Salve
gente! Posto un po’ “molto” gasata per le recensioni (VI AMO TUTTI ♥ ), e spero che questo capitolo non abbia
su di voi un effetto soporifero, o di un lassativo.
Che
Dio non mi folgori, e voi con lui!
I
Capitolo:
Dalle fondamenta dell’immemore
~ Carry On ~
L’uomo era un essere tracotante fin dal
principio. Dall’alba dei tempi si era elevato sopra ogni cosa, e per la brama
di dominio e tiare si era imposto unico metro della storia, una convinzione
cieca e deleteria a cui nemmeno il Creato aveva più potuto porvi rimedio. Nei
secoli era divenuto predatore di se stesso: uccideva per non essere
ucciso, sopprimeva per essere temuto, e
nella catena alimentare si era guadagnato l’apice della piramide… una certezza
miope e falsa che sottaceva grandezze divine.
Fu con la comparsa di esseri supremi quanto
inenarrabili che l’uomo, per la prima volta nella sua breve vita, inalò l’odore
dell’essenza del vero potere, una
fragranza che scorse nelle sue vene assieme al miasma della paura: un ossimoro
deleterio. Perché il fetore della paura era un cadavere in decomposizione, un
parassita che scavava nella pelle, infestava il sangue e ne divorava i visceri;
ingordo, era capace di svuotarti fino all’ultima goccia ed i rimasugli li lasciava marcire nell’acido
della tua triste esistenza, lasciando di te nient’altro che un’orbita vuota.
Quando la teca di vetro della vanità esplose in
mille frammenti, gli uomini intrapresero una spedizione di sangue contro chi
aveva deciso di minare il loro ego, rivelandoli l’unica insondabile verità: non erano mai stati i veri Signori ma miseri re senza corona. Una
scoperta letale che segnò l’avanzare di una storia infinita, e la sottomissione
di un popolo che, nei fatti, si macchiava della reità di trovarsi al bivio tra
due esistenze.
Ignorava l’uomo che ciò che iniziava col sangue
nel sangue era destinato a finire, e che anche l’infinito, nel susseguirsi del tempo,
avrebbe trovato un impensabile punto fermo.
***
La prima visione che Natsu ebbe della città
dimenticata fu quella di un coacervo di solitudine e natura morta che andava
disperdendosi tra la cenere e la fitta nebbia. Resti di case accatastate erano
l’unico stralcio di prova della Loto un tempo alveare gravido di vita e magia. Già, un tempo… quando la vergogna non scorreva nel sangue, e la
spada di Damocle che pendeva sulle teste
di quelli come lui non era un tetro presente.
Non aveva mai visto Loto fino a quel momento, le
memorie dei suoi Nakama, parole nostalgiche con cui parlavano della città madre
di tutti i maghi, erano germogliate in lui in un implodere di ricordi dai
colori accecanti. Da piccolo ascoltava con vivo stupore i racconti del Master:
di palazzi di cristallo che si ergevano al centro della città, delle piazze
gremite di folla, di ciliegi sempre
in fiore, dello Shukakosai1
la festa del raccolto, e del vero nome
della città prima che il Regno decidesse di cancellarne la memoria.
Magnolia.
Quando i Draghi, grandezze divine che la storia
aveva voluto come Signori della Guerra, scomparvero nel nulla, il Regno colse
l’opportunità di tessere con machiavelliche mani una tela di assolutismo che
prevedeva l’evoluzione di giunchi in verghe, di maghi in cani rabbiosi.
Lacerato dal primordiale desiderio di sbranare prima di essere sbranato, e
dalla folle ambizione di divenire l’unico burattinaio, il Regno si macchiò di
una mattanza che si disperse per Fiore in
una lenta nenia di morte. Una croce col solo credo di asservire i diversi: i cani non avevano bisogno di
una casa in cui tornare, del dolce seno della madre su cui poggiare il capo per
trovare ristoro e sicurezza, dovevano invece impugnare la falce dei mietitori d’anime, ed espiare
la colpa di avere nel sangue il cancro della differenza.
La
condanna di essere un ostacolo ai fini dei più.
Nel 777, un mese dopo la scomparsa dei Draghi,
Magnolia divenne la leggenda nera dei viandanti, il memento nei cuori dei maghi
ora un branco di segugi imbrigliati. Il giorno dopo, nacque la Magnolia degli uguali, e della città dimenticata fu
dato il nome di un fiore maledetto sin dalla nascita della memoria: Loto.
Troppi
erano i memento del Regno intrappolati in un solo anno.
« Neh, Natsu… perché quel lampione è acceso?»
« Mm… se mi ricordo, una volta Wakaba aveva detto qualcosa tipo “ Loto riconosce la magia, e solo a questa si mostra”.» disse
imitando, anche per sdrammatizzare la situazione, il tono di un suo Nakama, lo
stesso lasciatosi sfuggire che la città, nel cui nucleo risiedeva ancora
traccia dell’antica magia che le permetteva di comparire e scomparire dove
volesse, fosse riapparsa alle pendici del monte Nidhafjoll2.
« E ora?»
Happy aveva colpito nel segno, si ritrovò a
pensare smarrito Natsu. Aveva così tanto cercato Loto, pensando di poter lì
scoprire qualcosa sulle sue origine e su suo padre, che non aveva immaginato
quanto fossero vere le voci che parlavano di una città ormai solo un cumulo di
polvere e devastazione. Troppo vere.
« Cerchiamo, magari qualcosa è rimasta integra…
»
« Aye, sir!» esclamò
l’exceed, librandosi nel cielo per una maggiore
visuale, pur non del tutto convinto che sarebbe riuscito a trovare qualcosa. Non
sapeva nemmeno cosa stesse cercando e, dallo sguardo ancora smarrito di Natsu,
preferiva non chiedere.
«
Magnolia… la città madre…» sussurrò
il ragazzo, tra le labbra un dolore non suo.
Non Loto, quello era solo un anatema emesso da
uomini che tali ormai non erano.
Nonostante si trovasse in una città in pieno rigor mortis, Natsu riuscì a
sentire l’eco spettrale dei suoi abitanti, di quelli che il Regno aveva scartato
per il solo gusto di mietere e forgiare in armi i sopravvissuti; vide il
paesaggio delle favole da bambino ora uno spoglio scheletro testimone di sola
ingiustizia; sentì il tanfo ferruginoso di sangue, e quello oleoso di inique
morti, bruciargli le narici, come se non fossero anni ma minuti a separarli da
una realtà che adesso vedeva per quello che era: consumata. Il groppo che Natsu
provò per una città mai vista con gli occhi ma vissuta col cuore fu capace di
privarlo dell’ossigeno, ed inghiottirlo in un baratro aberrante. Anche di questo avrebbe pagato il Regno.
Lo
giuro sulla mia vita.
« Natsu, ho trovato qualcosa!»
E qualcosa l’aveva trovata davvero Happy.
Al centro della piazza principale, nella totale
integrità, si ergeva una stata del marmo più serico e luminoso da sembrare di
un’altra dimensione, l’impronta eterea lasciata dal Creato per mostrare agli
umani il celestiale: il simulacro di una donna dall’immortale straziante bellezza.
E sotto di essa, vi erano incisi un nome ed una data.
Layla
Heartfilia
X
~
7 Luglio 777
« Neh, Natsu… questa tomba non ti sembra strana?»
« Sì, Happy, c’è qualcosa che non va.»
Una tomba senza una data di nascita e con una
data di morte pericolosa.
Che
cosa significa?
***
Scappa
Lucy!
Aveva paura. Non avrebbe dovuto trovarsi lì a
percorrere quelle scale, scalza, nel buio dei sotterranei in piena mattina,
quando chiunque avrebbe potuto sorprenderla, e farla rinchiudere nelle sue
stanze per il resto dei suoi giorni. Pochi.
Ma non
è già così, in fondo?
Era questo a darle la carica: non aveva nulla da
perdere. Guardare la finestra verso l’orizzonte infinito, cavalcare indomabili
chimere con la mente, e restare confinata col corpo in una gabbia d’oro
aspettando l’inesorabile fine, non erano più alternative plausibili. Non dopo
quello che aveva sentito, almeno. Erano bastate le voci distratte nella sera di
alcune serve, ignare di quanto fosse prezioso e pericoloso il valore della
parola, a far scattare qualcosa in lei che già da tempo scalpitava ansiosa: la
vita.
« Il
nuovo Shukakosai è alle porte, ci siamo.»
« Non
mi ci fare pensare, mio nipote è in fermento, ma io… non vorrei mai essere al posto di quei poveracci. Che pena, uccisi
per puro divertimento.»
« La
vedi nel modo sbagliato! Lo Shukakosai è la festa
dell’uguaglianza, e loro non sono altro che disertori del bene comune. È per il
bene del Regno e dell’equità! »
« Sarà
comunque un massacro…»
« Io
penso invece che le celle di tutto il Regno faranno un bel po’ di pulizia,
incluse queste.»
E la retorica delle paure urlò a Lucy dell’orrore,
una tenaglia pronta a sconquassarle la cassa toracica e stringerle il cuore
fino a ridurlo un grumo di poltiglia sanguinante. Del violento silenzio che
nella sua testa rimbombava fino a dolerle le tempie. Delle convinzioni
illusorie di un Regno che fondava l’apparente pace sul sangue. Sul sangue dei diversi.
Fu allora che una semplice quanto giusta
domanda, a cui mai aveva veramente pensato, le sorse spontanea, si accostò sulle
sue labbra e uscì dai suoi pensieri.
Che
ruolo ho io in tutto questo?
Scappa
Lucy!
Ignorò l’ammonimento della sua voce interiore ,
il sesto senso vigile in ognuno di noi, come un angelo guardiano veglia e
consiglia quando è il momento di agire. O
di scappare. Doveva vedere e credere con i suoi occhi a quello che ancora
una parte di sé rifiutava di accettare, quella che aveva vissuto quasi due
decadi della sua vita ad intingersi nel crisma di mendaci verità e fiele
mortale.
Posso
farcela… devo solo stare calma.
Inspirò ed espirò più volte a fondo per
riprendere lucidità: doveva controllare il proprio respiro prima di riuscire a
controllare i suoi nervi; doveva riuscire a far scomparire la densa patina nera
che le ottenebrava la vista, rendendola incapace anche solo di pensare. Coraggio.
Il ripetersi che non aveva nulla da perdere, che lei sola era
padrona delle proprie azioni, impedì
alla nebbia di puro panico di inghiottirla definitivamente.
Non ho
tempo per aver paura.
Non aveva la più pallida idea di cosa avrebbe fatto
nel momento in cui si sarebbe trovata davanti le prigioni, non sapeva nemmeno
se fossero pattugliate dalle guardie, aveva semplicemente seguito il suo
istinto e si era buttata senza pensarci.
Per ironia della sorte, aveva scoperto di essere più propensa all’istinto che
al raziocinio in un momento poco adeguato.
Ancora
poche scale… ci sono quasi.
Arrivata all’ultimo scalino, si accorse
dell’assenza delle guardie, un colpo di fortuna inaspettato pensò, continuando a
procedere senza fermarsi. Non poteva e non voleva fermarsi, avanzò con l’udito
all’erta, e l’adrenalina fino agli estremi che spronava il cuore a pompare con
un ritmo che le parve il violento frastuono delle trincee all’alba di una
guerra.
Una guerra che stava avvenendo solo nel suo corpo.
Passo dopo passo si avvicinò sempre più al corridoio
che dava alle prigioni, s’accorse di essere in grado di respirare con la sola
bocca tanta era l’agitazione; e quando, aprendo la porta, imboccò quel cunicolo, capì perché non ci
fosse nessuna guardia a presiedere le celle. Non ce n’era bisogno.
Dio mio…
E lei in Dio nemmeno credeva.
Un senso di oppressione le invase i polmoni, una
fiera a lacerarle lo sterno, e gli occhi rivolti verso una realtà ripugnante.
Prigioni di vetro erano allineate l’una affianco all’altra, forate ai vertici
per consentire agli “ospiti” di respirare, e l’opprimente aria galvanizzata a
farle intuire quanto quelle teche fossero pericolose. Non c’erano brandine, né
coperte, in ogni cella oltre il detenuto, con un collare a lacerarli la carne e
la magia, vi era un secchio vuoto per espletare i propri bisogni, ed uno pieno
d’acqua. È terribile… Proseguì,
osservando corpi che non potevano più essere considerati persone, ma solo
involucri svuotati dell’anima: moribondi cani abbandonati. Se l’orrore non l’avesse privata della voce,
avrebbe urlato e pianto; se la paura non le avesse immobilizzato gli arti, si
sarebbe picchiata, pensando a quanto tempo avesse passato a compiangersi mentre
c’era chi in prigione ci viveva davvero.
Sono
patetica.
« Chi sei? Che cosa ci fai qui?»
La voce limpida di una ragazza la riportò alla
mera e sporca realtà: tra quei gusci vuoti c’era ancora qualcuno a cui le ali
dell’anima non erano state tagliate ma le aveva semplicemente nascoste.
« Da quanto tempo siete qui?» si maledisse
subito per l’unica domanda meno opportuna che le era venuta in mente, avrebbe
potuto dire qualunque altra cosa, anche balbettare dalla paura, e non chiedere a
dei prigionieri il tempo perso.
« Come? Chi sei?» domandò confusa la ragazza
dietro il vetro.
Non sapeva se fosse per i capelli di luna e
stelle o per i suoi occhi vivi quanto il cielo nei giorni di tripudio del sole…
ed uno strano tatuaggio bianco simile ad un’ala sulla gamba sinistra. A Lucy
quella ragazza sembrò un angelo condannato dal Creato per le colpe dei suoi
simili. Un angelo caduto.
« Dove sono le chiavi? Come posso liberarvi?»
« Non ci sono chiavi qui. Vattene o ti farai
ammazzare!»
Incredibile. Lucy
non riuscì a pensare ad altro: nonostante fosse rinchiusa e trattata alla
stregua di un animale, si era subito preoccupata per una sconosciuta.
Confrontarsi con un simile animo ed uscirne sconfitta le venne naturale, se
fosse stata nei suoi panni non sarebbe riuscita a parlare, si sarebbe spenta
come gli altri, non sarebbe riuscita a continuare a vivere senza vivere. Non
ci riusciva nemmeno nella sua prigione dorata.
Non
più. Non voglio più restare così…
« Io voglio aiutarvi.»
Sicura come non lo era mai stata, almeno, fino a
quando non sentì qualcuno scendere quelle stesse scale che lei aveva percorso
un pugno di minuti prima.
Il Destino, alle volte, giocava a scacchi con la
Sorte per il puro divertimento di vedere le proprie pedine professare la
certezza di essere i soli a poter decidere, e rideva quando con abili mosse
raggiungeva scacchi impensabili. Quando le guardie, che sorde non erano, sentirono
delle voci provenire dai sotterranei, Lucy non avrebbe mai pensato che tutto
quello non era altro che il folle e deviato piano di un Creato a cui nemmeno
credeva, che nominava invano colta da paure passeggere o deleterie al corpo. In
vero, anche la Sorte sapeva essere un’ottima avversaria e, forse anche più
annoiata del suo rivale, creò un abile diversivo che permise alla “pedina
sacrificale” di diventare la regina dell’invisibile scacchiera: mossa dai fili
dell’istinto, Lucy andò incontro alle guardie, non tanto per farsi volutamente
catturare, quanto perché fossero vicino la porta nella cui serratura vi era
infilata una chiave. Tenuta sempre lontana da qualunque chiave, permesse di
vederle solo su carta, afferrò quella come se fosse il Santo Graal ambito dalla
storia stessa, e davanti gli occhi esterrefatti di tutti venne risucchiata in
un vortice di luce di irresistibile e mistica suggestione.
E la mossa della Sorte dichiarò patta la prima
delle lunghe partite.
« Sembra che la partita sia stata di tuo
gradimento, Mavis.»
« Era da tanto che non mi divertivo così.»
« Presto s’incontreranno.»
« Allora è meglio prepararci per una nuova
partita, neh Zeref?»
Per l’uomo tormentato che sogna ancora e
che soffre,
dai Cieli spirituali l’irraggiungibile
azzurro s’apre
e
sprofonda con l’attrattiva dell’abisso.
(Da
i Fiori del Male, L’alba spirituale – C. Baudelaire)
Carry
on: vai avanti
1 Shukakosai: Harvest Festival,
ovvero è il “festival della raccolta”. È il festival durante la quale si svolge
la saga di Laxus (viene citato dal volume 13,
capitolo 106, in poi)
2 Nidhafjoll: “Monti dell’oscurità”. Catena montuosa protetta
da nebbie impenetrabili, presente nella mitologia nordica.
Note Autore
– Se siete riusciti a leggere anche questo capitolo, beh, mi
sorprendete: ancora un grande applauso
per voi, che non avete aperto la pagina e richiusa all’istante.
– Per chi si stesse chiedendo ma
che diavolo è successo a Lucy, cosa significhino le ultime battute, o come diavolo scrive sta idiota: tranquilli
che il prossimo si riapre proprio con Lucy che cerca di capirci qualcosa (si
apre proprio con l’incontro tra Natsu e
Lucy!); per le battute finali ci sarà molto tempo per capirle; lo so che
scrivo in modo incomprensibile anche a Dio, e che sono un po’ troppo aulica, ma
abbiate pietà della mia anima, please!
– Mi è stato chiesto perché le citazioni a fine capitolo e
non ad inizio: è nel mio stile, sono una che va controcorrente, diciamo… che
preferisco lasciare il lettore con
Baudelaire piuttosto che farlo iniziare:
inizia con le tue parole e chiudi con
quelle della storia. A tal proposito, anche “L’alba Spirituale è sempre
della sezione Spleen et Ideal. Vi consiglio caldamente di leggerla ♥
– Negli scacchi le semplici
pedine hanno un’abilità speciale: se
raggiungono l’altro lato della scacchiera possono essere scambiati con un
qualsiasi altro pezzo degli scacchi, in genere si sceglie la Regina perché è il
pezzo più potente, in quanto si può muovere in qualsiasi direzione.
– Ringrazio forever and ever la mia beta
Joy93, aka Letizia, sempre amabile, gentile,
schietta e disponibile ♥
– Ringrazio anche chi mi ha
fatto gli auguri per genetica molecolare: per essere qui a postare e non a
studiare vuol dire che è andata bene ♥
(alla faccia di alcuni miei parenti che sono serpenti in seno!)
– Ringrazio chi vorrà leggere e farmi sapere nel bene e nel
male cosa ne pensa (le critiche, se costruttive, sono sempre gradite), e chi
legge e tace.
– Il prossimo capitolo quando?
Beh, I don’t know… comunque
non vi farò aspettare molto, cioè dipende se volete che continui, se no vado a
coltivare rape, bietole e rabarbari… o a pascolare. Sì, avete capito bene, non
a guidare il pascolo ma integrarmi in questo. LOL
Al prossimo capitolo!
Baci,
Giorgia