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Autore: _wayward    24/02/2013    0 recensioni
Qualcuno una volta gli aveva detto, si ricorda improvvisamente, che tutta l'arte è piuttosto inutile.
Sebastian Melmoth chiude gli occhi e si chiede, allora, se una vita senz'arte non sia ancora peggio.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Slash
Note: Nonsense | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Età vittoriana/Inghilterra
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Autore: _wayward.
Titolo: It cannot be written, only lived ~
Fandom: RPF Storico.
Rating: Verde.
Genere: One–shot.
Personaggi/Pairing: accenni di Oscar Wilde/Alfred "Bosie" Douglas, Nellie Melba, OMC.
Parole: ~1441.
Avvertimenti: pre–pre–pre–slash, amnesia (?).
Disclaimer: Tutto © mio. E, ehm, della storia.
Note: 1) Scritta sul prompt “guanti” dei magici Faràs su COW–T3 #maridichallenge
2) Il titolo riprende una citazione di Oscar Wilde ("
Life cannot be written; life can only be lived").
3) Fatto storico rilevante #1: nell'ultimo periodo della sua vita, ormai in disgrazia, Oscar Wilde si presentava come Sebastian Melmoth. Controllate la sua biografia qui per maggiori informazioni.
4) Fatto storico rilevante #2: si basa su un espisodio secondo il quale, a Napoli, Wilde avrebbe tentato di rapinare la cantante lirica Nellie Melba, proprio pronunciando le stesse parole che ho usato.
5) Se non sapete chi sia Bosie, be', SAPETELO. (Oppure guardatevi Wilde e godetevi un giovanissimo Jude Law che fa le cosacce con Stephen Fry. ;D)


Introduzione: Qualcuno una volta gli aveva detto, si ricorda improvvisamente, che tutta l'arte è piuttosto inutile.
Sebastian Melmoth chiude gli occhi e si chiede, allora, se una vita senz'arte non sia ancora peggio.



~ It cannot be written, only lived


«... e sto per fare qualcosa di terribile. Sto per chiederle dei soldi.»
La voce è un sussurro ma rimbomba nel suo petto, nelle orecchie pulsa il battito del proprio cuore e l'urlo della donna lo colpisce come uno schiaffo in pieno volto.
Non c'è nessuno, in quel vicolo laterale, mentre lei si sfila la borsetta dalla spalla e gliela lancia addosso, iniziando a scappare.
Sebastian non fa nemmeno in tempo ad aprire la bocca: lei è già sparito oltre la nebbia del mattino che avvolge la strada.
Si accorge del guanto solo dopo aver mosso il primo passo.
È rosso, di velluto, lungo abbastanza da coprire il braccio di una dama fin sopra al suo gomito – ma ovviamente è troppo stretto perché le sue possano infilarcisi dentro.
Sebastian si ricorda, vagamente, di aver avuto un amico al quale sarebbe piaciuto, così se lo lega intorno al polso e, stringendo la borsa al petto, riprende a camminare.

*

Nonostante la fame, cerca di masticare lentamente. Ingoia piccoli pezzi di pane alla volta, tenendo in bocca la mollica il più a lungo possibile – le sue narici sono piene del profumo delle paste appena sfornate ma i soldi nella borsetta della donna gli sono bastati a malapena per quattro pagnotte calde.
Ha appoggiato il guanto morbido nello spazio vuoto della panchina su cui è seduto.
La gente che passa gli lancia le occhiate più strane ma lui non ci dà peso e non lascia che questi gli rovinino il pasto, povero, forse l'unico prima di chissà quanto.
Quando nemmeno l'ultimo morso calma la sua fame, Sebastian si lascia cadere contro lo schienale freddo, chiude gli occhi e la mano gli cade ad accarezzare il guanto.
Lo sfiora con la punta dei polpastrelli mentre immagini confuse si raggruppano nella sua mente e Sebastian le lascia scorrere perché sono l'unica cosa che gli rimane e sa di non poterle nemmeno vendere per racimolare qualche soldo in più di quelli che già non ha.
C'è un giovane, appoggiato contro lo stipite del suo inconscio, con i capelli chiari e gli occhi blu, che Sebastian a volte è quasi sicuro di aver conosciuto – salvo poi dirsi che probabilmente è solo un sogno dai contorni sfumati. Spesso, quando chiude gli occhi, il ragazzo gli parla, sussurrandogli parole che lui non capisce, o forse, semplicemente, non riesce a sentire; a volte lo stesso giovane è nudo, steso sopra un letto di seta pieno di cuscini su cui Sebastian morirebbe più che volentieri, con le gambe aperte ed un sorriso furbo sulle labbra rosa, in attesa di qualcuno che lui non può mai vedere. Lo sente, Sebastian, sente i suoi movimenti fuori dalla scena, la sua voce calda e sicura che attraversa l'aria ma, nascosto dietro le quinte, la sua figura non sale mai sul palco.

È costretto a riscuotersi da quel piacevole torpore quando un uomo si siede accanto a lui.
Il nuovo arrivato non è piacevole alla vista come non lo è per il suo naso: le rughe sul suo volto sono profonde cicatrici causate dal tempo e porta con sé una puzza di pesce che si impone sull'aroma della panetteria lì accanto. Quando gli sorride, un ghigno, più che altro, Sebastian nota che gli mancano due denti inferiori mentre tutti gli altri sono marci o spaccati, all'interno di una bocca che ricorda quasi fedelmente un campo di battaglia.
Rabbrividisce, stringendo il guanto nella mano, nel rendersi conto che questo è quello che diventerà lui stesso in un futuro nemmeno troppo lontano.
Senza esserne del tutto consapevole, Sebastian ricorda un tempo in cui avrebbe dato qualsiasi cosa, persino la sua anima, per non finire come quest'uomo.

«È un bel guanto» esclama ad un tratto con un accento che lui non riesce ad inquadrare, indicando la sua mano con un cenno della testa.
Sebastian annuisce lentamente.
«Scommetto che deve tenere caldo se lo indossi» aggiunge senza smettere di ghignare.
«Non lo so» risponde con un sussurro lui. Vorrebbe aggiungere che è troppo stretto per lui ma non vuole aprire la bocca di nuovo perché ogni volta che parla il vento del mattino scende ad accarezzargli la gola, raspandola come l'aratro colpisce la terra fertile. Tranne per il fatto che dalla sua gola non crescerà nulla – non più, almeno, gli risponde la voce del giovane, nascosta da qualche parte sotto la fronte o vicino al cuore.
L'uomo, in ogni caso, pare capire lo stesso: il suo ghigno si allarga ancora di più.
«Potesti darlo a me.»
Sebastian si volta ad osservare il cielo. «Lo sto conservando per un amico» mente, o forse non troppo.
Sta in silenzio, l'uomo, e lui capisce che sta aspettando inizi a raccontare. Stai tranquillo, vorrebbe rassicurarlo Sebastian, c'è gente che aspetta da molto più tempo, eppure, sotto il cielo talmente azzurro da ferirgli gli occhi e con il guanto che si poggia dolcemente sopra il palmo della sua mano, le parole gli escono senza che lui debba sforzarsi.
«Era famoso» inizia, e la gola secca e arida continua a bruciare ma Sebastian non si ferma. «La gente applaudiva a tutto quello che diceva, viveva nel lusso più sfrenato ma non si accontentava. Voleva sempre di più. Cercava qualcosa di cui non era sicuro dell'esistenza, penso, ma intanto continuava a parlare – la gente continuava ad acclamarlo. Per guadagnare incideva i propri pensieri sulla carta, rendeva vive le storie che gli si annidavano sotto la fronte.»
Il barbone accanto a lui tossisce ma Sebastian non si ferma.
«Aveva davvero tutto. Il Genio, un pubblico, dei critici, chi lo ispirava. Una moglie devota, dei figli, una vasta cerchia di amici. Non c'era niente che gli mancasse, non agli occhi degli altri.»
«E poi cosa gli è successo?»
Sebastian sente la propria bocca storcersi in una smorfia, la risata del ragazzo gli riempie le orecchie malate. «Ha trovato quel che cercava.»

L'uomo sta in silenzio e Sebastian chiude gli occhi, anche se percepisce chiaramente il suo sguardo insistente.
La stoffa del guanto, sotto il suo tocco sgraziato, crea piccole pieghe asimmetriche.
Sempre senza parlare, l'altro estrae dalla tasca un mucchio di monete sporche ed il suo sguardo ci cade sopra solo quando le sente tintinnare.
Solo in quel momento si accorge che la mano del vecchio è tutta accartocciata su se stessa, più sottile di tre dita e Sebastian pensa che sì, probabilmente a lui potrebbe perfino entrare, quel maledetto guanto.
Le monete sono poche, però – basterebbero forse per un'altra pagnotta e null'altro.
Il pugno dell'uomo si appoggia sulla sua coscia ed mattino è gelido nelle sue vene ma Sebastian non se ne rende conto: c'è un giovane, da qualche parte in mezzo ai suoi pensieri, che richiede le sue attenzioni.

Una manciata di minuti dopo, la pagnotta è calda e non gli riempie lo stomaco.
Il vecchio è sparito non appena Sebastian gli ha ceduto il guanto, talmente in fretta che ora non è più sicuro che non sia stato altro che un'allucinazione. Sbatte le palpebre un paio di volte, stringendosi le braccia contro il petto, e poi smette di pensarci perché ha perso da tempo la capacità di vedere quella linea rosso sangue che distingue ciò che è reale da ciò che non lo è.
Una donna di mezza età appena uscita dal teatro gli rivolge un'occhiata di disgusto quando lui si sdraia sulla panchina.
Qualcuno una volta gli aveva detto, si ricorda improvvisamente, che tutta l'arte è piuttosto inutile.
Sebastian chiude gli occhi e si chiede, allora, se una vita senz'arte non sia ancora peggio.

*

La vede appena tre giorni dopo e ci mette un po' a riconoscerla.
Sebastian sa di averla già vista, ne è quasi sicuro, solo, come succede spesso, non si ricorda dove. Forse in un dipinto del museo, forse mentre recitava all'opera – ma non è davvero importante.
Non è vestita particolarmente bene, però si trascina dietro una grande borsa e la scia di profumo alle pesche che si dirama dai suoi capelli gli fa venire l'acquolina in bocca.
Quando lei esce dal locale e si incammina lungo la strada buia, Sebastian la segue per un pezzo e, una volta raggiunta, le posa un braccio sulla spalla.
Lei si volta, stupita ma non allarmata ed un lampo le balena negli occhi.
Forse l'ha riconosciuto, pensa Sebastian, forse lei sa chi è, forse potrebbe chiederglielo e lei glielo spiegherebbe.
Sebastian apre la bocca e la donna solleva un angolo della sua in una timida imitazione di un vero sorriso. Sta quasi per chiederglielo, Sebastian, quando la voce del giovane ricomincia a ridere e allora non può fare altro che ripetere ciò che fa sempre.
Richiude la bocca e lascia che il suo braccio gli cada lungo il fianco.
«Sono Oscar Wilde» dice senza inflessione. «E sto per fare una cosa terribile.»


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