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Autore: Bei e Feng    22/02/2013    1 recensioni
[...] Ripensò a tutto quello che era successo lo scorso Natale:
[...]Venuto a sapere di ciò, il Nono aveva pagato la ricostruzione dell'intera casa, e poi ordinato che la famiglia del Decimo e la gang di Kokuyo lavorassero alle dipendenze dei Varia per una settimana, per ripagare i danni fatti. [...]
Genere: Comico, Demenziale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Mi dispiace di aver fatto attendere tanto questo capitolo, ma ho voluto assicurarmi che non fosse più indecente di quanto non lo sia già. Non è il climax della storia, però contiene (insieme al prossimo) alcune piccole anticipazioni. Qui compaiono altri personaggi e, per quanto mi sarà possibile, proverò ad inserirli tutti nel corso della storia. Spero che questo capitolo vi soddisfi quanto il primo.
Buona lettura!

(ore 9:00, camera del paggio)
Belphegor si trovò faccia a faccia con un perfetto babou di sé stesso in miniatura, e Fran approfittò della perplessità del principe per sgattaiolare fuori dall'armadio. Ma Bel si accorse di lui e gli assestò un calcio nel sedere, facendolo volare qualche metro più in là.
- Che diavoleria è quella?? - urlò il principe, inorridito, indicando il babou.
Fran si mise a sedere, aggiustandosi il cappello. - Sei tu. - disse. - L'ho fatto io. -
- Non mi assomiglia affatto! E poi perché ne hai fatto uno? -
Fran si strinse nelle spalle. - Non lo so. Me l'ho dimenticato quando ho sbattuto la testa sulla forma di formaggio a casa della nonna. -
- Tu pensa che idiota!... - sospirò il principe.
- Però adesso lo uso per tenere occupato Ken: - spiegò Fran, illustrando il meccanismo del giocattolo al Sempai. - Se gli schiacci la testa, il babou fischia, proprio come quei pupetti di gomma che... -
- IO NON SONO UN GIOCATTOLO PER CANI! - urlò Belphegor, furioso.
- Non ti azzardare a lanciarmi quei cosi! -
- Smetterò solo quando ti avrò ammazzato, contento? -
- Niente affatto: non è vantaggioso per me. - disse Fran, scuotendo il capo.
- Ti va di fare una scommessa, marmocchio? - rispose il principe, giocherellando con un altro dei suoi coltelli.
- Dipende... che cosa si vince? -
- La tua testa, Fran. -

Chrome si fermò davanti alla porta della camera del paggio, identificata da una targhetta dorata, piena di segni rosso scuro, incomprensibili, che forse nella mente contorta e agli occhi dell'"artista" volevano dire: "Belphegor, Prince The Ripper".
La ragazza si fece coraggio e bussò.
- Belphegor-sama! Sono venuta a prendere Fran. - disse.
Ma nessuno le fece caso.
- Fran! - chiamò ancora. - Abbiamo bisogno di te, basta giocare! -
Nessuna risposta.
- Fran! -
Chrome restò di fronte alla porta chiusa, troppo timida per alzare la voce e bussare appena più forte. Restò lì, chiedendosi se non ci fosse nessuno nella stanza, e, accreditando quell'ipotesi come la più probabile, stava per andarserne, quando udì la voce di Bel dietro la porta.
- Belphegor-sama! Fran deve lavorare! - disse.
Non appena pronunciò quelle parole, la voce non si fece più udire, e Chrome si chiese se Belphegor non le aprisse perché non voleva farla entrare. Ma perché? Anche lei sapeva dell'odio che il paggio nutriva verso il bambino... Perché non aveva sentito anche la voce di Fran? Improvvisamente la ragazza ebbe un brutto presentimento. Preoccupata, Chrome provò ad aprire la porta, e, contro ogni sua previsione la trovò aperta. Abbassò la maniglia, esitante, sbirciando con timidezza. Lo spettacolo che si trovò davanti la fece rabbrividire: coltelli, stralci di stoffa, pezzi di legno,... sparsi per tutta l'anticamera (sì, quella era solo l'anticamera. Ma del resto è la stanza del Principe!).
In preda all'idea che fosse successo qualcosa a Fran, la ragazzina si fece avanti rapidamente, percorrendo un tortuoso sentiero tra quella robaccia, verso la porta che conduceva alla camera vera e propria. Iniziò a sentire delle urla, che si facevano più forti, e presto Chrome riuscì a distinguere gli insulti che il paggio lanciava al bambino, e anche la voce atonale di Fran, quasi completamente soffocata dall'altra.
- FRAN!!! - ulrò Chrome, sperando di arrivare in tempo.
Spalancò un'altra porta. Gelò, e in quello stesso momento Bel si voltò verso di lei.
- Che vuoi, donna? - chiese, visibilmente disturbato dalla sua presenza. - Non vedi che stiamo recitando? -
Chrome annuì lentamente, incapace di fare qualsiasi altra cosa, timorosa di innervosire il principe più di quanto non lo fosse già. Si limitò solamente a guardare verso Fran, che, legato ad una sedia, ricambiò quegli occhi preoccupati con il suo solito sguardo vacuo.
- Stiamo rappresentando il Guglielmo Tell. - spiegò il ragazzino, accennando alla mela che aveva in testa e ai coltelli conficcati nel legno della finestra dietro di lui, come se volesse dissipare l'espressione che la ragazza aveva stampata in faccia. - Se centra la mela, ho vinto io; altrimenti... -
La ragazza sbiancò.
- Belphegor-sama, sono venuta a prendere Fran... - cercò di dire Chrome, ancora più imbarazzata e con l'accenno di un inchino di scusa.
- Ancora un attimo... - rispose Bel, prendendo accuratamente la mira per centrare la testa di Fran con un coltello. - Abbiamo quasi finito... -
Chrome si sentì quasi svenire, ma sapeva anche di dover fare qualcosa. E d'impulso imprigionò il principe in un'illusione. Era una mossa che le sarebbe costata notevoli energie, e per questo aveva poco tempo per agire: slegò Fran, lo prese per mano e corse fuori dalla stanza.
Quando Belphegor riuscì a liberarsi da quell'illusione (con sommo dispiacere, perché era piena di atrocità e sangue), i due erano già fuggiti.
Il principe non se la prese: avrebbe avuto altri momenti per tormentare quella pulce dai capelli verdi, e si abbandonò pigramente sul divano.
Poi, però, si accorse di qualcosa che stava per terra, ai piedi del divano. Incuriosito, la raccolse. Era una scatola di legno dipinta di vari colori, con una predominanza di verde, e chiusa con un piccolo gancio. Il principe l'aprì, e il babou schizzò fuori rapidamente, cogliendolo quasi di sorpresa. Superata la perplessità e l'indignazione iniziale, Belphegor guardò il pupazzetto di pezza. Era Fran. Un babou perfetto di quell'odiosa rana. Così perfetto che a Bel bastava guardarlo per provare una sensazione di pizzicore fastidioso alle braccia.
Il suo primo impulso fu quello di gettarlo fuori dalla finestra, poi però si rese conto che quell'oggetto poteva avere una certa utilità... Ma solo dopo pranzo.

Intanto Chrome e Fran raggiunsero Tsuna e MM. Non appena quest'ultima vide il bambino scaricò tutta la sua frustrazione su di lui.
- Fran! - esclamò, assestandogli un scapaccione sulla nuca. - Siamo qui per lavorare! Non per giocare! -
- Vorresti dire siete qui per lavorare. - osservò il ragazzino.
- Mi dai della scansafatiche? - rispose lei, preparandosi ad un altro colpo, ma preferì evidentemente non rovinare le sue vellutate mani. - Vai di sotto ad apparecchiare con quegli altri due poppanti, subito! - poi si rivolse a Tsuna. - E anche tu! -
Il boss dei Vongola lasciò lo spazzolone e il secchio alla ragazza, poi seguì il ragazzino, brontolando tra sé e sé.
- Noi invece ci occuperemo dello studio del contabile. - disse MM con tono di comando a Chrome, consegnandole gli oggetti che le aveva dato Tsuna.
- Ho finito di pulire il salotto. -
Le due ragazze si voltarono e riconobbero Bianchi.
- Ah, bene. Allora puoi anche andare. Noi finiamo quest'ultima stanza e per oggi basta. - disse MM.
Bianchi se ne andò al piano di sotto, mentre le altre due ragazze percorsero il lungo corridoio fino alla fine, dove era la stanza del contabile. MM  bussò, e dall'interno una voce le invitò ad entrare.
Lo studio del contabile era piccolo e angusto, con pochissimi oggetti essenziali: un camino rigorosamente spento, una sola finestra abbastanza grande da poterci infilare la testa e un braccio, una mensola con pochi libri e una scrivania di legno di scarsa qualità, dietro alla quale stava una di quelle sedie girevoli economiche di plastica. Seduto su una pila di libri appoggiati sulla sedia, c'era il contabile, incappucciato come al solito e intento a contare gli spiccioli.
- Siamo venute a pulire lo studio. - annunciò MM.
- Prego. - rispose Mammon, senza alzare lo sguardo dalle monetine dorate appoggiate sul tavolo.
MM fece cenno a Chrome di entrare, e la ragazza si mise a passare lo straccio, sotto lo sguardo indifferente della clarinettista. Improvvisamente, come se l'effetto del sonno ipnotico che il denaro esercitava sul contabile avesse perso potere, Mammon si rivolse alla ragazza che batteva la fiacca.
- Se non ti metti a lavoro non sperare di avere da mangiare oggi! - disse. - Non voglio mica sfamarti perché tu non faccia niente! -
- E io non posso mandare all'aria una manicure da 140 euro per fare le pulizie! - ribatté l'altra, distogliendo lo sguardo dalle sue mani.
- Ma quei soldi sono i tuoi, non i miei. -
- Potrei dirti lo stesso per quanto riguarda i pasti. -
Mammon non rispose. E MM non dette un altro affondo. Si stavano rendendo conto entrambe di aver a che fare con una persona con i loro stessi difetti, e sapendo che il fuoco non si combatte con il fuoco né l'avarizia con l'avarizia, riflettevano. Poi ebbero tutt'e due la stessa idea, e lo capirono al volo.
- Oggi pomeriggio. - disse MM.
- Alle quattro? - propose Mammon.
MM accennò ad un sorrisetto furbo, poi uscì. Mammon non proferì più parola, riprendendo i suoi conti e lasciando la povera Chrome perplessa da quel curioso discorso quasi muto.

Cucina, ore 10:00.
- Possiamo entrare? -
- DECIMO! - esclamò Gokudera, spalancando la porta e inchinandosi fino a sfiorare il pavimento con la fronte. - Come sono felice di vederLa! -
- Wow! C'è uno zerbino nuovo! - esclamò Lambo, saltando sulla testa di Gokudera e poi in cucina verso il frigo.
- Anche il ruminante...! - borbottò Hayato, guardando con sguardo omicida il bambino. Poi tornò a rivolgersi a Tsuna. - Comunque questo non è posto per Lei, Decimo! Perché è qui? -
- Devo apparecchiare, e sono venuto qui per prendere le posate. -
- Mi permetta di aiutarLa! - esclamò il braccio destro, accennando a un inchino meno esagerato del precedente.
- Grazie... -
- I coltelli tagliano, Decimo, e non voglio che Lei si faccia male. - disse Gokudera, sorridente, svuotando il cassetto delle posate.
- Ma... -
- Vogliamo fare anche noi i disastri in cucina! - urlarono Lambo e I-Pin, saltellando allegramente, dopo aver visto la bistecca appoggiata sul ripiano della cucina.
- COL CAVOLO!!! - urlò Gokudera ai due bambini, preparandosi a lanciare loro tutte le posate che aveva in mano.
- No, Gokudera! No! Fermati! - disse Tsuna, trattenendolo per le braccia fino a quando non si fu calmato. - Devi cucinare: è meglio di no. E poi ho i bambini che mi aiutano. - e gli prese le posate di mano.
Fran, Lambo e I-Pin presero la tovaglia, i bicchieri, i tovaglioli e i piatti, mentre Gokudera implorava in ginocchio il boss di farlo partecipare al ''nobile atto di apparecchiare la tavola'', come diceva lui. Ma il Vongola non aveva la minima intenzione di voler saltare in aria con la casa perché il suo braccio destro voleva aiutarlo lasciando i fornelli incustoditi, e con calma cercò di convincerlo, mentre Hayato imprecava tra sé e sé. Poi però si rese conto che lì, in cucina, lui non era soggetto ad alcun controllo, e avrebbe potuto avvelenare i padroni senza che nessuno tranne lui lo sapesse, in modo da essere utile al Decimo per uscire da quella situazione umiliante.
- Ha ragione. Di me c'è più bisogno qui. - concluse, con un altro inchino profondo.
- Allora buon lavoro! - lo salutò la cameriera, uscendo seguito dai bambini. - Ci si vede dopo! -

Tsuna stava mettendo le ultime posate, quando un brutto presentimento si insediò nella sua mente, accentuato dall'ipersensibilità del suo iperintuito. Un presentimento che inizialmente restò quasi un vago pensiero passeggero nella sua immaginazione, ma che poi si fece concreto, e che lo spinse sempre di più ad andare a verificare se ciò che avvertiva era vero. Così mise l'ultima forchetta e disse ai bambini di che potevano andare a giocare, poi si diresse rapidamente in cucina. Ma proprio mentre stava per aprire la porta, un'antipatica voce lo chiamò dal piano di sopra:
- Ehi, pesce lesso! Vieni su, che il "principe" ha macchiato le tende delle finestre del corridoio! - urlò MM dal piano di sopra. - E ti ricordo che le finestre sono venti, quindi, se vuoi pranzare, DATTI UNA MOSSA! -
Tsuna, sospirando, si avviò verso le scale. Passando davanti all'ingresso, però, incontrò Yamamoto che rientrava dal suo allenamento di baseball quotidiano in giardino.
- Ehi, Yamamoto! - lo chiamò il Vongola.
- Sì, Tsuna? - esclamò Takeshi, solare come al solito.
- Dovresti farmi un piacere: - disse Tsuna. - Temo che sia successo qualcosa in cucina, puoi andare a controllare che sia tutto OK? -
- Certo! - accettò Yamamoto. - Vado subito! -
- Grazie! - lo ringraziò Tsuna, con il cuore più leggero, salendo le scale.
Il maggiordomo, come detto, si diresse subito in cucina. Ma ad appena due metri dalla porta, questa si spalancò, e udì una voce di fronte a lui.
- Prendine un po'. -
Yamamoto si trovò di fronte Bianchi che gli porgeva un vassoio pieno di "biscotti" rettangolari blu e gialli che si muovevano in modo poco rassicurante. Ma  lui non si preoccupò affatto.
- Mi piacerebbe molto, sorella di Gokudera, ma di solito non mangio dopo gli allenamenti. - rispose il ragazzo, sorridente.
- Allora cosa ci facevi qui? In questa direzione c'è solo la cucina. - osservò lei.
- E' che ho sentito... uno strano odore. - mentì.
- Ah, sì. - disse lei, scuotendo il capo. - Mio fratello: aveva lasciato i fornelli accesi e la carne si stava bruciando. Ora va tutto bene. -
Yamamoto cercò di sbirciare in cucina, con poco successo.
- E Gokudera? Non è qui? - chiese. - Non lo vedo da ieri sera. -
- No, quando sono entrata qui è svenuto. Così l'ho portato in camera. -
- Ah, capisco. Bene, a dopo! - disse, andandosene, fischiettando. - Devo andare a comprare una cosa. -

L'orologiò suonò le undici. Un orologio da una strana melodia.
Gokudera aprì lentamente gli occhi. Si ritrovò supino sul materasso più morbido che avesse trovato in quella casa da quando era arrivato, e coperto da un piumino caldo come una stufa. Sicuramente non era il letto che gli avevano dato i suoi "datori di lavoro", che era poco più di un lenzuolo ingrigito imbottito di paglia. Quando la nebbia del sonno si allontanò dai suoi occhi, Hayato poté vedere il soffitto, dal quale pendeva una lampadario di ferro battuto, rigorosamente nero. Che stanza era quella? Cercò di alzarsi, ma dallo stomaco sentiva un fortissimo conato di vomito. Allora provò a ricordare cosa fosse successo.
Non appena la porta si era chiusa, Gokudera si era subito fiondato sui fornelli e aveva affogato la bistecca del capo con quante più sostanze nocive aveva potuto trovare lì intorno. Poi, quando aveva creduto di aver fatto abbastanza, era andato a fare una passeggiata in giardino.
Ma una volta rientrato, si era subito accorto che nulla era andato a fuoco. Si era precipitato in cucina, e aveva trovato ciò che di peggio poteva trovare: sua sorella che aveva spento il fornello e si era messa a cucinare a modo suo.
Un'improvvisa fitta allo stomaco lo aveva costretto ad "accartocciarsi" a terra, gemente, mentre la sagoma, intenta a cucinare, si voltava verso di lui e gli rimproverava il suo metodo di scongelare le bistecche. Poi lo aveva rassicurato che da quel momento in poi ci avrebbe pensato lei. Ma Gokudera non l'ascoltava neanche più, e si sentiva svenire. Sua sorella lo aveva allora preso in braccio, e pochi secondi dopo il ragazzo aveva perso i sensi.
- Maledizione, devo fermarla prima che avveleni tutti! - esclamò, cercando di alzarsi, e venendo nuovamente soffocato dal conato.
Allora si arrese a restare qualche minuto sul letto per riprendersi dallo schock di aver visto sua sorella. Intanto, si chiese di chi potesse essere quella stanza. Non l'aveva mai vista, né gli altri gliene avevano parlato, né gliel'avevano mostrata quando erano stati mandati lì per lavorare. Poteva essere una stanza inutilizzata, ipotizzò. Ma subito dopo si corresse, constatando che non c'era un solo dito di polvere né sulle coperte né sulla testiera del letto. Qualcuno ci doveva pur dormire, ma chi? Non rispecchiava i gusti di nessuno dei Varia, e non poteva certo appartenere ad uno dei Vongola o dei Kokuyo, perché era troppo raffinata. Guardò alla sua sinistra, dove c'era una grande porta finestra dalla quale proveniva la luce che illuminava la stanza. Ma era impossibile guardare di fuori, perché le tende di seta bianche erano tirate davanti ai vetri. A giudicare dall'ora e dalla quantità di luce che entrava Gokudera riuscì, nonostante tutto, a capire che la stanza era esposta a sud.
L'orologiò suonò le undici e un quarto. Un raffinato orologio da camino (non a caso era posizionato sulla mensola del camino di marmo che stava di fronte al letto) con una strana melodia. Aveva già sentito quel suono, ne era sicuro... ma dove?... Dove?...
Saltò sul letto, riconoscendo la melodia, e in quello stesso momento la porta si aprì.
Hayato sbarrò gli occhi.
- Tu, qui?! - disse, sbalordito, senza essere in grado di articolare altre parole.
Con la mano ancora sul pomello dorato della porta, la slanciata sagoma in nero lo guardò, minacciosa, ed estrasse qualcosa da sotto la giacca.
- Di regola non si entra nelle stanze altrui senza un permesso del proprietario. - osservò, con un'inquietante voce pacata. - E non credo proprio che tu l'abbia. -
In risposta, Hayato sfilò tre candelotti di dinamite da una tasca dei pantaloni.
- Se avessi saputo che questa era la tua stanza, - spiegò, ringhiando. - non ci avrei messo piede neanche per sogno! -
Un sorriso malizioso comparve sul volto del Presidente del Comitato Disciplinare.
- Allora non ti dispiace se ti sbatto fuori di qui a modo mio, vero? -
Gokudera si alzò, senza rispondere. Poi accese il primo candelotto e lo lanciò contro Hibari. Kyoya lo schivò senza problemi. E così per altri quattro-cinque candelotti. Poi il cuoco si fermò, accorgendosi che il suo avversario non aveva mai cercato di colpirlo. Allora si rese conto di aver lanciato troppa dinamite, e di aver riempito la stanza di fumo, impedendo sia a lui che all'altro di vedere. E poi aveva ben altro da fare, e non poteva perdere tempo a combattere: doveva andarsene. Cercò di ricordare la posizione della finestra della stanza e la raggiunse, ma proprio mentre scostava la tenda, scoprì una sagoma scura nascosta tra il vetro e la tenda. Hibari lo aveva preceduto.
Poi Gokudera sentì una forte botta tra il collo e la spalla. E poi nulla.

Hayato fu svegliato da un'improvvisa fitta alla spalla. Aprì gli occhi, ritrovandosi in uno stanzino buio e piccolo. Hibari doveva averlo messo lì per levarselo dai piedi. Cercò di alzarsi, ma non appena spostò un piede, udì un verso che aveva tutta l'aria di essere un gemito.
- Che cavolo...? - Gokudera si scosse improvvisamente, rendendosi conto di dove fosse seduto. - COOOSA?? Sono seduto su Testa a Prato??? -
- Eh?? Testa a Polipo?? -
- Ma che ci fai qui? -
- Adesso ti racconto: verso le otto di stamattina il capo mi incaricò di portagli la giacca in lavanderia, al piano -1. Ho fatto la mia consegna e poi sono uscito. Stavo risalendo le scale quando Levi mi ha fermato, e io gli ho chiesto cosa volesse ALL'ESTREMO, e che avevo fretta di tornare dal capo per l'allenamento quotidiano; ma lui mi ha detto che il capo mi mandava una barretta energetica, e me l'ha data... -
- E tu ovviamente l'hai mangiata. -
- No: l'ho proprio di.vo.ra.ta! Allora mi sono sentito stanco e dopo mi sono svegliato qui, con te sulla schiena. E' stata un'esperienza estrema!... E tu? -
- Mia sorella voleva cucinare... - borbottò Hayato, rendendosi improvvisamente conto del pericolo. - E rischia di avvelenare non solo il pranzo di quegli assassini senza cervello, ma anche di tutti gli altri, se non usciamo da qui in tempo! - cercò di aprire la porta, inutilmente. - Dannazione! Ci hanno chiuso dentro a chiave!... Hai qualche idea? -
- ... -

12:00 (cioè mezzogiorno).
Cucina.
- Et voilà! - esclamò Bianchi, appoggiando sul tavolo un piatto che, secondo il suo sguardo, sarebbe dovuto essere un capolavoro, ma non sembrava altro che un pasticcio con i vermi. - Hayato ha ancora molto da imparare. -
Poi andò nella sala da pranzo per ordinare ai camerieri di riferire a tutti che il pranzo era pronto.
Di lì a poco arrivarono tutti (Hibari no:  colpa dell' ''agora-orticaria''): i servi in cucina e i padroni nella sala da pranzo. Ma mancava ancora qualcuno.
- Dove sono gli altri? - chiese Bianchi. - Mancano ben quattro persone! - pronunciò quel "quattro" con un tono inquietante.
- Però è strano che Gokudera, che è il cuoco, non sia qui. - osservò Tsuna.
- Non mi importa di sapere chi manca, vi basti sapere che, se non saranno qui entro cinque minuti... - minacciò Bianchi, lasciando volontariamente la frase in sospeso. - E non si mangerà fino ad allora, né qui né di là. - sentenziò infine, sedendosi.

Intanto, nello sgabuzzino...
- Testa a Polipo, tira fuori qualcosa per uscire da qui!!! - esclamò Ryohei, agitato. - Mi comincia a mancare l'aria! -
- Cosa ti aspetti che faccia? La porta è chiusa a chiave e non ho nulla per forzarla! - ringhiò Gokudera, dando un cazzotto sulla testa del compagno.
- E che ne so?... Buttaci della dinamite! -
- Perché tu non dai un cazzotto al pomello, allora? -
- Hai ragione! Non ci avevo pensato! -
Senza esitare, Ryohei lanciò un cazzotto alla porta (inutile dire che la mano si ingrossò per tre giorni e che non riuscì a muoverla per una settimana).
- Ora hai capito, Testa a Prato? Io non ho voglia di saltare in aria con la porta!... Ma come farò ad aiutare il Decimo, se sono chiuso qui con te?? -
Gokudera chinò il capo, abbattuto e cercando allo stesso tempo di farsi venire un'idea. Poi, improvvisamente, come se qualcuno avesse ascoltato la sua richiesta, udì qualcuno cantare.
- Ehi! Ehi, tu! Vieni qui!... - esclamò Gokudera, urlando contro la porta. - Mi senti? -
- Stupidera? - rispose la voce, fermandosi di fronte allo sgabuzzino. - Che ci fai nel muro? E' pronto il pranzo. -
- Oh, no! Ci mancava solo lui! - borbottò Hayato, disperato. Poi aggiunse, con voce più alta, allarmato. - Facci uscire di qui!!! -
- Perché? -
- Perché altrimenti Bianchi vi avvelenerà tutti! Apri la porta, subito! -
- No. -
- Ti ho detto: APRI!!! Quando esco da qui ti faccio diventare un arrosto!!! -
- Sì, sì... prima la pasta e poi l'arrosto! Ciao ciao! -
- ASPETTA!!! - urlarono Gokudera e Ryohei, all'unisono.
Ma fu tutto inutile, e Lambo se ne andò.

In sala da pranzo...
- Allora? Si mangia o no? - esclamò Squalo.
- Che fai, capitano, ti comporti come il boss? Ushishishishishi! - ridacchiò il principe, seduto di fronte a lui con le gambe sul tavolo.
- VOOOOI!!! Io come quel gorilla?? MAI! - ribatté Squalo, cercando di colpire Bel con la spada.
- Che cos'hai contro il Boss? - grugnì Levi, sentendosi chiamato in causa in difesa di Xanxus.
- In efetti il cuoco è in ritardo. - osservò Luss, guardando l'orologio a pendolo dall'altra parte della stanza, nel tentativo di alleviare la tensione. - E il boss non è ancora qui... Sembra tutto così strano... -
- VOGLIO LA MIA BISTECCA!!! - urlò una voce dal piano di sopra.
Squalo sbuffò.
- Meno male, cominciavo ad essere in pensiero! - bofonchiò a denti stretti, ironico.
- Vado io a prendere il boss! - esclamò Levi, alzandosi di soprassalto e correndo al piano di sopra. Ma tornò giù pochi attimi dopo, scuro in volto e lanciando sguardi fiammeggianti a Squalo. - Il capo vuole il suo cavallo. -
- VOOOOOI! E' la terza volta che devo portarlo a cavalcioni fino a qui! Mi rifiuto! - urlò lo spadaccino, irremovibile.
- Vuoi far morire di fame il Boss??? - Levi era furioso.
Lo sguardo che Squalo mostrò all'altro faceva capire che non gli sembrava una brutta idea.
- FECCIA!!! SBRIGATI, HO FAME!!! - continuò l'urlo al piano di sopra.
E Squalo si avviò, imprecando.

- DOV'E' LA MIA POLTRONA? - tuonò Xanxus, una volta in cucina, dall'alto della sua cavalcatura bianca dalla lunga criniera argentea.
- Eccola, boss! - esclamò prontamente Levi, mettendo la poltrona del boss a capotavola.
Squalo lasciò cadere il suo cavaliere sulla poltrona con tutta la grazia che gli si addice.
- Ehi, e la bistecca? - fece notare il boss a Levi.
- Ehm,... il cuoco non vuole portarla... - cercò di spiegare Luss.
- COSA?? Feccia, portami in cucina! - ordinò il boss, rivolgendosi ovviamente al suo vice.
Di lì a poco Xanxus fece il suo ingresso in cucina su una poltrona spinta da Squalo.
- Che succede oggi? Si digiuna? - chiese il boss. - Voglio la mia bistecca!!! -
- Allora prendila! - rispose Bianchi.
E così fece.

Sgabuzzino...
Ryohei e Gokudera avevano ormai perso le speranze di uscire da lì in tempo, quando passò...
- Ehi, EHI! Scemo del baseball! Takeshi, apri la porta! - i due prigionieri dello sgabuzzino si avventarono sulla porta.
- Gokudera?! Ryohei?! - il maggiordomo si fermò. - Dove siete? -
- Siamo nello sgabuzzino! Apri, svelto! -
E finalmente la porta si aprì, così che i due rotolarono a terra, sotto gli occhi perplessi del maggiordomo.
Gokudera si tirò su in una frazione di secondo.
- Sbrighiamoci! Forse siamo ancora in tempo! - disse, affrettandosi verso le scale che portavano al piano di sopra. - Voi andate in cucina, io andrò nella sala da pranzo! -

- Feccia, tagliala! - ordinò Xanxus, indicando il piatto.
Levi afferrò la forchetta e il coltello, come se avesse paura che Squalo si mettesse a litigare con lui per chi avesse l'onore di tagliare la carne per il boss.
Improvvisamente Gokudera fece il suo ingresso a sorpresa nella sala da pranzo.
- FERMI TUTTI! IL PRANZO E'... - Gokudera si interruppe: Xanxus aveva già dimezzato il contenuto del piatto.
 Il boss, gli occhi fiammeggianti, fece cenno al cuoco di avvicinarsi. Sorpreso, Gokudera ubbidì, e una volta che gli fu vicino, Xanxus lo afferrò per il colletto della camicia, costringendolo a chinare la testa allo stesso livello della sua.
- Feccia, - ringhiò. - Perché non cucini così bene più spesso? -
Gokudera non rispose, perplesso. Lanciò un'occhiata al piatto, e... quella non era carne.
Allora udì qualcuno che fischiettava, e poco dopo Yamamoto fece il suo ingresso nella stanza, sorridente.
- La ringrazio dei complimenti, Xanxus-kun. Non credevo che il mio sushi potesse fare questo effetto! -
- Sushi?? - esclamò Gokudera, sbigottito.
- Sì, - rispose il maggiordomo e, rivolgendosi poi al cuoco sottovoce, gli raccontò del favore che aveva fatto a Tsuna. Poi aggiunse. - Quando Bianchi aveva detto di aver cucinato, ho pensato che fosse bene sostituire il cibo di nascosto. Sono andato a comprare del pesce e mi sono messo a lavoro. -
Hayato si lasciò sfuggire un'espressione soddisfatta.
- Scemo del baseball, per una buona volta ti ammiro. - disse Gokudera, appoggiando una mano sulla spalla di Yamamoto. E poi aggiunse, stringendo la presa: - Ma non credere che ti permetterò di avere un'altra occasione come questa per minare la mia carica di braccio destro! -
Yamamoto rise di cuore.



VARIANTE (con omake)

[...]
- Eh?? Testa a Polipo?? -
- Ma che ci fai qui? -
- Adessi ti racconto:... -

Ore 8:00 di quella mattina.
Ryohei, appena incaricato da Xanxus di andare a portare la giacca in lavanderia, raggiunse una porta al piano -1, sulla quale era appesa una targhetta decorata con fiorellini, dove era scritto con una calligrafia impeccabile: "Lavanderia". Stava per aprire la porta quando qualcuno lo salutò.
- Yo, Sasagawa! - disse Yamamoto, agitando la mano in segno di saluto.
- Ehi, Takeshi, che ci fai da queste parti? - chiese Ryohei.
- Passavo dalla veggente perché ero curioso di sapere del mio futuro. - rispose il ragazzo, sorridendo.
- Sono sicuro che ti andrà tutto bene anche oggi, ci si rivede! -
- A presto! -
Yamamoto entrò nella porta che conduceva alla stanza della veggente, che era quella accanto alla lavanderia.
L'antro era quasi completamente buio. Sottili fasci di luce azzurrina o violacea penetravano da diverse fessure e illuminavano libri corposi rivestiti in pelle, barattoli di vetro dal contenuto imprecisato e altri oggetti dalle forme bizzarre o inquietanti che riempivano mensole, ripiani di scaffali e un grande tavolo.
Non sembrava esserci nessuno. Yamamoto chiamò. Ma la sua voce echeggiò nella stanza senza risposta. Poi, alla fine, una mano si appoggiò sulla sua spalla.
- Hai una prenotazione? - chiese una voce dietro di lui.
- No. - rispose Yamamoto.
- Allora non saresti dovuto entrare. -
- E perché no? Del resto sei pagato per starci ad ascoltare! - rispose il maggiordomo, levando quella mano dalla spalla e sorridendo.
Un'ombra ammantellata passò accanto al ragazzo, poi prese posto, seduta, dietro al grande tavolo, accendendo una candela.
- Cosa desideri sapere? - chiese.
Yamamoto alzò gli occhi al cielo, pensieroso. - Sinceramente non lo so... -
- Non starai dubitando delle mie capacità, vero? -
- Per niente. E' solo che non so cosa chiedere, ci sono così tante cose che nessuno sa... -
- Ma io so tutto, kufufufu... - interruppe la voce, con una breve risata pacata, prendendo da sotto il tavolo qualcosa che aveva tutta l'aria di essere una sfera di cristallo. La veggente ci appoggiò le mani, e la sfera divenne rapidamente color blu elettrico venato di nero. - Oggi farai la conoscenza di una ragazza bionda, carina, simpatica, intelligente, solare,... -
- Ma questo è successo ieri. - osservò Yamamoto, sorridendo.
La veggente sobbalzò, e alzò il volto incappucciato verso il suo interlocutore.
- Cosa hai detto? - chiese.
- Questo è successo ieri! - ripeté Yamamoto, ridendo.
- Ah sì? E come si chiama la ragazza? -
- Marta. -
- Dannazione! E' proprio così! - mugugnò la veggente tra i denti, agitando la sfera di cristallo e osservandola alla fievole e opaca luce della candela. - Ti pareva! Questa maledetta sfera si è fermata di nuovo!... Senti, dammi il tuo nome: ti faccio richiamare appena sarò riuscito ad aggiustarla. - disse, porgendo a Yamamoto un blocchetto per gli appunti e una penna.
Il maggiordomo scrisse il suo nome. Poi si alzò e uscì fischiettando allegramente.
- Muku-chan, mi dai una mano? - chiese poco dopo una voce petulante dalla stanza accanto. - Ci sono un paio di macchie particolarmente difficili da mandar via! <3 -
- Ti ho detto di non chiamarmi ''Muku-chan''! E poi te lo scordi! - rispose l'illusionista, bofonchiando poi: - Pervertito! -
- Guarda che se non vieni subito, vengo lì io, eh! - lo avvertì Luss, dalla stanza accanto.
Mukuro non lo prese seriamente, e continuò a lavorare sulla sfera da chiromante.
Bisogna sapere che, inizialmente, Mukuro era stato assegnato alla lavanderia insieme a Luss. Ma per gentile concessione del suo collega, gli era stato permesso di aprire un antro da veggente nella stanza accanto. Sfortunatamente, però, il Guardiano del Sole dei Varia non si privava del piacere di chiamare il suo vicino di attività ogni qualvolta credesse di averne il bisogno.
Improvvisamente Mukuro udì dei passi cadenzati e una canzone farsi sempre più vicini:

- La bella lavanderina che lava gl'indumenti
a quegli angioletti
dei Varia. -

Rokudo sbiancò, e cercò disperatamente qualcosa per difendersi non appena l'altro fosse entrato, e impedirgli di finire la canzone. Inutilmente.

- Lava un calzino,
strofina il polsino
sfrega col sapone
questo pantalone. -

La porta era ormai aperta.

- Stendi su,
tira giù,
dai un... - *

- Dai un po'una lavata a questo! - ordinò Mukuro, porgendo a Luss, ormai a pochi passi dal tavolo, il mantello che la sua professione lo costringeva ad indossare.
- Uffa! Proprio al verso che mi piace di più! - esclamò Luss, dispiaciuto, tornando in lavanderia per lavare il mantello. - Sei proprio un diavolo! -
Mukuro si lasciò cadere sulla sedia, sospirando di sollievo per aver evitato un bacio poco piacevole.
[...]

* (modifica "lussesca" de ''La bella lavanderina'')
  
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