Serie TV > Glee
Segui la storia  |       
Autore: lafilledeEris    21/02/2013    5 recensioni
ATTENZIONE: E' UNA KURTBASTIAN
“Mh…” No, non voleva alzarsi. In quel momento, con quei postumi da incubo, il letto gli sembrava l’unico posto al mondo in cui sarebbe voluto stare.
Finché Rachel non trovo opportuno sollevargli le coperte di scatto e scoprirlo.
“Rise and shine!”**
“Rachel, sappi che ti odio!”
La ragazza si lanciò a peso morto sull’amico, abbracciandolo forte.
In quell’ultimo periodo Hummel si era rivelato poco incline alle dimostrazioni d’affetto e in tutto quel casino di emozioni represse e rimosse, in qualche modo, vi era andato di mezzo anche il rapporto con la sua migliore amica. Lei ormai stava con Brody – Finn sembrava un ricordo abbastanza sbiadito a sentire i rumori che provenivano dalla camera da letto quando il ragazzo restava a dormire e Kurt era quasi sicuro che non si mettessero a spostare i mobili nel cuore della notte –, andava alla NYADA , aveva trovato il suo equilibrio newyorkese, insomma.
Genere: Commedia, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Brody Weston, Burt Hummel, Kurt Hummel, Rachel Berry, Sebastian Smythe
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Image and video hosting by TinyPic

Capitolo 1
Track#2 Hall Of Fame
Artist: The Script feat. Will.i.am
 

 


Kurt aveva bisogno di sedersi.
Ma non fece in tempo, perché crollò sulle ginocchia schiantandosi sul legno del pavimento. Sentiva le guance bagnarsi, sotto le lacrime. Rachel lo abbracciava e lo stringeva a sé.
“Ce l’hai fatta” gli ripeteva come una cantilena, accarezzandogli i capelli. E Kurt continuava a piangere. Il peso dei nostri sogni il più delle volte ci travolge, soprattutto quando si realizzano. Poi subentra la paura, i se, i ma e i forse. C’è chi è davvero bravo e allora costruisce uno spesso muro fra questi e il proprio cuore. Ma non era il caso di Kurt. Lui, che viveva di sogni e lottava per realizzarli, in quel momento era crollato. Si trovava fra le braccia della sua migliore amica. Quelle lacrime – copiose, ribelli e agognate – erano la metafora del suo sogno. Perché fa più danni un sogno realizzato che un sogno infranto.
“E se fallisco?” singhiozzò “ Se mi buttano fuori dopo il primo giorno?”
La Berry lo strinse di più al petto.
“Non dire sciocchezze. Tu sei una diva” calcò sull’ultima parola. “ Hai il cuore di Tina Turner e la mente di Lady Gaga. Hai “Wicked” nel sangue e profumi dei più grandi teatri. Kurt Hummel tu l’arte ce l’hai negli occhi, nel cuore e nella mente.”
“Rachel, io ho paura” Tirò su col naso, mentre si stringeva ancora di più a lei.
Fu allora che lo allontanò da sé, lo prese per mano e lo portò davanti alla grande finestra che dava sulla città, illuminata per la notte.
“Lo vedi questo?” indicò ciò che sotto di loro si estendeva in miscuglio di luci, suoni, odori, profumi e persone. “Un giorno tutto questo sarà tuo”.*
Kurt rise tirando su col naso e tamponando gli occhi lucidi con la manica della felpa.
“Questa l’ho già sentita, Mufasa!”
Rachel sorrise raggiante e gli mise le mani sulle spalle.
“Kurt io so quanto tu sia dotato e talentuoso. Ora sta a te capire che il mondo deve conoscere la tua voce.”
Il ragazzo riuscì a sorridere più sereno.
“Hai ragione. La NYADA ha bisogno di Kurt Hummel!”
“Il mondo ha bisogno di dive!” affermò seria Rachel.
“E tu non puoi fare tutto da sola!” la prese in giro.
In fondo è questo che serve nella vita: un complice. Qualcuno che ti stia accanto anche quando sei insopportabile, quando finisci la scatola di Kleenex, quando anche l’ultimo capo d’abbigliamento che hai comprato non ti soddisfa più.
Ma anche quando l’unico accessorio che ti dona è il sorriso. Perché si sa che le lacrime non vanno di moda, né con il sole, né con la pioggia.
Quest’anno la governeremo noi la scuola!”**
Piccolo appunto per Kurt: mai far esaltare Rachel Berry.
All’improvviso Rachel si fece più seria e si voltò verso l’amico.
“Kurt devi farmi una promessa” Gli occhi di lui si spalancarono stupiti. “Qualunque cosa ti faccia dubitare di te e ti metterà in difficoltà, tu verrai da me. Io ci sarò, qualunque cosa succeda.”
Era questa la Rachel di cui Kurt si era innamorato, metaforicamente parlando. Nonostante le ambizioni, i momenti di autocelebrazione dietro quei grandi occhi scuri, velati da troppo trucco.
Era lì, la piccola Rachel Barbra Berry. Con gli occhi sinceri e un sorriso fanciullesco. E un cuore buono.
Kurt tornò a guardare fuori. In qualche modo voleva sentirsi parte di quel mondo. Di quelle luci, di quel frastuono, di quei profumi. Lui voleva essere tutte quelle cose.
Era finito il tempo di piangersi addosso e farsi domande inutili. Quello era il momento in cui si sarebbe tirato su le maniche, avrebbe stretto i denti e combattuto per quello in cui credeva: la propria voce.
Kurt non aveva scintillanti armature, non credeva più nei principi azzurri e sapeva che il mondo, là fuori, sapeva essere davvero bastardo. Ma sapeva che cantando, e solo in questo modo, avrebbe trovato la forza di combattere. Lo aveva fatto al tempo del liceo, avrebbe continuato a farlo alla NYADA.
Avere un sogno, quando hai chi ti ama accanto, resta comunque difficile, ma sembra meno impossibile. Perché hai chi stringe i denti con te, hai chi piange e chi gioisce con te, hai chi rafforza la presa quando vorresti mollare.
E se in quel momento Rachel gli stava poggiata al petto, usandolo come cuscino – piccola, adorabile nana Streisand-, quello in qualche modo era il segnale per fargli capire che lei ci sarebbe sempre stata.
Quando a Lima preparava la sua valigia, Kurt non sapeva bene cosa metterci. Non perché non ci stesse nulla, per via dello spazio che occupavano i sogni – quelli li custodiva gelosamente in una cappelliera e un po’ anche nel cuore – ma perché non sapeva bene cosa portare con sé, quanto tempo sarebbe rimasto nella Grande Mela. Aveva agito d’istinto e aveva preso con sé i suoi spartiti. Tutti i libri di canto che aveva.
E la foto di sua madre.






“Papà mi hanno preso”. Kurt tremava, mentre lo diceva. In qualche modo aveva ancora paura che non fosse vero.
Silenzio dall’altra parte del ricevitore. Poi un pianto rotto dai singhiozzi. L’unica volta in cui suo padre aveva pianto era stato per il funerale di sua madre. E anche quella volta, fu solo una lacrima a sfuggire. Non perché Burt pensava che piangere non fosse da uomo, ma perché in fondo piangere non gli avrebbe ridato indietro sua moglie, quella stessa donna che si era spenta col sorriso sulle labbra, stringendo accanto a sé gli uomini della sua vita.
“Kurt, sai credo che anche lei sia fiera di te” sussurrò Burt.
“E starà ridendo di te” sorrise dolcemente Kurt.
Burt tirò su col naso.
“Quando inizi le lezioni?”
“Lunedì” Kurt si sedette per terra, incrociando le gambe all’indiana.
“Fatti valere, bambino mio!”
Perché per Burt era così: Kurt sarebbe stato sempre il suo bambino, quello che per lui non è mai stato strano o diverso, nemmeno quando rispetto ai suoi coetanei che guardavano il football suo figlio sfogliava le riviste di moda con le marche più improbabili.
“Ti abbraccio da lontano” disse Kurt.
“E quanto forte stringi?” domandò Burt
“Tanto da farti mancare il fiato”.
Il rapporto padre/figlio sembrava essere sempre delicato. Non c’erano abbracci negati, né parole non dette. Ma delle volte la chiarezza – tipica di Kurt – e l’irruenza - di Burt – portavano ad alcuni scontri.
Eppure tutto spariva quando Burt tornava da Kurt, che dopo le liti solitamente faceva partire Lady Gaga a tutto volume dallo stereo in camera sua, con una tazza di cioccolata e marshmallow motivo per cui Kurt lo rimproverava per le troppe calorie. Che poi però ingurgitava. E poi si disperava perché la mattina dopo avrebbe dovuto fare mezzora in più di cyclette.
Era il loro segno di pace.
“Quanto bene c’è in una tazza di cioccolata?” chiedeva Kurt alla mamma. “Tante quante sono le bricioline che compongono la polverina che versiamo nel latte” gli rispondeva.
A quel punto un piccolo Kurt di appena sette anni capiva che la sua mamma e il suo papà gli volevano davvero bene.
E andando avanti con gli anni era cresciuto con una convinzione: ogni volta che cantava, sua madre cantava con lui. Lo sentiva in ogni nota, in ogni scala, in ogni testo.
Kurt ricordava sua madre come un sogno, ma l’unica cosa che aveva impressa in mente era la sua voce.
“Preparati una cioccolata calda, rilassati”.
“Lo farò!” rispose allegro Kurt.
“Promesso?”
“Lo giuro!”
Riattaccarono contemporaneamente e Kurt si distese per terra, trovandosi a fissare il soffitto. Fin da piccolo gli piaceva cercare le piccole crepe. I dettagli – anche il più piccolo - gli faceva pensare che ognuna di quelle piccole spaccature poteva trovarsi nel suo cuore. Ecco perché esisteva la cioccolata, per curare le crepe del cuore.




Un urlo squarciò il silenzio dell’appartamento.
“Kurt!” Rachel corse in bagno, pensando che fosse successo qualcosa di grave all’amico. Quando arrivò trovò il ragazzo in piedi davanti allo specchio che boccheggiava, indicandosi il viso.
“Mi spieghi che cavolo succede?”
“Un…”
“Un cosa Kurt?” urlò la Berry.
“Un…” ritentò senza riuscirci.
“Parla dannazione!” sbottò irata.
“Un brufolo” esalò in un unico fiato, agitando frenetico le braccia, con gli occhi sbarrati dal terrore. “ Dovrò andare al primo giorno alla NYADA con un brufolo che sembra un cratere su Marte! Fra poco la NASA vorrà sapere se c’è vita sulla mia faccia!”
“Tu, checca isterica!” puntò il dito contro il petto del ragazzo “Mi hai fatto credere ti fosse successo qualcosa di grave! Ti odio, sappilo!”
“Ma questo è grave!” sbraitò il soprano, alzando la voce.
Così Kurt Hummel si trovava in ritardo, ancora in vestaglia, con la faccia imbrattata di crema alla banana a lottare contro un brufolo gigantesco.
E come se non bastasse, dal nulla comparve Brody con addosso solo un paio di boxer azzurri. Si può considerare vestito uno che addosso ha solo le mutande?
“Kurt a cos’è la crema?” domandò curioso. Kurt corrucciò le sopracciglia.
“Banana, perché?”
Al che Brody allungò l’indice sulla guancia dell’altro e prelevò un po’ di crema.
“Mh, buona! In effetti, ho un certo languorino” sorridendo uscì dal bagno sotto lo sguardo sbigottito degli altri due. Kurt aveva sempre avuto dubbi su quel ragazzo. Ma avere delle certezze delle volte fa accapponare la pelle. Brody Weston era un tipo non solo strano stile Brittany S. Pierce, ma addirittura a livello di Lord Tubbington. E lui era un gatto, fumava e faceva parte di una gang.
Rachel sembrava rassegnata: abitava con una profumeria ambulante con l’allarme sempre inserito e con un modello di Abercrombie.
Chi dei due fosse il male minore non è dato sapere.


La NYADA era come il liceo. Né più, né meno. Quello che gli si presentò, una volta varcata la soglia della scuola, lo stupì che in qualche modo si era ritrovato in una versione più ampliata delle superiori.
C’erano i gruppi delle ballerine – le ribelli sulle punte -, i cantanti – gli egocentrici che vivevano in gruppo per non morire di solitudine -; quelli del corso di scenografia – che per sentirsi più in contatto col loro essere artisti giravano sempre imbrattati di vernice di ogni colore.
Gruppi.
Tutto si riduceva a dei gruppi. Ecco cosa perseguitava Kurt. E la cosa peggiore era che anche alla NYADA rischiavi di finire nell’oblio se finivi nel gruppo sbagliato.
Qualcosa attirò la sua attenzione.
Adam’s Apples.
La NYADA aveva un Glee Club? E, domanda da un milione di dollari, come era visto all’interno della scuola? Lo avrebbe portato ad una certa morte sociale oppure gli avrebbe dato il posto che meritava nella scuola dopo anni passati a prendere granitate in faccia?
Troppe domande.
Si guardava attorno, un po’ come Bambi dopo la morte della madre.
“Ehi!” Qualcuno cercò di attirare la sua attenzione.
Quando Kurt si girò un ragazzo biondo con degli spettacolari occhi verdi lo stava guardando, sorridendogli smagliante.
“Quello” disse indicando il manifesto “ sono io e quelle sono le mie mele”.
Kurt gli sorrise, porgendo la mano.
“Piacere, Adam delle mele. Io sono Kurt, Kurt Hummel.”
Aveva un sorriso così adorabile. Delle piccole fossette si formavano ai lati della bocca…
Stop. Hummel, imponiti contegno.
Non poteva cadere di nuovo al turbine di dolore al marshmallow, lacrime al pop corn e maratone di “90210” per guardare Grant Gustin che appariva in tutta la sua figaggine.***
“Sai sono sicuro che ti troverai bene se ti unirai a noi. C’è Lucas che è un bravissimo body percussioner, Sebastian che è un bravissimo solista” Inizialmente non diede peso alla serie di nomi, vittima di quelle fossette. “e poi c’è Matthew, dottissimo contralto.”
Poi realizzò. Un nome. Un solo nome può farti collassare al suolo e farti passare a miglior vita.
Sebastian. Quanti Sebastian potevano esistere nello Stato di New York e erano iscritti nella sua stessa scuola? Il fato non poteva essere stato così bastardo. Non poteva avergli tirato anche questo tiro mancino.
“Oh, eccolo!” esclamò Adam, voltandosi di lato. “Kurt, lui è…”
“Sebastian.” In quel momento Hummel si sentì mancare. Era praticamente in apnea.
“Kurt” ghignò l’altro.
Kurt Hummel, la NYADA ti manda il tuo personale comitato di accoglienza.
Benvenuto nella giungla, dolcezza.****
 
 
*citazione dal “Re Leone”, uno dei miei cartoni animati preferiti
**citazione da “Grease”, delle Pink Ladies, che sono tipo delle gran fighe per me. U.U
*** scusate ma ho dovuto farlo XD
**** Citazione da “Welcome to the Jungle” dei Guns ‘n Roses.
 
I’m here
Un piccolo regalino per voi. E per me. Ebbene sì, dal prossimo capitolo Sebastian sarò tuuuutto nostro.
 Ho preso un po’ spunto dall’episodio “Diva” perché per me Kurt è davvero un diva con la d maiuscola e meritava il suo momento. Colgo l'occasione per ringraziare Chiara88 per il bellissimo banner. Non ci credo ancora che LINY ha il proprio *^*
Detto questo, spero che il capitolo vi piaccia.
Ancora grazie a Silvietta per il betaggio.
   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Glee / Vai alla pagina dell'autore: lafilledeEris