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Autore: Kwassakwassasisa    20/02/2013    0 recensioni
Una ragazza, la sua grande fantasia e un ragazzo misterioso.
Sotto c'è qualcosa di losco, che Isabel non riesce a scoprire.
Una trama semplice, che rivela davvero poco.
I hope you enjoy.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Savior or Stalker?




Come al solito vado a dormire tardi e la mattina mi butto giù dal letto mezza morta. Mi pettino distrattamente i capelli e noto che se ne vanno via un bel po’. Mi chiedo come sia possibile che abbia ancora capelli in testa, se ogni volta ne perdo così tanti. Come se non bastasse, non mi trucco per niente e non faccio niente per rendermi almeno un po’ carina. Sono un disastro acqua e sapone. Ecco cosa sono. Tutte le mie amiche sono tutte carine e bambolizzate, e io per poco non mi faccio crescere il monociglio. Forse non mi piace guardarmi allo specchio e ci sto lontana il più possibile. Ma penso che la verità è che sono troppo pigra e fino a poco tempo fa non avevo nessuno per cui curarmi. Nel senso che se non ho nessuno a cui pensare, non mi frega un cazzo di come mi vesto o mi concio. Ma se qualcuno m’interessa, beh  allora cerco in qualche modo di non sembrare troppo sfigata.
Si torna a scuola e so già che quest’anno sarà un completo fallimento. Forse anche peggio dell’anno scorso perché i miei compagni sanno già chi sono e possono sfottermi meglio. Ma non me ne frega molto.
Nel bus del ritorno, mi siedo ad un posto singolo e dietro di me una ragazza che dovrebbe avere più o meno la mia età, tiene la musica alta con il telefono, così da far sentire a tutti la sua magnifica musica di merda. La parola giusta è egocentrismo. Come se non bastasse, è anche un po’ matta. Decisamente matta. Inizia a parlare da sola e a giudicare ad alta voce tutte le persone che le passano sottocchio per poi continuare a canticchiare la sua canzone commerciale. << Che schifo un nero e una bianca insieme.. >> dice.
<< Che schifo un nero e basta. Uh, ma quanto sei brutta. Eh, ridi ridi tu. >> dice rivolgendosi ai passanti che ovviamente e fortunatamente non la sentono. Io mi è porto una mano alla tempia e mi affretto a scendere. Quella ragazza era completamente andata. Un po’ mi dispiace perché ha la mia stessa età, un po’ provo pena per lei, che neanche se ne rende conto. I media, gli amici, la generazione di oggi l’hanno demolita completamente. Si è lasciata risucchiare da ogni più piccola parte di essi e adesso non ne rimane più niente della sua personalità. Rimane solo una ragazza con qualche rotella fuori posto, pronta a finire in un istituto psichiatrico, ammesso che ne esistano qui a Downtown.
Ehi, ehi… Ma anche io sono così. Sono completamente dipendente da internet e dal computer, questo significa che anche io perderò tutto? La mia salute mentale è a rischio? No, no, no…. Non voglio che la gente mi guardi con sguardo pietoso come guardavano quella lì. Devo smetterla prima che sia troppo tardi. E ora come ora, l’unico modo per farlo è quello di buttarmi a capofitto su qualcos’altro. E penso che anche se sia assurdamente banale e stupido, devo concentrarmi su Alexander, perché lui è la realtà. E’ l’unica mia via di fuga e devo sfruttarla il più possibile per togliermi dalla testa il mio mondo delle favole e delle coppie perfette che mi sono costruita virtualmente.
 
Mamma si ostina a portarmi dalla signorina Russo.  Dico alla giovane psicologa dei miei desideri di cambiamento e lei mi dice che la volontà è già un grande passo. Poi mi dice che se proprio dovesse andare male, dovrei tentare di spostare la mia attenzione su ancora qualcos’altro.
Mi guarda da sotto ai suoi occhiali rettangolari e dice << Ti sei mai toccata, Isabel..? >>
Io sento di arrossire all’improvviso. Certo che no. Quella è zona privata. Non si tocca. Non tocco io e non tocca nessuno. Allora scuoto velocemente il capo.
<< Dovresti provare. Scoprirai un nuovo piacere che nessun’altra cosa ti darà, tranne che il sesso vero e proprio ovviamente… Non avere paura. >> mi dice, appena nota che indietreggio sul divano per poi alzarmi.
<< Penso che sia ora di andare. >>
<< Oh, dai non esagerare. Era solo un consiglio, sono qui per aiutarti, non per farti scappare ancora più complessata. Devi aprirti di più a te stessa. Esplorati. >>
E’ l’ultima cosa che sento perché decido di lasciare lo studio e di tornare a casa. Infondo la seduta sarebbe finita a momenti e mamma non può dirmi niente.
Nell’ascensore del mio palazzo, la mia mente vaga qua e là fino a pensare che forse, se fosse Alexander a toccarmi, la cosa non mi dispiacerebbe…AH, ma a cosa vado a pensare! Sono una persona schifosa. Mi schiaffeggio prima che le porte si aprano e sgattaiolo dentro casa.

Il pomeriggio c’è lui e non so come comportarmi. Cos’è che siamo diventati, il giorno in cui mi ha baciata e abbracciata di fronte al nostro ultimo segno lasciato sul muro della città? Cos’è che siamo diventati dopo che mi ha rassicurato dicendomi che la Downtown non sarebbe più stata un luogo triste per me?  Ovviamente non è che posso presentarmi con la faccia cazzona di quella che si crede di aver già vinto il suo magnifico amore. Bisogna essere discreti, tranquilli. Come se nulla fosse mai accaduto.
Lui mi guarda e senza che io possa avere il tempo di fare la mia bella espressione della finta tonta, mi abbraccia e mi da dei baci sulle guance. Io arrossisco e appena mi separo da lui abbasso lo sguardo sul terreno. Poi chiedo:  << Perché io? >>
<< Perché so che posso salvarti. >>
<< Non hai nulla da salvare. >>
<< Lo sai che non è così. >>
<< Ma tu cosa ne sai di ciò che ho bisogno o no? Io non ti ho mai visto in vita mia, ma sembra che tu mi conosca da sempre o che ancora peggio, tu riesca a leggermi nel pensiero! >>
<> ridacchia e io gli do un pugno non troppo forte nella pancia e sbotto dicendo << vaffanculo!  >> e come in ogni rispettabile film americano, mi prende per il braccio con una certa decisione e centra le mie labbra in pieno con le sue. Io emetto dei lamenti e dei mugolii per cercare di liberarmi e alla fine riesco a spingerlo via. Adesso ha le labbra più vivide di prima.
<< Che cosa sei tu? Chi sei? >>
<< Sono Alexander, il tuo nuovo vicino di casa. E se lo vorrai anche il tuo ragazzo e salvatore.  Un po’ come nelle storie che scrivi o quelle che sogni. >>
<< Ma che cazz… Tu sei un fottuto stalker. >> e la cosa mi spaventa quasi quanto all’inizio. Ma perché questo matto deve essere così bello?
Deglutisco e lui mi accarezza i capelli. Poi recita un verso di una storia scritta da me:
<< Prese una delle sue splendide ciocche corvine tra le dita e le accarezzò tra di loro. Come se volesse che anche le sue dita la baciassero. >>
<>
<< Questo è perché hai bisogno di me. Sei una sfruttatrice. >> ridacchia tra sé e sé.
<< Io non sfrutto un bel cazzo. Fanculo, me ne vado. >> dico girandomi e lui torna serio.
<< Aspetta, dobbiamo montare il video. >>
<< Montatelo da solo >> sbuffo e fuggo.

Sa troppo. E ho paura. E non so niente di lui. Ed è troppo arrogante nel sbatacchiarmi in faccia tutte quelle cose riservate su di me. Ci scommetto che sa anche che non mi sono mai toccata. Ma forse è solo molto perspicace e qualcosa l’ha letta davvero. Era curioso e si è documentato. Infondo le mie storie le ho pubblicate alla vista di chiunque. Ma le supposizioni non bastano. Devo verificare ma non so come.
Il giorno dopo, decido di andare a casa sua. Di autoinvitarmi. In realtà spero che lui non ci sia così magari posso fare una chiacchierata con il padre per capire qualcosa in più.
Busso alla porta ma nessuno risponde. Magari il padre non è capace di aprire la porta, daltronde Alexander mi disse che era malato, o qualcosa del genere. Sto per andarmene, quando sento il tocco deciso di due mani sulle mie spalle. Spalanco gli occhi e mi giro in un sobbalzo, con il cuore a mille.
<< Qual buon vento? >> dice lui.
<< Vaffanculo,  per poco non mi veniva un infar.. to.. >> dico quasi con affanno e farfuglio perché come tutti, quando sono spaventata, non riesco a mettere in ordine le parole, le lettere e mi ci vuole un po’ più tempo.
<< Scusa. >> dice facendosi serio e sembra davvero dispiaciuto. Ma probabilmente quelle scuse non sono solo per avermi fatto prendere un colpo.
<< Non posso sopportare il fatto che tu sappia tutte quelle cose su di me… >> riesco a dire, ma lui mi zittisce con un indice e mi abbraccia accarezzandomi il capo.
<< Shh… Non ha importanza… Tutto quello che so e che non so non ha importanza… Ciò che conta sei tu e tu devi fidarti di me.. Solo questo, e saremo felici entrambi.  Insieme. >>

Le sue parole calde mi vengono soffiate all’orecchio e mi costa tantissimo non ridere come una scema per via del sottile solletico che provoca. Ma resisto per non rompere la bellezza di quell’attimo. Le sue parole sono rassicuranti e tra le sue braccia mi sento come se fossi accolta in una casa che non ho mai avuto. Perché sono così scrupolosa? Che importa se sa chi sono, cosa faccio, cosa mi piace, cosa odio? Sono cose che probabilmente gli avrei detto ugualmente. Basta. Lui è quello che mi rimane, e non posso farmi sfuggire questa occasione.
Mi stringo a lui in quell’abbraccio e mormoro << Ci sto. >>

Ci siamo solo io e lui, seduti sul tetto del palazzo, con le gambe a penzoloni su una quarantina di metri da terra. Senza paura gli stringo la mano e poggio il capo sulla sua spalla. Come se nulla fosse, fantastichiamo come le coppie dei film guardando la città dall’alto.
<< Sembra così piccola la Downtown, da qui sopra. >> dico sorridendo appena.
<< Non è piccola, sei tu che sei grande, immensa. >> e io arrossisco.
<< Evitale queste uscite.. >>  dico ridacchiando evidentemente imbarazzata. Ma fortunatamente lui cambia argomento.
<< Stavo pensando che un giorno cambierò casa di nuovo. E magari ce ne andiamo dalla Downtown una volta per tutte. >>
<< “Andiamo”? >> chiedo alzando un sopracciglio perplessa.
<< Io e te. >>
<< E tuo padre? >> lui tace per qualche istante e poi dice:<< Lo mollo in qualche casa di riposo. Oramai non è rimasto più niente di lui. E’ solo un ammasso di fragili ossa. Dovrò solo trovare un lavoro per mantenerlo. E intanto andremo a vivere insieme. >>
<< Andiamo.. Smettila.. Non dire queste cose… >> mi mostro contrariata eppure sono incredibilmente entusiasta alla sola idea. Questa città mi opprime, la criminalità è troppa e non puoi mai sentirti al sicuro. Io stessa mi porto sempre in tasca un coltellino nel caso in cui dovessi difendermi.
<< Davvero. Lo faremo, un giorno. >> sorride e mi bacia sulla guancia. << Lo prometto. >>
   
 
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