Jetzt geht’s weiter!
Malgrado
la peste germanica mi abbia colpita e affondata e ora stia imitando alla
perfezione Violetta Valéry, tra un giro di medicine e l’altro ho scritto il
capitolo. Sorry per coloro che attendevano altri aggiornamenti – questa storia
non sembra molto gradita, pazienza – ma nelle mie condizioni questa era l’unica
che mi sentivo di scrivere. Le altre sono troppe articolate per il mio povero
cuoricino ammalato T^T. Ergo, pazientare per i prossimi! ^^ Inoltre, appunto
perché sono ammalata, non si accettano flames se questo capitolo è venuto …
bizzarro?! I deliri dei tossicolosi sono moooolto pericolosi (rima inclusa)!
In ogni
modo, gioite! Con questo capitolo siamo a metà storia! Dal prossimo ci avviamo
già alla conclusione! Yup, le storie dell’orrore non durano mai troppo!
Un sentito
ringraziamento ai miei lettori, a coloro che hanno messo questa storia tra le
preferite, tra le seguite e tra le ricordate! Uno speciale ringraziamento ai
miei due recensori preferiti, Jooles e Sagitta72, miei sostegni e stimolo a
continuare la storia!
Bien,
altro da aggiungere non ho, tranne l’augurarvi una buona lettura!
H.
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Agosto 2012, segue.
Tutto
appariva così strano alla luce del sole: sparita l’ambiguità delle tenebre, una
volta che il sole aveva preso il posto della luna sulla volta celeste, ecco che
le esperienze vissute la notte scorsa sembrano null’altro che il prodotto di un
incubo generato dalla febbre. Terrifici ghirigori di una mente accaldata e
spaventata.
Schiudendo
lentamente le palpebre, Naruto si guardò attorno, disorientato dal ritrovarsi
disteso nel suo letto, nella sua stanza appena appena illuminata dal sole
filtrante dalle veneziane e rinfrescata dal venticello, che ingrossava le
tende. Accanto a lui, rannicchiata in posizione fetale, Hinata dormiva.
A quella
vista, il giovane commissario balzò d’istinto giù dal letto, i ricordi della
notte trascorsa subito riaffiorati con orrida nitidezza nella sua mente.
Puliti, precisi. Neppure il privilegio del dubbio.
“N-Naruto
…?”, sgranò la ragazza i suoi occhioni, svegliata dal tonfo di uno che fuggiva
precipitosamente dal proprio letto. Puntellatasi sui gomiti, la mora lo fissò a
lungo, interdetta dallo spettacolo del suo fidanzato appiccicato al muro come
una zanzara dall’altra parte della camera. “Come … come ti senti?”, gli domandò
poi assai preoccupata.
“Come mi
sento?”, ripeté stupito il biondo, chiedendosi se il mondo avesse preso a
girare all’incontrario.
“Ieri
notte mi hai parecchio spaventata”, proseguì Hinata, ignorando la replica del
fidanzato e avanzando verso di lui. “Uscire con quel temporale … lasciarmi qui
da sola … e poi … quando ti ho ritrovato … Dio mio … giacevi per terra, ti
stavi coprendo gli occhi con le mani e … ti contorcervi, urlavi … Non ti ho mai
visto così, Naruto, io … io ho avuto paura che … oh, Dio mio!”, guaì la
ragazza, nascondendo il viso sul petto dell’altro. “Che cosa ci sta succedendo?
Prima litighiamo, poi … poi vieni colto da queste crisi … e domani ci sposiamo!
Naruto!”, alzò ella di scatto la testa, guardandolo dritto negli occhi celesti.
“Ho la netta sensazione, che qualcuno voglia
impedirci di celebrare le nostre nozze! È assurdo, eppure ogni angolo di questa
maledetta villa parve volermi urlare: Non
ti sposerai mai! Mai! Non sarai mai felice con lui! Mai! Oh, Naruto, che
stia impazzendo?”
Sì,
decisamente era la sua Hinata la giovane piangente e aggrappata a lui. Nei suoi
occhi chiari mancava la malizia intravista ieri notte dal giovane commissario,
mancava la demoniaca tristezza, mancava l’odio
profondo … Non v’era inganno in essi. Era lei. L’incubo non sussisteva più.
Naruto
l’abbracciò fortemente, stringendola a sé.
“Va
tutto bene, tesoro”, mormorò egli, cercando di infondere ad entrambi coraggio. Per
la pace della ragazza, decise di non raccontarle niente sulla sua scampagnata
nel piccolo camposanto della villa, né del tentato omicidio a suo danno. “Sarà
stata la stanchezza dettata dai preparativi e da quest’afa atroce. Non ti
preoccupare, non ti succederà nulla”, la consolò, sollevandole piano il viso ed
elargendole un dolce sorriso incoraggiatore, dopo averla baciata. “Provvederò a
far tacere quanto prima queste fastidiose voci, te lo prometto!”
Ancora
un giorno.
Dopodiché,
sarebbe finito tutto.
Forse.
… Se dovesse avere ancora dei
dubbi, non esiti a porgermi una visita; possiedo altre cosucce interessanti su
quest’anima dannata …
Prima
ancora di rendersi conto delle sue azioni, Naruto si trovava davanti al
cancello d’ingresso della villetta dove viveva Utatane Koharu, una casetta molto
coccola circondata da un giardinetto curatissimo, senza scivolare nei
kitschissimi e orripilanti nanetti o strane decorazioni animali e/o vegetali. Un
posto vezzoso e al contempo elegante, che rispecchiava alla perfezione la
personalità della padrona. Eppure, per quanto graziosa essa potesse essere - non
riuscì il biondo a trattenersi dal paragonare mentalmente - la casa della signora
Utatane pareva una catapecchia a confronto di villa Nakano.
In ogni
modo, dopo aver suonato per ben tre volte il citofono senza aver ottenuto
alcuna risposta, il giovane commissario ponderò a fondo l’opzione di lasciar
perdere quella balzana visita e di ritornare da Hinata, che aveva nel frattempo
lasciato a casa dei genitori con la scusa di concordare gli ultimi preparativi
per l’indomani e più tardi di festeggiare con le sue amiche l’addio al
nubilato. Ora che Naruto ci ripensava, con la scusa di aver rimuginato per
tutto il giorno la proposta dell’anziana signora e di essersi deciso ad
onorarla solamente nel bel mezzo della visita ai futuri suoceri, stava facendo
tardi al suo addio al celibato. Tzé,
come se ne avesse avuto voglia! Magari la settimana scorsa si sarebbe fiondato
a quella festa senza pensarci due volte; al contrario, adesso non aveva alcuna
intenzione di festeggiare, non con ancora in mente il viso di Hinata rigato di
lacrime e decisamente non con l’immagine di quegli occhiacci malevoli marchiata
a fuoco nella sua memoria.
Aveva
altre priorità e non poteva per ora
permettersi il lusso di lasciarsi coinvolgere in lazzi osé.
Dannazione,
perché quella vecchia bacucca non gli apriva il cancello? Lo invitava per poi
farlo ammuffire alla soglia di casa sua? Che poca creanza!
Sbuffando,
Naruto optò per una ritirata strategica – sarebbe ritornato più tardi –
sennonché lo stridulo nasale del comando a distanza, lo schiocco della
serratura e il cigolio del cancello che si apriva in una minuscola fessura lo
bloccò, persuadendolo a fare dietrofront. Che la signora Utatane non l’avesse
udito? Accidenti, se non era sorda!
Rincuorato
dalla prospettiva di poter infine conversare con la donna e così dissipare una
volta per tutte quegli atroci dubbi, che stavano corrodendo sia Hinata che lui,
il giovane accelerò il passo, volando quasi sul piccolo selciato di ghiaia e
presentandosi impaziente davanti alla porta di casa.
“Buonasera,
signora Utatane, sono il commissario Uzumaki Naruto. Ieri mi aveva detto che
…”, s’interruppe all’improvviso il biondo, essendogli le parole letteralmente
morte in gola non appena la porta si aprì, rivelando non l’anziano viso pieno
di macchie e rughe della signora, bensì uno assai più giovane e piacente.
E
terribilmente nervoso.
“B-buonasera
commissario … come sta? Cercava … cercava forse mia nonna? Ah, mi scusi, non mi
sono presentata: sono Tenten, sua nipote …”, asserì inquieta la giovane donna
dinanzi a lui, i cui occhi vagavano ovunque tranne che sul viso di Naruto che,
ammorbidendo il tono, tentò un approccio più rassicurante (attendere troppo non
rende mai le persone affabili):
“Sì,
signorina Tenten, ieri sera sua nonna mi aveva invitato a casa sua per discutere
su delle questioni assai pressanti. Chiedo venia per l’ora tarda, ma oggi mi è
stato pressoché impossibile trovare un solo attimo di tranquillità. State forse
cenando? Giuro che non è mia intenzione disturbare sua nonna più del dovuto,
bastano solo cinque minuti e …”
“Signor
commissario”, pose fine la ragazza ai vari mea culpa del biondo, zittendolo
bruscamente. “Temo che mia nonna non si trovi nelle condizioni di poter parlare
con lei”, disse con un filo di voce, tirando su col naso.
Un
orrido sospetto s’insinuò nella mente di Naruto e quest’ultimo sperò di essersi
sbagliato grandemente.
“Comprendo.
Forse non si sente molto bene”, esordì lentamente, studiando accorto le
reazioni della sua interlocutrice. “Vorrà dire che passerò un’altra volta. I
miei auguri per una pronta guarigione.”
Tenten
scosse il capo bruno. “Non ci sarà una prossima volta, signor commissario.
Vede”, e dovette fermarsi per un attimo, respirando a fondo “mia nonna …”,
altro sospiro spezzato “… è morta.”
Il mondo
crollò addosso sulle spalle del biondo, mentre ogni suono parve giungergli
ovattato, distante. Forse, il suo cuore manco più gli batteva in petto. Rimase
dunque così, gelato dalla notizia, a fissare stranito la bocca della giovane
che si muoveva freneticamente, raccontandogli tra veri singhiozzi trattenuti le
dinamiche generali di quell’inaspettato decesso.
“Stamattina,
verso le nove, sono venuta a trovarla come mio solito. Siccome non rispondeva e
lei sorda non era, ho usato le mie chiavi, un doppione”, gli narrò Tenten,
frugando nelle tasche alla ricerca di un fazzoletto. In automatico, Naruto le
offrì uno dei suoi. “Grazie. Dunque, entro in casa e la chiamo, ma non risponde
nessuno. Allora mi reco in camera sua e … ed è lì che … oh Dio … che l’ho
trovata, così rigida e fredda … era morta”, si portò ella una mano alla bocca. “Io
l’avevo avvertita, signor commissario … l’avevo avvertita che stava giocando
col fuoco e …”
Scuotendosi
dal torpore indottogli dalla sorpresa, Naruto strinse gli occhi, sospettoso e
incuriosito dalle ultime parole pronunciate dall’agitata ragazza. “Che intende
con l’avevo avvertita che stava giocando
col fuoco? Crede che sua nonna non sia morta per cause naturali?”
Tenten
impallidì fino al verdognolo, gli occhi dilatati dalla paura. “Eh? Io non …
temo che abbia equivocato, signor commissario, lei … la nonna è deceduta a
causa di un infarto cardiaco. Deve essersi affaticata inutilmente, ecco perché
le ho detto quella frase … non c’è nulla di strano, no?”
“Signorina
Tenten”, la incalzò invece Naruto, avanzando di un passo e impedendo col piede
che la giovane gli sbattesse la porta in faccia. “Dal suo atteggiamento e dalle
circostanze del decesso di sua nonna, ho molte difficoltà ad attribuire un
significato diverso a quella frase. Un semplice infarto non dovrebbe provocarle
tutta quest’ansia e timore! Avanti, sia onesta con se stessa e con me! Lei è
terrorizzata! Da cosa? Da chi? Perché lei asserisce che ha giocato col fuoco? Sospetta forse che sua nonna sia stata uccisa?”
“NO!”,
gridò la ragazza fuori di sé dal terrore, confermando così ogni parola del
giovane commissario. “No! Che accidenti sta dicendo? Si sta sbagliando di
grosso! Mia nonna è morta di infarto, comprende? Di. Un. Dannatissimo. Infarto!
Ormai l’hanno portata all’obitorio! È finita! The end! Mi lasci in pace! Vada a
porre le sue indiscrete domande a qualcun altro! In troppi me ne hanno già
poste a sufficienza!”
“Signorina
Tenten, la prego, si calmi!”, digrignò i denti Naruto, dolendogli infatti il
piede per il tentativo della bruna di chiudere la porta per l’ennesima volta.
“Non la sto accusando di niente! Vorrei solamente capire alcuni dettagli, che
mi sfuggono! Vede, sua nonna mi aveva invitato qui per discutere riguardo agli
eventi legati a villa Nakano e …”
“Non
nomini quella villa apportatrice di sventura!”, strillò isterica la giovane. “E
se ne vada via da lì! Da Konoha! Abbandoni questi luoghi per sempre! O sarà per
lei la fine, come lo è stato per mia nonna!”
“Sua
nonna, dunque, sapeva qualcosa di importante? Di pericoloso?”, proseguì invece
testardo il giovane commissario, afferrando Tenten per le spalle e cercando di
immobilizzarla. “E così, vero? Qualcuno l’ha uccisa per farla tacere! E chi è
stato, sentiamo? La Sposa?”
“NO!!!”,
ruggì la giovane, tappando violentemente la bocca a Naruto, gli occhi fuori
dalle orbite. “Zitto! Zitto! Non dica il suo nome! Non la menzioni! Altrimenti
…”
“… cosa?
Altrimenti cosa, signorina Tenten?”, la spronò il biondo a proseguire,
addirittura scuotendola leggermente. Niente. Gli occhi scuri della ragazza
erano divenuti d’un colpo opachi, inespressivi. Il suo stesso corpo aveva
assunto un’innaturale rilassatezza da marionetta senza fili. “Signorina Tenten,
mi risponda! Che dovrebbe succedere, in caso la … lei dovesse essere nominata?”, la esortò Naruto. “Signorina Tenten!
Se sa qualcosa, per l’amor di Dio, me lo dica! Signorina Tenten! È stata lei ad aver assassinato sua nonna, non è
così?”
Inutile.
La
giovane pareva non ascoltarlo più: si limitava a tenere lo sguardo fisso
dinanzi a sé, quasi stesse attendendo con ansia l’arrivo di qualcuno.
“Fate quindi attenzione, care fanciulle, il
giorno delle vostre nozze! …” ,
mormorò infine la bruna, la voce impastata e monocorde di chi stava parlando
nel sonno.
“Cosa?”
Sciogliendosi
dolcemente dalla sua presa, Tenten proseguì in uno stato sonnambolico verso il
cancello della villetta, incurante di camminare scalza sulla ghiaia. “Molti anni sono ormai passati da questo
amaro caso, eppure la Sposa Mancata ancora infesta la villa maledetta! ...”,
seguitò, ignara degli incessanti richiami di Naruto e sottraendosi di continuo
ai suoi tentativi di bloccare la sua bizzarra marcia.
“… Una malinconica figura biancovestita erra
dolente per i suoi corridoi o nel giardino, il capo chino e coperto da un fitto
velo che par un sudario; un lungo coltello string’ella al petto …”
“Signorina
Tenten, mi ascolti! Si fermi per un istante! La supplico!”
“… E’
lei! Girate subito dalla parte opposta, presto! …”
“Signorina
Tenten!”
Solo
allora la giovane si fermò, voltandosi verso Naruto.
I loro sguardi
si incrociarono, uno rassegnato, l’altro interdetto.
“Signorina
…!”
La
nipote della signora Utatane sorrise mestamente.
“… Prima che si accorga di voi!”, finì in
un giocoso sussurro.
Poi, fu
solo lo stridore dei freni pigiati all’ultimo momento.
L’inutile
corsa in avanti.
L’inutile
tentativo di spintonarla via.
Di
salvarle la vita.
“Tenten!!!”
Un
violento tonfo.
Un
sinistro crack! di ossa.
“NO!!!”
Liquido
scarlatto che scivolava languido sul cemento.
Occhi
del medesimo colore che assistevano soddisfatti all’opera compiuta, al corpo
inanimato giacente sulla strada, allo sconcerto del conducente della vettura,
alla disperazione dell’unico testimone.
Parfait.
“Naruto
…?”
Il
diretto interessato abbandonò il confortevole scudo delle sue mani, alzando lo
sguardo in direzione del suo interlocutore. Dal rosso era passato al bianco? E
questo quando? Dio, gli occhi gli dolevano da impazzire!
“Hey,
Uzumaki!”, gli posò Kiba una mano sulla spalla, stringendola a mo’ di risveglio
dalla trance, in cui Naruto era caduto da quando i paramedici lo avevano pigliato
dal luogo dell’incidente e portato all’ospedale. “Ti stavamo tutti aspettando
al bar per la tua festa e poi ci arriva questa chiamata dall’ospedale! Che cosa
ti è successo, furbastro?”
“Niente
che abbia potuto rapircelo da questo mondo”, s’intromise la voce decisa del
medico alle loro spalle, una donna incredibilmente prosperosa e dall’aspetto
ancora giovanile. “Le condizioni del paziente, Shizune?”, s’informò.
L’infermiera che fino a quel momento aveva vegliato in silenzio sul biondo si
alzò dalla sedia, cedendo la cartella clinica alla sua superiore. “Stabili,
dottoressa Tsunade. Ha dormito come un ghiro fino a dieci minuti fa, ovvero fino
all’arrivo del signor Inuzuka.”
“Da
quanto tempo sono qui?”, inquisì Naruto, lanciando un’occhiata ansiosa fuori dalla
finestra: ormai era completamente buio, dovevano essere passate da un pezzo le
otto di sera.
“Tranquillo,
Naruto!”, lo rassicurò Kiba. “Ho già avvertito Neji e lui mi ha assicurato, che
stanotte sia lui che Hinata rimarranno a dormire dai loro vecchi!”
“E la
mia fidanzata? L’hai sentita? Che ha detto? Dio mio, spero che non le sia
partito un embolo …”
“Ehm,
non per interrompere questa romantica conversazione, ma vorrei precisare che il
signor Uzumaki si è ritrovato suo malgrado coinvolto in un drammatico incidente
stradale. Vorrei quindi pregarla, signor Inuzuka, di lasciar riposare il
paziente!”
“Non se
ne parla nemmeno, dottoressa Senju!”, ribatté snervato Naruto, balzando giù dal
letto. “Sto benissimo! Non ho alcuna intenzione di trascorrere la vigilia delle
mie nozze in un ospedale! Oh beh, anche se le infermiere sexy ci sono comunque
…”
Una
randellata in testa riportò il biondo a più miti consigli. “Porco!”, berciò
Tsunade, facendo balzare sia l’infermiera Shizune che Kiba per lo spavento da
cotanta forza esibita. “Invece di blaterare cacche di piccione, ringrazia Iddio
di essere ancora vivo, vegeto e in un unico pezzo! Sennò altro che matrimonio!
Un funerale si celebrava!”
“Sono
sopravvissuto all’incidente”, argomentò piccato Naruto, massaggiandosi lo
scalpo martoriato “perché non ero io la vittima designata! Lei voleva la signorina Tenten! Non me! Ha voluto farmi assistere,
certo, ma non aveva in progetto la mia morte! Non ora, almeno!”
“Assurdità!”,
liquidò Tsunade la faccenda con un deciso svolazzo della mano. “E sentiamo, chi
sarebbe costei? La povera signorina Mitokado
ha attraversato la strada senza prestare la benché minima attenzione! Ovvio,
che è stata investita!”
“Un
corno! La strada era vuota! Quella macchina è comparsa all’improvviso! Senza
contare … senza contare che lei l’ha
spinta a compiere quel gesto! Tenten sembrava quasi ipnotizzata, non era
padrona delle sue azioni!”
“Via,
questa sì che è bella! Devo ammettere, che il suo stato di shock è davvero
notevole, forse il più assurdo cui io abbia mai assistito!”
“Sua
nonna pirata sarà in stato di shock!”, ululò Naruto, paonazzo. “Vedo abbastanza
gente morta per via del mio lavoro, che non è stato di certo un cadavere mezzo
spiaccicato e spalmato sul cemento ad avermi impressionato! No, è stata la
certezza, che Tenten sia stata indotta dalla
Sposa a suicidarsi!”
Un
silenzio tombale gelò la stanza.
“Non
vorrà mica … che anche lei abbia visto … Bah, scempiaggini!”, contestò
flebilmente Tsunade, mentre il rosa delle sue guance fluiva via più rapido di
un torrente. “Non esiste alcuna “sposa”, non esiste alcuna maledizione! Noto
che la signora Utatane l’ha ben irretita, o mi sbaglio, signor Uzumaki? Beh, se
lo lasci dire: quella era una vecchia matta e di sicuro ha influenzato in
maniera nefasta anche la nipote, che poi tanto sana di menocca non lo era neppure
lei, non dopo l’incidente stradale in cui morirono i suoi genitori. Il decesso
improvviso della nonna deve averle elargito il colpo di grazia, non può
sussistere altra spiegazione logica! Ergo, la smetta di sparare baggianate a
gogò o la farò sedare!”, sbraitò d’un tratto inferocita, sputando saliva.
Per una
che non credeva nel mortifero potere della maledizione di villa Nakano, la
dottoressa Senju lo dimostrava davvero male: infatti, sembrava parecchio
agitata a riguardo, impallidendo più del dovuto. Tuttavia, onde risparmiarsi
una dose di tranquillanti non proprio agognati, Naruto si morse l’interno della
sua guancia, scegliendo una soluzione più diplomatica, altresì nota come: annuire per poi agire differentemente appena
l’avversario dà le spalle.
“Quando
potrò uscire di qui?”, chiese quindi il giovane, sperando che la sua voce
suonasse sufficientemente calma e padrona di sé.
“Domani
mattina”, rispose lentamente la dottoressa, insospettita da quel brusco cambio
di atteggiamento, da satanasso ribelle a docile agnellino. Dinanzi allo scambio
di occhiate apprensive tra il suo paziente e Kiba, la donna fugò ogni
perplessità: “No, farà in tempo a presentarsi alla cerimonia. La rilasceremo
verso le otto, contento?”
No,
Naruto era ben lungi dall’essere soddisfatto. E non solo per la stupida
quisquiglia, che nessuno lo credeva, anzi che per poco non gli davano pure
dell’esagitato e isterico (se non proprio del pazzo); piuttosto, si trattava
della consapevolezza che la Sposa lo
aveva preceduto, tappando per sempre la bocca delle uniche due persone che
avrebbero potuto indicargli la strada per esorcizzare quella presenza maligna,
il cui unico scopo della sua dannata esistenza era quello di rendere amara la
vita alla fidanzata e a lui. Oh, oramai Naruto non nutriva più alcun dubbio
sulla veridicità della leggenda, della maledizione che appestava villa Nakano!
Per ben due volte aveva giocato il ruolo di inconsapevole vittima/testimone!
Per davvero qualcosa di malvagio si stava divertendo con le loro vite,
spazzando via chiunque osasse interferire nel suo diletto! Per fortuna, che
Hinata in quel momento si trovava a casa dei suoi genitori, altrimenti …
Se solo
avesse parlato la sera precedente con la signora Utatane! Se soltanto le avesse
creduto prima, così da poter subito affrontare e neutralizzare la Sposa! Ecco, dove l’aveva portato lo
scetticismo!
“Signor
commissario … Uzumaki?”
La
chiara e squillante voce dell’infermiera Shizune lo distolse dalle sue cupissime
elucubrazioni, riportandolo alla dura realtà. “Ehm, volevo dirle … ehm … non
sarebbe molto corretto, però …”, la giovane donna scosse il capo scuro,
porgendo un pacchetto insanguinato al giovane biondo su cui troneggiava il suo
nome scritto in stampatello maiuscolo. “Quando sono venuti i soccorsi, hanno
reperito questo pacco poco distante dalla vittima. So che dovrebbe essere
consegnato alla polizia, tuttavia … insomma, lei è il massimo rappresentate
della polizia qui a Konoha e allora … forse potrà scoprire qualcosa di
interessante su di …”e inghiottì penosamente della saliva “… lei.”
Il viso
di Naruto si illuminò raggiante di speranza. “Dunque, lei mi crede?”
Shizune
si morse a disagio il labbro inferiore. “Sì e anche la dottoressa Tsunade le
crede. Ecco, deve sapere che la
signorina Mitarashi Anko, colei che le ha venduto la villa, e la dottoressa
erano in gioventù molto amiche. Sennonché, anche la povera Anko cadde vittima
della maledizione e Tsunade, che aveva tentato di salvarla da tale triste
sorte, venne conseguentemente punita da lei.”
“Dalla Sposa …”
“Sì”,
convenne l’infermiera, rabbrividendo impercettibilmente al sentir quel nome
tabù pronunciato. “Nel più orribile dei modi.” Silenzio. “Il giorno del suo
matrimonio scoppiò un incendio, nel quale perirono il suo sposo – mio zio – e
il suo fratellino minore.”
“No!”
“Sì,
invece. Nessuno riuscì mai a spiegare le dinamiche del rogo, dove e come fossero scaturire quelle
fiamme. Si pensò trattarsi di un incidente, ma io so che è stata lei! Vede, quel fuoco non aveva nulla di
normale! Non era rosso-arancione! Era nero! Nero e inestinguibile, come quello
dell’inferno!”
Marcite all’inferno, figli di
cagna, marcite all’inferno assieme a me …
Ti aspetto nell’eterno abisso,
stupido fratello …
“Infermiera Shizune …”
“No!”,
lo bloccò la giovane donna, cedendogli il pacco e allontanandosi in fretta
verso la porta della stanza. “Ho già rivelato troppo! Non parlerò oltre! Non mi
costringa!”, guaì d’un colpo terrorizzata, uscendo di corsa e lasciando solo un
Naruto al limite di un crollo di nervi.
Ciononostante,
il biondo mantenne abbastanza autocontrollo e fermezza per sedersi sul suo
letto e strappare la carta, che avvolgeva un bel pacco pasciuto di fogli,
fotografie e un quadernetto, come appurò il giovane commissario una volta che
ne ebbe svuotato il contenuto.
E così,
queste erano le cosucce interessanti,
cui la defunta Utatane Koharu aveva fatto riferimento? Maneggiando
delicatamente la fragile carta ingiallita, Naruto esaminò uno ad uno i
documenti, mettendoli in ordine cronologico o comunque l’ordine in cui Koharu
li aveva preparati. Di conseguenza, l’unico scritto non sbiadito né ingiallito
dal tempo catturò la sua attenzione, invitandolo a prenderlo e a leggerlo.
Così
fece Naruto.
All’attenzione del signor
commissario Uzumaki Naruto –
incominciava la lettera.
Comprendo che possa suonare
assolutamente cliché, tuttavia non scherzo nell’affermare che se lei in questo
momento sta leggendo la mia missiva, significa che sono già morta e forse mia
nipote Tenten con me.
Il motivo? Ormai, sono sicura che
anche lei l’avrà capito. La Sposa sa del nostro incontro ieri sera al
Ramen Ichiraku; sa quel che le ho detto. Nulla sfugge ai suoi occhi di fuoco,
non quando è a caccia. Oh, non spalanchi
incredulo la mascella! Non conosce la Ballata? Quando a villa Nakano sta per
celebrarsi un matrimonio, la Sposa esce dal suo torpore, fiuta la sua preda, la
punta, la segue e poi … l’attacca! Sì, lei è proprio a caccia e la preda,
signor commissario, altri non è che la signorina Hyuuga, la sua fidanzata!
Perché la sto avvertendo, mi
chiederà.
Perché ho paura del Giudizio.
Anch’io ho i miei peccati da
scontare, signor commissario. Il primo? L’aver scattato una foto alla Sposa e
averne taciuto l’esistenza fino ad adesso. Che male c’è in questo, obietterà.
Ce n’è, signor commissario. C’è
tutto il male del mondo.
Lei non ha idea di quante spose
siano state colpite dalla maledizione di villa Nakano. La gente parla, ne
ricama sopra delle macabre leggende, ma in pochi le prendono poi sul serio. E
chi lo fa, tace come me in quanto assolutamente terrorizzato dalla
vendicatività di questa Sposa Mancata. La signorina Anko – un’altra vittima
della Sposa – non le ha mai parlato dell’incendio, che uccise il fidanzato e il
fratellino della sua migliore amica, rea di aver tentato di porre fine alla
maledizione?
Come avrà certamente realizzato,
la Sposa non conosce il perdono. Glielo hanno negato in vita. Ora, da morta,
lei lo nega a noi.
Ecco, io avevo la paura folle di
dover affrontare un siffatto destino, di dover perdere coloro che amo,
similmente a quei temerari che osarono sfidare la Sposa.
Ma a che pro?
Alla fine, il mio silenzio non ha
salvato né me né tantomeno i miei cari.
Infatti, finché non la intralciavo, lei m’ha
concesso di vivere. Oh, non che mi avesse esentato da un piccolo avvertimento!
Non è un caso, se mia nipote Tenten sia rimasta orfana di ambedue i genitori! Ora
però che ho suggerito a lei, signor
commissario, un modo per sottrarre a quest’anima dannata la sua prossima
vittima, ecco che la Sposa verrà a
chiedermi il conto. E lo farà, puntuale come suo solito.
Ma io rischio lo stesso, la
prendo come espiazione per tutte le volte che ho taciuto, rendendomi in un
certo qual modo sua complice.
In questo pacco ho messo degli
articoli di giornale sulle misteriose “amputazioni degli anulari” e sui “roghi
nero inchiostro”; in aggiunta, troverà la foto da me scattata nel 1925, più una
risalente al 1858. Le altre foto mostrano i volti di tutte le vittime della
Sposa.
Infine, il diario di suo fratello
minore: lo legga, spero che così lei potrà trovare la soluzione per salvarsi da questa perpetua
maledizione. Pregherò per lei, ovunque la mia anima sia stata spedita dal
Giudice Eterno.
Un ultimo consiglio.
Dopo aver letto questo diario, si
diriga a Kiri e chieda informazioni all’Abbazia di Sant’Erasmo e Santa Barbara che
dà sul mare. [1] Lì potrà incontrare la Sposa nella sua forma più vulnerabile.
Sento delle gocce d’acqua cadere
dal soffitto.
Sono salate.
La Sposa è arrivata.
Che Iddio possa avere pietà del
mio corpo e della mia anima, perché Uchiha Itachi non ne avrà per me.
U.K.
A Naruto
tremavano le mani.
Aveva
letto bene? Aveva tra le mani una lettera scritta da una persona sana di mente?
O il delirio di una pazza?
Oppure
il pazzo era lui, che impallidiva ad ogni parola, trovando in esse la conferma
che cercava?
Lo
stesso volto dai freschi tratti della giovinezza eppure comparente in foto di due
epoche diverse.
Così,
per poter impalmare la ragione del suo vivere, il giovane decise di tentare la
sorte:
raccolti
gli ultimi averi lasciategli dal padre, rifornite le navi e assunto abili
marinai
volle
dirigersi là dove si compravano e vendevano spezie più preziose dell’oro.
Hinata
si rigirò inquieta nel letto, il sonno disturbato da una musica che ben si
ricordava di non aver mai udito riecheggiare in casa dei genitori. Per quanto i
signori Hyuuga appartenessero alla categoria frou frou- jou jou, la loro unica
figlia non si sovveniva di una loro qualche passione melomane: concerti e opere
liriche fungevano da scusa per recarsi a teatro e lì sfoggiare l’argenteria di
casa. Dunque, perché quel …
“Bisogna aver coraggio, / oh cari amici miei
/ e i suoi misfatti rei / scoprir potremo allor.”
Spalancando
stupita gli occhi, la giovane si puntellò sui gomiti, studiando interdetta la
stanza in cui si era risvegliata e che non assomigliava per niente alla sua
cameretta: essa, dal soffitto alto e dalle pareti immacolate tappezzate di
quadri, possedeva il tipico aspetto di chi l’aveva abbandonata in fretta e
furia, senza premurarsi di riordinarla. Eppure, aveva conservato la presenza
del proprio possessore, quasi lo stesse aspettando in quella sospesa immobilità
da fotografia. Come ad esempio, i libri aperti o chiusi e lasciati nei posti
più svariati, dal comodino al pavimento, o le ante dell’armadio spalancate coi
vestiti penzolanti a metà sulle stampelle e alcuni caduti per terra in un
confuso miscuglio di stoffe e colori. O il letto a bateau sfatto e non di certo
perché vi aveva dormito Hinata.
“L’amica dice bene / coraggio aver conviene /
discaccia, oh vita mia, / l’affanno e il timor.”
In
seguito ad una solenne pulizia e alla luce del sole, quella camera sarebbe
apparsa davvero molto graziosa: le finestre ampie promettevano una vista
maestosa – su che cosa, poi?, si chiese la ragazza – e l’ampiezza raggiungeva
livelli tali, che avrebbe potuto contenere ben tre stanze della casa natale di
Hinata. Un ottimo posto per leggere – come dimostrava la ben fornita libreria
alle pareti – per scrivere – il vezzoso scrittoio in stile settecentesco - per suonare – ad esempio, il pianoforte a
mezza coda - e rilassarsi e giocare e …
“Il passo è periglioso, / può nascere qualche
imbroglio. / Temo pel caro sposo / e per voi temo ancor.”
“Ti
piace, Hinata, questa camera?”
Al
sentir pronunciato il suo nome, l’interpellata in questione sobbalzò sul posto,
riscuotendosi definitivamente dal torpore in cui si indugia quando ci si è
appena svegliati. Disorientata da quel luogo a lei alieno e timorosa per la
propria incolumità, la mora si rannicchiò contro il muro, portando al petto le
ginocchia a mo’ di difesa.
“Ah …
Shu … sei tu … che spavento, non …”, balbettò la ragazza, guardandosi
nervosamente attorno. “E’ … è per caso la tua stanza?”, chiese, azzardando a
rilassare le gambe stendendole sul materasso.
Shu le
sorrise amabilmente. “Questa era la mia prigione”, le spiegò, tornando ad
armeggiare con le leve di un teatrino di carta sul cui palcoscenico comparivano
i personaggi del Don Giovanni di Mozart, che il giovane muoveva a ritmo della musica
dell’omonima opera, riprodotta da un vecchio grammofono. “Fino ai tredici anni,
non ho conosciuto altri luoghi all’infuori di questa stanza. Sebbene i miei
genitori si prodigassero a riempirmi di balocchi, a tenere la mia mente
occupata tramite le lezioni private impartitemi dal precettore, o attraverso i
libri o suonando, alla fine sono giunto ad odiare con tutto me stesso questo
posto”, le confessò un poco impacciato, alzando di tanto in tanto gli occhi
inumiditi dalle lacrime. Stava piangendo? E perché mai? “E’ un vero peccato,
che questo portentoso grammofono sia stato inventato molti anni dopo la mia
nascita [2]: avrei trascorso le ore in maggior letizia ascoltando le mie opere
preferite. Non mi ricordo se te l’ho già detto, ma adoro l’opera lirica. Piace
anche a te, Hinata?”
V’era
qualcosa di strano in Shu, notò apprensiva la ragazza, corrugando incerta la
fronte. Un’aria di infinita tristezza lo avvolgeva, sentimento sottolineato da
quel suo starsene seduto all’indiana sul morbido tappeto color pastello e dal
giocare con piglio infantile con quel teatrino. In aggiunta, il giovane non
indossava più gli abiti coi quali aveva l’abitudine di presentarsi a lei, ergo una
maglietta scura, un paio pantaloni grigi alla pescatora e i sandali. Al
contrario, in quel momento Shu portava una lunga tunica bianca, simile a quella
dei comunicandi il giorno della Prima Comunione, ed era scalzo. Tenuto fermo da
una stretta corona di gigli e crisantemi [3] gli scendeva morbido e pesante un
velo bianco, che lo avvolgeva in un soffocante abbraccio di stoffa. Di primo
acchito sarebbe potuto passare per una sposa, sennonché le linee spartane
dell’abito e la consistenza fitta del velo, così diversi dalla tradizionale
civetteria degli altri, gli conferivano un’aura più solenne, mesta. Mortuaria,
quasi.
Perché
era vestito in quel modo?
“Shu”,
ruppe Hinata il silenzio creatosi, scivolando giù dal letto a bateau e
avvicinandosi al giovane. “Questo posto … questa camera … siamo a villa Nakano,
vero? Mi hai riportata qui?” Nonostante la giovane non avesse mai visto
quell’ambiente, lo stile e il gusto nell’arredamento corrispondevano
esattamente a quello della casa del fidanzato.
“Ci sei ritornata
da sola, dolcezza mia”, replicò ineffabile Shu, seguitando il suo divertimento
coi personaggi di carta. “E’ stata la tua curiosità ad averti condotto in
questa stanza.”
“No, non
credo proprio”, lo contestò la mora, accovacciandosi dinanzi al teatrino. Come
mai stava conversando così serenamente con lui? In altre circostanze,
risvegliarsi in un altro posto, lontano dalla famiglia e dal fidanzato, avrebbe
dovuto mandare in tilt chiunque dalla paura. Invece, Hinata non ne aveva, si
sentiva stranamente rassicurata dalla presenza di Shu accanto a lei, per quanto
il suo lato razionale le stesse urlando che era proprio da lui, che doveva
guardarsi le spalle.
“Mi
dispiace, ma devo contraddirti, Hinata”, ribatté testardo il moro. “Tempo
addietro, avevi espresso il desiderio di conoscere maggiori dettagli
riguardanti il tragico incidente avvenuto a villa Nakano. Dal canto mio, avevo
promesso che ti avrei portato là dove avvenne questo spiacevole evento. Come puoi ben vedere, ho mantenuto la parola
data e sarebbe una grande scortesia da parte tua tirarti indietro all’ultimo;
mi sono tanto prodigato per organizzare al meglio questo nostro ultimo
incontro, così da non essere disturbati da chicchessia. Senza contare, che
abbiamo tutta la notte a nostra disposizione: in attesa che giunga l’alba, ti racconterò una storia. La storia che condusse la famiglia Uchiha e villa Nakano alla
rovina. Non è di gran lunga meglio questo passatempo che un’insipida nottata
brava tra amiche, o mi sbaglio?”
Hinata si
inumidì a disagio le labbra, tamburellando le dita sulle ginocchia. Sì, era
vero che lei gli aveva chiesto di
narrargli il misterioso aneddoto di villa Nakano: tuttavia, il suo sesto
senso gli suggeriva di sviare il discorso, di non accettare, giacché proprio era
quello la causa delle sventure dei precedenti abitanti della villa. “Non
saprei, Shu”, temporeggiò, fissandosi colpevole le unghie. “Magari, non
trovandomi in letto, in questo momento i miei genitori e mio cugino si staranno
preoccupando per me e anche il mio fidanzato potrebbe essere in pensiero. Eppoi,
domani mi sposo, devo riposare … forse un’altra volta …”
Un
sorriso amaro graziò le labbra fini di Shu, mentre l’atmosfera, da tiepida e
malinconica, si mutò in una sinistramente gelida, tagliente come la lama di un
coltello. “Proprio come pensavo. Non sei diversa dagli altri: sempre pronta a
chiedere, ma quando sono io che ti domando un favore, ecco che mi rifili una
scusa dietro l’altra!”, scattò in piedi il moro, sovrastando severo e impietoso
con la sua altezza la ragazza, cui sembrò di ritrovarsi dinanzi al Christus
Iudex della cappella privata di villa Nakano.
Svanite
la dolcezza, la pietosa tristezza, ingoiate dalle fredde fiamme di una composta
e inestinguibile collera.
E
Hinata, più che esserne atterrita, si sentì in essa avviluppata, consumata, fin
quasi a compartirla.
Doveva
scappar via da quel luogo, prima di esserne divorata!
“Io ho
mantenuto la mia promessa. Ho esaudito la tua richiesta. Ora, rispondimi,
vorrai essere così riconoscente da premiare la mia disponibilità?”
Digli di
no!, gridava la mente della giovane. Digli di no!
“Troppo dolce comincia la scena / In amaro
potrìa terminar.”
“Ebbene,
Hinata?”
L’interpellata
aprì la bocca per rispondere, chiudendola invece subito dopo. Si stava comportando da ingrata e vigliacca e
ciononostante, non riusciva a fidarsi abbastanza da elargire all’altro un cenno
affermativo.
“Deciditi,
Hinata. Sto aspettando …”
Se
soltanto avesse avuto un argomento con cui ribattere! O poter rifiutare
l’offerta! Perché, si diede lei della sciocca, aveva insistito a voler sapere
dei fatti degli Uchiha?
L’inatteso
tintinnio di posate e lo strimpellare di strumenti, che si stavano riscaldando
prima di suonare, attirò l’attenzione di Hinata, la quale colse la palla al
balzo e, rimettendosi in piedi, si diresse verso la porta della stanza. “Shu,
non senti anche tu questi rumori? Da dove provengono? Spero ardentemente che
non siano dei ladri …”, addusse ella come scusa per poter uscire, sorpresa che
il giovane glielo avesse permesso senza opporre alcun tipo di resistenza, come invece lei si
aspettava.
Non che
ne avesse poi avuto così bisogno: fu Hinata stessa a fermarsi, aggrappandosi
ora serialmente turbata al poggiamano delle scale. I lunghi specchi appesi alle pareti dell’ampio
salone riflettevano la luce di lunghe candele
dalle fiamme azzurrine, verdi o viola, similmente agli innumerevoli candelabri
lì accesi. La loro luce fioca e fredda, quasi psichedelica nella sua
fosforescenza, si riverberava nell’ambiente, enfatizzando i colori
fantasmagorici del tourbillon accecante degli abiti degli astanti – sì, ospiti!
- dagli accostamenti più strani; dal
grande candelabro di vetro soffiato pendevano ghirlande e scendevano coriandoli
e fili di vari colori e lucentezza, accentuando quell’aria di decadenza, che
permeava quel salotto che ad Hinata era sempre sembrato così smorto e
asfittico.
E proprio in quel posto si stava celebrando
una festa, magari in maschera a giudicare dai vestiti assolutamente fuori moda,
appartenenti ad epoche diverse: tra di essi, Hinata riconobbe le gonne vaporose
dell’Ottocento, i frac della Fin du Siècle, le linee vezzose della Belle Époque
e quelle più dritte e geometriche del Primo Dopoguerra. Con suo sommo orrore,
la giovane scovò anche abiti più recenti, molto più recenti, come quelli
indossati da Mitokado Tenten e Utatane Koharu, che Hinata credeva vive fino a
ieri!
Come … com’era possibile?
“Hai già legato con gli ospiti?” , le giunse
inattesa la voce di Shu alle spalle, facendola sobbalzare violentemente e
cozzare contro il suo petto. Quando l’aveva raggiunta?
E … e … quel silenzio nel torace …
“Shu, chi … chi sono costoro?”, chiese
Hinata in un filo di voce, tentando di scivolare via dal giovane, il quale,
sfortunatamente per lei, le aveva cinto il braccio alla vita, serrandola
inclemente a sé. “Che cosa vogliono da me?”
Che cosa vuoi
tu da me?
Di nuovo, il moro le mostrò l’innaturale
candore dei suoi denti. “Suvvia, Hinata! Via quell’aria sgomenta! E che domande
mi poni, poi! Chi sono? Gli ospiti per il tuo matrimonio, sciocchina! Chi vuoi
che siano?”, ridacchiò incoraggiante Shu, sottoponendo la fronte della ragazza
ad un leggero buffetto.
Neanche fosse stato quello il previamente
concordato segnale d’inizio, gli astanti si girarono e, levati in alto i
calici, esclamarono in coro: “Viva la sposa! Viva la sposa! Un brindisi per
Hinata!”
“Mi stanno chiamando …”, gemette ora
seriamente impaurita la giovane, divincolandosi in violenti strattoni. Invano:
il braccio di Shu poteva competere quanto a forza ad un cerchio di ferro.
“Ovvio”, convenne serafico l’altro,
apprestandosi a scendere le scale. “Stanno morendo dalla voglia di
conoscerti, Hinata. Ho tanto parlato a loro di te e adesso sono eccitati alla
mera idea di poter finalmente conversare con te!”, disse, trascinando seco una
recalcitrante mora, che cercava di rallentare la discesa al pianterreno
aggrappandosi a qualsiasi cosa le capitasse sottomano.
“Anche perché, la mia storia non avrebbe
senso, se tu non incontrassi gli attori principali di questo doloroso dramma
…”, proseguì affabile, sciogliendosi in un sorriso ferino, che provocò un mezzo
svenimento alla ragazza.
“E sono loro gli …?”
“… attori? Sì, sì, esattamente!”, annuì Shu
entusiasta e compiaciuto della dubbia partecipazione della giovane, che si
strinse inconsciamente a lui, quando giunsero infine al centro dell’ampio
salone. “Le marionette di questo patetico melodramma, i miei ospiti eterni, il
mio infernale chaperon … tutti a tua disposizione, Hinata carissima, per questa
notte fino a domani, prima della cerimonia”, li presentò egli tramite un ampio
e teatrale gesto del braccio.
Hinata temette di aver smesso da un pezzo di
respirare.
La
notte prima della partenza, molte lacrime vennero versate e molti baci
scambiati.
Ma
ciò non bastava all’innamorato.
“La mia famiglia, dolce amica mia …”, indicò
Shu un gruppetto di persone vestite alla guisa ottocentesca e dai capelli e gli
occhi neri come quelli del suo accompagnatore. “La quale mi ama a tal punto, da
volermi seguire ovunque e da soddisfare ogni mio singolo capriccio …”, le
confessò, sorridendole complice.
I parenti di Shu assentirono col capo,
brindando in apparenza gioiosi alla salute di Hinata: in realtà, ella poté
scorgere nei loro volti una smorfia di sofferenza atroce, teoria supportata
dalle calde lacrime di sangue che colavano sul loro viso pallidissimo.
“Giurami”, diss’egli stringendo forte al petto
l’altra metà della sua anima. “Giurami sulla tua vita, sugli occhi tuoi belli,
su Iddio e la Madonna, che a me fedele per sempre rimarrai.”
“Et bien, mia cara, ora che ti ho presentato
tutti i miei ospiti, che ne dici di sederci qui, su questo morbido canapè, cosicché
io ti possa raccontare l’amaro caso di villa Nakano? Uhm, che ne dici? Magari sorbendoci
nel frattempo dell’ottimo Marzemino!”, gli propose Shu, o meglio, la costrinse
a sedersi, cedendole un bicchierino di cristallo portogli da uno zelante
cameriere.
Con mani tremanti, neanche avesse buscato le
febbri tropicali, Hinata accettò, per poi farlo cadere in seguito all’improvviso
ruggito di Shu, che richiamò una sorta di vento di tramonta, il quale spense in
un battito di ciglia tutte le candele, facendo conseguentemente piombare il
salone nel buio assoluto.
“Questo è facile: lo promisi già il dì in cui ti conobbi.”
“Fratello!”, ringhiò egli in un cupo
latrato. “Convinci quella meretrice sifilitica della tua promessa a cessare una buona volta
di piangere! Disturba l’atmosfera! Non voglio scenate isteriche alla festa in
onore di Hinata! Provvedi a farla tacere o troverò io il rimedio e credimi,
allora sì che la tua sgualdrina avrà di che lamentarsi!”, inveì così
pesantemente, che Hinata si reputò fortunata che mancasse la luce: quella poc’anzi
udita non era una voce umana, era il gorgoglio del mare in tempesta, il latrare
di un mostro!
Ma ecco, ritornata la luce tanto velocemente
quanto era sparita, che il tono di Shu aveva riassunto le precedenti sfumature
delicate e melodiche di prima.
“Ah, le cognate!”, piegò egli le labbra in
un sorrisetto birbante. “A volte sembrano essere state concepite solamente per
farti dannare l’anima!”
e rise alla battuta, cui prontamente seguì l’eco degli altri invitati, i quali poi
ripresero serafici gli svaghi e il cicaleggio interrotti dal furioso sfogo del
giovane.
“Dunque, dove eravamo rimasti?”, fece Shu
distendere la mora in una posizione più comoda, in modo che la tua testa
riposasse sul suo petto. “Allora, Hinata, posso raccontarti una storia?”
Quel silenzio nel torace …
… l’assenza del battito cardiaco …
… il gelo …
… il corpo di un morto.
“E che al mio ritorno, vivi o morti, ci
sposeremo.”
Respirando
a fondo per infondersi coraggio, Naruto aprì il piccolo diario di Uchiha Sasuke,
sfogliando delicatamente le fragili e ingiallite pagine riempite dalla fitta e
minuziosa calligrafia in voga nel secolo precedente.
16 febbraio 1919
Il Veronal è pronto. [4]
Dies irae, dies
illa. Solvet
saeclum in favilla. Quando verrà il giorno del
Signore, la Sua Croce risplenderà nel cielo e il mondo cadrà in rovina.
Judex ergo cum
sedebit quidquid latet apparebit, nil inultum remanebit. Il Giudice prenderà il suo seggio e ogni
sotterfugio verrà svelato; niente rimarrà impunito.
Quid sum miser tunc dicturus? Quem
patronum rogaturus, cum vix iustus sit securus? Cosa dirò, allora, al Signore?
In chi troverò protezione? Quando l’innocente non deve aver paura?
Voca me cum
benedictis! [5]
No, non posso implorare
di essere chiamato tra i benedetti, non col Veronal preparato apposta per
riunirmi anzitempo con la mia famiglia, con la mia fidanzata. Sto per compiere
lo stesso suo peccato, lo stesso peccato che lui ci ha costretto, uno dietro l’altro, a
macchiarci, così da adempiere fino alla fine al terribile castigo inflittoci quasi
cinquantotto anni fa.
Non vendetta, no.
Castigo. Punizione.
Divideremo con lui le sue lacrime, sopporteremo l’atroce dolore dei pugni al petto, i
rimorsi, la solitudine, l’angoscia eterna, la gelida lontananza dall’avvolgente
e calda misericordia divina.
Addio, dolci notti
innamorate!
Addio, giorni pieni
di letizia!
A me la sventura!
A me l’inferno!
Più volte ho
tentato di raggiungerlo, affatto spaventato dalle poco allettanti promesse di
quelle inestinguibili fiamme nero pece: lui me lo ha
impedito. Per pietà dell’anima mia? No, perché fui io la causa principale delle
sue sofferenze e dunque io meritavo di essere castigato più a lungo rispetto
agli altri.
Mi ha sottratto
tutto.
Tutto.
Non ho più nulla
che mi leghi a questo mondo.
Né padre, né madre,
né parenti, né fidanzata.
Non ho vissuto, non
ho concluso niente nella mia vita.
Non ho creato una
famiglia mia. Non ho realizzato alcun progetto, che mi distinguesse dalla massa
anonima.
Nessuno si
ricorderà del mio nome.
Sono meno di
niente, una scultura lasciata a metà.
Può essere l’inferno
peggiore di questa non-vita? Ne dubito
altamente.
Dunque, vada per il
Veronal.
Ora lui me lo permette. È qui seduto davanti a me, col suo eterno volto di
giovane uomo, con quell’abito bianco pregno di sangue e acqua salsa, e mi
fissa, non mi perde per un istante di vista, mi concede di scrivere questo
diario, l’ultima traccia della mia esistenza sprecata o, come sostiene lui, finalizzata all’espiazione dei miei
peccati.
Che poi a nulla è
servita, giacché sto per compiere quello più grande, quello più difficilmente
condonabile.
Stasera prenderò
una dose eccessiva di Veronal e morirò.
Non prima, però, di
aver steso questa mia confessione (sempre sotto la sua supervisione), cosicché chiunque dovesse trovare un giorno questo mio
ultimo scritto, abbia in seguito la bontà di pregare per le nostre anime, per
la sua anima e di porre fine alla
maledizione che la nostra intransigenza ha attirato sulla nostra orgogliosa
cervice.
Io, Uchiha Sasuke, confesso
dinanzi a Dio e agli uomini di aver dato il mio contributo alla nascita di colei
che la gente di Kiri, e pian piano anche quella di Konoha, chiama la Sposa Mancata, in vita
conosciuta sotto il nome di Uchiha Itachi.
Mio fratello.
Seduto davanti a me, mi sorride,
incoraggiandomi a proseguire.
Devo sul serio continuare a
scrivere, fratello?
Perché mi sottrai il Veronal? Restituiscimelo!
Perché …?
“Lo
giuro”, rispose il suo amore, due dita alzate e la mano al cuore.
To be
continued …
**************************************************************************************************************
[1] =
Sant’Erasmo Martire è il santo invocato dai marinai nelle tempeste, mentre
Santa Barbara Vergine e Martire è la santa protettrice della Marina Italiana.
[2] Il
grammofono incominciò a venir usato nel 1870.
[3]
Rispettivamente i fiori dei morti, i crisantemi per l’Europa “continentale”,
mentre i gigli per l’Inghilterra e i paesi anglofoni.
[4]
Marca di sonnifero, letale se assunto in dosi eccessive.
[5]
Requiem