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Autore: nephylim88    20/02/2013    1 recensioni
Charlie è una ragazza di diciassette anni perseguitata da un incubo. Cosa si nasconde dietro alla morte misteriosa del suo fratellino? Cos'è quella presenza misteriosa che sembra incombere sulla sua famiglia? O è semplicemente impazzita?
In questa storia ho un po' modificato il folklore sui vampiri. Spero che vi piaccia comunque! Buona lettura!
Genere: Dark, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“NOOOOOOOOOO!” urlò. Urlò e urlò. Spalancò gli occhi. Poi scoppiò a piangere. Non ne poteva davvero più, le fantomatiche gocce naturali non avevano funzionato. Anzi, ora aveva una nausea terrificante. Cosa diavolo doveva fare per dormire una notte filata?

Lasciò che le lacrime scorressero sul suo viso, continuando a singhiozzare piano. Guardò l'ora sulla sua radiosveglia. Le tre e mezza. La porta della sua stanza si spalancò.

“Papà!” esclamò, mettendosi a sedere. Suo padre si stagliava sulla soglia, visibilmente preoccupato.

“Tutto bene, tesoro?” le si avvicinò.

“Sì, più o meno.” si rimise distesa.

“Non hai preso le gocce?”

“Sì, che le ho prese...”

“Non hanno funzionato, eh?”

“No. Dovrò chiederne di più forti, la prossima volta.”

Suo padre fece un mezzo sorriso di comprensione, mentre si sedeva sul bordo del suo letto. Charlie lo guardò, pensando che era da un po' che non parlava con lui. Lo osservò attentamente. Si assomigliavano tantissimo, avevano gli stessi occhi verdi, gli stessi capelli rossi e mossi e lo stesso naso cosparso di lentiggini.

“Sai” disse suo padre, all'improvviso “ne ho parlato con tua madre, ieri sera. Forse è il caso che tu stia a casa, domani.

“Lo farei volentieri, papà, ma devo consegnare ed esporre la relazione sulla caccia alle streghe.”

“Puoi consegnarla un'altra volta! Hai i nervi a pezzi!”

“Non posso, papà. La Rodolfi mi ammazzerebbe...”

“S'impicchi anche la Rodolfi, dannazione! Scriverò io una giustificazione, e se non le basta vado filato dal preside!”

Charlie sorrise, un po' sorpresa dalla reazione di suo padre, sempre così calmo e compito.

“Ok, papà. Starò a casa.” le spalle di suo padre si rilassarono. Le diede una scompigliata ai capelli, come faceva sempre quando era piccola. Poi si alzò.

“Dai, meglio se torniamo a dormire. Buonanotte, tesoro.”

“Buonanotte, papà. Grazie.”

Suo padre le sorrise, poi se ne andò, chiudendo la porta dietro di sé. Charlie si girò nel letto. Poi si rese conto che qualcosa non quadrava. “Papà, sei ancora qui?” chiese, mentre si rigirava verso la porta della stanza. Ma non c'era nessuno. Perplessa, si alzò in piedi e andò ad aprire la porta. In corridoio non c'era nessuno, e sentiva i suoi russare piano nella loro stanza dall'altra parte del pianerottolo. A quel punto si girò verso il suo letto, ma il suo sguardo si fermò sulla finestra alla sua destra. Quello che vide la terrorizzò...

 

“Penso che la Rodolfi ti avrebbe volentieri ucciso, oggi, se fossi stata a scuola! La prima cosa che ha fatto, appena entrata in classe, è stato dire 'Carlotta Bianchi esca fuori a esporre la sua relazione!'! Pensa, non ha neanche fatto l'appello!”

“D'altra parte, se ci fossi stata, non avrebbe avuto motivo di arrabbiarsi, visto che la relazione l'avevo fatta.”

Era pomeriggio. Gin era andata a trovarla per studiare insieme. Charlie le era immensamente grata per la sua compagnia, non aveva per niente voglia di starsene da sola. Sua madre era al lavoro, così come suo padre. E dopo quella terribile nottata...

“Giusto anche questo!” rispose allegramente Gin “Beh, comunque, quando le ho fatto notare che eri assente, ha fatto la sua migliore faccia da 'e te pareva?'. Al che le ho spiegato, con Giulia e il cretino come testimoni, che ieri eri stata male, che stai passando un momentaccio e che la stessa vicepreside ti aveva consigliato di riposarti per un giorno o due.”

“Ma se la vicepreside non mi ha detto proprio niente!” Dio, quanto suonava forzata, la sua risata!

“Sì, ma volevo che tacesse una volta per tutte, così ho provato a indorarle un po' la pillola!”

“Ed è servito?”

“Sè, magari! Ha detto che sei solo una mocciosa viziata in cerca di attenzioni. E io le ho detto in termini gentili che doveva mettersi nei tuoi panni, che non deve essere semplice per te ritrovarsi un problema così invalidante come gli attacchi di panico!”

Charlie sollevò un sopracciglio, scettica. Conosceva Gin troppo bene.

“D'accordo!” rettificò lei “ho perso la pazienza e le ho detto che è una stronza senza un briciolo di cuore, tutta presa dai suoi cocchi per accorgersi di quando uno studente sta male sul serio. Il che mi ha portato ad avere uno scambio di opinioni con la vicepreside!”

“Non con il preside?”

“Beh, dovevo andarci, ma non ho capito se non c'era, o se semplicemente era impegnato, fatto sta che è stata la vicepreside a intercettarmi e a farmi la lavata di capo.”

“E che cosa ti ha detto?” Nonostante la stanchezza e la paura, adesso era davvero curiosa: se Gin era lì, voleva dire che l'aveva passata liscia. Come aveva fatto?

“Le solite palle sul fatto che non devo mancare di rispetto ai miei insegnanti, e blablabla... dopodiché mi ha detto che 'per questa volta passi, ma la prossima chiamiamo i genitori e verrai sospesa!'. Così sono tornata in classe. E la questione è morta lì.”

“Ah...”

“Piuttosto, non mi hai ancora spiegato bene cosa ti ha detto lo psichiatra. Ieri sei stata molto vaga.”

“Perché non c'è molto da dire, davvero. Abbiamo parlato del sogno, di mamma e papà, e poi mi ha prescritto delle gocce per dormire.”

“E hanno funzionato?”

“No. E per di più ho una nausea tremenda, ho dovuto masticare cracker tutto il giorno perché mi passasse. E bere infuso di menta a litri.”

“è per questo che sei così sconvolta? Per tutte le volte in cui ti ho vista andare al bagno?”

“No.”

Calò il silenzio.

“Me ne vuoi parlare?” la voce di Gin era dolce, come sempre quando tentava di rassicurarla.

Charlie esitò. Si guardarono negli occhi. Poi Charlie disse “D'accordo.”

Respirò a fondo.

“Quello che sto per raccontarti” esordì “è segreto. Nessuno lo sa, non l'ho raccontato neanche allo psichiatra. Vedi...” e le raccontò della serata a casa della zia, della presenza che aveva avvertito nella stanza di Jonny, del terrore che aveva provato. Gin la ascoltò in silenzio, gli occhi spalancati dallo stupore.

“Ma” disse, quando Charlie ebbe finito di raccontarle “non potresti esserti suggestionata per il fatto che eri a casa da sola con un bambino piccolo?”

“Non lo escludo a priori. Anzi, vorrei tanto che fosse così! Ma devo tenere conto dei fatti. Altre volte mi sono spaventata, ma mai così. Buon Dio, ero sicurissima che ci fosse qualcuno in camera di Jonny, e non mi era mai capitata una certezza così matematica! Senza contare che, insomma, è da undici anni che sono figlia unica! È capitato molto spesso che stessi a casa da sola, ormai ci sono abituata!”

“Ok, ok... ma c'è dell'altro, vero?”

“Sì. Sai, ora come ora sarebbe così facile razionalizzare quello che è successo a casa di Jonny. Ma stanotte... stanotte... Cielo, è stato terribile!”

“Cos'è successo?”

“Me lo prometti che resterai comunque mia amica? Per favore, anche se quello che ti dirò risulteranno essere solo i vaneggiamenti di una pazza?”

“Tesoro, certo che sì!” rispose Gin, con slancio.

“Ok. Dunque, dopo il solito incubo, mi sono svegliata. Papà è venuto a vedere come stavo, poi se ne è tornato in camera sua. Io sono rimasta un po' a letto, quando all'improvviso ho avuto la stessa sensazione che mi aveva preso da mia zia. C'era qualcuno, nella stanza. Mi sono alzata per controllare, ma non c'era nessuno. E quando ho fatto per tornare a letto mi ha preso un colpo!”

“Perché?”

“Alla finestra c'era una ragazza.”

“Una ragazza?”

“Sì, una ragazza. Avevo le ginocchia che tremavano dal terrore, te lo giuro!”

“Sicura che non fosse un'allucinazione?”

“Se lo era, allora era molto reale! Volevo gridare, fare qualcosa, ma ero completamente paralizzata dalla paura!”

“Ma come era fatta? Magari aveva le fattezze di una che conoscevi?”

“No, affatto. Era alta e magra, indossava una veste molto lunga, bianca. I suoi occhi erano grandi e malvagi. I suoi capelli erano neri come il carbone, e la pelle era bianca come il latte. Sembrava uscita dall'inferno, come se Satana in persona l'avesse spedita quassù.”

“Cielo!”

“Continuava a sogghignare e a ripetere una specie di litania del tipo 'ulzi diavolo', o qualcosa di simile...”

“Non ha detto altro?”

“Credo che abbia detto qualcosa del tipo 'devono pagare tutti...', poi mi ha guardato e ha borbottato 'dov'è il cacciatore? I suoi figli?', mi guardava e continuava a ripetermi quella domanda...” Charlie singhiozzò.

“Tesoro...”

“Gin, la controfinestra era aperta! La tengo sempre aperta, tanto sono al primo piano, in un punto dove difficilmente chiunque può arrampicarsi per arrivare da me! Ma la finestra era chiusa, e lei era dentro la mia stanza, e faceva un freddo cane! Senza contare che di colpo ho notato che quella ragazza non proiettava nessuna ombra sul pavimento! Dove doveva esserci la sua ombra, c'era solo la luce della luna! E a quel punto mi sono pisciata addosso dalla paura! Letteralmente, mi sono fatta la pipì addosso, come una poppante! Ero terrorizzata e ho sentito del liquido caldo scorrermi lungo la gamba e...”

“Sh, sh, sh...” Gin la strinse fra le braccia, cullandola come una bambina piccola. Charlie singhiozzò disperatamente per un pezzo.

“E poi com'è andata?” Chiese Gin, dopo che Charlie si fu calmata.

“Mi sono coperta gli occhi con le mani, istintivamente. E quando le ho tolte, lei era sparita.”

Calò il silenzio. Charlie era quasi sollevata. Quasi, però. Aveva compiuto un gesto che secondo lei era estremo: cosa sarebbe cambiato tra lei e Gin?

“Allora? Che ne pensi?” azzardò, quando il silenzio diventò intollerabile.

Gin sospirò. Gran brutto segno.

“Senti, sei proprio sicura di quello che hai visto? Non è che magari stessi sognando?”

“Non lo so. Io sono abbastanza convinta che quello che ho visto sia reale.”

“Appunto, abbastanza. Tesoro, sei solo sotto stress! In fondo dormi poche ore per notte, e volte può succedere che si abbiano allucinazioni per questo motivo!”

Forse era la stanchezza, ma Charlie sentì il risentimento covarle dentro. Come si permetteva di trattarla con sufficienza? Con la sua presunta anoressia, lei non aveva fatto altro che starle vicino, difenderla da tutte le prese in giro dei compagni, e certe volte anche dall'attacco dei professori. E ora la trattava come una malata di mente???

“Da quando” sbottò, velenosa “sei un'esperta di disturbi del sonno??”

Gin la guardò, sorpresa. Poi lo sguardo le si indurì. “Scusami, se tento di mettere le cose nella loro luce migliore! Scusa tanto!” fece per voltarsi.

“No, Gin, aspetta!” la voce di Charlie riecheggiò più acuta del solito. Gin si bloccò.

“Senti” fece Charlie “Mi spiace, davvero! Questi sogni, visioni, quello che è, mi rendono estremamente nervosa. Non volevo risponderti male, davvero.”

“Sì, lo so.”

“Ma ti prego di credermi, quando ti dico che quella ragazza non era un'allucinazione!”

“E allora cos'era?”

“Non ne ho la più pallida idea. Ma non era un'allucinazione! Un'allucinazione non fa calare la temperatura, non ti fa pisciare addosso, non parla!”

Ancora silenzio.

“Facciamo così” disse Gin dopo un po' “Io continuo a non credere alla tua versione. Ma resto aperta ad altre possibilità. D'accordo? Allucinazione fino a prova contraria!”

“Grazie Gin. Cercherò di scoprire cosa sta succedendo.”

“E io ti aiuterò come posso.”

Si sorrisero.

“Ragazze?” la voce di Elisa le fece sobbalzare.

“Sì, mamma?” gridò Charlie in risposta.

“Ciao Elisa!”

“Ginevra! Ciao cara! Era da un po' che non ti vedevo! Ti fermi a cena?”

“Ecco... non saprei! Non vorrei disturbare!

“Se disturbassi, non te lo chiederei!”

“Dai, Gin! Non farti pregare!” Intervenne Charlie.

“Cosa prevederebbe, il menu?”

“Burritos e insalata di guacamole e pomodorini!” sorrise Elisa.

“Messicano! Quand'è così...” Gin fece un gran sorriso e andò a telefonare a casa.

  
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