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Autore: Ronnie02    21/02/2013    2 recensioni
«“Tu sei troppo incosciente di quello che sei”, rispose il ragazzo.
Per lui era speciale in qualsiasi cosa facesse, ma per il resto del mondo era ancora di più.
Era diversa… diversa da chiunque in qualsiasi mondo andasse.
Era unica nella sua specie.»
Come si comporterebbe Jared se qualcosa dovesse fargli cambiare tutte le sue opinioni, tutte le sue convinzioni? Amando così tanto avere il controllo della situazione, cosa farebbe se questa gli sfuggisse via?
E Tomo, con Vicky, come possono proteggere il frutto del loro amore, sapendo che non potrà mai essere quello che credevano?
E Shannon... Shannon, che ama la vita e tutte le sue sfaccettature, come aiuterà il fratello a credere a ciò che sta capitando a tutti loro?
Spero di avervi incuriositi :)
Genere: Avventura, Fantasy, Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio, Tomo Miličević, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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I'm fucking BACK! ....gente è troppo una figata aggiornare questo capitolo mentre di sottofondo gli Avenged suonano "Almost Easy" AHHAHAHAH
Vabbè, lasciatemi perdere, oggi non ce la posso fare
Vi lascio al capitolo e ci vediamo sotto, che è meglio :D





Chapter 7. It’s almost easy





 
Alla fine era stata una bella serata: lo spavento iniziale di Ash era scomparso e lei in verità si era divertita parecchio a far scervellare Jared con quei giochi dai trucchi impossibili.
In più ci aveva guadagnato l’immunità da ogni tipo di domanda nel caso sospettasse di qualche stranezza.
“Allora, niente più domande, eh?”, commentò infatti lui, vicino alla macchina di Ash, visto che avevano deciso che era ora di andarsene a casa.
“Esatto”, sorrise lei, aprendo la macchina, ma appoggiandosi solamente alla carrozzeria e guardarlo soddisfatta. “Mi sono decisamente rotta di dare spiegazioni su cosa io sia”.
Okay, questa l’aveva fatta apposta, ma adorava vedere quel finto ventenne uccidersi di curiosità.
“Questo è esattamente qualcosa di cui mi piacerebbe capire di più”, sorrise lui, mettendosi le mani in tasca come un ragazzino al suo primo appuntamento. Oh, forza Leto, puoi fare di meglio! “E non ho nemmeno una seconda uscita sicura in programma”.
“Bè, quello non è per forza un problema. Potresti sempre impegnarti a conquistarla, come con la prima, invece di vincerla”, sorrise la ragazza, aprendo la portiera della sua macchina e infilandosi dentro. Si sedette comoda sui sedile e poi chiuse la portiera. Con il finestrino ancora un po’ aperto, lo salutò con la mano. “Buonanotte, zio Leto”.
Lui sorrise, pensando a quell’epiteto. Di certo avrebbe avuto più rispetto per quella peste di Devon ora. Avrebbe dovuto pure fargli una statua!
La guardò, ricambiando il saluto con la mano, e lei partì in fretta, lasciandosi dietro Jared, immobile, intento sempre a fissarla.
Che serata, cavolo!
Aveva quasi scoperto tutto e  invece ora aveva perso la scommessa e non poteva più scoprire niente, a meno che non fosse Ash a volergli dire qualcosa.
I ragazzi lo avrebbero ucciso, poco ma sicuro. Se lo sentiva, non sarebbe mai dovuto tornare a casa.
Tomo di certo lo avrebbe preso in giro, magari spalmandosi la mano sulla fronte per fargli capire il disastro, mentre Shannon lo avrebbe preso per il culo in eterno.
Bei fratelli che si era andato a pescare!
 
“Vedi che allora sei rimbecillito?!”, lo offese Tomo, rimanendo comunque abbastanza fine, avendo in braccio suo figlio, molto attento a ciò che dicevano visto che si era appena svegliato.
“Concordo fratello. Cavoli, c’eri quasi”, continuò Shannon, seduto sul divano a gambe all’aria, ancora in pigiama e con le bacchette nei pantaloni, stretta nell’elastico. Le portava quasi sempre in giro, quando era a casa, per battere un ritmo ovunque fosse, appena gli arrivava l’ispirazione. “Praticamente ti stava rivelando tutta la verità, e poi…”.
“E poi ti ha fottuto”, finì in bellezza quella gran donna di Vicki, che entrò di sorpresa nel Lab, con qualcosa da mangiare per colazione.
“Vicki!”, la riprese Tomo, indicando Devon che si allungò nelle braccia del padre per liberarsi. Allora il chitarrista lo fece scendere e il bambino gattonò felice fino alle chitarre, dove cominciò a giocare ridendo.
“Non rompere ancora con questa storia delle parolacce! Non so se hai notato, ma… hai presente con chi ha a che fare?”, rispose lei, prendendosi un biscotto e sedendosi vicino a Shannon, il quale la imitò, ingozzandosi con almeno tre frollini insieme. Che schifo…
Lei intanto, con una faccia che esprimeva solo ovvietà, indicò i due Leto, ovvero i maggiori produttori di parolacce e coloro che probabilmente usavano di più la parola fuck.
Tomo seguì il suo sguardo e capì che come al solito aveva perso la guerra. Inutile discutere, Vicki aveva sempre ragione.
“E comunque rimane il fatto che Leto Junior è un fottuto idiota”, concluse di nuovo la donna.
“Grazie tante,  Vicki, sul serio. Mi mancava questa perla di saggezza!”, commentò Jared, annoiato. L’aveva detto che era sicuro che lo avrebbero preso per il culo?
Bene, in caso non l’avesse fatto… era totalmente certo che alla fine non l’avrebbe passata lisca e aveva fatto centro.
Il problema era che non aveva idea di come difendersi, visto che avevano anche ragione.
“Però devo ammettere che quella ragazza è una grande”, continuò Vicki, sorridendo e prendendo un secondo biscotto, prima che Shanimal – non soprannome più adatto non potevano dargli – li finisce tutti da solo. “Insomma, non ha solo evitato una situazione a lei sfavorevole, ma ha ribaltato anche la scena in maniera eccezionale, trovando pure il modo di non farla riaccadere una seconda volta… è un fottuto genio!”.
“Vuoi anche farle una statua o ti basta così? Ti ho chiesto di aiutarmi a venirne fuori, non di farmi sentire peggio!”, chiese Jared, leggermente irritato da tutti gli elogi della sua non-cognata, che lo facevano sentire ancora più idiota.
“Okay, scusami se difendo la mia categoria! Infatti, in quanto donna, e quindi essere superiore”, disse sorridendo fiera di sé, mentre Shannon alzava gli occhi al cielo, “ho una grande idea per scoprire ancora qualcosa”.
 
Wait. Dove cazzo era finita?
Diciamo pure che, ovviamente, trovarsi tra le braccia di Edmund, in una stanza anonima  peggio di un ospedale non era la sa maggiore ispirazione. Oh cazzo, che era successo?
Okay, era vestita di tutto punto, lui anche, quindi cazzate non ne avevano fatte, però aveva ancora addosso la mise usata per la serata passata con Jared.
Ricordava solo di essere andata via in macchina con un ‘Buona notte, zio Leto’ ed essere tornata a casa. Cosa era mai potuto accadere nel mentre?
Prima di tutto, decise di alzarsi e allontanarsi da Edmund, prima che la sua mente ricordasse i tempi migliori. O peggio ancora, che lui si fosse svegliato con le sue braccia.
Ti ha usata, Ash. Non dimenticarlo, le disse il suo cervello, insieme al suo cuore. Guardò quindi truce il ragazzo nel letto e si alzò di scatto.
Fanculo a lui, non aveva nemmeno voglia di pensare a quel periodo triste. Uscì da quella stanza così asettica e cominciò a vagare, cercando di capire dove fosse. Non ci mise molto: quelli erano i dormitori dell’ Esis, in cui aveva abitato per quasi un anno.
Ma come ci era finita? Quando era arrivata?
Scosse la testa, evitando di pensarci, e andò verso la mensa, ovvero una piccola stanzetta con alcuni tavoli e poche sedie.
Sorrise: da quanto non mangiava lì? Sembravano passati tantissimi anni…
Prese posto a sedere e davanti a lei comparve la sua colazione preferita: frittelle al cioccolato con una bella spalmata di miele sopra e da bere un po’ di latte.
“Quanto mi piace vivere la parte migliore dei due mondi”, sussurrò cominciando a infilzare le frittelle per mangiarle. Poi, alzando la voce, disse: “Bel lavoro, Frank!”.
Il cuoco, vedendola dopo tanti anni, così sorridente e mattutina, la ricambiò saltellando qua e là, con un grande sorrisone. “Di niente, Ash”.
Lei ridacchiò e tornò alla sua colazione.
A volte si fermava, provando a pensare a cosa fosse successo la sera prima e guardava il sole, fuori dalle finestre, così attentamente che alla fine cominciarono a bruciarle gli occhi.
Distolse lo sguardo dai raggi e bevve il latte, facendo poi un gran respiro per tranquillizzarsi.
“Oh, ma buongiorno!”, sentì una voce amichevole chiamarla. Ash alzò lo sguardo e vide il volto simpatico di Joel. I capelli erano disordinati, segno che si era appena svegliato, ma sotto gli occhioni marroni c’erano profonde occhiaie.
“Grazie”, rispose educatamente Ash. “Ma forse è meglio che tu torni a dormire”.
“Non ora che sei sveglia, mia cara”, sorrise lui, senza alcun segno di divertimento nella voce. Gli occhi si posarono su di lei, come preoccupati, e poi tornarono alla sua colazione, comparsa sul tavolo nel posto di fianco a quello di Ash.
Per lui una bella tazza di caffè e una brioche alla crema, a quanto pare. Molto più professionale e adulto.
“Che intendi dire?”, chiese Ash continuando a mangiare, ma guardandolo con la coda dell’occhio.
“Non ricordi? Strano…”, ridacchiò lui, come se lei lo stesse prendendo in giro.
“Cosa dovrei ricordare? In realtà nemmeno so come sono arrivata qui”, si lamentò la ragazza, posando violentemente la posata e girandosi verso l’uomo.
Lui mise giù la tazza, molto più gentilmente di Ash, e la guardò, provando a capire se mentiva o no. Quando ebbe avuto la sua piccola conferma, sgranò gli occhi e la fissò scioccato, come se lo credesse impossibile.
“Allora?!”, continuò Ash, aspettando una risposta.
“Guarda laggiù: che cosa vedi?”, chiese Joel, indicandole la porta da cui era entrata. Era rimasta aperta e da lì intravedeva delle persone che pulivano il muro. Persone che prima, quando era passata da quel corridoio, non aveva nemmeno notato.
“Chi sono? Quando sono arrivati?”, domandò lei, presa dal panico. Ancora non capiva con quale facilità si muovessero le persone dentro l’ Esis e non sapeva mai se fosse una cosa buona o cattiva.
Non si sentiva per niente protetta e questo non le faceva granché bene.
“Questo non è importante. Ciò che dovrebbe interessante è un’altra cosa… piccola stupida”, sussurrò lui, piano, come a conficcarle quelle parole in testa.
Tentativo inutile, visto che quelle parole le sapeva già a memoria. Le aveva sentite quella notte, da Lui, mentre le faceva del male.
Non c’era bisogno di sussurrarle, perché urlavano già nella sua mente, facendole fare incubi su incubi.
“Come puoi chiamarmi così?”,  gracchiò arrabbiata, stringendo forte la forchetta e facendo colorare i suoi capelli in un misto d viola e verde. Perché sì, aveva anche paura, non poteva negarlo.
“Tu sai perché quegli uomini puliscono il muro? Non sai davvero cosa stanno lavando via?”, la stuzzicò Joel, volendo che ricordasse da sola.
Non poteva aver dimenticato una cosa del genere; doveva ricordare e quello era l’unico mondo.
E infatti funzionò.
La mente di Ash perse la cognizione spazio-temporale per alcuni secondi e chiuse gli occhi. I ricordi della sua mente cominciarono a farsi vedere e le cominciò a girare la testa.
In dieci secondi aveva visto lei da bambina, con Edmund a giocare per quel piccolo paese, oppure a fare piccoli cumoli di neve con Lei quando ancora sorrideva felice, o ancora andare a scuola e conoscere tante persone come lei ma comunque diverse, trasferirsi a Los Angeles e ricominciare una sua vita.
Rivide se stessa litigare con Natalie per quella stupida assenza o a cena con Jared, giocando a carte per nascondere la verità. Cercò di ricordare cosa successe dopo, cosa aveva fatto appena aveva lasciato il ristorante dove lei e Jared avevano cenato.
E capì.
 
Che serata, ragazzi!
Finalmente era finita e poteva andarsene a dormire tranquilla, nel suo letto, sperando che gli incubi non le facessero di nuovo compagnia. Era stanca e nemmeno aveva voglia di guidare, però stette attenta e riuscì ad arrivare a casa sana e salva. Parcheggiò nel secondo parcheggio a destra, per poi arrivare a piedi fino al suo appartamento.
La consuetudine si era ripetuta anche quel giorno.
I tacchi le facevano male e quando si trovò davanti alla porta d’entrata ringraziò il Signore che fosse arrivata. Prese le chiavi dalla borsa che si era portata dietro e le infilò nella serratura, girando due volte e facendo scattare il meccanismo.
Si spostò i capelli biondi dalla faccia, che si erano liberati dall’acconciatura come al solito, e rimise le chiavi al loro posto, per poi aprire la porta.
Accese la luce e sospirò, entrando e sentendosi un po’ meglio. Poggiò la borsa sul comodino di fianco all’entrata e si tolse le scarpe in fretta, per poi prenderle in mano e andando a metterle nella scarpiera, non lontano da lì.
Attraversò gran parte della casa, in cerca della tuta barra pigiama per prepararsi ad andare a dormire, quando si rese conto che qualcuno la stava osservando. Entrata in sala, notò la solita figura conosciuta guardarla maliziosa, seduta sul divano, con le braccia poggiate sulle gambe, piegato in avanti.
“Edmund!”, si spaventò appena lo vide.
“Ciao bellezza”, la salutò lui, facendo un sorriso sghembo che, invece di farla sorridere, la fece solo rabbrividire. Dio, che squallore.
“Smettila, mi dai sui nervi, lo sai”, sbottò lei, con in mano i vestiti di casa. Si sentiva parecchio ridicola, ma non importava in quel momento.
“Una volta ti piaceva”, commentò lui. Una volta, una volta… che palle! Se si diceva ‘una volta’ voleva dire che ora non lo provava più, no?!
“Già, una volta”, sottolineò il concetto, irritata. “Passiamo al presente, ti va? Come sei entrato in casa mia?”.
Edmund, per tutta risposta, scoppiò a ridere. “Sono sempre stato più  bravo di te in questo, non ricordi?”, disse per poi comparire alle sue spalle.
Lei non si mosse di un centimetro e non sembrò spaventata dalla cosa, anzi ci aveva provato così tante volte che le faceva solo venire il mal di testa. “Non puoi farlo se non sai dove abito. Chi te l’ha detto?”.
“Non ci vuole niente a distrarre la vostra cara segretaria per trovare qualche informazione… utile”, le fece l’occhiolino.
‘Adesso lo ammazzo’, pensò Ash mentre le fremevano le mani dal nervoso e i capelli cominciavano a diventarle viola.
“Che sei venuto a fare?”, ghignò.
“Calmati, bambolina, dovresti solo ringraziarmi”, provò a dirle lui, ma in due secondi si ritrovò per terra con un pugno in un occhio e le mani legate dietro la schiena.
“Dimmi. Che. cavolo. Sei. Venuto. A. Fare”, lo minacciò ancora lei, mettendosi in ginocchio davanti a lui, arrabbiata.
Edmund riuscì a liberarsi, essendo più forte e più preparato di lei, come al solito, ma si tenne il vero pugno in faccia.
“Sempre il solito caratterino… okay okay, parlo”, si difese lui, cercando di alzarsi in piedi. “Guarda solo dietro di te e capirai”.
Ash, confusa, lo guardò male, ma poi fece come le era stato detto. Si voltò e, sul muro dell’entrata, compresa la porta, un’enorme scritta color vermiglio occupava la parete.
Non era sangue, non aveva lo stesso odore.
“Con cosa è stata scritta?”, si preoccupò principalmente.
“Materiale sconosciuto, non riesco a capire quale. Sorrow arriverà qui fra poco e lo esaminerà. Ma… non ti preoccupa?”, le chiese Edmund, mentre lei si alzava e lo lasciava da solo.
Non gli rispose, non ce n’era bisogno. I suoi capelli pian piano tornarono verdi, ma il biondo cominciò anche a scurirsi. Scuro, sempre più scuro, diventando neri come la pece, per la seconda volta in troppo poco tempo.
La scritta enorme faceva troppo male al suo povero cuore dolorante, evocava troppi ricordi.
Si avvicinò fino a toccare il rosso e lo annusò. No, non aveva idea di cosa potesse essere.
Ma leggeva bene il messaggio che quello strano materiale aveva composto, senza alcuna pietà, distruggendola ancora una volta nel profondo.
‘Oh, piccola stupida. Credi di potermi sfuggire? Il suo cuore batte tra le mie mani, e ancora attendo il tuo… sanguinante e pulsante’.
Era tornato davvero.
E voleva la sua vita.
 
“Di cosa era fatta la scritta?”, domandò in fretta, senza attendere oltre. Non era passato molto tempo – la sua testa andava alla velocità della luce e il ricordo era breve – e Joel era ancora lì a guardarla per farle capire qualcosa.
Appena pronunciò la domanda, lui sorrise e smise di bere il suo caffè, voltandosi più verso di lei, anche con il busto.
“Di cosa persi sia fatta?”, ripeté la domanda lui, confondendola.
“Non era sangue, l’odore era diverso”, ribatté pronta Ash, ricordandosi quel profumo acido e sgradevole.
“Era un mix tra sangue secco e alimentari, per renderlo di nuovo fluido. Quando ci hai chiamato Edmund aveva già rimesso una volta a causa dell’odore… orripilante”, le raccontò lui.
“Sangue di chi?”, lo interrogò Ash, andando sul punto che più le premeva.
“Non siamo riusciti a ricavarlo. Era mischiato troppo bene e con troppe cose per estrarne la sola particella di sangue… mi dispiace”, sorrise lui, come per scusarsi.
“Hai detto che vi ho chiamato. Quando è successo?”, ritornò in sé Ash, dopo aver ragionato su chi potesse aver uccido quel pazzo.
“Prova a ricordarlo”, la sfidò lui, sapendo che una delle poche cose che la ragazza non ammetteva a se stessa di fare era proprio perdere.
E infatti Ash si mise d’impegno:  chiuse gli occhi e si imprigionò nella sua mente, per tirare fuori qualche dettaglio.
Quando aveva chiamato l’Esis? Chi era arrivato oltre a Joel?
Poteva farcela, ne era sicura…
 
“Tu ora vieni con me”, la prese Edmund per il braccio, senza alcuna delicatezza. Ma Ash non si mosse di un centimetro, non ne era nemmeno in  grado.
“Vuole me”, sussurrò la ragazza, impassibile. Era come se ne fosse già convinta e ora aveva la prova. Sapeva che sarebbe tornato a reclamarla, prima o poi. Solo non era a conoscenza di quando… bè, ora l’aveva capito.
“Non oserà nemmeno sfiorarti. Vieni, non resti qui in questa gabbia di matti”, la scosse di nuovo, per farla muovere, provando a trascinarla in quel posto che lui considerava sicuro, ma che era peggio di quello in cui erano in quel momento.
Lei restò ferma, come una statua di marmo, con lo sguardo sempre fisso su quella scritta. Ma stavolta non si mosse apposta.
“In questa gabbia di matti non ci sono persone capaci di tali atti”, disse indicando la scritta.
“Oh, scommetto che bizzeffe di Incompleti minacciano le altre persone scrivendo sui muri, Ash”, la rimproverò lui, lasciandole il braccio e provando a convincerla con le parole.
“Non sono certa che gli… esseri umani si divertano a giocare con i cuori altrui, sanguinanti e pulsanti”, sbottò lei, voltandosi un attimo verso di lui, con aria arrabbiata, per poi tornare a fissare la scritta, scioccata. Come poteva avere il suo cuore? Non era possibile. “Non credi?”.
“Ti ha trovata all’asilo. Ti ha trovata qui. Non puoi più stare in questa città, a meno che tu non voglia suicidarti e far uccidere anche altre persone”, provò a dirle lui, cercando di persuaderla con il suo altruismo.
“Non farà del male a nessuno se io mi offro volontariamente”, concluse Ash.
“Non oseresti”, borbottò Edmund, spaventato di poterla perdere di nuovo. E per sempre stavolta.
“Sì, forse hai ragione…”, sussurrò Ash, cadendo apposta per terra, battendo sulle ginocchia e buttando in avanti il collo, come per svenire. Edmund si allungò verso di lei, prendendosi un bello spavento, ma lei si ritrasse, sentendolo vicino, e lui vide che stava bene… almeno fisicamente. “Non mi farei mai uccidere davvero anche se vorrebbe dire salvare molte vite umane”.
“Ed è giusto. La tua vita vale molto di più della loro. Tu sei…”, provò a consolarla lui.
“Speciale? Unica? No, Edmund, finiamola con queste bugie, lo sai bene anche tu”, scosse la testa la ragazza. “O meglio, sì, è vero che sono queste cose. Però io sono, più che altro, solo un esperimento. E per piacere, non muovere la testa per provare a negarlo, perché menti. Conosci la verità”.
“Per me non sei un esperimento”, concluse lui, vedendo Ash muoversi e cercare di tirarsi in piedi, barcollando. Lui la prese tra le braccia per reggerla in piedi, ma lei si divincolò, per provarci da sola.
“E tu per me non sei più quello che eri un tempo”, ripeté tristemente lei per la millesima volta, dopo l’ennesimo tentativo di Edmund di provarci con lei.
Lui abbassò un attimo gli occhi e lei si appoggiò al muro per non cadere a terra di nuovo, stavolta perdendo anche conoscenza.
“Allora preferiresti essere come loro?”, disse Edmund, indicando la finestra e il mondo esterno che mostrava. “E’ fin troppo facile vivere la misera vita da miseri Incompleti!”.
“E’ quasifacile, Edmund. Non credere che loro non abbiano dei problemi. La loro vita è quasi facile quanto lo è anche la nostra…”, controbatté Ash, chiudendo gli occhi. “E ora basta, chiama pure l’Esis per analizzare la scritta. Io ho sonno”.
 
“Sono svenuta?”, chiese la ragazza tornando alla realtà.
“Sì, quando siamo arrivati eri sul tuo divano, sdraiata. A Zoe è venuto un mezzo infarto quando ti ha vista così”, ridacchiò lui.
“Sorrow sarà stata felice, vero?”, si prese in giro da sola, conoscendo bene la donna cinica della loro squadra. In fondo non aveva ricevuto quel nome per niente….
“Non credo. In realtà sa bene quanto tu possa contare in questa missione e anche in questo mondo”, sorrise lui, provando a commuoverla.
Oh, ora mi sciolgo… sì, certo, pensò invece la ragazza, mentre tornava a mangiarsi la sua colazione.
“E come ci sono finita abbracciata al disgraziato?”, chiese poi, ricordando che non si era risvegliata in qualche stanza a caso.
“Edmund era sveglio, tu eri svenuta. Il poveretto era preoccupato e…”, cominciò lui.
“Sorrow voleva divertirsi un po’”, conclusero insieme. Poi Ash andò avanti a parlare. “Ci avrei giurato. Quella donna mi odia”.
“Non capisce il tuo amore incondizionato per il mondo Incompleto… così come tutti noi, ma almeno noialtri rispettiamo la tua scelta. Ormai sei grande per decidere da sola della tua vita”, spiegò lui.
“Lì mi sento più al sicuro che qui”, rispose la ragazza, mangiando. “E sebbene passerei per un essere abominevole se dovessi essere scoperta, per ora sono solo una semplice ragazza… non l’esperimento o la sopravvissuta di una specie sconosciuta su cui fare analisi eterne”.
“L’Esis ha sempre odiato le tue sperimentazioni”, l’informò Joel, sorridendole.
“Lo so, ma è sempre arrivato troppo tardi”, disse lei, come per fargli venire i sensi di colpa.
“Non mi sembra che l’ultimo intervento ti sia dispiaciuto”, rimbeccò una voce nuova. Solo una persona poteva essere così odiosa anche di prima mattina.
“Ciao Sorrow”, concluse Joel, come se la pacchia fosse finita e dovesse tornare a fare il bravo bambino a scuola.
“Sei simpatica quanto un calcio… lasciamo perdere, tu odi le persone volgari”, riprese Ash, toccandosi il petto con una mano, con fare sconsolato. “Cazzo, che sfiga, eh?”.
Joel scoppiò a ridere e finì la sua colazione, prima di farla sparire com’era arrivata.
“Cuciti la bocca, allora”, rispose fredda Sorrow mentre Ash si divertiva.
E a proposito di arrivare, la stanza cominciò a popolarsi, visto che entrarono anche Zoe e Edmund. Mancava Seamus… forse aveva di meglio da fare che guardare quella banda di pazzi.
Zoe le sorrise e si mise a chiacchierare con Joel, sedendosi di fianco a lui e facendo comparire la sua colazione, mentre Edmund prese posto alla sua destra, guardandola adulatore.
Oh porca miseria!
Ash gli lanciò un’occhiataccia piena di disgusto e si alzò prontamente, intenzionata a lasciare la mensa e anche l’Esis.
“Dove stai andando?”, le domandò Sorrow, tenendola ferma, mentre lei si voltava e la inceneriva con gli occhi. Magari non fosse solo un proverbio… “Dobbiamo parlare”.
“Fate pure senza di me”, sbottò Ash.
“Siediti”, sillabò Sorrow in un noioso ordine. Ash sbuffò rumorosamente, provocando parecchia irritazione alla donna, e si sedette lasciandosi cadere sulla sedia.
Sorrow era fissata con le regole di galateo, perciò Ash era intenzionata a rompere tutte, una alla volta.
“Maledetto il giorno in cui mi hanno affidato il tuo caso, ragazzina impertinente”, sussurrò Sorrow.
“Dovresti ringraziarmi: grazie alle mie vicende nessuno ricorda il tuo vero nome e ora ti chiamano tutti Dolore. Non ti senti onorata?”, la prese in giro Ash mentre Sorrow si voltava verso Joel.
“Non ci riesco. Parlale tu o vado in crisi isterica”, sbuffò Sorrow.
“Che peccato!”.
“Ash!”, la riprese Joel, stavolta serio. “Basta, ti prego. Abbiamo da discutere su cose serie ora”.
“Ovvero?”, chiese annoiata la ragazza.
“Ti è stato proibito il ritorno a casa”, disse fiero Edmund, alle sue spalle.
“COSA?!”.
 
 
...
Note dell'autrice:
Alloooooooooooooooooooooooooooooora. 1. Jared è un idiota (ma va? ....*Jared spunta e fa la faccia da divaH offesa*. Piccolo, mi dispiace, ma idiota rimani *Jared fa la linguaccia e se ne va offeso*
2. Vicki che ci difende... sei una figa *Vicki appare e stringe la mano a Ronnie*
3. Edmund mi stai sul cazzo *non arriva nessuno perchè Edmund potrei ucciderlo*

....ok a parte la mia evidente pazzia che oggi si fa sentire anche più spesso.... piaciuto?
Cosa ne pensate? Fatemi sapere, mi fa piacere conoscere i vostri pensieri sulla storia, davvero :)

Un abbraccione a tutti, Ronnie02
 
 
 
 
 
   
 
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