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Autore: kannuki    24/02/2013    2 recensioni
Se Google non riesce a rintracciarti, per il mondo, tu non esisti.
Genere: Fluff, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Alle sei del mattino, metà città sta ancora sognando di raggiungere le stelle. Alle sei del mattino, l'ascensore che innalza Debra Sept verso il trentesimo piano sta bucando il cielo. La limo è ferma davanti al palazzo, il motore è acceso e Messina sta fumando la prima sigaretta della giornata.

E' martedì sedici Ottobre 2012.

E va tutto bene.

L'ascensore si apre nell'appartamento 303 con un sibilo. La sera prima non vi ha fatto caso. Ricorda solo la musica. Debra si accorge di sospirare, agguanta la ciocca sfuggita alla forcina e trapassa il cuoio capelluto con essa. Si immerge nel vuoto cosmico interrotto dal suono ripetuto di una sveglia digitale, cammina rigida verso la camera da letto, la mano pronta sulla pistola d'ordinanza. Non ha mai dovuto usarla, spera di non dover cominciare quella mattina. L'insegna della pasticceria torna a balenarle di fronte agli occhi. Debra osserva il suo cliente che avrebbe dovuto essere sveglio e pronto, giacere fra le lenzuola di seta ritorta. Sospira, schiaccia il pulsante della sveglia e mette mano all'auricolare che è diventato tutt'uno con l'orecchio sinistro, dopo tanti anni di lavoro. Debra ha 32 anni e svolge quella mansione da sei. “Spegni la macchina. Trenta minuti.” Debra osserva la schiena dell'uomo e si chiede se ficcarlo sotto la doccia o gettargli un secchio d'acqua fredda addosso, esuli dalle sue mansioni. “Messina ed io troviamo inaccettabile che stia ancora dormendo, signore” dice ad alta voce osservando un'evidente assenza di reazioni: un cliente morto non segna punti in agenzia e ti fa retrocedere all'ultimo posto. Lo scrolla. “Signore?”

Cinque minuti...”

Cinque... minuti? Ha poche ore di sonno sulle spalle e lui chiede... “Sono le sei e sette minuti, signore. E' in ritardo e non è ancora vestito.”

Mark Framboise rantola qualcosa nel cuscino e Debra alza un sopracciglio. Non può colpire un cliente, per quanta voglia abbia di farlo. “Le concedo quindici minuti per la doccia e la barba. Mi faccia attendere ancora e dirò a Messina di chiamarle un taxi” esclama tirando via la coperta.

Il corpo seminudo al di sotto di essa si contrae con una scatto improvviso. Qualunque cosa faccia quando non è con lei, sta dando i suoi frutti. E' una gioia per gli occhi. Forse un po' troppo magro per i suoi gusti. Il ricciolo evade dalla forcina che ha conficcato nel cuoio capelluto venti minuti prima. Debra lo ignora mentre riempie il bicchiere d'acqua nel bagno, apre la confezione delle aspirine, ne prende due e torna nella stanza. La situazione non è cambiata molto e neppure la sua posa. “Le sono rimasti otto minuti, signore. Preferisce la ressa della metropolitana?”

Mh...”

Lo sguardo è nervoso e accompagnato da occhiaie profonde. Mark Framboise non ricorda l'ultima volta che è stato svegliato da una donna con la pistola di ordinanza. La camicetta non ha i revers e la scollatura corre dritta fino al primo bottone. Ne conta tre prima di soffermarsi sulla cintura che stamattina non ha dimenticato. Ne conta tre prima di rendersi conto che è eccitato di brutto. Si riappropria della coperta, sedendo a gambe incrociate sul letto. “Odio la metropolitana...”

Debra sorride e apre l'armadio. E' spaventosa la quantità di abiti che possiede quell'uomo. “Che colore le piacerebbe indossare, stamattina?”

Non è la mia cameriera personale...” le ricorda ingoiando le pasticche. Non la paga per stirargli le camice.

Dovrebbe pensare di assumere un valletto, signore. Le risulterebbe molto più facile affrontare giornate come queste.” Debra allarga la veste da camera. È sontuosa e deve tenere un gran caldo. “Le faccio preparare la colazione.”

Mi attenda in macchina” borbotta con un gesto vago della mano. “Si scusi con Messina da parte mia...”

Mark, sono le sei e trenta e ne ho già abbastanza di lei” esclama ammutolendolo. “Si infili in quella fottuta doccia senza dire un'altra parola!”

Quando smette di gridare, Debra legge un intero repertorio di incredulità nel suo sguardo. Entra nella cabina armadio, tira fuori un completo e lo getta sul letto, insieme ad una camicia e una cravatta. Non ha idea se sia adeguata o meno con il colore dell'abito. “Le faccio portare la colazione fra dieci minuti!”

Le porte dell'ascensore di chiudono alle sue spalle, Debra volta su se stessa e da una craniata alla parete, portando le mani attorno alla nuca. Stropiccia la pelle, la tortura e appoggia la fronte allo specchio lustro, lasciando una gloriosa mano di fondotinta che si rileva per niente no transfert. Quando Messina la vede comparire, ha già riacquistato il controllo di se. “Partiremo in ritardo.”

L'uomo si accende un'altra sigaretta e le passa il pacchetto che la donna rifiuta con un cenno del capo. La licenzierà in tronco, non avrà alcun rinnovo di contratto. Tanto vale cominciare ad arredare mentalmente la pasticceria.

***

Debra è seduta sulla sedia del tavolo della cucina e sfoglia cataloghi di arredamento, i piedi puntati sulla sedia gemella. Mangia kebab da asporto e sorseggia una Coca Cola Zero. Sa che dovrebbe cercare di ottenere un finanziamento dalla banca prima di scegliere i mobili, ma è più semplice cominciare dall'estetica. Inoltre, sono le otto di sera e nessun consulente lavora a quell'ora. Se lo fa, si fa pagare fiori di quattrini. “DeBurgh, dammi buone notizie.”

>Il tuo cliente ha chiamato. Era incazzato nero<

Debra fissa il pensile appena cerchiato col pennarello blu e gira la pagina.

>Ti ha riconfermato per altri due anni<

Il tappo le cade di bocca e nella cucina non si ode più il rumore di carta sfogliata. “Solito compenso?”

>Ha aggiunto un extra e ha fatto una richiesta<

Debra solleva le sopracciglia e scaraventa il catalogo sul tavolo. Incrocia le braccia sotto le stomaco e non è più sicura di voler lavorare per quell'uomo.

>Vuole che sia tu a tirarlo giù dal letto tutte le mattine<

Mi occupo della sua sicurezza, non...”

>Cristo, Deb! Ti devo ricordare la situazione lavorativa, là fuori?<

Debra alza gli occhi al cielo e incrocia una gamba sull'altra. “Dovrò anche scegliergli i vestiti?”

>Non questionare con me, ragazza!<

Pazzesco! “E magari portargli la colazione a letto!”

>Non lo ha specificato<

Debra tace e umetta le labbra.

>Si fida di te.<

Lei non si fida per niente di se stessa. “Di che cifra si parla? Possiamo trattare?”

Quando DeBurgh le risponde, le gambe di Debra crollano sul pavimento. Due anni di lavoro e la pasticceria potrà pagarla in contanti. “Posso spingere il carrello della colazione per quella cifra” ammette sentendo la voce tremolare. “Porca vacca, Leslie. Sono una montagna di soldi...”

>E sto parlando solo del tuo compenso personale, la percentuale dell'agenzia è qualcosa che non vedevamo dai tempi di Bush figlio.<

Il piccolo nerd?”

>Abbiamo già provveduto a far subentrare un altro agente. Perché l'hai fatto incazzare?<

Ci siamo presentati all'orario convenuto e stava ancora dormendo” sussurra infilando un dito fra i riccioletti. “Ho perso la pazienza.”

>Hai ripreso un cliente?!<

Le labbra della donna si stirano in una smorfietta. L'assenza di risposta è una risposta.

>Ringrazia i tuoi santi in Paradiso, piccola, ma non sfidare la sorte una seconda volta<

Invece, lei aveva proprio la sensazione che Mark Framboise avesse bisogno di essere rimesso in riga e bacchettato. “Sì, signore.”

***

Dove portate le limousine, Sept?”

Il suo cliente è pensieroso, quella sera. Debra gli scocca un'occhiata veloce e guarda fuori del finestrino. “In un garage a pochi isolati dal suo appartamento. I ragazzi fanno rifornimento, la puliscono e lasciano le chiavi al vecchio Biff.”

Lo conosce personalmente? L'ha mai visto?”

Sì, signore.”

Potrebbe farmi una grande cortesia, Sept? Potrebbe mostrami il deposito?”

La costringe a fare gli straordinari. Debra lo guarda apertamente. Non si preoccupa della sicurezza? Istintivamente, tasca la pistola nella fondina. “A che ora intende essere a lavoro, domattina?”

L'agenzia ha accettato la clausola extra in nome del dio Denaro, ma il capo della sicurezza deve aver pensato ad un capriccio da bambino viziato. “Non è costretta ad acconsentire ad ogni mia richiesta.”

La sua abitazione ha tutte le comodità ma ci sono alcuni cambiamenti che vorrei apportare.”

Elude tutte le domande di carattere personale. O sul loro rapporto. “Riguardo?”

Le finestre. I vetri non sono antiproiettile.”

Mark Framboise annuisce e torna a scrutare la strada.

Non ha il tappetino di gomma nella doccia. Vuole scivolare e fratturarsi l'osso del collo?”

Non credo, no...”

La sicurezza nello stabile è praticamente inesistente! Chiunque può attraversare la reception, prendere l'ascensore ed infilarsi nell'appartamento per ucciderla nel sonno. A cosa pensava quando ha scelto...” Debra si accorge di aver assunto un tono querulo e del tutto fuori luogo. È un cliente, non un amico. “Mi scusi.”

Sa perché la tengo con me, Sept?”

Non è per niente sicura di volerlo sapere. “No, signore.”

Solo le sette di giovedì sera, Mark Framboise ha allentato la cravatta e slacciato il primo bottone del colletto bianco. Debra Sept ha una camicetta nuova e il nastro che corre attorno al collo si esaurisce in un candido fiocco. Non è regolamentare, ma non ha saputo resistere. L'occhio di Mark Framboise continua a cadere sulla seta annodata. “No, certo che no...” sussurra pigiando le dita contro la bocca. Quando fermano di fronte allo stabile, Debra smonta per prima, fa un giro attorno alla macchina e apre la portiera continuando a scrutare il marciapiede semi deserto. “Sei minuti” annuncia all'autista, scordando fino all'ascensore il cliente. Due minuti per salire, due per controllare l'appartamento, altri due per riscendere.

Non troverà alcun assassino in casa mia.”

La sua voce è stanca. Forse anche lui risente della tensione che si è creata in macchina. “A che ora vuole essere destato, signore?”

Ho un servizio sveglia piuttosto efficiente, Sept.”

Se ha una voce registrata che gli da il buongiorno, per cosa è richiesta la sua presenza? “Le uova come le gradisce?”

Non mangio uova, al mattino.”

Le porterò un caffè...”

... e un dolce. Alla frutta.”

Non è una strana richiesta. Ne ha udite di peggiori.

La sua camicetta è molto carina.”

Grazie, signore. Non è regolamentare.”

Posso chiederle la cortesia di smettere di chiamarmi 'signore?'”

Debra lo guarda, immobile, le mani congiunte dietro la schiena. Il suo cliente ha gli occhi speranzosi. “No, signore” sussurra sciogliendo la posa. “Sveglia alle sette, caffè forte e tortina alla frutta. Si faccia trovare vestito, sbarbato e pronto ad uscire.”

Sì, signora.”

Debra risucchia il labbro inferiore e per un istante accenna un sorriso che mantiene fino all'ascensore. “Sa perché continuo a lavorare per lei?”

Per l'enorme gratifica natalizia.”

Debra Sept sorride e quando le porte si chiudono, le labbra si piegano all'ingiù. Gira su se stessa, struscia il collo slacciando il fiocco di seta e strappa un paio di forcine che risistema con cura, prima di raggiungere il pianterreno.

Sette minuti” la canzona Messina che ha tenuto il conto sul cronografo da polso.

Sta zitto” sussurra inspirando l'aria della sera. “Guarda quante stelle...”

***

La divisa regolamentare di un agente della sicurezza impone giacca ad uno o tre bottoni, di colore scuro, pantaloni – niente gonna, mai la gonna – e scarpe basse, adatte a correre. Gli stivaletti sono ben accetti purché siano lustri e privi di lacci sul dorso del piede. La camicia, prettamente chiara, non ha limitazioni riguardo stoffa o taglio. Si richiede che le signore curino con particolare attenzione il make up che deve essere invisibile e impeccabile. Gli agenti possono portare barba e capelli lunghi, purché la prima sia regolarizzata tutti giorni e l'aspetto complessivo risulti piacevole e ben curato.

Alle sei del mattino del 19 ottobre 2012, Debra spalanca le ante dell'immenso armadio che ha sostituito la cameretta del bimbo e passa in rassegna la collezione: gli abiti civili sulla destra, i completi da lavoro sulla sinistra. Due file di scarpe per lato. In mezzo, un comodo divanetto privo di schienale. Debra vi siede sopra piegando la gamba destra e finisce di bere il suo latte macchiato. I riccioli appena asciugati dal fon, sfidano le regole delle forcine. Tre minuti dopo, sta truccandosi allo specchio. Fondotinta nudo, cipria, fard – appena un tocco per creare un effetto bonne minne delizioso – rimmel nero, ombretto leggermente perlato. Ne troppo, ne troppo poco. Il completo è blu notte e la camicetta delicatamente azzurra, fil a fil. La giacca è chiusa in vita da un unico bottone e i pantaloni non possiedono tasche, per non rovinare la linea sui fianchi. Debra indossa la fondina sotto la giacca, dimentica di appuntare i capelli con le forcine ed esce di casa guardando insistentemente l'orologio. Ha venti minuti.

***

Il cliente non ha specificato che tipo di frutta gradisce. Debra agguanta tre tortine, ai frutti di bosco, all'albicocca, alle visciole. Sono ultra zuccherate, un vero attentato alla linea, e sfidano le leggi del diabete. Per il caffè ha meno problemi e fa preparare tre confezioni: macchiato per il cliente, con una montagna di panna per Messina che sta già strofinando le mani nei guanti di pelle, appena zuccherato per lei. Alle sei e quarantacinque, Debra entra nell'ascensore senza dare alcun riferimento temporale all'autista. La fronte continua a pruderle e solo quando si guarda allo specchio capisce: ha dimenticato le forcine e sembra un riccio in ammollo. Sospira, sperando che il cliente non se ne accorga e non scambi la dimenticanza con sciatteria. Appena entra nell'appartamento, il fischiettio di sottofondo la ferma nel minuscolo ingresso. Suo padre fischiava e cantava sempre, quando era piccolina. Non ha più sentito nessuno farlo. Neppure i lavoratori della strada. Si schiarisce la voce e il fischiettio svanisce. “Buongiorno, signore.” Il suo ordine non è stato rispettato. Non è pronto ad uscire, deve ancora annodare la cravatta. “Non è in ritardo.”

Ha portato la colazione...”

Come ordinato.”

Per una frazione di secondo, ma forse l'ha sognato, Mark Framboise ha abbassato impercettibilmente le braccia. Non ha usato termini forti o sbagliati. Non capisce cosa lo butti giù di morale. “Non ha specificato che tipo di frutta, così mi sono presa la briga di scegliere per lei.”

Vuole sedersi...”

Grazie, signore. Ho già provveduto prima di prendere servizio.”

Servizio. Debra Sept è sempre in servizio. La paga per stargli intorno. La paga profumatamente per portargli le tortine alla frutta e il caffè appena fatto. “E' un ordine.”

Debra deve sforzarsi di non inarcare le sopracciglia, ma non le è sfuggito il tono tremulo con cui l'ha detto. Non sembra abituato a dare ordini. Quando si rivolge a loro, è sempre cortese ed educato. E' l'unico cliente che usa 'per favore' all'interno della maggior parte delle frasi. Sposta la sedia dell'enorme tavolo da pranzo che fino a quel momento ha solo sostenuto mazzi di fiori e valigette colme di fogli, e poggia i gomiti sulla superficie liscia incrociando le dita, il mento delicatamente accostato.

Mark Framboise la osserva di sottecchi. Ha dimenticato le regole fondamentali sul nodo alla cravatta. Ha lo stomaco sottosopra e l'odore di caffè gli solletica le narici. Tira via il lungo nastro sottile e lo getta su una poltrona che non ha mai visto ombra di ospite. “Cosa ha preso?”

Albicocca, frutti di bosco, visciole. Il suo allenatore personale la sgriderà questa sera.”

Non ho un allenatore personale.”

Debra deve sforzarsi di non alterare i muscoli del viso. Deve impedirsi di gridare. “Mi sta dicendo che frequenta una palestra come tutti?”

Mark Framboise annuisce e a Debra tocca l'ingrato compito di fissarlo negli occhi che ha sgranato con aria colpevole. Sono molto scuri, quasi neri come i capelli. Pensa 'è deficiente' ma si limita a fissarlo. “Sta scherzando?”

  
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