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Autore: Hoel    16/02/2013    3 recensioni
"Giurami [...] che al mio ritorno, vivi o morti, ci sposeremo!"
***
Si dice che l'Amore vinca ogni cosa, perfino la Morte. Anche se è proprio da essa, che lui verrà a reclamarti ...
[KisaIta e NaruHina - accenni di SasuSaku e InoSai]
Genere: Horror, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Akatsuki, Un po' tutti | Coppie: Hinata/Naruto, Itachi/Kisame, Sai/Ino, Sasuke/Sakura
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Mpreg | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
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Jetzt geht’s weiter!

Malgrado la peste germanica mi abbia colpita e affondata e ora stia imitando alla perfezione Violetta Valéry, tra un giro di medicine e l’altro ho scritto il capitolo. Sorry per coloro che attendevano altri aggiornamenti – questa storia non sembra molto gradita, pazienza – ma nelle mie condizioni questa era l’unica che mi sentivo di scrivere. Le altre sono troppe articolate per il mio povero cuoricino ammalato T^T. Ergo, pazientare per i prossimi! ^^ Inoltre, appunto perché sono ammalata, non si accettano flames se questo capitolo è venuto … bizzarro?! I deliri dei tossicolosi sono moooolto pericolosi (rima inclusa)!

In ogni modo, gioite! Con questo capitolo siamo a metà storia! Dal prossimo ci avviamo già alla conclusione! Yup, le storie dell’orrore non durano mai troppo!

Un sentito ringraziamento ai miei lettori, a coloro che hanno messo questa storia tra le preferite, tra le seguite e tra le ricordate! Uno speciale ringraziamento ai miei due recensori preferiti, Jooles e Sagitta72, miei sostegni e stimolo a continuare la storia!

Bien, altro da aggiungere non ho, tranne l’augurarvi una buona lettura!

 

 

H.

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Agosto 2012, segue.

 

 

Tutto appariva così strano alla luce del sole: sparita l’ambiguità delle tenebre, una volta che il sole aveva preso il posto della luna sulla volta celeste, ecco che le esperienze vissute la notte scorsa sembrano null’altro che il prodotto di un incubo generato dalla febbre. Terrifici ghirigori di una mente accaldata e spaventata.

Schiudendo lentamente le palpebre, Naruto si guardò attorno, disorientato dal ritrovarsi disteso nel suo letto, nella sua stanza appena appena illuminata dal sole filtrante dalle veneziane e rinfrescata dal venticello, che ingrossava le tende. Accanto a lui, rannicchiata in posizione fetale, Hinata dormiva.

A quella vista, il giovane commissario balzò d’istinto giù dal letto, i ricordi della notte trascorsa subito riaffiorati con orrida nitidezza nella sua mente. Puliti, precisi. Neppure il privilegio del dubbio.

“N-Naruto …?”, sgranò la ragazza i suoi occhioni, svegliata dal tonfo di uno che fuggiva precipitosamente dal proprio letto. Puntellatasi sui gomiti, la mora lo fissò a lungo, interdetta dallo spettacolo del suo fidanzato appiccicato al muro come una zanzara dall’altra parte della camera. “Come … come ti senti?”, gli domandò poi assai preoccupata.

“Come mi sento?”, ripeté stupito il biondo, chiedendosi se il mondo avesse preso a girare all’incontrario.

“Ieri notte mi hai parecchio spaventata”, proseguì Hinata, ignorando la replica del fidanzato e avanzando verso di lui. “Uscire con quel temporale … lasciarmi qui da sola … e poi … quando ti ho ritrovato … Dio mio … giacevi per terra, ti stavi coprendo gli occhi con le mani e … ti contorcervi, urlavi … Non ti ho mai visto così, Naruto, io … io ho avuto paura che … oh, Dio mio!”, guaì la ragazza, nascondendo il viso sul petto dell’altro. “Che cosa ci sta succedendo? Prima litighiamo, poi … poi vieni colto da queste crisi … e domani ci sposiamo! Naruto!”, alzò ella di scatto la testa, guardandolo dritto negli occhi celesti. “Ho la netta sensazione, che qualcuno voglia impedirci di celebrare le nostre nozze! È assurdo, eppure ogni angolo di questa maledetta villa parve volermi urlare: Non ti sposerai mai! Mai! Non sarai mai felice con lui! Mai! Oh, Naruto, che stia impazzendo?”

Sì, decisamente era la sua Hinata la giovane piangente e aggrappata a lui. Nei suoi occhi chiari mancava la malizia intravista ieri notte dal giovane commissario, mancava la demoniaca tristezza, mancava l’odio profondo … Non v’era inganno in essi. Era lei. L’incubo non sussisteva più.

Naruto l’abbracciò fortemente, stringendola a sé.

“Va tutto bene, tesoro”, mormorò egli, cercando di infondere ad entrambi coraggio. Per la pace della ragazza, decise di non raccontarle niente sulla sua scampagnata nel piccolo camposanto della villa, né del tentato omicidio a suo danno. “Sarà stata la stanchezza dettata dai preparativi e da quest’afa atroce. Non ti preoccupare, non ti succederà nulla”, la consolò, sollevandole piano il viso ed elargendole un dolce sorriso incoraggiatore, dopo averla baciata. “Provvederò a far tacere quanto prima queste fastidiose voci, te lo prometto!”

Ancora un giorno.

Dopodiché, sarebbe finito tutto.

Forse.

 

 

 

 

… Se dovesse avere ancora dei dubbi, non esiti a porgermi una visita; possiedo altre cosucce interessanti su quest’anima dannata …

Prima ancora di rendersi conto delle sue azioni, Naruto si trovava davanti al cancello d’ingresso della villetta dove viveva Utatane Koharu, una casetta molto coccola circondata da un giardinetto curatissimo, senza scivolare nei kitschissimi e orripilanti nanetti o strane decorazioni animali e/o vegetali. Un posto vezzoso e al contempo elegante, che rispecchiava alla perfezione la personalità della padrona. Eppure, per quanto graziosa essa potesse essere - non riuscì il biondo a trattenersi dal paragonare mentalmente - la casa della signora Utatane pareva una catapecchia a confronto di villa Nakano.

In ogni modo, dopo aver suonato per ben tre volte il citofono senza aver ottenuto alcuna risposta, il giovane commissario ponderò a fondo l’opzione di lasciar perdere quella balzana visita e di ritornare da Hinata, che aveva nel frattempo lasciato a casa dei genitori con la scusa di concordare gli ultimi preparativi per l’indomani e più tardi di festeggiare con le sue amiche l’addio al nubilato. Ora che Naruto ci ripensava, con la scusa di aver rimuginato per tutto il giorno la proposta dell’anziana signora e di essersi deciso ad onorarla solamente nel bel mezzo della visita ai futuri suoceri, stava facendo tardi al suo addio al celibato. Tzé, come se ne avesse avuto voglia! Magari la settimana scorsa si sarebbe fiondato a quella festa senza pensarci due volte; al contrario, adesso non aveva alcuna intenzione di festeggiare, non con ancora in mente il viso di Hinata rigato di lacrime e decisamente non con l’immagine di quegli occhiacci malevoli marchiata a fuoco nella sua memoria.

Aveva altre priorità  e non poteva per ora permettersi il lusso di lasciarsi coinvolgere in lazzi osé.

Dannazione, perché quella vecchia bacucca non gli apriva il cancello? Lo invitava per poi farlo ammuffire alla soglia di casa sua? Che poca creanza!

Sbuffando, Naruto optò per una ritirata strategica – sarebbe ritornato più tardi – sennonché lo stridulo nasale del comando a distanza, lo schiocco della serratura e il cigolio del cancello che si apriva in una minuscola fessura lo bloccò, persuadendolo a fare dietrofront. Che la signora Utatane non l’avesse udito? Accidenti, se non era sorda!

Rincuorato dalla prospettiva di poter infine conversare con la donna e così dissipare una volta per tutte quegli atroci dubbi, che stavano corrodendo sia Hinata che lui, il giovane accelerò il passo, volando quasi sul piccolo selciato di ghiaia e presentandosi impaziente davanti alla porta di casa.

“Buonasera, signora Utatane, sono il commissario Uzumaki Naruto. Ieri mi aveva detto che …”, s’interruppe all’improvviso il biondo, essendogli le parole letteralmente morte in gola non appena la porta si aprì, rivelando non l’anziano viso pieno di macchie e rughe della signora, bensì uno assai più giovane e piacente.

E terribilmente nervoso.

“B-buonasera commissario … come sta? Cercava … cercava forse mia nonna? Ah, mi scusi, non mi sono presentata: sono Tenten, sua nipote …”, asserì inquieta la giovane donna dinanzi a lui, i cui occhi vagavano ovunque tranne che sul viso di Naruto che, ammorbidendo il tono, tentò un approccio più rassicurante (attendere troppo non rende mai le persone affabili):

“Sì, signorina Tenten, ieri sera sua nonna mi aveva invitato a casa sua per discutere su delle questioni assai pressanti. Chiedo venia per l’ora tarda, ma oggi mi è stato pressoché impossibile trovare un solo attimo di tranquillità. State forse cenando? Giuro che non è mia intenzione disturbare sua nonna più del dovuto, bastano solo cinque minuti e …”

“Signor commissario”, pose fine la ragazza ai vari mea culpa del biondo, zittendolo bruscamente. “Temo che mia nonna non si trovi nelle condizioni di poter parlare con lei”, disse con un filo di voce, tirando su col naso.

Un orrido sospetto s’insinuò nella mente di Naruto e quest’ultimo sperò di essersi sbagliato grandemente.

“Comprendo. Forse non si sente molto bene”, esordì lentamente, studiando accorto le reazioni della sua interlocutrice. “Vorrà dire che passerò un’altra volta. I miei auguri per una pronta guarigione.”

Tenten scosse il capo bruno. “Non ci sarà una prossima volta, signor commissario. Vede”, e dovette fermarsi per un attimo, respirando a fondo “mia nonna …”, altro sospiro spezzato “… è morta.”

Il mondo crollò addosso sulle spalle del biondo, mentre ogni suono parve giungergli ovattato, distante. Forse, il suo cuore manco più gli batteva in petto. Rimase dunque così, gelato dalla notizia, a fissare stranito la bocca della giovane che si muoveva freneticamente, raccontandogli tra veri singhiozzi trattenuti le dinamiche generali di quell’inaspettato decesso.

“Stamattina, verso le nove, sono venuta a trovarla come mio solito. Siccome non rispondeva e lei sorda non era, ho usato le mie chiavi, un doppione”, gli narrò Tenten, frugando nelle tasche alla ricerca di un fazzoletto. In automatico, Naruto le offrì uno dei suoi. “Grazie. Dunque, entro in casa e la chiamo, ma non risponde nessuno. Allora mi reco in camera sua e … ed è lì che … oh Dio … che l’ho trovata, così rigida e fredda … era morta”, si portò ella una mano alla bocca. “Io l’avevo avvertita, signor commissario … l’avevo avvertita che stava giocando col fuoco e …”

Scuotendosi dal torpore indottogli dalla sorpresa, Naruto strinse gli occhi, sospettoso e incuriosito dalle ultime parole pronunciate dall’agitata ragazza. “Che intende con l’avevo avvertita che stava giocando col fuoco? Crede che sua nonna non sia morta per cause naturali?”

Tenten impallidì fino al verdognolo, gli occhi dilatati dalla paura. “Eh? Io non … temo che abbia equivocato, signor commissario, lei … la nonna è deceduta a causa di un infarto cardiaco. Deve essersi affaticata inutilmente, ecco perché le ho detto quella frase … non c’è nulla di strano, no?”

“Signorina Tenten”, la incalzò invece Naruto, avanzando di un passo e impedendo col piede che la giovane gli sbattesse la porta in faccia. “Dal suo atteggiamento e dalle circostanze del decesso di sua nonna, ho molte difficoltà ad attribuire un significato diverso a quella frase. Un semplice infarto non dovrebbe provocarle tutta quest’ansia e timore! Avanti, sia onesta con se stessa e con me! Lei è terrorizzata! Da cosa? Da chi? Perché lei asserisce che ha giocato col fuoco? Sospetta forse che sua nonna sia stata uccisa?”

“NO!”, gridò la ragazza fuori di sé dal terrore, confermando così ogni parola del giovane commissario. “No! Che accidenti sta dicendo? Si sta sbagliando di grosso! Mia nonna è morta di infarto, comprende? Di. Un. Dannatissimo. Infarto! Ormai l’hanno portata all’obitorio! È finita! The end! Mi lasci in pace! Vada a porre le sue indiscrete domande a qualcun altro! In troppi me ne hanno già poste a sufficienza!”

“Signorina Tenten, la prego, si calmi!”, digrignò i denti Naruto, dolendogli infatti il piede per il tentativo della bruna di chiudere la porta per l’ennesima volta. “Non la sto accusando di niente! Vorrei solamente capire alcuni dettagli, che mi sfuggono! Vede, sua nonna mi aveva invitato qui per discutere riguardo agli eventi legati a villa Nakano e …”

“Non nomini quella villa apportatrice di sventura!”, strillò isterica la giovane. “E se ne vada via da lì! Da Konoha! Abbandoni questi luoghi per sempre! O sarà per lei la fine, come lo è stato per mia nonna!”

“Sua nonna, dunque, sapeva qualcosa di importante? Di pericoloso?”, proseguì invece testardo il giovane commissario, afferrando Tenten per le spalle e cercando di immobilizzarla. “E così, vero? Qualcuno l’ha uccisa per farla tacere! E chi è stato, sentiamo? La Sposa?”

“NO!!!”, ruggì la giovane, tappando violentemente la bocca a Naruto, gli occhi fuori dalle orbite. “Zitto! Zitto! Non dica il suo nome! Non la menzioni! Altrimenti …”

“… cosa? Altrimenti cosa, signorina Tenten?”, la spronò il biondo a proseguire, addirittura scuotendola leggermente. Niente. Gli occhi scuri della ragazza erano divenuti d’un colpo opachi, inespressivi. Il suo stesso corpo aveva assunto un’innaturale rilassatezza da marionetta senza fili. “Signorina Tenten, mi risponda! Che dovrebbe succedere, in caso la … lei dovesse essere nominata?”, la esortò Naruto. “Signorina Tenten! Se sa qualcosa, per l’amor di Dio, me lo dica! Signorina Tenten! È stata lei ad aver assassinato sua nonna, non è così?”

Inutile.

La giovane pareva non ascoltarlo più: si limitava a tenere lo sguardo fisso dinanzi a sé, quasi stesse attendendo con ansia l’arrivo di qualcuno.

Fate quindi attenzione, care fanciulle, il giorno delle vostre nozze! …” , mormorò infine la bruna, la voce impastata e monocorde di chi stava parlando nel sonno.

“Cosa?”

Sciogliendosi dolcemente dalla sua presa, Tenten proseguì in uno stato sonnambolico verso il cancello della villetta, incurante di camminare scalza sulla ghiaia. “Molti anni sono ormai passati da questo amaro caso, eppure la Sposa Mancata ancora infesta la villa maledetta! ...”, seguitò, ignara degli incessanti richiami di Naruto e sottraendosi di continuo ai suoi tentativi di bloccare la sua bizzarra marcia.   

“… Una malinconica figura biancovestita erra dolente per i suoi corridoi o nel giardino, il capo chino e coperto da un fitto velo che par un sudario; un lungo coltello string’ella al petto …”

“Signorina Tenten, mi ascolti! Si fermi per un istante! La supplico!”

“…  E’ lei! Girate subito dalla parte opposta, presto! …”

“Signorina Tenten!”

Solo allora la giovane si fermò, voltandosi verso Naruto.

I loro sguardi si incrociarono, uno rassegnato, l’altro interdetto.  

“Signorina …!”

La nipote della signora Utatane sorrise mestamente.

“… Prima che si accorga di voi!”, finì in un giocoso sussurro.

Poi, fu solo lo stridore dei freni pigiati all’ultimo momento.

L’inutile corsa in avanti.

L’inutile tentativo di spintonarla via.

Di salvarle la vita.

“Tenten!!!”

Un violento tonfo.

Un sinistro crack! di ossa.

“NO!!!”

Liquido scarlatto che scivolava languido sul cemento.

Occhi del medesimo colore che assistevano soddisfatti all’opera compiuta, al corpo inanimato giacente sulla strada, allo sconcerto del conducente della vettura, alla disperazione dell’unico testimone.

Parfait.

 

 

 

“Naruto …?”

Il diretto interessato abbandonò il confortevole scudo delle sue mani, alzando lo sguardo in direzione del suo interlocutore. Dal rosso era passato al bianco? E questo quando? Dio, gli occhi gli dolevano da impazzire!

“Hey, Uzumaki!”, gli posò Kiba una mano sulla spalla, stringendola a mo’ di risveglio dalla trance, in cui Naruto era caduto da quando i paramedici lo avevano pigliato dal luogo dell’incidente e portato all’ospedale. “Ti stavamo tutti aspettando al bar per la tua festa e poi ci arriva questa chiamata dall’ospedale! Che cosa ti è successo, furbastro?”

“Niente che abbia potuto rapircelo da questo mondo”, s’intromise la voce decisa del medico alle loro spalle, una donna incredibilmente prosperosa e dall’aspetto ancora giovanile. “Le condizioni del paziente, Shizune?”, s’informò. L’infermiera che fino a quel momento aveva vegliato in silenzio sul biondo si alzò dalla sedia, cedendo la cartella clinica alla sua superiore. “Stabili, dottoressa Tsunade. Ha dormito come un ghiro fino a dieci minuti fa, ovvero fino all’arrivo del signor Inuzuka.”

“Da quanto tempo sono qui?”, inquisì Naruto, lanciando un’occhiata ansiosa fuori dalla finestra: ormai era completamente buio, dovevano essere passate da un pezzo le otto di sera.

“Tranquillo, Naruto!”, lo rassicurò Kiba. “Ho già avvertito Neji e lui mi ha assicurato, che stanotte sia lui che Hinata rimarranno a dormire dai loro vecchi!”

“E la mia fidanzata? L’hai sentita? Che ha detto? Dio mio, spero che non le sia partito un embolo …”

“Ehm, non per interrompere questa romantica conversazione, ma vorrei precisare che il signor Uzumaki si è ritrovato suo malgrado coinvolto in un drammatico incidente stradale. Vorrei quindi pregarla, signor Inuzuka, di lasciar riposare il paziente!”

“Non se ne parla nemmeno, dottoressa Senju!”, ribatté snervato Naruto, balzando giù dal letto. “Sto benissimo! Non ho alcuna intenzione di trascorrere la vigilia delle mie nozze in un ospedale! Oh beh, anche se le infermiere sexy ci sono comunque …”

Una randellata in testa riportò il biondo a più miti consigli. “Porco!”, berciò Tsunade, facendo balzare sia l’infermiera Shizune che Kiba per lo spavento da cotanta forza esibita. “Invece di blaterare cacche di piccione, ringrazia Iddio di essere ancora vivo, vegeto e in un unico pezzo! Sennò altro che matrimonio! Un funerale si celebrava!”

“Sono sopravvissuto all’incidente”, argomentò piccato Naruto, massaggiandosi lo scalpo martoriato “perché non ero io la vittima designata! Lei voleva la signorina Tenten! Non me! Ha voluto farmi assistere, certo, ma non aveva in progetto la mia morte! Non ora, almeno!”

“Assurdità!”, liquidò Tsunade la faccenda con un deciso svolazzo della mano. “E sentiamo, chi sarebbe costei? La povera signorina Mitokado ha attraversato la strada senza prestare la benché minima attenzione! Ovvio, che è stata investita!”

“Un corno! La strada era vuota! Quella macchina è comparsa all’improvviso! Senza contare … senza contare che lei l’ha spinta a compiere quel gesto! Tenten sembrava quasi ipnotizzata, non era padrona delle sue azioni!”

“Via, questa sì che è bella! Devo ammettere, che il suo stato di shock è davvero notevole, forse il più assurdo cui io abbia mai assistito!”

“Sua nonna pirata sarà in stato di shock!”, ululò Naruto, paonazzo. “Vedo abbastanza gente morta per via del mio lavoro, che non è stato di certo un cadavere mezzo spiaccicato e spalmato sul cemento ad avermi impressionato! No, è stata la certezza, che Tenten sia stata indotta dalla Sposa a suicidarsi!”

Un silenzio tombale gelò la stanza.

“Non vorrà mica … che anche lei abbia visto … Bah, scempiaggini!”, contestò flebilmente Tsunade, mentre il rosa delle sue guance fluiva via più rapido di un torrente. “Non esiste alcuna “sposa”, non esiste alcuna maledizione! Noto che la signora Utatane l’ha ben irretita, o mi sbaglio, signor Uzumaki? Beh, se lo lasci dire: quella era una vecchia matta e di sicuro ha influenzato in maniera nefasta anche la nipote, che poi tanto sana di menocca non lo era neppure lei, non dopo l’incidente stradale in cui morirono i suoi genitori. Il decesso improvviso della nonna deve averle elargito il colpo di grazia, non può sussistere altra spiegazione logica! Ergo, la smetta di sparare baggianate a gogò o la farò sedare!”, sbraitò d’un tratto inferocita, sputando saliva.

Per una che non credeva nel mortifero potere della maledizione di villa Nakano, la dottoressa Senju lo dimostrava davvero male: infatti, sembrava parecchio agitata a riguardo, impallidendo più del dovuto. Tuttavia, onde risparmiarsi una dose di tranquillanti non proprio agognati, Naruto si morse l’interno della sua guancia, scegliendo una soluzione più diplomatica, altresì nota come: annuire per poi agire differentemente appena l’avversario dà le spalle.  

“Quando potrò uscire di qui?”, chiese quindi il giovane, sperando che la sua voce suonasse sufficientemente calma e padrona di sé.

“Domani mattina”, rispose lentamente la dottoressa, insospettita da quel brusco cambio di atteggiamento, da satanasso ribelle a docile agnellino. Dinanzi allo scambio di occhiate apprensive tra il suo paziente e Kiba, la donna fugò ogni perplessità: “No, farà in tempo a presentarsi alla cerimonia. La rilasceremo verso le otto, contento?”

No, Naruto era ben lungi dall’essere soddisfatto. E non solo per la stupida quisquiglia, che nessuno lo credeva, anzi che per poco non gli davano pure dell’esagitato e isterico (se non proprio del pazzo); piuttosto, si trattava della consapevolezza che la Sposa lo aveva preceduto, tappando per sempre la bocca delle uniche due persone che avrebbero potuto indicargli la strada per esorcizzare quella presenza maligna, il cui unico scopo della sua dannata esistenza era quello di rendere amara la vita alla fidanzata e a lui. Oh, oramai Naruto non nutriva più alcun dubbio sulla veridicità della leggenda, della maledizione che appestava villa Nakano! Per ben due volte aveva giocato il ruolo di inconsapevole vittima/testimone! Per davvero qualcosa di malvagio si stava divertendo con le loro vite, spazzando via chiunque osasse interferire nel suo diletto! Per fortuna, che Hinata in quel momento si trovava a casa dei suoi genitori, altrimenti …

Se solo avesse parlato la sera precedente con la signora Utatane! Se soltanto le avesse creduto prima, così da poter subito affrontare e neutralizzare la Sposa! Ecco, dove l’aveva portato lo scetticismo!

“Signor commissario … Uzumaki?”

La chiara e squillante voce dell’infermiera Shizune lo distolse dalle sue cupissime elucubrazioni, riportandolo alla dura realtà. “Ehm, volevo dirle … ehm … non sarebbe molto corretto, però …”, la giovane donna scosse il capo scuro, porgendo un pacchetto insanguinato al giovane biondo su cui troneggiava il suo nome scritto in stampatello maiuscolo. “Quando sono venuti i soccorsi, hanno reperito questo pacco poco distante dalla vittima. So che dovrebbe essere consegnato alla polizia, tuttavia … insomma, lei è il massimo rappresentate della polizia qui a Konoha e allora … forse potrà scoprire qualcosa di interessante su di …”e inghiottì penosamente della saliva “… lei.”

Il viso di Naruto si illuminò raggiante di speranza. “Dunque, lei mi crede?”

Shizune si morse a disagio il labbro inferiore. “Sì e anche la dottoressa Tsunade le crede.  Ecco, deve sapere che la signorina Mitarashi Anko, colei che le ha venduto la villa, e la dottoressa erano in gioventù molto amiche. Sennonché, anche la povera Anko cadde vittima della maledizione e Tsunade, che aveva tentato di salvarla da tale triste sorte, venne conseguentemente punita da lei.”

“Dalla Sposa …”

“Sì”, convenne l’infermiera, rabbrividendo impercettibilmente al sentir quel nome tabù pronunciato. “Nel più orribile dei modi.” Silenzio. “Il giorno del suo matrimonio scoppiò un incendio, nel quale perirono il suo sposo – mio zio – e il suo fratellino minore.”

“No!”

“Sì, invece. Nessuno riuscì mai a spiegare le dinamiche del  rogo, dove e come fossero scaturire quelle fiamme. Si pensò trattarsi di un incidente, ma io so che è stata lei! Vede, quel fuoco non aveva nulla di normale! Non era rosso-arancione! Era nero! Nero e inestinguibile, come quello dell’inferno!”

Marcite all’inferno, figli di cagna, marcite all’inferno assieme a me …

Ti aspetto nell’eterno abisso, stupido fratello …

 “Infermiera Shizune …”

“No!”, lo bloccò la giovane donna, cedendogli il pacco e allontanandosi in fretta verso la porta della stanza. “Ho già rivelato troppo! Non parlerò oltre! Non mi costringa!”, guaì d’un colpo terrorizzata, uscendo di corsa e lasciando solo un Naruto al limite di un crollo di nervi.

Ciononostante, il biondo mantenne abbastanza autocontrollo e fermezza per sedersi sul suo letto e strappare la carta, che avvolgeva un bel pacco pasciuto di fogli, fotografie e un quadernetto, come appurò il giovane commissario una volta che ne ebbe svuotato il contenuto.

E così, queste erano le cosucce interessanti, cui la defunta Utatane Koharu aveva fatto riferimento? Maneggiando delicatamente la fragile carta ingiallita, Naruto esaminò uno ad uno i documenti, mettendoli in ordine cronologico o comunque l’ordine in cui Koharu li aveva preparati. Di conseguenza, l’unico scritto non sbiadito né ingiallito dal tempo catturò la sua attenzione, invitandolo a prenderlo e a leggerlo.

Così fece Naruto.

All’attenzione del signor commissario Uzumaki Naruto – incominciava la lettera.

Comprendo che possa suonare assolutamente cliché, tuttavia non scherzo nell’affermare che se lei in questo momento sta leggendo la mia missiva, significa che sono già morta e forse mia nipote Tenten con me.

Il motivo? Ormai, sono sicura che anche lei l’avrà capito. La Sposa sa del nostro incontro ieri sera al Ramen Ichiraku; sa quel che le ho detto. Nulla sfugge ai suoi occhi di fuoco, non quando è a caccia. Oh, non  spalanchi incredulo la mascella! Non conosce la Ballata? Quando a villa Nakano sta per celebrarsi un matrimonio, la Sposa esce dal suo torpore, fiuta la sua preda, la punta, la segue e poi … l’attacca! Sì, lei è proprio a caccia e la preda, signor commissario, altri non è che la signorina Hyuuga, la sua fidanzata!

Perché la sto avvertendo, mi chiederà.

Perché ho paura del Giudizio.

Anch’io ho i miei peccati da scontare, signor commissario. Il primo? L’aver scattato una foto alla Sposa e averne taciuto l’esistenza fino ad adesso. Che male c’è in questo, obietterà.

Ce n’è, signor commissario. C’è tutto il male del mondo.

Lei non ha idea di quante spose siano state colpite dalla maledizione di villa Nakano. La gente parla, ne ricama sopra delle macabre leggende, ma in pochi le prendono poi sul serio. E chi lo fa, tace come me in quanto assolutamente terrorizzato dalla vendicatività di questa Sposa Mancata. La signorina Anko – un’altra vittima della Sposa – non le ha mai parlato dell’incendio, che uccise il fidanzato e il fratellino della sua migliore amica, rea di aver tentato di porre fine alla maledizione?

Come avrà certamente realizzato, la Sposa non conosce il perdono. Glielo hanno negato in vita. Ora, da morta, lei lo nega a noi.

Ecco, io avevo la paura folle di dover affrontare un siffatto destino, di dover perdere coloro che amo, similmente a quei temerari che osarono sfidare la Sposa.

Ma a che pro?

Alla fine, il mio silenzio non ha salvato né me né tantomeno i miei cari.

 Infatti, finché non la intralciavo, lei m’ha concesso di vivere. Oh, non che mi avesse esentato da un piccolo avvertimento! Non è un caso, se mia nipote Tenten sia rimasta orfana di ambedue i genitori! Ora però che ho  suggerito a lei, signor commissario, un modo per sottrarre a quest’anima dannata la sua prossima vittima, ecco che la Sposa  verrà a chiedermi il conto. E lo farà, puntuale come suo solito.

Ma io rischio lo stesso, la prendo come espiazione per tutte le volte che ho taciuto, rendendomi in un certo qual modo sua complice.

In questo pacco ho messo degli articoli di giornale sulle misteriose “amputazioni degli anulari” e sui “roghi nero inchiostro”; in aggiunta, troverà la foto da me scattata nel 1925, più una risalente al 1858. Le altre foto mostrano i volti di tutte le vittime della Sposa.  

Infine, il diario di suo fratello minore: lo legga, spero che così lei potrà trovare  la soluzione per salvarsi da questa perpetua maledizione. Pregherò per lei, ovunque la mia anima sia stata spedita dal Giudice Eterno.

Un ultimo consiglio.

Dopo aver letto questo diario, si diriga a Kiri e chieda informazioni all’Abbazia di Sant’Erasmo e Santa Barbara che dà sul mare. [1] Lì potrà incontrare la Sposa nella sua forma più vulnerabile.

Sento delle gocce d’acqua cadere dal soffitto.

Sono salate.

La Sposa è arrivata.

Che Iddio possa avere pietà del mio corpo e della mia anima, perché Uchiha Itachi non ne avrà per me.

 

 

U.K.

 

 

A Naruto tremavano le mani.

Aveva letto bene? Aveva tra le mani una lettera scritta da una persona sana di mente? O il delirio di una pazza?

Oppure il pazzo era lui, che impallidiva ad ogni parola, trovando in esse la conferma che cercava?

Lo stesso volto dai freschi tratti della giovinezza eppure comparente in foto di due epoche diverse.

 

 

Così, per poter impalmare la ragione del suo vivere, il giovane decise di tentare la sorte:

raccolti gli ultimi averi lasciategli dal padre, rifornite le navi e assunto abili marinai

volle dirigersi là dove si compravano e vendevano spezie più preziose dell’oro.

 

 

 

Hinata si rigirò inquieta nel letto, il sonno disturbato da una musica che ben si ricordava di non aver mai udito riecheggiare in casa dei genitori. Per quanto i signori Hyuuga appartenessero alla categoria frou frou- jou jou, la loro unica figlia non si sovveniva di una loro qualche passione melomane: concerti e opere liriche fungevano da scusa per recarsi a teatro e lì sfoggiare l’argenteria di casa. Dunque, perché quel …

Bisogna aver coraggio, / oh cari amici miei / e i suoi misfatti rei / scoprir potremo allor.”

Spalancando stupita gli occhi, la giovane si puntellò sui gomiti, studiando interdetta la stanza in cui si era risvegliata e che non assomigliava per niente alla sua cameretta: essa, dal soffitto alto e dalle pareti immacolate tappezzate di quadri, possedeva il tipico aspetto di chi l’aveva abbandonata in fretta e furia, senza premurarsi di riordinarla. Eppure, aveva conservato la presenza del proprio possessore, quasi lo stesse aspettando in quella sospesa immobilità da fotografia. Come ad esempio, i libri aperti o chiusi e lasciati nei posti più svariati, dal comodino al pavimento, o le ante dell’armadio spalancate coi vestiti penzolanti a metà sulle stampelle e alcuni caduti per terra in un confuso miscuglio di stoffe e colori. O il letto a bateau sfatto e non di certo perché vi aveva dormito Hinata.

L’amica dice bene / coraggio aver conviene / discaccia, oh vita mia, / l’affanno e il timor.”

In seguito ad una solenne pulizia e alla luce del sole, quella camera sarebbe apparsa davvero molto graziosa: le finestre ampie promettevano una vista maestosa – su che cosa, poi?, si chiese la ragazza – e l’ampiezza raggiungeva livelli tali, che avrebbe potuto contenere ben tre stanze della casa natale di Hinata. Un ottimo posto per leggere – come dimostrava la ben fornita libreria alle pareti – per scrivere – il vezzoso scrittoio in stile settecentesco -  per suonare – ad esempio, il pianoforte a mezza coda -  e rilassarsi e giocare e …

Il passo è periglioso, / può nascere qualche imbroglio. / Temo pel caro sposo / e per voi temo ancor.”

“Ti piace, Hinata, questa camera?”

Al sentir pronunciato il suo nome, l’interpellata in questione sobbalzò sul posto, riscuotendosi definitivamente dal torpore in cui si indugia quando ci si è appena svegliati. Disorientata da quel luogo a lei alieno e timorosa per la propria incolumità, la mora si rannicchiò contro il muro, portando al petto le ginocchia a mo’ di difesa.

“Ah … Shu … sei tu … che spavento, non …”, balbettò la ragazza, guardandosi nervosamente attorno. “E’ … è per caso la tua stanza?”, chiese, azzardando a rilassare le gambe stendendole sul materasso.

Shu le sorrise amabilmente. “Questa era la mia prigione”, le spiegò, tornando ad armeggiare con le leve di un teatrino di carta sul cui palcoscenico comparivano i personaggi del  Don Giovanni di Mozart, che il giovane muoveva a ritmo della musica dell’omonima opera, riprodotta da un vecchio grammofono. “Fino ai tredici anni, non ho conosciuto altri luoghi all’infuori di questa stanza. Sebbene i miei genitori si prodigassero a riempirmi di balocchi, a tenere la mia mente occupata tramite le lezioni private impartitemi dal precettore, o attraverso i libri o suonando, alla fine sono giunto ad odiare con tutto me stesso questo posto”, le confessò un poco impacciato, alzando di tanto in tanto gli occhi inumiditi dalle lacrime. Stava piangendo? E perché mai? “E’ un vero peccato, che questo portentoso grammofono sia stato inventato molti anni dopo la mia nascita [2]: avrei trascorso le ore in maggior letizia ascoltando le mie opere preferite. Non mi ricordo se te l’ho già detto, ma adoro l’opera lirica. Piace anche a te, Hinata?”

V’era qualcosa di strano in Shu, notò apprensiva la ragazza, corrugando incerta la fronte. Un’aria di infinita tristezza lo avvolgeva, sentimento sottolineato da quel suo starsene seduto all’indiana sul morbido tappeto color pastello e dal giocare con piglio infantile con quel teatrino. In aggiunta, il giovane non indossava più gli abiti coi quali aveva l’abitudine di presentarsi a lei, ergo una maglietta scura, un paio pantaloni grigi alla pescatora e i sandali. Al contrario, in quel momento Shu portava una lunga tunica bianca, simile a quella dei comunicandi il giorno della Prima Comunione, ed era scalzo. Tenuto fermo da una stretta corona di gigli e crisantemi [3] gli scendeva morbido e pesante un velo bianco, che lo avvolgeva in un soffocante abbraccio di stoffa. Di primo acchito sarebbe potuto passare per una sposa, sennonché le linee spartane dell’abito e la consistenza fitta del velo, così diversi dalla tradizionale civetteria degli altri, gli conferivano un’aura più solenne, mesta. Mortuaria, quasi.

Perché era vestito in quel modo?

“Shu”, ruppe Hinata il silenzio creatosi, scivolando giù dal letto a bateau e avvicinandosi al giovane. “Questo posto … questa camera … siamo a villa Nakano, vero? Mi hai riportata qui?” Nonostante la giovane non avesse mai visto quell’ambiente, lo stile e il gusto nell’arredamento corrispondevano esattamente a quello della casa del fidanzato.

“Ci sei ritornata da sola, dolcezza mia”, replicò ineffabile Shu, seguitando il suo divertimento coi personaggi di carta. “E’ stata la tua curiosità ad averti condotto in questa stanza.”

“No, non credo proprio”, lo contestò la mora, accovacciandosi dinanzi al teatrino. Come mai stava conversando così serenamente con lui? In altre circostanze, risvegliarsi in un altro posto, lontano dalla famiglia e dal fidanzato, avrebbe dovuto mandare in tilt chiunque dalla paura. Invece, Hinata non ne aveva, si sentiva stranamente rassicurata dalla presenza di Shu accanto a lei, per quanto il suo lato razionale le stesse urlando che era proprio da lui, che doveva guardarsi le spalle.

“Mi dispiace, ma devo contraddirti, Hinata”, ribatté testardo il moro. “Tempo addietro, avevi espresso il desiderio di conoscere maggiori dettagli riguardanti il tragico incidente avvenuto a villa Nakano. Dal canto mio, avevo promesso che ti avrei portato là dove avvenne questo spiacevole evento.  Come puoi ben vedere, ho mantenuto la parola data e sarebbe una grande scortesia da parte tua tirarti indietro all’ultimo; mi sono tanto prodigato per organizzare al meglio questo nostro ultimo incontro, così da non essere disturbati da chicchessia. Senza contare, che abbiamo tutta la notte a nostra disposizione: in attesa che giunga l’alba, ti  racconterò una storia. La storia che condusse la famiglia Uchiha e villa Nakano alla rovina. Non è di gran lunga meglio questo passatempo che un’insipida nottata brava tra amiche, o mi sbaglio?”

Hinata si inumidì a disagio le labbra, tamburellando le dita sulle ginocchia. Sì, era vero che lei gli aveva chiesto di  narrargli il misterioso aneddoto di villa Nakano: tuttavia, il suo sesto senso gli suggeriva di sviare il discorso, di non accettare, giacché proprio era quello la causa delle sventure dei precedenti abitanti della villa. “Non saprei, Shu”, temporeggiò, fissandosi colpevole le unghie. “Magari, non trovandomi in letto, in questo momento i miei genitori e mio cugino si staranno preoccupando per me e anche il mio fidanzato potrebbe essere in pensiero. Eppoi, domani mi sposo, devo riposare … forse un’altra volta …”

Un sorriso amaro graziò le labbra fini di Shu, mentre l’atmosfera, da tiepida e malinconica, si mutò in una sinistramente gelida, tagliente come la lama di un coltello. “Proprio come pensavo. Non sei diversa dagli altri: sempre pronta a chiedere, ma quando sono io che ti domando un favore, ecco che mi rifili una scusa dietro l’altra!”, scattò in piedi il moro, sovrastando severo e impietoso con la sua altezza la ragazza, cui sembrò di ritrovarsi dinanzi al Christus Iudex della cappella privata di villa Nakano.

Svanite la dolcezza, la pietosa tristezza, ingoiate dalle fredde fiamme di una composta e inestinguibile collera.

E Hinata, più che esserne atterrita, si sentì in essa avviluppata, consumata, fin quasi a compartirla.

Doveva scappar via da quel luogo, prima di esserne divorata!

“Io ho mantenuto la mia promessa. Ho esaudito la tua richiesta. Ora, rispondimi, vorrai essere così riconoscente da premiare la mia disponibilità?”

Digli di no!, gridava la mente della giovane. Digli di no!

Troppo dolce comincia la scena / In amaro potrìa terminar.”

“Ebbene, Hinata?”

L’interpellata aprì la bocca per rispondere, chiudendola invece subito dopo.  Si stava comportando da ingrata e vigliacca e ciononostante, non riusciva a fidarsi abbastanza da elargire all’altro un cenno affermativo.

“Deciditi, Hinata. Sto aspettando …”

Se soltanto avesse avuto un argomento con cui ribattere! O poter rifiutare l’offerta! Perché, si diede lei della sciocca, aveva insistito a voler sapere dei fatti degli Uchiha?

L’inatteso tintinnio di posate e lo strimpellare di strumenti, che si stavano riscaldando prima di suonare, attirò l’attenzione di Hinata, la quale colse la palla al balzo e, rimettendosi in piedi, si diresse verso la porta della stanza. “Shu, non senti anche tu questi rumori? Da dove provengono? Spero ardentemente che non siano dei ladri …”, addusse ella come scusa per poter uscire, sorpresa che il giovane glielo avesse permesso senza opporre alcun  tipo di resistenza, come invece lei si aspettava.

Non che ne avesse poi avuto così bisogno: fu Hinata stessa a fermarsi, aggrappandosi ora serialmente turbata al poggiamano delle scale. I  lunghi specchi appesi alle pareti dell’ampio salone riflettevano la luce di lunghe  candele dalle fiamme azzurrine, verdi o viola, similmente agli innumerevoli candelabri lì accesi. La loro luce fioca e fredda, quasi psichedelica nella sua fosforescenza, si riverberava nell’ambiente, enfatizzando i colori fantasmagorici del tourbillon accecante degli abiti degli astanti – sì, ospiti! -  dagli accostamenti più strani; dal grande candelabro di vetro soffiato pendevano ghirlande e scendevano coriandoli e fili di vari colori e lucentezza, accentuando quell’aria di decadenza, che permeava quel salotto che ad Hinata era sempre sembrato così smorto e asfittico.

E proprio in quel posto si stava celebrando una festa, magari in maschera a giudicare dai vestiti assolutamente fuori moda, appartenenti ad epoche diverse: tra di essi, Hinata riconobbe le gonne vaporose dell’Ottocento, i frac della Fin du Siècle, le linee vezzose della Belle Époque e quelle più dritte e geometriche del Primo Dopoguerra. Con suo sommo orrore, la giovane scovò anche abiti più recenti, molto più recenti, come quelli indossati da Mitokado Tenten e Utatane Koharu, che Hinata credeva vive fino a ieri!

Come … com’era possibile?

“Hai già legato con gli ospiti?” , le giunse inattesa la voce di Shu alle spalle, facendola sobbalzare violentemente e cozzare contro il suo petto. Quando l’aveva raggiunta?

E … e … quel silenzio nel torace …

“Shu, chi … chi sono costoro?”, chiese Hinata in un filo di voce, tentando di scivolare via dal giovane, il quale, sfortunatamente per lei, le aveva cinto il braccio alla vita, serrandola inclemente a sé. “Che cosa vogliono da me?”

Che cosa vuoi tu da me?

Di nuovo, il moro le mostrò l’innaturale candore dei suoi denti. “Suvvia, Hinata! Via quell’aria sgomenta! E che domande mi poni, poi! Chi sono? Gli ospiti per il tuo matrimonio, sciocchina! Chi vuoi che siano?”, ridacchiò incoraggiante Shu, sottoponendo la fronte della ragazza ad un leggero buffetto.

Neanche fosse stato quello il previamente concordato segnale d’inizio, gli astanti si girarono e, levati in alto i calici, esclamarono in coro: “Viva la sposa! Viva la sposa! Un brindisi per Hinata!”

“Mi stanno chiamando …”, gemette ora seriamente impaurita la giovane, divincolandosi in violenti strattoni. Invano: il braccio di Shu poteva competere quanto a forza ad un cerchio di ferro.

“Ovvio”, convenne serafico l’altro, apprestandosi a scendere le scale. “Stanno morendo dalla voglia di conoscerti, Hinata. Ho tanto parlato a loro di te e adesso sono eccitati alla mera idea di poter finalmente conversare con te!”, disse, trascinando seco una recalcitrante mora, che cercava di rallentare la discesa al pianterreno aggrappandosi a qualsiasi cosa le capitasse sottomano.

“Anche perché, la mia storia non avrebbe senso, se tu non incontrassi gli attori principali di questo doloroso dramma …”, proseguì affabile, sciogliendosi in un sorriso ferino, che provocò un mezzo svenimento alla ragazza.

“E sono loro gli …?”

“… attori? Sì, sì, esattamente!”, annuì Shu entusiasta e compiaciuto della dubbia partecipazione della giovane, che si strinse inconsciamente a lui, quando giunsero infine al centro dell’ampio salone. “Le marionette di questo patetico melodramma, i miei ospiti eterni, il mio infernale chaperon … tutti a tua disposizione, Hinata carissima, per questa notte fino a domani, prima della cerimonia”, li presentò egli tramite un ampio e teatrale gesto del braccio.

Hinata temette di aver smesso da un pezzo di respirare.

 

 

La notte prima della partenza, molte lacrime vennero versate e molti baci scambiati.

Ma ciò non bastava all’innamorato.

 

“La mia famiglia, dolce amica mia …”, indicò Shu un gruppetto di persone vestite alla guisa ottocentesca e dai capelli e gli occhi neri come quelli del suo accompagnatore. “La quale mi ama a tal punto, da volermi seguire ovunque e da soddisfare ogni mio singolo capriccio …”, le confessò, sorridendole complice.

I parenti di Shu assentirono col capo, brindando in apparenza gioiosi alla salute di Hinata: in realtà, ella poté scorgere nei loro volti una smorfia di sofferenza atroce, teoria supportata dalle calde lacrime di sangue che colavano sul loro viso pallidissimo.

 


 

 “Giurami”, diss’egli stringendo forte al petto l’altra metà della sua anima. “Giurami sulla tua vita, sugli occhi tuoi belli, su Iddio e la Madonna, che a me fedele per sempre rimarrai.”


 

 

“Et bien, mia cara, ora che ti ho presentato tutti i miei ospiti, che ne dici di sederci qui, su questo morbido canapè, cosicché io ti possa raccontare l’amaro caso di villa Nakano? Uhm, che ne dici? Magari sorbendoci nel frattempo dell’ottimo Marzemino!”, gli propose Shu, o meglio, la costrinse a sedersi, cedendole un bicchierino di cristallo portogli da uno zelante cameriere.

Con mani tremanti, neanche avesse buscato le febbri tropicali, Hinata accettò, per poi farlo cadere in seguito all’improvviso ruggito di Shu, che richiamò una sorta di vento di tramonta, il quale spense in un battito di ciglia tutte le candele, facendo conseguentemente piombare il salone nel buio assoluto.


 

 “Questo è facile: lo promisi già  il dì in cui ti conobbi.”

 

 

“Fratello!”, ringhiò egli in un cupo latrato. “Convinci quella meretrice sifilitica  della tua promessa a cessare una buona volta di piangere! Disturba l’atmosfera! Non voglio scenate isteriche alla festa in onore di Hinata! Provvedi a farla tacere o troverò io il rimedio e credimi, allora sì che la tua sgualdrina avrà di che lamentarsi!”, inveì così pesantemente, che Hinata si reputò fortunata che mancasse la luce: quella poc’anzi udita non era una voce umana, era il gorgoglio del mare in tempesta, il latrare di un mostro!

Ma ecco, ritornata la luce tanto velocemente quanto era sparita, che il tono di Shu aveva riassunto le precedenti sfumature delicate e melodiche di prima.

“Ah, le cognate!”, piegò egli le labbra in un sorrisetto birbante. “A volte sembrano essere state concepite solamente per farti dannare l’anima!” e rise alla battuta, cui prontamente seguì l’eco degli altri invitati, i quali poi ripresero serafici gli svaghi e il cicaleggio interrotti dal furioso sfogo del giovane.

“Dunque, dove eravamo rimasti?”, fece Shu distendere la mora in una posizione più comoda, in modo che la tua testa riposasse sul suo petto. “Allora, Hinata, posso raccontarti una storia?”

Quel silenzio nel torace …

… l’assenza del battito cardiaco …

… il gelo …

… il corpo di un morto.

 


 

 “E che al mio ritorno, vivi o morti, ci sposeremo.”

 


 

Respirando a fondo per infondersi coraggio, Naruto aprì il piccolo diario di Uchiha Sasuke, sfogliando delicatamente le fragili e ingiallite pagine riempite dalla fitta e minuziosa calligrafia in voga nel secolo precedente.

 


16 febbraio 1919

 

 

Il Veronal è pronto. [4]

Dies irae, dies illa. Solvet saeclum in favilla. Quando verrà il giorno del Signore, la Sua Croce risplenderà nel cielo e il mondo cadrà in rovina. 

Judex ergo cum sedebit quidquid latet apparebit, nil inultum remanebit.  Il Giudice prenderà il suo seggio e ogni sotterfugio verrà svelato; niente rimarrà impunito.

Quid sum miser tunc dicturus? Quem patronum rogaturus, cum vix iustus sit securus? Cosa dirò, allora, al Signore? In chi troverò protezione? Quando l’innocente non deve aver paura?

Voca me cum benedictis! [5]

No, non posso implorare di essere chiamato tra i benedetti, non col Veronal preparato apposta per riunirmi anzitempo con la mia famiglia, con la mia fidanzata. Sto per compiere lo stesso suo peccato, lo stesso peccato che lui ci ha costretto, uno dietro l’altro, a macchiarci, così da adempiere fino alla fine al terribile castigo inflittoci quasi cinquantotto anni fa.

Non vendetta, no.

Castigo. Punizione.

Divideremo con lui le sue lacrime, sopporteremo l’atroce dolore dei pugni al petto, i rimorsi, la solitudine, l’angoscia eterna, la gelida lontananza dall’avvolgente e calda misericordia divina.

Addio, dolci notti innamorate!

Addio, giorni pieni di letizia!

A me la sventura!

A me l’inferno!

Più volte ho tentato di raggiungerlo, affatto spaventato dalle poco allettanti promesse di quelle inestinguibili fiamme nero pece: lui me lo ha impedito. Per pietà dell’anima mia? No, perché fui io la causa principale delle sue sofferenze e dunque io meritavo di essere castigato più a lungo rispetto agli altri.

Mi ha sottratto tutto.

Tutto.

Non ho più nulla che mi leghi a questo mondo.

Né padre, né madre, né parenti, né fidanzata.

Non ho vissuto, non ho concluso niente nella mia vita.

Non ho creato una famiglia mia. Non ho realizzato alcun progetto, che mi distinguesse dalla massa anonima.

Nessuno si ricorderà del mio nome.

Sono meno di niente, una scultura lasciata a metà.

Può essere l’inferno peggiore di questa  non-vita? Ne dubito altamente.

Dunque, vada per il Veronal.

Ora lui me lo permette. È qui seduto davanti a me, col suo eterno volto di giovane uomo, con quell’abito bianco pregno di sangue e acqua salsa, e mi fissa, non mi perde per un istante di vista, mi concede di scrivere questo diario, l’ultima traccia della mia esistenza sprecata o, come sostiene lui, finalizzata all’espiazione dei miei peccati.

Che poi a nulla è servita, giacché sto per compiere quello più grande, quello più difficilmente condonabile.

Stasera prenderò una dose eccessiva di Veronal e morirò.

Non prima, però, di aver steso questa mia confessione (sempre sotto la sua supervisione), cosicché chiunque dovesse trovare un giorno questo mio ultimo scritto, abbia in seguito la bontà di pregare per le nostre anime, per la sua anima e di porre fine alla maledizione che la nostra intransigenza ha attirato sulla nostra orgogliosa cervice.

Io, Uchiha Sasuke, confesso dinanzi a Dio e agli uomini di aver dato il mio contributo alla nascita di colei che la gente di Kiri, e pian piano anche quella di Konoha, chiama la Sposa Mancata,  in vita conosciuta sotto il nome di Uchiha Itachi.

Mio fratello.

Seduto davanti a me, mi sorride, incoraggiandomi a proseguire.

Devo sul serio continuare a scrivere, fratello?

Perché mi sottrai il Veronal? Restituiscimelo!

Perché …?

 


“Lo giuro”, rispose il suo amore, due dita alzate e la mano al cuore.

 

 

 

 

 

 

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To be continued …

 

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[1] = Sant’Erasmo Martire è il santo invocato dai marinai nelle tempeste, mentre Santa Barbara Vergine e Martire è la santa protettrice della Marina Italiana.

[2] Il grammofono incominciò a venir usato nel 1870.

[3] Rispettivamente i fiori dei morti, i crisantemi per l’Europa “continentale”, mentre i gigli per l’Inghilterra e i paesi anglofoni.

[4] Marca di sonnifero, letale se assunto in dosi eccessive.

[5] Requiem

  
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