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Autore: Smeralda Elesar    21/02/2013    1 recensioni
Questa fiction è una What-if incentrata sul personaggio dell'Ispettore Javert subito dopo la sua decisione di lasciare libero Jean Valjean, dopo che questi gli aveva salvato la vita alle barricate. Ne "les Miserables" il Libro Secondo della parte quinta si conclude con il suicidio dell'Ispettore di polizia, questa fiction è un ipotetico terzo libro in cui si racconta cosa avrebbe fatto Javert se le sue riflessioni non lo avessero spinto a gettarsi dal Ponte Notre Dame.
Dal testo-
Quando Valjean aveva detto “perdono” quella parola aveva vibrato dentro di lui in tutta la sua luce.
Proprio come quando una gelida lastra di vetro investita da un getto di acqua bollente si spacca in mille pezzi, così quella parte dell’animo di Javert che ancora resisteva al cambiamento, quella che era ancora severa e sorda alla pietà, a contatto con il calore umano di quella parola, si spezzò di schianto ed egli crollò su se stesso gemendo :-Ah! Sono un miserabile!-:
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Javert, Jean Valjean
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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II

 

Di nuovo in Rue de l’Homme-Armè

 

Tocca adesso dire cosa aveva fatto Jean Valjean da quando si era accorto che Javert non era più sotto la sua porta.

Il suo primo moto era stato di sollievo, ma non era durato a lungo: aveva pensato subito che probabilmente l’ispettore di polizia era andato a chiamare dei rinforzi e ciò gli aveva causato una certa amarezza poiché significava che Javert non aveva in lui la minima fiducia nonostante gli avesse fatto capire chiaramente che non intendeva opporre resistenza.

Comunque, non sapendo quando aspettare che tornassero a prenderlo, decise di dedicarsi a finire in fretta alcune cose di cui, una volta in prigione, non avrebbe certo potuto occuparsi.

Scrisse due lettere, una a Cosette in cui le spiegava che l’amava con tutto il suo cuore, e che proprio perché l’amava era giunto il momento di separarsi.

Non accennò ai motivi della separazione perché non voleva che Cosette sapesse del suo passato di galeotto, né voleva che lo sapessero gli altri per parlar male di lei.

La seconda lettera era per Marius Pontmercy. Gli affidava sua figlia Cosette e la sua dote, ed aggiungeva che si aspettava che lui trattasse con pari riguardo l’una e l’altra.

Marius gli era sembrato un bravo giovane, e se Cosette aveva scelto lui come futuro marito, Valjean non poteva che esserne felice.

Infine la cosa che gli doleva di più del tornare in prigione era proprio il non poter vedere più quella che a tutti gli effetti era diventata sua figlia, ma un debito è un debito, e Valjean capiva che Cosette aveva adesso il diritto di vivere la sua vita.

Posò le due lettere nella sua stanza, sotto uno dei candelieri d’argento che costituivano le uniche componenti preziose dell’arredamento, poi, indeciso su cosa fare, andò di nuovo alla finestra che dava su Rue de l’Homme-Armè per controllare se per caso ci fosse Javert con un drappello di guardie.

La via era deserta.

Jean Valjean non riusciva ancora a convincersi che il suo persecutore fosse sparito così, come inghiottito dalla terra, e tuttavia man mano che il tempo passava, nella sua mente si faceva strada il pensiero che, forse, poiché lui aveva fatto a Javert grazia della vita, quest’ultimo stesse ricambiando il favore rendendogli la sua libertà.

Tuttavia gli sembrava impossibile, dato il modo abituale di comportarsi dell’Ispettore. Più probabilmente, si disse, Javert aveva incontrato qualche altro affare; dopotutto, visti i disordini che c’erano stati, poteva essere che la cattura di un singolo uomo fosse passata in secondo piano.

Certo, c’erano quello strano sguardo e quello strano tono con cui l’Ispettore gli aveva concesso di salire a casa sua, ma quelli potevano voler dire tante cose.

Infine, non sopportando oltre quella sospensione d’animo, decise di occuparsi in qualche modo, e scelse di andare a ripulirsi dalle tracce che l’attraversare le fogne aveva lasciato su di lui, così se fosse tornato in prigione almeno ci sarebbe entrato con un aspetto dignitoso.

Quando ebbe finito di rivestirsi era passata più di un ora dalla mezzanotte, ed ancora nessuno era arrivato dicendo”Aprite, in nome della legge”.

Valjean non riusciva a capacitarsi.

Dopo che Javert aveva passato più di dieci anni a cercarlo, possibile che avesse rinunciato?

Prima di lasciarlo salire glielo aveva detto chiaramente che era sua intenzione arrestarlo, e allora perché non ricompariva?

Valjean sospirò. In fondo Javert, con quella sua ossessione per il rispetto delle regole,  gli faceva pena, e non gli sembrava molto più libero di quanto lui stesso lo fosse stato al bagno penale di Tolone.

La Legge aveva messo le catene ad entrambi, ma mentre la catena di Valjean era quella della fiera che anela a tornare alla sua vita selvaggia, la catena di Javert era quella del cane da guardia che neanche si rende conto di essere prigioniero.

Comunque fosse Valjean continuava ad aspettare. Aveva deciso di raggiungere un compromesso: poiché era molto stanco avrebbe desiderato mettersi a letto e riposare, ma poiché appunto non riusciva ancora a convincersi che Javert avesse rinunciato a lui scelse una via di mezzo che consisteva nel mettersi sì disteso, ma ancora vestito, di modo da essere pronto in qualunque momento l’Ispettore fosse venuto a prelevarlo.

Per un attimo gli era anche venuto in mente di entrare in camera di Cosette e di salutarla almeno con un ultima carezza mentre questa dormiva, ma infine non aveva voluto correre il rischio di svegliarla e di renderle la separazione ancora più dolorosa.

Si era appena steso sul letto quando sentì picchiare forte all’uscio al piano di sotto.

 

“E così infine è arrivato”

 

Pensò.

Peccato, stava quasi per abituarsi all’idea di essere libero.

Si alzò lentamente e si mise il cappotto, e quando uscì sul pianerottolo sentì per prima cosa i passi di Javert su per le scale che scandivano i suoi ultimi attimi di libertà.

Quando l’Ispettore svoltò l’angolo del pianerottolo si trovarono faccia a faccia.

Javert, ansante per la salita fatta di corsa,  aveva l’aspetto tirato di un ammalato che si regge in piedi per pura forza di volontà mentre Valjean era il ritratto della rassegnazione.

 

:-Ah! Dunque siete solo, Ispettore? Va bene così. Ecco, come vedete non vi chiedo più proroghe, ho provveduto a sistemare tutti i miei affari. Arrestatemi-:

 

C’era, in quella resa, una dignità sublime, simile a quella di Socrate che accettava la sua condanna a morte.

Vide che l’Ispettore di polizia si tastava il soprabito all’altezza del petto e credette che stesse cercando le manette per incatenarlo.

Valjean fece un sospiro rassegnato: inutile pretendere, quell’uomo lo considerava e lo avrebbe sempre considerato un criminale e la cosa, lo abbiamo già detto, lo amareggiava, tuttavia a guardare meglio Javert non stava cercando le manette. Le sue dita si impigliavano nel nodo della cravatta e nei bottoni del colletto mentre tentava di slacciarli entrambi come se avesse bisogno di respirare più liberamente.

 

:-Ispettore Javert?-:

 

Quello, a sentire il suo nome, si alzò con uno scatto e fissò in viso a Valjean uno sguardo al tempo stesso atterrito, supplichevole e feroce, poi davvero il respiro non gli bastò più e cadde a terra svenuto.

Valjean riuscì ad afferrarlo per le spalle appena prima che battesse a terra la testa.

 

“E adesso? Che ne faccio di quest’uomo?”

 

Gli tastò il polso e batteva, il respiro era debole ma presente, e, poiché non c’erano tracce di sangue, non doveva essere ferito.

 

“Ha bisogno di aiuto. Che strano il destino, a lasciarlo per due volte così inerme nelle mie mani”

 

A quel punto gli restava un’unica cosa da fare: con tutta la delicatezza di cui era capace, lo sollevò da terra come aveva fatto poche ore prima con Marius e rientrò in casa portandolo in braccio.

C’era, nell’abbandono del corpo di Javert e nello sguardo pacato di Valjean, qualche cosa che ricordava la tenerezza di una Pietà.

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Cantuccio dell’Autore

 

Ben trenta persone hanno già letto il primo capitolo! Grazie a voi, trenta anonimi!

 

                                                                          Makoto

 

   
 
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