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Autore: Sueisfine    06/09/2007    7 recensioni
Questa storia è nata per caso, spinta soprattutto dalla mia grandissima ed insaziabile passione per il gruppo musicale The Cure. Mi sono permessa di prendere spunto dalla storia del gruppo, accumulata attraverso interviste, libri, biografie autorizzate etc., negli anni che vanno dal 1981 in poi, per narrare un po' gli avvenimenti dal punto di vista di Robert Smith, leader del gruppo, e Simon Gallup, bassista.
Diverse situazioni sono frutto della mia ( bacata ) immaginazione, però ho cercato e cerco, nei limiti, di dare una certa contestualizzazione al tutto.
DISCLAIMER : Con questo mio racconto, ovviamente scritto e pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo né diffamare né fornire una rappresentazione veritiera dei fatti accaduti, ma semplicemente rivedere il tutto secondo una mia particolare ( condivisibile o meno ) prospettiva.
Buona lettura ;_;
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Chapter One

~ Boys don’t Cry

Pensavo che vederlo di nuovo, in questo contesto, lo stesso dell’ultima volta, non mi avrebbe causato una qualche reazione particolare. Confidavo nel mio autocontrollo, nella mia occasionale freddezza, quella che ogni tanto lasciava intravedere un temperamento dalle venature colleriche.
E, beh, su quel punto mi sbagliavo alquanto. Decisamente. La sua voce quest’oggi aveva un tono diverso, timida usciva dalle sue labbra.
A quel ‘Ciao’ sussurrato non potei che rispondere con un sorriso.
La sua voce. Me la ricordavo diversa. Melliflua. Una di quelle persone da cui potevi tranquillamente pendere dalle labbra. Potevi navigarci nei suoi discorsi, come un piccolo marinaio. In balia delle onde senza temere nulla al mondo.
Era sempre stato così. La mia insicurezza lui la faceva semplicemente svanire.
E adesso se ne stava in piedi lì, e mi guardava, senza dare l’impressione di essersi accorto di me. Sperduto in chissà quale dei suoi pensieri.
Chissà se mi aveva visto. Magari si accorse di me istanti dopo.
Oggi non sembrava affatto il tipo di persona adatta a proteggere e confortare qualcuno. Anzi, in quel momento la sua fragilità trapelava in modo talmente chiaro che chiunque, in qualsiasi condizione, se ne sarebbe accorto. La sua carnagione pallida si mescolava al colore delle sue ossa. Dio, era più pallido del solito.
Oh, se lo era.
Così pallido da far male agli occhi. Il contrasto tra il colore dei suoi capelli e il resto era insopportabile. Mi venne voglia di distogliere lo sguardo, ma non potevo.
Catturato in quella rete. Nella sua rete.
Come sempre.
Avrei voluto scuoterlo, dargli un po’ di calore, ed anche un po’ di colore.
Da quel che avevo capito, sono praticamente giorni che non lascia gli studi di registrazione. Lo vedono completamente assorto, catturato da penne, matite e fogli di carta, tutto intento a buttar giù qualcosa che poi cestinava inesorabilmente. Un fantasma.
E beveva, beveva molto.
Sì, è vero, beveva anche quando c’ero io, però così è diverso, non so. Quando si è da soli è tutto diverso. Tutto più… Desolante.
Le occhiaie erano l’unica nota di colore su quel volto ancora tremendamente fanciullesco. Sembrerà azzardato, ma posso assicurare che aveva la pelle così perlacea e traslucida che sembrava uno di quei fogli sui quali amava tanto scrivere.
E mi faceva rabbia, una rabbia tremenda. Perché si doveva comportare così ? Perché di fronte a me, che, ora, avevo finalmente deciso di mettere da parte le mie ragioni e tornare da lui.
Forse, comportandosi così, rimproverava neanche tanto implicitamente il mio egoismo.
E questo non faceva altro che aumentare la mia rabbia. «Ma hai dormito stanotte ?»
L’avevo quasi abbaiata questa domanda.
E l’esordire così, dopo mesi di pesanti, massacranti silenzi, non era proprio il massimo.
Un applauso al re della diplomazia e del tatto. Bravo Simon, complimentoni.
«Che problemi avresti nel caso io non avessi dormito ?» Ecco, tipica risposta. Un classico. Se c’era una persona che riusciva a farmi irritare sopra ogni limite, quello era Robert. Mi portava continuamente all’estremo. Dopo queste reazioni, il vuoto, solo il vuoto poteva seguire.
Non so quale antico dio greco mi trattenne dal girare i tacchi ed andarmene, perché se ero lì in quel posto, in quel momento, un motivo c’era. Un dannatissimo motivo c’era.
E lui lo sapeva. Cosa diamine gli passava in testa ?
Rispondendomi così pensava di concludere cosa esattamente ?
In questo modo dimostrava di non conoscermi affatto come credevo.
«Sai perché te lo chiedo. Sai perfettamente che se sono qui è perché sono preoccupato. Mi è stato detto che, beh…».
Perché mi ero fermato, adesso ? Dio mio, proprio ora. Non doveva succedere.
«Sì, già. Immagino quello che ti è stato riferito. Ti avranno detto qualcosa del tipo ‘Da quando te ne sei andato dal gruppo è caduto nel vortice !’, oppure, ‘Torna in tempo per riprenderlo, metti da parte l’orgoglio !’» Mentre parlava si torturava la manica destra del cappotto grigio, gli occhi incollati a terra.
«Che teatrino melodrammatico. Siete patetici. Tutti quanti.» Alzò gli occhi sui miei.
Avrei giurato di vederli lucidi di lacrime.
Mi spaventai, non volevo ferirlo così. Stavo per rantolare un ‘Mi dispiace, Rob, ti prego, lo sai che non volevo, perdona tutte le sciocchezze e tutto quello che ti ho ingiustamente vomitato addosso in questo periodo’, ma improvvisamente mi ricordai che erano giorni che non chiudeva decentemente occhio, quindi mi limitai ad osservare in silenzio.
Ero così atterrito, e lui mi leggeva dentro, lo percepivo. Mi sentivo violato.
Non riuscivo a sostenere il suo sguardo.
Sentivo che mi stava lentamente versando addosso un bollente miscuglio di disprezzo e sensi di colpa.
Non riuscivo a fare niente, ora. Immobile, nella speranza che lui facesse qualcosa.
E lui agì.
Troncò tutto, voltandosi.
Stava per tornarsene dentro l’edificio dal quale l’avevo visto uscire appena dieci minuti fa.
Avrei voluto fermarlo, ‘D’altronde sei venuto fin qui per chiarire, no ?’, mi ripetevo.
Beh, sì, ero venuto fin lì per chiarire. Ma non potevo forzare qualcosa che non voleva accadere. Non potevo forzare qualcuno che di me non ne voleva, attualmente, sapere.
Mi passò, fulmineo, il pensiero che lui si comportasse così proprio perché ferito, abbandonato.
Ma lo scacciai prontamente.
Lui non era solo, c’erano gli altri, e c’era Mary. Avrebbe condiviso con loro altri momenti.
Attraversai la strada.
La tensione mi stava divorando, è per questo che me ne sono andato. E, no, non mi stavo giustificando. Però era accaduto così.
Come sempre. Quando le cose si mettono male, Simon scappa. Pensandoci bene, è triste.
Ed oggi fa così freddo. Fuori e, soprattutto, dentro. E questa stupida situazione non ha migliorato l’insieme delle cose, tutt’altro.
Che stupida idea quella di uscire di questi tempi con addosso il mio giubbino di pelle.
So perfettamente che non tiene affatto caldo.
  
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