Fanfic su artisti musicali > Altri
Segui la storia  |       
Autore: Sueisfine    06/09/2007    3 recensioni
Questa storia è nata per caso, spinta soprattutto dalla mia grandissima ed insaziabile passione per il gruppo musicale The Cure. Mi sono permessa di prendere spunto dalla storia del gruppo, accumulata attraverso interviste, libri, biografie autorizzate etc., negli anni che vanno dal 1981 in poi, per narrare un po' gli avvenimenti dal punto di vista di Robert Smith, leader del gruppo, e Simon Gallup, bassista.
Diverse situazioni sono frutto della mia ( bacata ) immaginazione, però ho cercato e cerco, nei limiti, di dare una certa contestualizzazione al tutto.
DISCLAIMER : Con questo mio racconto, ovviamente scritto e pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo né diffamare né fornire una rappresentazione veritiera dei fatti accaduti, ma semplicemente rivedere il tutto secondo una mia particolare ( condivisibile o meno ) prospettiva.
Buona lettura ;_;
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Chapter Three

~ Sorry, Wrong Number

Una tazza di caffè non sarebbe senz’altro bastata a farmi riprendere dall’alzataccia della mattina appena sfumata nel sole di mezzogiorno. Ma di mangiare non se ne parlava, anche perché il frigo si trovava ad essere vuoto quasi quanto me, in questo frangente.
Sul borbottio della caffettiera, sentii il telefono squillare.
‘Avrei dovuto staccarlo, dannazione’, pensai.
Quel trillo mi rimbombava infido in testa. Me la stava letteralmente spaccando in due.
Al quinto squillo, mi decisi a rispondere.
‘Se è così insistente, magari è qualcosa di importante, urgente. O, quantomeno, spero che lo sia’.
Alzai la cornetta e la avvicinai piano all’orecchio.
«Sì ?».
«Erm, ciao Simon, sono Mary».
«Oh, ciao» risposi, con una nota che poteva suonare come delusione. Ma deluso da cosa, poi ? Non che mi aspettassi chissà chi, al telefono.
O forse sì.
Mary, la compagna di avventure “storica” di Robert. Si conoscono fin da giovanissimi. Lei è amabile e graziosa. Riservata, ma molto autoironica. Solare.
E anche molto, molto fragile. Solo lei riesce a calmare Rob quando dà in escandescenze.
Sì, insomma, completamente l’opposto del sottoscritto.
«Scusami tanto se ti disturbo a quest’ora, magari stavi anche pranzando…», si scusò prontamente. Che cara, Mary.
«No, tranquilla. Oggi niente pranzo, sono a dieta !».
Sì, certo. La mia voce funerea stonava un po’ troppo con la battuta. Speravo non se la fosse presa a male se riuscivo a scherzare anche in certe situazioni.
«Sai, volevo… parlarti», esordì timidamente.
«Immagino vagamente di cosa». Ma togliamo anche il “vagamente”.
Silenzio. Stava accumulando coraggio per la frase successiva.
«E’ che non sopporto di vederlo così, spero tu mi capisca. Si sente solo da morire, Sim, e se solo tu potessi aiutarlo… Lui sa benissimo di aver sbagliato, ma aspetta che sia tu a fare la prima mossa… Credo sia molto dispiaciuto per tutta questa storia».
«No Mary, non attaccare con le arringhe difensive, stavolta non funziona così. Io il primo passo l’ho anche fatto. Stamattina sono andato da lui. E non sembrava molto dispiaciuto, ti dirò». Mi fermai un attimo. Sentivo una specie di singulto ripetuto, dall’altro capo del telefono. Ripensai a ciò che mi aveva appena detto, parola per parola. Un sospetto mi rabbuiò. «E poi cosa intendi con “Credo” ? Tu sai senza ombra di dubbio più di me in merito. Vi parlate praticamente sempre. No… ?».
Di nuovo quel singhiozzo. Sembrava soffocarla.
«No, non è più così, Simon», ribatté laconica, quasi strascicando le parole, spingendole con la forza fuori dalle labbra «Non è più così da un po’…».
Mi sentivo intrappolato, avrei voluto mozzare il cavo telefonico per non dover ascoltare il resto della frase. «Da quando tu te ne sei andato».
Allora è così. Il detonatore era stato piazzato anche vicino al piccolo, fragile cuore di quella Mary tanto innamorata. Non ero stato l’unico ad essere stato spiazzato dall’onda d’urto.
Così forte, assordante. Era un dolore atroce, quello di Mary, e me lo sentivo addosso. Mi stavo sporcando del suo dolore.
Non avrebbe dovuto farle questo, no. Non può mettere da parte lei. Vada per me, ma lei no, lei no.
I singhiozzi aumentavano, e il mio silenzio sarebbe voluto esplodere in tanti piccoli ed inutili convenevoli pronti lì per l’occasione.
‘Mi dispiace’, ‘Cerca di essere forte’, ‘Tornerà presto da te’. No, mi risparmiai tutto questo. Glielo dovevo.
«Se può farti stare meglio,» ripresi, tentando di frappormi tra lei e i disperati spasmi del suo cuore, «proverò a parlare con lui, di nuovo». E stavolta mi ascolterà, gli imporrò di ascoltarmi.
«Io… Scusami, Simon, non era mia intenzione farti sentire in colpa… Non devi, se non te la senti, veramente».
«No, non devi scusarti, dannazione, ho detto che lo farò, e non ci sono problemi a riguardo». Ecco, al solito, delicato come un pezzo di carta vetrata che raspa sui polpastrelli.
«Sì… Perdonami».
No, scusa Mary, è colpa mia. Come sempre.
«Tranquilla, non è nulla. Me la caverò, puoi giurarci. E tutto tornerà a posto, ok ? Promettimi però di stare tranquilla nel frattempo. Ci puoi riuscire ?».
Sentivo allentarsi le corde attorno al mio ed al suo discorso. Forse sarei riuscito a far terminare questa chiacchierata, che aveva tanto l’aria di assomigliare ad una folle e silenziosa corsa in autostrada, senza ferite particolarmente brucianti.
Dopo averla rincuorata e salutata speranzosamente, riposi la cornetta con estrema delicatezza, come se fossi stato colto dall’improvvisa paura di romperla.
Bel rompicapo, adesso. Dovevo affrontare Robert, di nuovo.
Stamattina mi aveva preso contropiede, e c’ero rimasto un po’ male, a dirla tutta.
E poi Mary… Mioddio, da quant’è che la conosco, non l’avevo mai sentita così giù di corda.

*

Quando finalmente mi decisi a bere il caffè, era ormai gelido, e dava quella sensazione sgradevole in bocca che solo il caffè freddo sa dare. Aveva completamente perso la sua efficacia, e lo scopo per cui lo avevo messo sul fuoco non era stato affatto raggiunto.
Mi sedetti al tavolo, incerto sul da farsi.
Fissavo quel liquido scuro nella tazzina, che vibrava in cerchi concentrici ad ogni rumore, ad ogni macchina che passava di sotto, in strada.
Cosa avrei dovuto fare, ora ?
Mi tornò improvvisamente in mente una scena dal tepore familiare, sepolta chissà dove nella mia memoria.
Tornai indietro a quel Simon di sette anni, con la fissa del “Perché le cose accadono, papà ?”. Mio padre. Bob. Dolce Bobby, come lo chiamava mia madre.
Non è stato facile andare avanti, giorno dopo giorno. “Tante bocche da sfamare e pochi soldi”. Lo ripetevano in continuazione. Che significa ‘sfamare’, papà ? E amore, papà, amore, cosa significa ? Sai, papà, ancora oggi io non so cosa significhi.
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Altri / Vai alla pagina dell'autore: Sueisfine