Pioveva ininterrottamente da
due giorni e il muro sudava umidità, pensava la vecchia Lou guardando la
macchia allargarsi verdastra e minacciosa sul soffitto della sua catapecchia.
Ci fosse stato ancora Jack avrebbe
sistemato tutto quanto, ma ormai dovevano essere passati più di vent’anni,
dacchè era schiattato. Il cuore matto. O il lavoro dei campi. O tutte le
porcherie che tracannava, perché no.
Diventava cattivo, Jack, quando beveva. La picchiava, se la prendeva con lei
quando l’arrosto veniva troppo cotto e le patate troppo crude, e le rinfacciava
cose da pazzi, di essere una donna da niente, di non essere stata neppure
capace a far figli. Forse la vita sarebbe stata diversa, con un paio di
marmocchi da crescere. Meno cattiva e meno vuota. Lui non avrebbe sentito il
bisogno di attaccarsi alla maledetta bottiglia, lei avrebbe avuto qualcuno che
si prendesse cura dei suoi acciacchi e della sua vecchiaia, ma era andata
com’era andata, qualcosa s’era rotta dentro il cuore di Jack, la notte che
Melody non riusciva a sgravarsi del vitellino e pioveva che Dio la mandava,
tale e quale come quella sera.
Vent’anni. Vent’anni che stava lì da sola, in quella bicocca che nessuno
era più in grado di riparare e che, prima o poi, le sarebbe crollata sulla testa. Erano venuti, gli assistenti
sociali, dannati rompiballe. E se
n’erano andati, quando lei gli aveva puntato contro il fucile carico.
Non è
possibile vivere così, alle soglie del
Duemila, in una baracca senza luce, senza telefono, senza niente, senza neppure
l’acqua che bisognava spaccarsi le braccia a pompare su dal pozzo, un secchio
alla volta. Se n’erano andati ed erano tornati, gli assistenti sociali,
per cercare di portarla via e di
rinchiuderla in qualcuno di quegli orribili cimiteri per vivi dove non manca
nulla e si vegeta aspettando di crepare, così come si aspetta il proprio turno
per pisciare davanti al cesso della
stazione. Non è possibile vivere così...Per quanto ancora? Beveva, anche lei,
peggio d’una spugna. E aveva la faccia che sembrava una di quelle mele gialle e
vizze, ma settantacinque anni non erano niente, per la razzaccia dei Culvert, che avevano il cuore
a prova di bomba. Sua madre era morta a oltre novant’anni, suo padre quasi a
cento. I Culvert non avevano il cuore dei Brown, di suo marito, spompato come
un vecchio diesel. E avevano la testa di legno e un coraggio da leoni. In
quanto a lei, non sarebbero stati quelli del servizio sociale a sloggiarla da
casa sua per rinchiuderla in un maledetto ospizio. Li avrebbe fatti scappare a
gambe levate, se si fossero presentati un’altra volta, prima di aprire bocca
per sciorinarle la solita solfa “non può starsene tutta sola in un posto come
questo, all’età che ha”.Gente di città. Pappemolle. L’ululato di un coyote, il
lamento di un gufo li avrebbero fatti pisciare sotto dalla paura. Gente di
città che con le mani non è più buona a far niente e che tra un po’ avrebbe
inventato perfino la macchina per pulirsi il culo. Maledetta marmaglia, come
quelli che stavano in paese, ormai lei ci andava solamente per ritirarsi la
pensione, e allora se le guardava ben bene, le
sue coetanee con le facce lisce, le permanenti fresche e le dentiere
nuove di zecca, svergognate, tutte profumate di talco e d’acqua di colonia. I
bambini, piccole carogne, la segnavano a dito e qualche giovinastro, passandole
accanto, faceva l’atto di turarsi il
naso. Il Signore non avrebbe avuto pietà delle loro anime.
- Non è
più una ragazzina, Mrs. Culvert...
Non è più
una ragazzina, è una vecchia rimbambita e, prima o poi, qualche figlio di
puttana le tirerà il collo per portarsi via la sua pensione. La nasconde nel
materasso, vero? O sotto quella mattonella che si muove come gli ultimi denti
che le dondolano in bocca? Sia ragionevole, nonna! Questa bicocca dove vive,
oltre a mancare del necessario, le rovinerà addosso, un giorno o l’altro.
Certi erano arroganti, altri gentili ed educati, e
allora mandarli a quel paese diventava difficile. Come l’ultima, una nera sulla
trentina, una bella donna elegante e truccata. Chissà da dove veniva. Da quelle
parti, neri se n’erano sempre visti pochi. A Jack davano sui nervi, glieli
nominavi e giù bestemmie. Rubavano, a sentir lui. E guardavano le ragazze
bianche con certi occhi che se lui avesse avuto una figlia e qualche negro fottuto
si fosse azzardato a guardarla in quel modo... Lei lo lasciava dire perché, di
come la pensasse, in realtà poco gliene importava.
Ma quella o un’altra, la sostanza dell’affare non
cambiava di una virgola, quelli del servizio sociale sarebbero tornati ancora e le avrebbero tentate tutte per cercare
di convincerla. Ad Adelphi c’era una bella casa, avrebbe avuto compagnia,
assistenza, avrebbe goduto di tutte le comodità, mangiato regolarmente, c’era
la lavanderia, c’era la parrucchiera, c’era il medico, non avrebbe rischiato di
morire d’un colpo apoplettico sola come un cane, o perché le era rovinato il
soffitto sulla testa o ammazzata da qualche balordo che voleva i soldi della
sua pensione. Ognuno nasce col destino già segnato, tanto, e che il suo si chiamasse
crollo del soffitto, colpo apoplettico o balordo imbottito di droga non gliene
importava più di tanto, a settantacinque anni è giusto e normale che l’istinto
di conservazione vada a farsi fottere.
Fuori, tuonava e diluviava come fosse scoppiata l’Apocalisse,
ma lei non era di quelle stupide oche di città che topi e tuoni fan pisciare
sotto dalla paura. Un tetto sopra la testa, benché pericolante, ce l’aveva,
pensò tracannando una lunga sorsata di bourbon cattivo direttamente dalla
bottiglia. Ammazzava i pensieri, aveva ragione la buonanima di Jack. E ne aveva
ammazzati già parecchi se, dopo due giorni che gliel’avevano mandato
dall’emporio, ne aveva già fatto fuori tre quarti abbondanti. Il garzone era un
altro ancora, ricordò, tanto per cambiare non gli duravano, al vecchio
Clemmons. Niente di strano che rubassero, tutti i garzoni degli spacci lo
fanno, e quel Jim, o come diavolo si chiamava, non le era mai piaciuto, coi
suoi capelli tinti d’arancione dritti sulla testa, il giubbotto di cuoio spelacchiato,
i calzoni con gli strappi sulle ginocchia, i denti davanti cariati e l’anello
al naso come un manzo Brahama. Almeno il nuovo era un bel ragazzo dall’aria
ammodo, un nero, sì, ma pulito e rassicurante, con i jeans stirati e la
maglietta fresca di bucato, con quel ridicolo orecchino al lobo anche lui, ma piccolo a momenti
neppure si vedeva.
Si affacciò alla finestra. Era quasi buio, ma il
cielo era rischiarato dal bagliore dei lampi e dalla luna piena che faceva, di
tanto in tanto, capolino tra le nuvole. Le piaceva guardare il temporale, le
era sempre piaciuto.
Jimmy non
sarebbe tornato. Meglio così, sicuramente era della razza di cui le dicevano
gli assistenti sociali per metterle paura.
Avrebbe piovuto per tutta la notte, pensava guardando
il temporale, la capra e le galline avrebbero fatto casino impedendole di
dormire e, la mattina dopo, si sarebbe alzata dal letto col mal di testa e
tutte le ossa rotte. Ad Adelphi, in quella bella casa, avrebbe avuto notti
tranquille e lenzuola pulite. Avrebbe avuto compagnia e assistenza. Andassero
al diavolo tutti quanti.
Il grosso cane nero si muoveva circospetto,
confondendosi con le ombre della notte che stava scendendo sulla campagna
deserta. Camminava basso sulla pancia sferzandosi i fianchi con la lunga coda,
ma come fanno i gatti, non i cani. Un bell’animale, ben nutrito. Sembrava un
labrador, lucido e nero, ma con piedi
stranamente grossi, per un cane e piccole orecchie mobili e dritte sulla testa
anziché pendenti come quelle di tutti quanti i labrador, ma forse, pensava Lou,
era solo uno scherzo del buio, dell’alcol e dei suoi occhi che non funzionavano
più bene come una volta. Quei bastardi di città non avevano mai smesso con
l’abitudine dannata di scaricare in campagna i loro cani che crescevano troppo,
mangiavano come lupi e non venivano accettati negli alberghi delle vacanze. E
loro si arrangiavano come potevano, pensò la vecchia caricando il fucile.
Quella bestiaccia poteva attaccare le galline, poteva sgozzare la capra. Anzi,
grosso com’era, avrebbe potuto abbattere un bue. Eppoi c’era la rabbia, nei
boschi lì attorno.
- Adesso
t’aggiusto io, cagnaccio...
Socchiuse
la finestra, puntò il fucile contro la sagoma scura che si distingueva appena,
illuminata a sprazzi dalla luce dei lampi e dalla luna che di tanto in tanto
faceva capolino tra il nero delle nuvole.
Non doveva mancarlo. Jack le aveva insegnato a tirare, tanto tempo prima, quando ancora ci vedeva bene e le mani non le tremavano. In campagna serve, anche ai bambini, anche alle donne, se non altro per tenere a bada coyote e cani randagi. Perché quello, com’era vero Iddio, lo era, un grosso fetente bastardo affamato, ci avrebbe scommesso l’osso del collo.
Una
folata di vento penetrò, gelida, attraverso la finestra socchiusa, portandosi
appresso uno scroscio d’acqua, mentre un fulmine squarciò il nero del cielo.
Dove si era nascosta, la fottuta luna? Si chiamava eclissi, o qualcosa del
genere, quello che succedeva quando la luna andava a nascondersi, c’era scritto
su tutti i dannati libri di scuola dei bambini, ed era proprio lì sopra che
doveva averla letta, quella parola, un sacco di tempo prima. Sparò. Con un balzo, l’animale corse a rifugiarsi in
mezzo a un boschetto di querce, gnaulando come un dannato, come mai aveva
sentito fare da qualsivoglia animale di questa terra e non dell’inferno avesse
mai visto e conosciuto.
-
Signore Iddio Misericordioso...
Le
avevano insegnato che è peccato, nominare invano il nome di Dio. Ma a chi
avrebbe potuto chiedere aiuto, domandare una risposta? Ad Adelphi sarebbe stata
al sicuro anche da quello, pensò lasciandosi cadere sulla vecchia poltrona, il
fucile stretto tra le mani come un talismano contro la malasorte. C’era puzza,
dentro casa sua. Odore di fango e d’erba marcia. Odore vecchio di sporcizia
d’umido e di muffa, odore di vestiti sporchi, di pelle mal lavata e
d’abbandono. Odori a cui aveva fatto il naso. Ma quello che il vento aveva
cacciato nella stanza era diverso: un tanfo acre e selvatico, che le riportò alla
memoria ricordi vecchi di anni. Ne aveva al massimo diciassette, allora, e
faceva all’amore con Jack di nascosto dai suoi. Quel giorno, erano scesi in
città a vedere il circo e vicino alla gabbia dei leoni c’era quella stessa
identica puzza, la ricordava come fosse stato il giorno prima. Ma se avesse parlato l’avrebbero presa per matta,
probabilmente avrebbero trovato la scusa buona per rinchiuderla. Nel suo
destino, non c’era un colpo apoplettico o il crollo del soffitto e neppure un
balordo imbottito di droga e disposto a tutto. C’era dell’altro. Ma, a settantacinque anni, è giusto e
normale che l’istinto di conservazione vada a farsi fottere.