II
Di nuovo in
Rue de l’Homme-Armè
Tocca adesso
dire cosa aveva fatto Jean Valjean da quando si era
accorto che Javert non era più sotto la sua porta.
Il suo primo
moto era stato di sollievo, ma non era durato a lungo: aveva pensato subito che
probabilmente l’ispettore di polizia era andato a chiamare dei rinforzi e ciò
gli aveva causato una certa amarezza poiché significava che Javert
non aveva in lui la minima fiducia nonostante gli avesse fatto capire
chiaramente che non intendeva opporre resistenza.
Comunque,
non sapendo quando aspettare che tornassero a prenderlo, decise di dedicarsi a
finire in fretta alcune cose di cui, una volta in prigione, non avrebbe certo
potuto occuparsi.
Scrisse due
lettere, una a Cosette in cui le spiegava che l’amava con tutto il suo cuore, e
che proprio perché l’amava era giunto il momento di separarsi.
Non accennò
ai motivi della separazione perché non voleva che Cosette sapesse del suo
passato di galeotto, né voleva che lo sapessero gli altri per parlar male di
lei.
La seconda
lettera era per Marius Pontmercy.
Gli affidava sua figlia Cosette e la sua dote, ed aggiungeva che si aspettava
che lui trattasse con pari riguardo l’una e l’altra.
Marius gli era
sembrato un bravo giovane, e se Cosette aveva scelto lui come futuro marito, Valjean non poteva che esserne felice.
Infine la
cosa che gli doleva di più del tornare in prigione era proprio il non poter
vedere più quella che a tutti gli effetti era diventata sua figlia, ma un
debito è un debito, e Valjean capiva che Cosette
aveva adesso il diritto di vivere la sua vita.
Posò le due
lettere nella sua stanza, sotto uno dei candelieri d’argento che costituivano
le uniche componenti preziose dell’arredamento, poi, indeciso su cosa fare,
andò di nuovo alla finestra che dava su Rue de l’Homme-Armè
per controllare se per caso ci fosse Javert con un
drappello di guardie.
La via era
deserta.
Jean Valjean non riusciva ancora a convincersi che il suo
persecutore fosse sparito così, come inghiottito dalla terra, e tuttavia man
mano che il tempo passava, nella sua mente si faceva strada il pensiero che,
forse, poiché lui aveva fatto a Javert grazia della
vita, quest’ultimo stesse ricambiando il favore rendendogli la sua libertà.
Tuttavia gli
sembrava impossibile, dato il modo abituale di comportarsi dell’Ispettore. Più
probabilmente, si disse, Javert aveva incontrato
qualche altro affare; dopotutto, visti i disordini che c’erano stati, poteva
essere che la cattura di un singolo uomo fosse passata in secondo piano.
Certo,
c’erano quello strano sguardo e quello strano tono con cui l’Ispettore gli
aveva concesso di salire a casa sua, ma quelli potevano voler dire tante cose.
Infine, non
sopportando oltre quella sospensione d’animo, decise di occuparsi in qualche
modo, e scelse di andare a ripulirsi dalle tracce che l’attraversare le fogne
aveva lasciato su di lui, così se fosse tornato in prigione almeno ci sarebbe
entrato con un aspetto dignitoso.
Quando ebbe
finito di rivestirsi era passata più di un ora dalla mezzanotte, ed ancora
nessuno era arrivato dicendo”Aprite, in nome della legge”.
Valjean non
riusciva a capacitarsi.
Dopo che Javert aveva passato più di dieci anni a cercarlo,
possibile che avesse rinunciato?
Prima di
lasciarlo salire glielo aveva detto chiaramente che era sua intenzione
arrestarlo, e allora perché non ricompariva?
Valjean sospirò. In
fondo Javert, con quella sua ossessione per il
rispetto delle regole, gli faceva pena, e
non gli sembrava molto più libero di quanto lui stesso lo fosse stato al bagno
penale di Tolone.
La Legge
aveva messo le catene ad entrambi, ma mentre la catena di Valjean
era quella della fiera che anela a tornare alla sua vita selvaggia, la catena
di Javert era quella del cane da guardia che neanche
si rende conto di essere prigioniero.
Comunque
fosse Valjean continuava ad aspettare. Aveva deciso
di raggiungere un compromesso: poiché era molto stanco avrebbe desiderato
mettersi a letto e riposare, ma poiché appunto non riusciva ancora a
convincersi che Javert avesse rinunciato a lui scelse
una via di mezzo che consisteva nel mettersi sì disteso, ma ancora vestito, di
modo da essere pronto in qualunque momento l’Ispettore fosse venuto a
prelevarlo.
Per un
attimo gli era anche venuto in mente di entrare in camera di Cosette e di
salutarla almeno con un ultima carezza mentre questa dormiva, ma infine non
aveva voluto correre il rischio di svegliarla e di renderle la separazione
ancora più dolorosa.
Si era appena
steso sul letto quando sentì picchiare forte all’uscio al piano di sotto.
“E così
infine è arrivato”
Pensò.
Peccato,
stava quasi per abituarsi all’idea di essere libero.
Si alzò
lentamente e si mise il cappotto, e quando uscì sul pianerottolo sentì per
prima cosa i passi di Javert su per le scale che
scandivano i suoi ultimi attimi di libertà.
Quando
l’Ispettore svoltò l’angolo del pianerottolo si trovarono faccia a faccia.
Javert, ansante
per la salita fatta di corsa, aveva
l’aspetto tirato di un ammalato che si regge in piedi per pura forza di volontà
mentre Valjean era il ritratto della rassegnazione.
:-Ah! Dunque
siete solo, Ispettore? Va bene così. Ecco, come vedete non vi chiedo più
proroghe, ho provveduto a sistemare tutti i miei affari. Arrestatemi-:
C’era, in
quella resa, una dignità sublime, simile a quella di Socrate che accettava la
sua condanna a morte.
Vide che
l’Ispettore di polizia si tastava il soprabito all’altezza del petto e credette
che stesse cercando le manette per incatenarlo.
Valjean fece un
sospiro rassegnato: inutile pretendere, quell’uomo lo considerava e lo avrebbe
sempre considerato un criminale e la cosa, lo abbiamo già detto, lo amareggiava,
tuttavia a guardare meglio Javert non stava cercando
le manette. Le sue dita si impigliavano nel nodo della cravatta e nei bottoni
del colletto mentre tentava di slacciarli entrambi come se avesse bisogno di
respirare più liberamente.
:-Ispettore Javert?-:
Quello, a
sentire il suo nome, si alzò con uno scatto e fissò in viso a Valjean uno sguardo al tempo stesso atterrito,
supplichevole e feroce, poi davvero il respiro non gli bastò più e cadde a
terra svenuto.
Valjean riuscì ad
afferrarlo per le spalle appena prima che battesse a terra la testa.
“E adesso?
Che ne faccio di quest’uomo?”
Gli tastò il
polso e batteva, il respiro era debole ma presente, e, poiché non c’erano
tracce di sangue, non doveva essere ferito.
“Ha bisogno
di aiuto. Che strano il destino, a lasciarlo per due volte così inerme nelle
mie mani”
A quel punto
gli restava un’unica cosa da fare: con tutta la delicatezza di cui era capace,
lo sollevò da terra come aveva fatto poche ore prima con Marius
e rientrò in casa portandolo in braccio.
C’era,
nell’abbandono del corpo di Javert e nello sguardo
pacato di Valjean, qualche cosa che ricordava la
tenerezza di una Pietà.
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Cantuccio dell’Autore
Ben trenta
persone hanno già letto il primo capitolo! Grazie a voi, trenta anonimi!
Makoto