proprio niente di sbagliato, credimi». Posò una mano sulla spalla dell’amico e gliela strinse. «So bene cosa significa essere soli. Non mettere da parte questa cosa solo perché pensi che sia troppo presto o perché pensi che, essendo il suo capo, non possa funzionare. E non sentirti in colpa verso Catherine. È il momento di mettere un punto e di andare a capo».
Steve si appoggiò allo schienale della panchina e voltò il capo verso Danny.
«Devo essere pazzo. Magari non mi ricambierà nemmeno e troverà talmente fuori luogo le avances del capo che correrà dal Governatore a chiedere di essere rimandata su una nave».
Danny si alzò in piedi, scuotendo la testa.
«Sarai anche un super SEAL, però come detective sei davvero scarso. Davvero non hai notato le occhiate che ti lancia? Mi stupisce che in ufficio non sia andato a fuoco nulla» asserì. Poi fece un ampio gesto verso il bar, visibile tra le palme. «Posso avere la mia birra, ora? Ho la gola secca».
 
Rientrati alla base scoprirono che in loro assenza Nicole e i due tecnici avevano completato i lavori. I due uomini erano scomparsi mentre Nicole era seduta con Chin e Kono attorno alla scrivania hi-tech.
«Adesso c’è una rete wireless che copre l’intero ufficio» stava spiegando. «Tutti i nostri computer sono collegati a quella rete e ognuno di noi sarà dotato di tablet. È pratico e maneggevole, perfetto per la nostra attività».
Alzarono tutti lo sguardo quando Danny e Steve entrarono.
«Siamo l’unità più tecnologicamente all’avanguardia del Dipartimento, ormai» rise Chin.
Steve spostò una sedia e si accomodò.
«Tutta questa tecnologia servirà, eccome. Nel nostro lavoro, la differenza tra la vita e la morte delle persone che siamo chiamati a proteggere è infinitesimale. Un solo minuto può fare la differenza» constatò e Danny annuì.
Kono batté affettuosamente una mano sul piano del tavolo.
«Nicole ha potenziato anche questa. Ora è velocissima e molto più efficiente».
«Bene» affermò Steve, con un cenno del capo in direzione di Nicole. «Che ne dite di dare un’occhiata al Moonlight?».
La donna si mise subito al lavoro e ben presto sugli schermi apparve una foto della facciata del locale. Aveva una pensilina da albergo di lusso con tanto di passatoia rossa che portava ai tre gradini d’ingresso. L’interno comprendeva un banco del bar lungo quanto una pista d’atterraggio – come osservò Danny – e un’enorme pista da ballo. Sul sito Internet del night club c’erano diverse immagini di feste con tanto di cubiste in succinti abitini di strass e molte fotografie di VIP che avevano scelto proprio quel locale per i propri party.
«Un posticino tutto da visitare, eh Steve?» sogghignò Danny.
«Direi che potremmo farci un giretto già questo venerdì, no?».
Nicole passò alle immagini satellitari in tempo reale. Era pomeriggio e quindi non c’era movimento attorno al club, anche se c’erano un paio di auto parcheggiate sul retro.
«Cosa sappiamo di questo night?» chiese Danny. «Voglio dire, Alvarez e la sua cricca ci si ritrovano tutti i venerdì per pianificare lo spaccio e nessuno ne sa nulla?».
«Prima ho fatto un controllo» intervenne Kono. «Il night fa parte di una catena di locali. Non risultano esserci mai stati problemi in questo club. Niente disordini, nessuna chiamata alla Polizia. Ci sono stati diversi controlli, ma non è mai saltato fuori nulla. Evidentemente gli spacciatori si trovano in un privée o qualcosa del genere. Se vogliamo entrare, dobbiamo capire che sistema usano».
«Ma noi lo sappiamo che sistema usano. Avete dimenticato il nostro amico Ramirez?». Mentre parlava, Danny si alzò e si diresse nel suo ufficio, recuperando i suoi appunti. «Il night club è soltanto un’attività di facciata. Il vero business si fa nel piano interrato, a cui si accede tramite una scala che è sempre protetta da almeno uno degli scagnozzi di Alvarez. Non fanno passare nessuna faccia sconosciuta».
«Questo potrebbe essere un problema» mugugnò Steve. «L’unica cosa che mi viene in mente è un’irruzione».
Danny sollevò le braccia in un gesto di rassegnazione. «Ma davvero? Strano». Si voltò verso Nicole. «Vorrei un dollaro per ogni volta che ho sentito questa frase. Sarei milionario» borbottò e la donna rise.
«E se utilizzassimo l’aiuto di Ramirez?» chiese Chin, ma Steve scosse la testa.
«Non funzionerebbe. Alvarez ci ha visti tutti in faccia e di certo sa che abbiamo catturato il suo uomo».
«Non ha visto me, però» obiettò Nicole e quattro teste si voltarono all’unisono verso di lei. Il silenzio calò pesante.
Chin guardò verso Steve e la sua espressione lo fece desistere dall’esprimere la propria opinione.
«È assolutamente escluso. Non sei preparata ad una cosa del genere» disse categorico.
Non furono tanto le parole quanto il tono con cui le pronunciò che infastidì Nicole. Certo, Steve era il suo capo ed aveva tutto il diritto di parlare in quel modo. Però le sembrò che le sbarrasse la strada senza nemmeno preoccuparsi di conoscere a fondo le sue competenze. Stava per replicare ma Danny le sfiorò il braccio. Intuì che voleva dirle di tenere a freno la lingua e tacque.
Danny aveva notato che alle parole di McGarrett, Nicole si era irrigidita e aveva compreso che voleva insistere. Ma non conosceva a fondo chi aveva davanti: insistere con lui non serviva a nulla, solo a far diventare di granito la sua decisione. Meglio aggirare la questione e portare Steve a credere che fosse una sua idea. Perciò aveva sfiorato il braccio della donna che aveva immediatamente capito.
«Non è una cattiva idea, Steve. Pensaci». Alzò le mani in segno di resa di fronte alla smorfia di Steve. «Nicole non è un volto conosciuto, potrebbe essere la nostra occasione di entrare senza sparare un colpo».
Steve scosse la testa. «E quando è entrata? Nicole da sola non potrà fare nulla contro Alvarez e la sua cerchia».
«Non ci serve che lo arresti» chiarì Kono. «Ci basta la prova che lì dentro si pianifica il traffico di droga e che Alvarez ne è il capobanda. A quel punto avremo una scusa per entrare».
Danny notò una minuscola incrinatura nella corazza di Steve e affondò il colpo.
«Le mettiamo addosso microfono e telecamera e, non appena abbiamo le prove che lì dentro c’è qualcosa di losco, facciamo irruzione».
«Non lo so, non mi convince» disse Steve, incrociando lo sguardo di Nicole. «E comunque, se l’ingresso al privée è presidiato, perché dovrebbero far passare te?».
Nicole sorrise e il cuore di Steve perse un battito.
«Credo che entro sera il direttore del Moonlight riceverà una e-mail dal capo del personale della catena di locali che avvisa che una nuova cameriera prenderà servizio a partire da domani».
«Puoi farlo?» chiese Danny.
«Se il capo mi dà l’ok, sì» rispose.
Le teste si girarono di nuovo verso Steve.
«Non possiamo fare irruzione mentre Nicole è bloccata là sotto. Dovrai sganciarti prima».
Danny batté una mano sul piano del tavolo.
«Ecco il tuo ok, Nicole» esclamò.
Steve non era per nulla soddisfatto dalla piega che aveva preso la discussione. Non era entusiasta di coinvolgere Nicole così presto ma dall’altra parte in tal modo poteva vedere subito come se la cavava sul campo. Lo rassicurava il fatto che lui e Danny sarebbero stati dentro al club, pronti ad intervenire alla minima avvisaglia di pericolo e Chin avrebbe comandato una squadra di rinforzi.
Dedicarono ancora un’ora a sistemare gli ultimi dettagli, prendendo in considerazione diversi possibili scenari e cercando di prevenire ogni possibile problema. Nicole preparò la falsa e-mail che le avrebbe permesso di entrare come cameriera al Moonlight. Aveva sbirciato la posta del direttore del personale e aveva trovato diverse e-mail sullo stesso tono, perciò fece una velata allusione al fatto era una persona fidata e che poteva essere impiegata per incarichi speciali. Il direttore del night club rispose cinque minuti più tardi accusando ricevuta per il messaggio e comunicando che la nuova ragazza avrebbe dovuto farsi trovare al Moonlight verso le nove della sera seguente. Il club apriva alle dieci.
Alla fine Steve si alzò.
«Direi che siamo pronti, per quanto possibile. Dato che domani sera lavoreremo fino a tardi, prendiamoci la mattinata libera». Sogghignò all’indirizzo di Danny. «Non voglio che tu mi spari addosso giustificandoti con il fatto che non hai dormito abbastanza».
«Se ti sparassi addosso, non avrei bisogno di giustificarmi con te. Cercherei di mirare bene, in modo da liberarmi di te definitivamente».
La tensione di quella riunione operativa si stemperò in un attimo. Ognuno tornò nel proprio ufficio e ben presto Chin e Kono si avviarono verso casa. Anche Danny si congedò e Nicole rimase sola con Steve.
McGarrett finì di stilare alcuni rapporti e dopo aver riordinato la propria scrivania si accinse ad uscire. Il lavoro aveva assorbito talmente la sua attenzione che aveva pensato di essere solo ma le luci erano ancora accese nell’ufficio di Nicole. Sbirciando attraverso la porta aperta la vide mentre, in punta di piedi, cercava di riporre una scatola che aveva l’aria di essere molto pesante sul ripiano più alto di uno scaffale. L’altezza però era decisamente proibitiva per lei e non riusciva a spingere il pacco sul ripiano.
Steve le arrivò alle spalle senza che se ne accorgesse e allungò le mani per prendere lo scatolone.
«Aspetta, lascia fare a me» mormorò.
Era effettivamente piuttosto pesante ma la sua maggiore altezza gli permise di appoggiarlo sulla mensola. Improvvisamente libera dal peso, Nicole barcollò all’indietro e fu costretta ad appoggiarsi a lui per non cadere. Istintivamente, Steve la circondò con le braccia con il risultato di stringerla ancor più a sé.
Era la prima volta che si toccavano e Nicole rimase stupita dalla solidità dei pettorali che sentiva premuti contro la propria schiena e dalla durezza di quelle braccia che pure erano estremamente gentili mentre l’avvolgevano. Percepì il suo profumo, una fragranza speziata che rischiò di farle perdere il controllo.
Dal canto suo, Steve distinse chiaramente la doppia rotondità delle natiche di lei premute contro il proprio bacino e colse le note di vaniglia e cannella del suo profumo. Lei non fece alcun tentativo per interrompere il contatto e Steve la trattenne più del necessario, godendo del calore di quella carne soda premuta contro la sua.
Fu comunque Nicole la prima a staccarsi, riscuotendosi da quel momento di imprevista intimità con un sussulto.
«Ehm, grazie» sussurrò, allontanandosi leggermente e voltandosi. Steve non seppe dire se era arrossita, la sua pelle dorata era troppo scura per capirlo, eppure i suoi favolosi occhi viola luccicavano. Le labbra erano umide e semiaperte e lasciavano intravedere la punta rosea della lingua. Non era mai stata più bella e mentre la fissava negli occhi, Steve capì senza ombra di dubbio che aveva apprezzato quel contatto almeno quanto lui. Le lunghe ciglia scure calarono a velare per un momento i suoi occhi e tanto bastò per liberare Steve dall’incantesimo che lei sembrava avergli gettato addosso.
«Ora va a casa, Nicole. Domani sarà una lunga giornata e la tua parte sarà particolarmente impegnativa. Hai bisogno di riposare».
«Ma…» cominciò lei, ma Steve bloccò la sua protesta sollevando una mano.
«Ah! Il capo sono io e ti ordino di andare a casa» intimò, scimmiottando alla perfezione il tono di uno degli istruttori dell’Accademia. Nicole lo riconobbe immediatamente e scoppiò a ridere.
Steve la aspettò mentre recuperava le proprie cose ed uscirono insieme nel parcheggio.
«Dov’è la tua macchina?» chiese Steve e la donna indicò una sportiva rossa parcheggiata dall’altro lato rispetto alla Camaro di Steve.
McGarrett spalancò gli occhi e si avvicinò alla coupé. «Che macchina è?» chiese.
«Un’Audi» rispose Nicole e l’altro si voltò con una strana espressione sul viso.
«Lo vedo che è un’Audi. Volevo dire: che modello è?» esclamò.
«Scusa, pensavo non la conoscessi, dato che non è un’auto americana. È una RS5 che mio fratello ha leggermente modificato».
Steve sfiorò con la mano il cofano che dava all’auto un’aria aggressiva e potente. Mentre lui sbirciava gli interni dal finestrino, Nicole premette il tasto sul telecomando facendo scattare la chiusura centralizzata. Steve si accomodò al posto di guida e osservò ammirato la plancia e i sedili sportivi rivestiti di pelle bicolore proprio come sulla sua Camaro.
«Bel giocattolino» mormorò ammirato e Nicole sorrise, felice del complimento.
«Attento a chiamarla giocattolino. Potrebbe offendersi e fare qualche scherzetto alla tua Chevy» lo punzecchiò.
«Come minimo è pericolosa come chi la guida» bisbigliò Steve smontando e Nicole non fu sicura di aver sentito bene. «A domani, Kalea» la salutò Steve, dirigendosi verso la propria auto.
«A domani, Steve» rispose lei.
Mise in moto facendo rombare volutamente il motore e partì facendo fischiare le gomme. Lo osservò nello specchietto e vide balenare il lampo di denti bianchi mentre sorrideva divertito dalla sua esibizione.

 


[1] Sono le tipiche ciambelle fritte che gli americani mangiano a colazione. Alle Hawaii si chiamano malasadas
  
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