Crossover
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Autore: whitemushroom    20/02/2013    2 recensioni
Il Legame Cremisi è la prova che ogni Cavaliere dei Pesci deve affrontare per dimostrarsi degno di vestire la Gold Cloth, l'armatura d'oro che contraddistingue i migliori guerrieri della dea Athena. Ma il Legame Cremisi ha un prezzo. Un prezzo che Crona, giovane apprendista del Gold Saint Lugonis, non è disposto a pagare ...
Una fanfiction crossover tra l'universo di Saint Seiya (The Lost Canvas) e Soul Eater.
Genere: Avventura, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Anime/Manga
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2: Crona, la paura. Una spada nera, la prigione della piccola anima

 

Il Legame Cremisi.
Il Legame Cremisi.
Il Legame Cremisi.

Il cuore di Crona continuava a battere forte nel petto, riempiendolo di un bruciore sordo e consumando affamato tutto il suo Cosmo. Saltava da una roccia all’altra, attraversava terra, acqua e cielo, ma nei suoi occhi non si rifletteva nulla del mondo intorno a sé. L’unica cosa che riusciva a vedere era il suo maestro in un letto, avvelenato dal suo stesso sangue.
“Lugonis, interrompi subito il Legame!”
“NO”

Come aveva fatto a non accorgersene? Perché il maestro Lugonis non glielo aveva mai detto?
Crona continuò a correre senza una meta precisa, come faceva ormai da tre giorni, senza mangiare o dormire. Il suo maestro stava morendo per colpa sua, ma nonostante tutto non si sarebbe fermato, lo avrebbe reso il Gold Saint della sua Casa.
Non sapeva come comportarsi.
Solo di una cosa era assolutamente certo: se il suo maestro non voleva fermare il Legame lo avrebbe fatto lui.
Aveva lasciato la Grecia ed il Santuario, ma non aveva alcuna idea di dove andare: ogni scoglio, ogni pianura ed ogni fiume gli sembravano troppo vicini alla Dodicesima Casa. Ogni passo in avanti era una goccia di quell’ odioso sangue nero che gli sembrava di sottrarre alle vene del suo maestro. Il Santuario non avrebbe impiegato molto a mandare qualche Cavaliere d’Argento a cercarlo, perciò si costrinse a compiere ancora un altro sforzo; se lo avessero trovato lo avrebbero riportato dal suo maestro, ed allora … Dalla morte, la vita.
Si guardava attorno, cercando dei punti di riferimento, di capire dove lo avessero portato i suoi piedi in quella fuga che ancora aveva qualcosa di surreale nel suo cuore. Il cielo, per esempio, non gli piaceva affatto: era troppo grigio per i suoi gusti, e nonostante il sole fosse ben visibile proprio al culmine della volta celeste sembrava più debole, affaticato, privo di quella forza invincibile di quando splendeva sui tetti del Santuario, in Grecia. Nonostante indossasse un abito nero abbastanza pesante ed avesse corso come mai nella sua vita, sulla pelle non si formò nemmeno una goccia di sudore. La temperatura era decisamente più bassa di quella del Tempio, e per quel poco che sapeva dei movimenti del sole capì di essersi spinto verso nord.
Poi scacciò tutte quelle considerazioni e riprese a correre: cercò di bruciare il meno possibile il suo Cosmo, sapendo che il modo migliore per sfuggire ad un Cavaliere era quello di non farsi notare, di svanire, di apparire una persona comune. Si limitò a chiedere alle sue stelle protettrici la forza di andare ancora un po’ avanti, di spingerlo mentre superava i fiumi con un balzo, di dargli equilibrio quando saltava di roccia in roccia per oltrepassare le montagne e di dare forza, sempre più forza alle sue gambe.
Se lo avessero trovato avrebbe dovuto affrontare di nuovo il Legame.
Avrebbe dovuto di nuovo guardare negli occhi il suo maestro.
Avrebbe dovuto di nuovo ucciderlo.
Era nel bel mezzo dell’ennesima foresta che le gambe gli vennero meno. Lo stomaco gli ricordò che erano almeno tre giorni che non veniva riempito, ed il crampo lo fece quasi cadere nel sottobosco; provò di nuovo ad immaginarsi un drappello di Cavalieri d’Argento al suo inseguimento, ma stavolta nemmeno la paura fu sufficiente. Si aggrappò al tronco di un albero e strinse le unghie nella corteccia per rimettersi in piedi, ma dopo altri tre passi scartò di nuovo l’idea di correre. La resistenza fisica non era mai stata il suo punto forte, anche se il maestro gli aveva assicurato che quella sarebbe venuta col tempo.
Cercò un nuovo punto d’appoggio, ma si fermò quando si accorse che sulla corteccia, proprio dove si era aggrappato con le dita, il legno più esterno era diventato molto più scuro del resto della pianta; la macchia, quasi nera, aveva proprio le dimensioni del suo palmo, e ad un secondo tocco il legno diventò molle, ed il ragazzo lanciò un piccolo urlo di disgusto quando il suo dito fu avvolto da corteccia indebolita e dall’improvviso odore nauseabondo. Crona era stato fin troppo tempo nella Dodicesima Casa per non riconoscere quando una pianta moriva.
Rimase ad osservare con orrore la macchia sull’albero: il sangue dei Cavalieri dei Pesci era mortale soltanto quando entrava in diretto contatto con l’avversario, ma non aveva mai avuto quell’effetto devastante su una pianta toccata per soli dieci secondi. “Deve essere il sangue nero …” disse, quasi per tenersi compagnia in quel luogo disabitato.
“Noi portiamo la morte dentro di noi, Crona. Perciò, se davvero vuoi proteggere qualcuno, fai in modo che stia lontano da te. Tutto quello di cui abbiamo bisogno sono le rose del giardino dei Pesci ed il nostro apprendista”
Ora capiva le parole del suo maestro. In quel bosco, accompagnato da una scia di morte, il ragazzo si obbligò a compiere ancora nuovi passi; troppo pochi, ma al momento erano le sue uniche armi per tenere lontana da lui la persona che desiderava proteggere con tutto il cuore. Quel sangue nero lo spaventava: il suo sangue aveva reagito al contatto con quello del maestro distruggendo parte della sua Gold Cloth, cosa inaudita persino per il veleno della Dodicesima Costellazione. Aveva aumentato di molto la sua già alta capacità di diffondere la morte, e quell’albero era una prova indelebile del suo passaggio.
La luce di quel sole velato ricomparve ai suoi occhi, e Crona uscì dal bosco scuro ed umido. Dovevano essere passate diverse ore, perché il sole si era avvicinato alla cima di un gruppo di montagne e faceva ancora più freddo. Non so come comportarmi con questo freddo …
Gli alberi davanti a lui lasciarono il passo ad un fitto sottobosco in cui la sua veste si impigliò diverse volte, e tra un passo impacciato e l’altro si accorse che nel punto in cui i cespugli si facevano meno radi e la base di una collina c’era una strada. “Le strade portano agli uomini” mormorò prima di cadere in ginocchio per la stanchezza.
La strada lo avrebbe aiutato, sì. Avrebbe potuto trovare un luogo dove nascondersi e sparire un po’ in mezzo alla gente: i Cavalieri di Atena non lo avrebbero cercato troppo a lungo in una città o un villaggio per non rivelare la loro esistenza, e se si fosse nascosto a sufficienza in qualche angolo buio magari se ne sarebbero andati via senza notarlo. Il suo Cosmo era ancora troppo giovane e debole per essere rintracciato, dopotutto.
Si aggrappò al ramo di un rovo per sollevarsi e riprendere il cammino, ma quando questo si spezzò contro la sua mano cadde riverso in una pozzanghera di fango e si abbandonò alla stanchezza con l’ultimo pensiero che, se lo avessero costretto a tornare indietro, nessuno poteva obbligarlo a diventare un Cavaliere contro la sua volontà; poi si abbandonò a quella forma di riposo posta tra il sonno profondo e la perdita dei sensi. Si aggrappò all’idea di potersene andare una seconda volta, ma insieme ad essa venne il volto deluso del suo maestro.
Fu lo stesso pensiero ad accoglierlo al risveglio.
Accompagnato da un urlo di donna.

La carrozza era semplice, senza stemmi e con le tende scure abbassate. Il conducente era a terra in una pozza di sangue, e tutto intorno si era scatenato un pandemonio. Sei uomini, chi armati di moschetti e chi di pistole, avevano circondato il veicolo mentre altri tre erano intenti a liberare i due cavalli dalle stanghe ed a levare loro le briglie. Uno dei cavalli si impennò e colpì l’assalitore più vicino, lanciando un nitrito selvaggio quando i finimenti si sciolsero e partì al galoppo lungo la strada. La carrozza subì una violenta scossa e scivolò dove il terreno incontrava il sottobosco. Uno degli uomini, dal grande capello con due piume rosse attaccate, fece il primo passo e si avvicinò al portello più vicino abbattendo su di esso un pugno poderoso. Da dentro venne il secondo urlo.
Crona osservava la scena quasi ipnotizzato da dietro un albero.
Il rumore delle pistole era a dir poco spaventoso. Al Grande Tempio era vietato l’uso di qualsiasi arma materiale ad eccezione delle dodici armi dei Cavalieri della Bilancia, da sempre considerati i Cavalieri d’Oro più saggi ed equilibrati, in grado di valutare con oggettività ogni pericolo. A tutti gli altri era concesso di evocare armi attraverso i loro poteri, cosa che lui stesso aveva imparato a padroneggiare nell’ultimo anno, ma in ogni caso nessuno al Santuario aveva mai creato qualcosa di così rumoroso, che fendeva l’aria come il tuono nelle notti più buie.
Sapeva che gli altri esseri umani usavano oggetti simili ma … erano davvero spaventosi. Non aveva la più pallida idea di come comportarsi con quegli uomini. Il punto più sicuro era proprio dietro a quel grande albero, lontano dagli occhi di tutti, dalle urla e dal sangue.
Non so come comportarmi.
Non sono nemmeno un vero Saint.

Poi il capo dei banditi fece saltare la portiera con un colpo di moschetto e gli altri ne tirarono fuori una donna che si dimenava e che provava a difendersi con dei deboli calci che partivano dalla sua enorme gonna.
Fu il suo terzo, più alto urlo a risvegliare qualcosa dentro di lui.
Il sangue pulsò con forza nelle vene, come solo poche volte durante gli allenamenti con il suo maestro; fu come se mille fuochi avessero risvegliato il suo Cosmo addormentato. Non aveva idea di chi lei fosse ma … non poteva andarsene senza far nulla, il compito dei Saint era proteggere gli indifesi …
Ed il maestro Lugonis non lo avrebbe mai permesso.
Prima di iniziare il Legame aveva trascorso anni a conoscere e domare il suo sangue, a trasformare e plasmare quel fluido che fino a qualche settimana prima era rosso intenso, l’orgoglio dei Pesci insieme alle rose sacre dal profumo invincibile. Chiese aiuto al suo Cosmo, lasciando sgorgare il sangue dalle sue dita, e con dolore vide che era ancora nero, disgustoso e gelido. “Non ho molto altro” disse, distogliendo lo sguardo e concentrandosi sulla forza da richiamare in sé prima di ogni battaglia.
Lo plasmò, lo domò, ascoltò la sua furia mentre andava ad assumere la forma di una lunga spada e lasciò che l’elsa scivolasse obbediente tra le sue mani. La sentì diversa al tocco, ma non poteva permettersi di porsi altre domande. Evocare il potere delle rose gli avrebbe richiesto molto più tempo.
Lasciò che tutta l’energia che dormiva in lui si liberasse, e lasciò fluire nell’arma, preparandosi a caricare, ascoltando la forza del colpo dello Screech Beta.
Il fendente calò dall’alto verso il basso verso il primo aggressore; l’energia crepitò, la spada era tutt’una con il corpo, il sangue scivolò alla ricerca di altro sangue e l’attimo dopo l’uomo era a terra, tagliato in due.
Alla vista del rosso che si sparse sulla strada Crona si fermò, impietrito.
Aveva sempre lanciato lo Screech Alpha e lo Screech Beta contro il suo maestro durante gli allenamenti, oppure lo aveva rivolto contro piante, alberi o rocce, e le poche volte che era riuscito ad evocare in modo corretto le Piranha Roses queste al massimo si erano abbattute sulle pareti della loro Casa. Non si era mai reso conto con quanta facilità la forza di un Cavaliere potesse distruggere la vita umana.
Lo ho ucciso io …? Ma …?
Il sangue del bandito, rosso, stava scivolando verso i suoi piedi come una silenziosa accusa e non riusciva a staccare gli occhi da lì. Il sangue che era il vanto della sua Casa per un attimo generò in lui un senso di disgusto tale da confondergli gli occhi ed il tatto.
“Che fate, idioti, sparate a quella ragazzina!” fu il grido che raggiunse le sue orecchie.
Non volevo ucciderlo davvero, non pensavo, io …
I suoi occhi erano ancora fissi sull’uomo in pezzi quando percepì il rumore degli spari.
E adesso? Cosa ne dirà il maestro Lugonis?
Il suo corpo fu scosso per qualche secondo, ma la cosa non lo interessò. Il mondo davanti a lui era diventato una grande macchia rossa in cui fluiva il suo sangue nero con la forma di una spada. Lo abbandonò anche il motivo per cui era lì: il mostro oscuro dentro di lui continuava a pulsargli nelle vene, galvanizzato dal potere distruttivo che aveva appena generato, ma il profondo senso di aver commesso qualcosa di terribilmente sbagliato gli bloccò le braccia e le gambe. Le voci intorno a lui si erano fatte ancora più alte e confuse, ma nulla faceva più rumore del suo cuore.
“Che vi prende? SPARATELE ANCORA, NO?”.
Crona si accorse a stento della seconda serie di colpi che esplose su di lui.
“Cos’ha quella ragazzina? Perché non muore?”
“È ancora in piedi, come è possibile?”
“FORSE È IL DEMONIO!” urlò l’aggressore più vicino a lui.
Gli assalitori fuggirono come un solo uomo, anche se osservò i loro movimenti attraverso un velo rosso ed offuscato; buttarono a terra le armi, un paio inciamparono, si lanciarono in corsa per la strada con il cavallo rubato che non era ancora fuggito e le loro figure svanirono in una nuvola di polvere. Immerso nei suoi incubi non si preoccupò né di inseguirli né di guardarsi intorno. Ordinò alla spada di ritirarsi ascoltando il flusso del sangue nero che gli scorreva negli arti, ma i suoi occhi celesti erano fissi sul sangue lungo la strada. “Come ti chiami?”
Il primo segnale fu una carezza dolce, protettiva, accompagnata da un fruscio di abiti; poi una mano che gli risistemava i capelli, proprio come faceva il suo maestro durante gli allenamenti.
“Qualcosa non va?” fece una voce dall’accento un po’ strano ma delicato.
Due occhi stupendi color dell’ambra gli entrarono nel campo visivo e riempirono il suo mondo; il suo sangue nero, lo Screech Beta, l’uomo appena ucciso, tutto sembrava perdere significato davanti a quel viso né bellissimo né giovane ma dal fascino indefinibile.
“Mi chiamo … Crona …”
Avrebbe potuto giurare di conoscerla da ere pur avendola incontrata per la prima volta, specie per il tocco delle sue mani; lei gli mise una mano sulla spalla e la consapevolezza di chi lui fosse lo fece tornare con molto sforzo alla realtà. Non doveva toccare gli altri esseri umani, non dopo quello che era successo all’albero nella foresta solo qualche ora prima: nonostante la dolcezza del tocco si ritrasse con un unico, lungo passo. Per quello che ne sapeva quella bella signora sarebbe potuta morire di lì a qualche minuto solo per avergli sfiorato i capelli … Lei si doveva essere accorta che il contatto lo aveva disturbato perché assunse un’espressione un po’ triste; si sistemò un capello ad ampie falde sulla testa e lo fissò.
“Crona, perdonami se ti ho disturbato … sono stata così scortese dopo che mi hai appena salvato la vita” Lui fece per ribattere, ma la signora assunse uno sguardo preoccupato “So di sembrare invadente, ma avrei bisogno del tuo aiuto. Puoi soccorrere mio marito?”.
“Sì … certo … signora”.
La carrozza si era rovesciata su un fianco, con una ruota impantanata nel grande fosso alla sua destra; centinaia di schegge ricoprivano il punto in cui lo sportello era stato fracassato, e Crona spostò quello che restava del legno e dei cardini. Senza più i cavalli il veicolo era inservibile, e con il pomeriggio che volgeva alla fine era improbabile che qualche altra carrozza attraversasse la foresta e desse loro un passaggio fino alla città più vicina. Il ragazzo si chiese se non fosse meglio proseguire con la sua fuga, temendo l’avanzare dei Silver Saint, ma l’idea di lasciare la dama da sola in quel posto pericoloso vinse su qualsiasi buonsenso.
Trovò l’uomo svenuto in maniera scomposta sul sedile e lasciò che fosse la signora a trascinarlo fuori di lì, ed osservò la scena con preoccupazione anche se i suoi occhi erano tutti per i capelli ed i gesti della donna. Voleva dirle ancora qualcosa, ma dalle sue labbra non uscì nemmeno un suono. Anzi, forse era terribilmente maleducato a fissarla in quel modo, il maestro gli diceva sempre di non farlo.
“Franken … Franken, per l’amor di Dio, svegliati!”.
Dopo qualche minuto l’uomo riaprì gli occhi.

 
  
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