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Autore: Fragolina84    22/02/2013    2 recensioni
Makani è la parola hawaiana per vento. Ed è un vento nuovo quello che soffia sui Five-0 e sul comandante Steve McGarrett. Questo vento ha un nome, Nicole Kalea Knight, e il volto di una giovane donna dagli splendidi occhi viola. Basteranno questi occhi a catturare un ex Navy SEAL?
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Steve McGarrett, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I miei Five-0'
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Capitolo 9
C’è qualcosa che io e Nicole dobbiamo dirvi

 
Steve non ricordava di aver mai vissuto tre settimane più splendide.
I Five-0 erano sempre più stimati in seno al Dipartimento. Erano veloci ed efficienti nella risoluzione dei casi ed erano abbastanza flessibili da sapersi adattare senza problemi alle diverse situazioni. In quelle settimane si erano ritrovati per le mani un altro caso di omicidio con movente passionale e un caso di rapimento a scopo d’estorsione. In entrambe le circostanze, l’aiuto di Nicole si era rivelato preziosissimo.
Parallelamente, sebbene non avessero ancora rivelato ai colleghi che si frequentavano, Steve e Nicole continuavano ad uscire insieme. Si rendevano conto che non era giusto continuare a tenere la cosa sotto silenzio, ma non riuscivano a decidersi a parlarne con loro.
Agli occhi di Danny, che era l’unico a sapere ufficialmente dell’interesse di Steve nei confronti della donna, era evidente che i due avevano fatto qualche progresso. Ma rispettava il silenzio di Steve e non gli avrebbe chiesto spiegazioni. Chin e Kono si limitavano ad osservare la situazione, e si rallegravano del fatto che Steve sembrava aver trovato una serenità nuova.
Era un martedì mattina e Steve stava rientrando allo Iolani Palace dopo un incontro con il capo della Polizia. Elliot lo chiamò mentre era ancora in macchina chiedendogli se potevano vedersi.
«Sono in macchina, se vuoi in cinque minuti sono da te» propose Steve e l’altro acconsentì.
Cynthia lo stava aspettando e lo accolse con un abbraccio. Era alta e sottile, con una soffice corona di riccioli castani ad incorniciarle il volto.
«Aloha, Cynthia. Stai benissimo con i capelli ricci».
Elliot, che l’aveva sentito entrare, venne verso di loro.
«Ehi, ancora non ti sei stancata di questo farabutto?» chiese Steve, con un cenno del capo verso Elliot che nel frattempo li aveva raggiunti e aveva cinto con un braccio la vita della compagna.
«Sì, ma anche volendo cambiare, non potrei: mi ha detto che tu sei già impegnato» rise la donna.
«La tua discrezione è ammirevole, sai?» sbottò Steve e gli altri scoppiarono a ridere.
«Ti va un caffè?» domandò Cynthia, mentre i due uomini si accomodavano nell’ufficio di Elliot. Arrivò pochi minuti più tardi con due tazze di caffè fumante e sedette sul bordo della scrivania, lasciando penzolare una gamba nel vuoto.
«Di cosa volevi parlarmi, Elliot?».
L’amico ruotò sulla sedia, afferrando una cartellina che aprì.
«Sono cinque settimane che sorvegliamo Nicole. In tutto questo tempo non abbiamo riscontrato nulla. Tra l’altro, ho sentito che ci sono ottime probabilità che il soggiorno di Alvarez presso il carcere di Halawa diventi definitivo».
In effetti, il processo era ancora in corso ma sembrava che la condanna all’ergastolo fosse indubbia.
«Pensi che lei sia al sicuro?».
Elliot si strinse nelle spalle. «Se Alvarez avesse voluto davvero farla fuori, avremmo visto qualcosa. Credimi, ho assegnato a Nicole i miei uomini migliori». Mentre parlava allargò le mani. «Ehi, parlo a mio sfavore: se decidi di terminare qui, perdo un lavoro».
Steve prese un sorso di caffè. Il Governatore l’aveva chiamato appena pochi giorni prima e, tra le altre cose, gli aveva chiesto per quanto ancora intendeva tenere l’agente Knight sotto sorveglianza. In effetti, per quanto limitata ai soli momenti in cui Nicole era sola – che tra il lavoro e la relazione con Steve non erano molti – l’operazione che Elliot stava conducendo aveva un costo, che gravava sul Dipartimento. E per quanto la Jameson si coccolasse i Five-0 e fosse sempre pronta a fornire loro assistenza e mezzi, Steve capiva che la cosa non poteva andare avanti in eterno.
«Forse hai ragione. Penso che, dato che non hai registrato nulla di anomalo in queste settimane, possiamo sospendere la vigilanza».
Cynthia annuì. «Di casi come quello di Nicole ne abbiamo visti parecchi. Se non succede qualcosa nei primi giorni, è molto difficile che accada poi».
McGarrett si disse d’accordo. Rimase con loro ancora un po’, prima di rientrare al quartier generale. Quel pomeriggio i Five-0 avevano in programma una riunione a cui il Dipartimento di Polizia li aveva invitati. Nonostante la libertà di movimento di cui godevano, erano equiparati alle forze dell’ordine delle Hawaii e quindi dovevano essere aggiornati su alcune nuove procedure.
Mentre raggiungevano il luogo destinato ad ospitare la riunione, Steve raccontò a Nicole dell’incontro avuto con Elliot.
«Finalmente ti sei deciso. Non ne potevo più di pensare a quei poveretti costretti a passare la notte a sorvegliarmi».
«Poveretti? Evidentemente non hai idea degli stipendi che paga Elliot!» esclamò Danny.
«Beh, non voglio certo pesare sul bilancio del Dipartimento. E poi non ho mai corso alcun pericolo».
 
La sera seguente, al rientro dal lavoro, Nicole parcheggiò la RS5 nel suo posto riservato e salì fino al quattordicesimo piano. Uscì dall’ascensore borbottando irritata perché non riusciva a trovare le chiavi di casa nella borsa.
Mentre avanzava verso il proprio appartamento, cercando a tentoni il mazzo di chiavi, lo sguardo le cadde sulla maniglia della porta, che pendeva verso il basso. Si bloccò e, per istinto, la mano destra andò subito in cerca della pistola, chiudendosi automaticamente sul calcio. La estrasse lentamente dalla fondina, tenendola puntata verso il pavimento.
Camminando con passi felpati si avvicinò all’ingresso, notando che la porta di casa sua era stata forzata. Fece un profondo respiro, lasciò scivolare la borsa dalla spalla e la posò a terra, e alzando la pistola davanti a sé, si preparò ad entrare.
Spinse decisamente la porta e usando la parete di vetrocemento per proteggersi, sbirciò all’interno. Non poteva soffermarsi troppo perciò si sporse, controllando che la stanza fosse libera. Non c’era anima viva ma ciò che notò immediatamente fu lo scempio che era stato fatto dei suoi quadri che giacevano a terra, strappati e lacerati probabilmente con un taglierino. Le tende erano state strappate dai sostegni e gettate intorno. I pensili della cucina erano stati aperti e le stoviglie fracassate sul pavimento.
Controllò il terrazzo e, con il dito pronto sul grilletto, raggiunse la camera da letto. Anche quella era deserta, ma i danni erano i medesimi. Il grande quadro appeso di fronte al letto sembrava essere stato dilaniato da qualche belva mentre i suoi vestiti erano stati tolti dall’armadio e gettati in giro. I cassetti del comò erano stati sfasciati e i pezzi erano sparsi per la stanza. Il portagioie con i suoi gioielli – un regalo di suo padre – era stato con tutta evidenza lanciato contro il muro finendo in pezzi. Collane e orecchini giacevano in un mucchio disordinato e scintillante.
Nicole ispezionò in fretta il bagno – dove lo specchio era stato infranto e i vasetti di cosmetici gettati a terra – e il ripostiglio e poi sedette sul bordo del letto sfatto. Provando un senso d’irrealtà, recuperò il cellulare e chiamò Steve.
«Dimmi, piccola» esclamò con evidente piacere.
«Steve, è meglio che tu venga da me. Qualcuno si è introdotto in casa mia».
«Non muoverti, ok? Arrivo immediatamente».
Steve non perse tempo e tolse la comunicazione. Infilò il giubbotto antiproiettile e si assicurò che la pistola fosse carica. Mise la sicura, afferrò le chiavi della macchina e corse fuori. Partì a sirene spiegate e mentre percorreva come un fulmine le strade di Honolulu, chiamò Danny mettendolo al corrente della cosa. Gli diede l’indirizzo di Nicole, pregandolo di raggiungerlo con Chin e Kono.
Quando uscì dall’ascensore e vide la porta spalancata, il cuore gli balzò in gola. Dimentico della propria sicurezza, si lanciò nel locale.
«Nicole!» la chiamò e la risposta provenne dalla sua stanza.
«Sono qui, Steve».
La trovò ancora seduta sul letto. Aveva tra le mani un pezzo stracciato di tela che Steve riconobbe essere un frammento di uno dei suoi quadri. Quando entrò, alzò su di lui lo sguardo che traboccava di lacrime. Lasciò cadere il brandello di tela e si alzò, facendo un passo verso di lui che colmò in fretta la breve distanza che li separava e la prese fra le braccia.
La strinse al petto, accarezzandole dolcemente i capelli, mentre lei continuava a piangere. Non un singhiozzo scosse il suo corpo, ma le lacrime continuarono a sgorgare sommessamente dai suoi occhi per lunghi minuti. Steve la condusse in salotto, raddrizzando una delle sedie e facendola accomodare.
«Stai bene, piccola?» domandò, e quando lei annuì le accarezzò la guancia. «Non avresti dovuto entrare da sola. Cosa sarebbe successo se fossero stati ancora qui?».
In quel momento risuonò la voce di Danny. «Steve! Nicole!».
«Siamo qui, Danny. È tutto ok».
Quando entrarono, Kono si precipitò dall’amica.
«Stai bene?» le chiese.
Nicole, che nel frattempo si era calmata, si asciugò le lacrime con il dorso della mano. «Sì, ma avrei voluto mostrarvi casa mia in un’altra circostanza» mormorò.
«Com’è andata, Kalea?» chiese Chin.
«Non c’è molto da dire. Mi sono accorta subito che la porta era stata forzata e sono entrata. Non c’era ovviamente nessuno, soltanto questo disastro» spiegò Nicole, con un gesto circolare a indicare la devastazione che era stata operata.
 Con naturalezza, tutti sedettero intorno al tavolo, meno Steve che rimase in piedi, appoggiato a braccia conserte contro il frigorifero.
«Kono, vediamo se riusciamo a recuperare qualche impronta» dispose ma Nicole bloccò l’amica che già stava andando a prendere i suoi attrezzi.
«Non ne troverai» disse semplicemente. «Non è una rapina. È un gesto deliberato».
«Spiegati meglio» replicò Danny.
«I miei gioielli sono tutti di là, sparsi sul pavimento. Però hanno distrutto i miei quadri e fatto volare per la stanza i miei vestiti. L’obiettivo era farmi sapere che erano passati e non si sono nemmeno preoccuparti di camuffarla come una rapina».
«Di chi stai parlando?». Steve slacciò il giubbetto, lasciandolo aperto sul petto.
«Dai, non è difficile capire chi è stato. O meglio, chi è il mandante». Nicole girò lo sguardo su di lui ma notando la sua espressione perplessa si affrettò a spiegarsi meglio. «Il mandante è Alvarez».
«Non mi sembra nel suo stile» obiettò Steve e Nicole si passò una mano fra i capelli.
«Pensaci, Steve: da quanto non sono più sorvegliata?». Di fronte al silenzio di McGarrett, la donna proseguì. «Ieri, per la prima volta, gli uomini di Elliot non hanno vegliato su di me e oggi mi trovo la casa scassinata. Bella coincidenza, non credi? È ovvio che è un messaggio. Alvarez vuole farmi sapere che può arrivare a me in ogni momento».
Il silenzio calò nella stanza mentre ognuno meditava sulle sue parole.
«Potrebbe avere ragione, Steve» intervenne Kono.
Steve non rispose ma raggiunse il terrazzo e rimase a guardare fuori.
«Hai un posto dove stare?» chiese Danny e Nicole sospirò.
«Non posso andare né da mia madre né da mio fratello. Di certo Alvarez si sarà informato su di me e sulla mia famiglia, ma non voglio coinvolgerli più di quanto già non lo siano». Nicole posò i gomiti sul tavolo, chiudendo gli occhi e appoggiando la fronte sulle mani giunte. «Dovrò andare in albergo» mormorò.
«Nicky».
La donna aprì gli occhi e lo fissò. Era la prima volta che Steve usava quel nomignolo in presenza degli altri. Anche Danny inarcò le sopracciglia ma non disse nulla. Nicole lesse nel suo sguardo tranquillo le sue intenzioni e annuì impercettibilmente. Steve si avvicinò e le posò una mano sulla spalla.
«C’è qualcosa che io e Nicole dobbiamo dirvi. Credetemi se vi dico che volevamo comunicarvi questa cosa in modo diverso, ma non c’è tempo per fare le cose per bene».
Nicole colse una leggera esitazione nel suo tono e gli strinse la mano che teneva ancora sulla sua spalla.
«Noi due ci frequentiamo da circa un mese» espresse infine tutto d’un fiato.
Il silenzio che seguì fu lunghissimo e fu Nicole ad interromperlo. «Siamo dispiaciuti di avervi tenuta nascosta la cosa. Siamo stati egoisti, volevamo vivere un po’ di tempo come una coppia normale».
Nessuno ancora parlava ed entrambi cominciarono a preoccuparsi. I Five-0 si erano sempre considerati prima di tutto una famiglia e soltanto ora si rendevano conto di averli in qualche modo traditi. Improvvisamente preoccupato dalle conseguenze, Steve si tese verso Danny.
«Danny, dì qualcosa, ti prego» mormorò e l’altro fissò su di lui i suoi occhi azzurri.
«Non posso parlare per gli altri, però io mi sento profondamente offeso» sbottò.
«Hai ragione, Danny. Ma noi…» cercò di dire Steve ma l’amico lo bloccò alzando una mano.
«Sono decisamente offeso dal fatto che abbiate pensato di poterci fregare. Che gran detective saremmo se non avessimo notato certi strani atteggiamenti sul vostro conto! In un mese non abbiamo fatto nemmeno un’irruzione e non abbiamo appeso nessuno ad un cornicione. La tua faccia da aneurisma sembra essere svanita del tutto, sostituita da un’espressione che prima ti avevo visto solo maneggiando un fucile d’assalto. Quanto a te» e si rivolse a Nicole, «sei stata un’ottima attrice al Moonlight ma quando guardi super SEAL non puoi impedire che i tuoi occhi di glicine scintillino come il sole sull’oceano».
Tanto Nicole quanto Steve erano rimasti immobili ad ascoltare la tirata di Danny. Sulle labbra di Chin e Kono comparve un sorriso ed entrambi annuirono quando Steve li guardò. Scosse la testa, sorridendo a sua volta.
«Te l’avevo detto che se ne sarebbero accorti» disse a Nicole.
«Davvero, ragazzi: non volevamo tenervelo nascosto».
«Non dovete giustificarvi. Penso di poter dire che, nella stessa situazione, ognuno di noi avrebbe fatto lo stesso» affermò Chin.
Steve si raddrizzò in tutta la sua statura.
«Dobbiamo muoverci ragazzi. Kono, tu e Chin fate comunque un controllo, vediamo se troviamo qualche indizio. Nicky, raccogli un po’ di cose. Vieni a stare da me».
Nicole non trovò nulla da obiettare sulla sua decisione. Anzi, il fatto che lui avesse preso saldamente fra le mani la sua vita la fece sentire sicura e protetta. Recuperò il borsone dal ripostiglio e ci mise dentro un po’ di biancheria e qualche vestito che raccolse dal pavimento.
Steve incrociò lo sguardo di Danny.
«Non è una buona idea» borbottò quest’ultimo.
«Non sto pensando proprio niente» ribatté Steve, ma Danny scosse la testa.
«Ti si legge in faccia».
Steve si chinò a raccogliere uno dei quadri, mettendolo in piedi contro la parete.
«E cosa avrei in mente, dottor Freud?» domandò ironico.
«Dimmi che non vuoi prendere la macchina e raggiungere il penitenziario per parlare con Alvarez» disse Danny, squadrandolo.
«Voglio far chiaro su questa faccenda, Danny» esclamò Steve, ma l’amico scosse di nuovo il capo.
«Non ti dirà niente. E, se davvero è lui il mandante, precipitandoti lì non farai altro che confermargli il tuo interesse per lei. E non credo sia il caso».
«Non posso essere semplicemente un capo preoccupato dell’incolumità della sua sottoposta?» domandò Steve e Danny lo scrutò per qualche secondo.
«Una volta ti ho visto gettare uno sconosciuto in una gabbia di squali. Come affronterai uno che ha minacciato la tua donna?».
Steve aprì la bocca per replicare ma la richiuse senza dire nulla.
«Vedi? Ho ragione» fece notare Danny.
Ben presto Nicole fu pronta e tornò in salotto con la sua valigia.
«Gli squali comunque erano fuori dalla gabbia» concluse Steve mentre Chin e Kono li raggiunsero. Avevano fatto alcuni rilievi, ma non avevano trovato nulla di significativo.
«Sei pronta?» chiese Steve e quando lei annuì, le prese la borsa.
«Kono, metti i sigilli alla porta».
Uscirono tutti e rimasero davanti alla porta mentre la donna apponeva i sigilli all’appartamento. Poi scesero fino al parcheggio dove Steve caricò la borsa nel bagagliaio della RS5. Ma bloccò Nicole prima che salisse.
«Aspetta. Chin, verifichiamo che sia sicura».
Entrambi si stesero a terra ed esaminarono il fondo della vettura, in cerca di una bomba che qualcuno poteva aver messo. Non trovarono nulla, ma prima che potesse partire Steve le fece aprire il cofano ed controllò minuziosamente anche il motore.
Finalmente fu soddisfatto ma rimase ad osservare con un filo di apprensione mentre lei premeva il pulsante di accensione. Il motore al minimo prese a fare le fusa tranquillo e Steve le chiuse la portiera, abbassandosi per parlarle attraverso il finestrino aperto.
«Vado avanti io. Danny e Chin ti seguiranno».
Nicole stava per dirgli che le sembrava un po’ esagerato ma la sua espressione la indusse a tacere.
Il corteo di macchine raggiunse in fretta la villetta di Steve in Piikoi Street. McGarrett tirò fuori dal garage la Mercury Marquis del padre, segnalando a Nicole di entrare con la sua macchina. Che fosse Alvarez il mandante dell’atto di vandalismo era tutto da dimostrare, ma era meglio non correre rischi. Meglio evitare che qualcuno potesse avvicinarsi alla sua auto durante la notte.
Salutarono gli amici e Steve recuperò la valigia dal bagagliaio dell’Audi, precedendo Nicole in casa. C’era ovviamente già stata però stavolta era qualcosa di diverso. Per un certo periodo – e non si poteva prevedere per quanto – avrebbero abitato insieme, vivendo a stretto contatto, come una coppia. Una prospettiva che da un lato poteva celare tutta una serie di maliziosi sottintesi mentre dall’altro era abbastanza importante da metterli entrambi leggermente in imbarazzo.
Steve gli portò la valigia al piano di sopra, posandola sul letto. Si voltò e lei si rifugiò nel suo abbraccio.
«Mi dispiace molto per il tuo appartamento. Soprattutto per i tuoi quadri» le disse e Nicole scrollò le spalle.
«Ne dipingerò degli altri» mormorò.
Steve le depositò un bacio sulla sommità del capo, continuando a tenerla abbracciata.
«Preparo la cena, ok?» disse.
«Ti spiace se faccio una doccia?» domandò Nicole.
«Non devi neanche chiedere. Fa come se fossi a casa tua, piccola» rispose.
Le procurò un asciugamano e scese al piano di sotto. Si liberò del giubbotto antiproiettile e si recò in cucina, dove mise sul fuoco una pentola d’acqua. Mentre attendeva che bollisse per buttare gli spaghetti, preparò l’insalata.
Nicole scese poco più tardi, con i capelli ancora umidi sciolti sulle spalle. Mentre lui affettava le verdure, lei preparò la tavola. Poi si appoggiò al bancone della cucina, osservandolo lavorare.
«Grazie» disse all’improvviso.
«E di cosa?» chiese lui, alzando la testa.
Lei si strinse nelle spalle. «Del fatto che mi fai stare qui, che ti occupi di me. Sai, non è male lasciare le redini ad un uomo, ogni tanto».
Dopo cena Nicole disse che avrebbe chiamato la madre per raccontarle l’accaduto e per farle sapere che stava bene.
«D’accordo. Fa’ pure con comodo. Ti aspetto di sopra».
Quando Nicole arrivò in camera, lui sollevò il lenzuolo per accoglierla. Lei gli si raggomitolò accanto e Steve la cinse con il braccio. Rimasero in silenzio e ben presto Steve sentì che la donna si rilassava. Il suo respiro divenne profondo e regolare, segno che si era addormentata. Rassicurato dalla sensazione di quel corpo stretto al suo, si addormentò anche lui.
Si svegliò qualche ora più tardi. Erano quasi le quattro del mattino e Nicole era scivolata giù, rannicchiandosi al suo fianco. Le scostò delicatamente i capelli dal viso e lei sospirò nel sonno.
Muovendosi lentamente per non disturbarla si alzò e scese. Aprì il frigo e bevve un paio di sorsate di succo d’arancia. Fece un breve giro della casa controllando le serrature e sbirciando fuori dalle finestre. Sembrava tutto assolutamente tranquillo, l’unico movimento era quello della risacca che si infrangeva lenta sulla spiaggia.
Quando salì in camera, Nicole continuava a dormire tranquilla e Steve rimase per un po’ in piedi accanto alla finestra. Sentiva un forte senso di protezione verso di lei. Era stato così facile dirle di venire a casa sua. Ma dentro di sé avvertiva una sensazione di disagio. Come un brutto presentimento, come se all’orizzonte si profilasse un’oscura minaccia. Steve possedeva una specie di sesto senso, un’abilità extra che gli permetteva di percepire i guai a chilometri di distanza e questa capacità gli aveva salvato la vita in più di un’occasione. E ora c’era un piccolo campanello d’allarme che suonava nella sua testa, ma il trillo era ancora lontano e lui non sapeva inquadrarlo con sicurezza.
C’era una bestia che si aggirava nel folto, ma era ancora troppo buio per riuscire a scorgerla e a darle una forma. Finché non si fosse rivelata, avrebbe protetto Nicole cercando di essere pronto nel momento in cui questa fosse balzata fuori dall’oscurità.
La voce assonnata di Nicole lo riscosse dai suoi pensieri. «Steve» lo chiamò e lui si voltò.
«Ti ho svegliata io?» sussurrò, avvicinandosi al letto e sedendosi sul bordo.
Nicole scosse la testa. «Problemi?».
Steve le accarezzò la fronte. «No, controllavo la situazione».
«Vieni a letto» lo pregò.
Lui aggirò il letto e si coricò. Nicole gli si fece subito vicina e ben presto si riaddormentò. Ma Steve non riuscì a riprendere sonno così facilmente e rimase sveglio finché la prima luce del mattino fece capolino nella stanza.

  
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