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Autore: Hi Ban    24/02/2013    3 recensioni
Shisui Uchiha.
Nato. Ninja di Konoha, ottimo membro del suo clan, grande amico di Itachi Uchiha, di cui è cugino. Morto.

Fine dell’accurata e sentita descrizione che si poteva fare del suddetto ragazzo.
Io, un pomeriggio disgraziatamente destinato allo studio, un databook inutile e un tecnica segretissima che non vi rivelerò mai.
Genere: Comico, Demenziale, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Itachi, Nuovo Personaggio, Shisui Uchiha
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima dell'inizio
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The life and the opinions of Uchiha Shisui, ninja





Shisui Uchiha. Nato. Ninja di Konoha, ottimo membro del suo clan, grande amico di Itachi Uchiha, di cui è cugino. Morto.
Fine dell’accurata e sentita descrizione che si poteva fare del suddetto ragazzo.
Con afflizione lasciai cadere l’ennesimo databook potenzialmente inutile in cui non si parlava dell’Uchiha; c’erano proprio tutti, in quel santo volumetto, eh! Da Chiyo ad Ebisu, per poi passare ai cani di Kakashi – importantissimi, per carità, nessuno lo nega – ed infine procedere sulla descrizione di Ebizo. Eppure su Shisui Uchiha non si era spesa una sola parola, in trecentocinquanta pagine e rotte.
Avevo finito con lo sprecare nuovamente i miei soldi, se non fosse stato che almeno si erano degnati di mettere profilo e informazioni interessanti su Hidan. Se così non fosse stato, state ben certi che a quest’ora non sarei qui a narrarvi le mie vicissitudini personali, ma sarei a fare causa a chiunque si occupi di gestire la redazione di questo utile-inutile libretto informativo. Non che non avessi apprezzato di conoscere vitali informazioni su – aprendo una pagina a caso del volumetto – vecchia gatta, ma sapere che Sasuke le aveva portato l’erba gatta per farsi ricevere lo sapevo già. Lo avevo visto nell’anime e letto nel manga, di Shisui invece sapevo a malapena nome e cognome.
Perché, pertanto, non potevano utilizzare questo spazio per far sapere al mondo cosa mangiava Shisui Uchiha? O cosa amava fare? O quando diavolo era nato? Se evitavano anche di nominare la sua prematura dipartita non facevano un favore solo a me: le mie crisi isteriche si sentivano per mezzo vicinato.
In sostanza, in quell’anonima giornata di aprile, erano quelli gli interrogativi su cui mi stavo scervellando da intere ore, mentre il mio pomeriggio pigramente si trasformava in ore mal utilizzate e poco utili per me stessa.
C’era giusto qualcosina che avrei dovuto studiare per il giorno dopo, ma ehi!, Shisui Uchiha era più importante della termodinamica, delle onde e di Mendel, con i suoi santissimi piselli gialli, verdi, rugosi, ogm e via dicendo.
Tornando a quel pomeriggio, reso inutile dalla mia perpetua stasi lunga svariate ore in cui mi crucciavo inutilmente su astruse problematiche, senza peraltro venire a capo di niente, c’è da dire che comunque qualcosa finii davvero con il farla.
Noto qualche bocca spalancata, non è una cosa carina da vedere.
La smodata necessità che sentivo di dover trovare un modo per conoscere informazioni sul suddetto Uchiha, di cui si conoscevano solo i risvolti drammatici e truculenti, mi aveva portato a diverse alternative alla mia palese nullafacenza.
Prima di tutto avevo fatto la cosa più ovvia, più scontata e più inutile: avevo consultato internet per raggiungere la conclusione che dieci minuti dopo ne sapevo meno di prima.
Poi avevo compreso che mettere a posto il databook, fare qualcosa di costruttivo e vivere la mia vita fino a che Kishimoto non avesse alleviato i miei affanni con una pagina di informazioni forse forse poteva anche essere una buona idea.
Non c’è bisogno di dire che l’ho scartata immediatamente, vero?
Era giunta all’unica scelta possibile da fare.
L’unica che mi avrebbe dato risposte, che mi avrebbe chiarito immensi dubbi, che mi avrebbe messo l’anima in pace, che mi avrebbe portato lontano dal libro di fisica, in modo da smettere di occhieggiarlo come se potesse aggredirmi da un momento all’altro.
Cosa ho fatto, perciò, secondo voi?
No, non mi sono messa a scrivere una lettera di protesta a Kishimoto, scritta con ritagli di giornale e con il peggior turpiloquio mai sentito. Ho fatto qualcosa di molto più semplice ed immediato, senza dubbio un’impresa eroica, così sarà ricordata dai posteri.
Ve lo dico io, cosa ho fatto: sono andata a trovare Uchiha Shisui e ho scritto quella parte di databook che per il momento non sarei mai riuscita a trovare.
… Non è per nulla simpatico ridere delle affermazioni altrui, so che da qualche parte, dietro qualche schermo, c’è qualcuno che se la sta ridendo alla faccia mia, per l’assurda dichiarazione.
Beh, ma è stato proprio così, eh. Ve lo assicuro. Mano sul cuore!
Se volete ve lo racconto, cosa è successo, come sono andate le cose e tutto il resto.
Massì, dai, ve lo racconto solo perché sono magnanima e in questo momento sto proprio ignorando i lamenti straziati che mi chiedono di non fare una cosa così atroce come scrivere un’altra delle mie idiozie.


Konoha, Porte del villaggio/Ichiraku ramen, pomeriggio




Non ho la minima intenzione di farvi sapere come ci sono arrivata, a Konoha. È una tecnica segretissima, non posso mica dirla al primo che passa; poi la usereste tutti, verreste in questo Villaggio poco simpatico e pieno di ipocriti e fareste una strage secondo le vostre personali idee. Già mi immagino che ci sarà colei che fa fuori Sasuke perché il ragazzo fa più casini di quelli che risolve, ci sarà quella che uccide Sakura perché, semplicemente, è Sakura e tanti altri omicidi sul Konoha Express.
… Se qualcuno vuole uccidere Kabuto, per carità, me lo faccia sapere, che gli do le informazioni precise per raggiungerlo con tutte le comodità possibili.
Comunque, al massimo posso dirvi il nome della tecnica che ho utilizzato, tanto voi non potrete mai immaginare i complicatissimi sigilli che bisogna fare con le mani, tanto complessi che la maggior parte finisce con lo spezzarsi le dita delle mani nell’intrecciarle. Saltellando per il dolore, poi, si rompe anche quelle dei piedi, oltre il danno anche la beffa.
Ci terrei a precisare che io ora sto scrivendo con l’ausilio dei gomiti, perciò possibili errori sono imputabili a questo ambiguo metodo di scrittura.
La tecnica si chiama… nh, si sta facendo tardi, se andiamo avanti a tergiversare non proseguiamo più e non posso finire di raccontare le mie fantastiche avventure.
Dicevamo, giunta a Konoha… mi presi un attimo di tempo per accettare il fatto che ero arrivata lì. Non perché dubitassi che la segretissima tecnica potesse essere fallace, ma proprio perché ero a Konoha.
Sì, ok, forse un po’ dubitavo, ma dettagli.
In verità me ne sono stata ferma ed immobile per almeno una quindicina di minuti, essendomi resa conto, in un lampo di illuminazione folgorante, che non sapevo nemmeno cosa fare. Ero partita con una penna e il quaderno degli esercizi di chimica in mano, nulla di più nulla di meno. Forse mi sarei dovuta studiare un piano d’azione prima, ma improvvisare rendeva tutto più avventuroso ed emozionante.
Non crederete mica che, comunque, mi sia data alla pazza gioia fin da subito, ignorando il mio importantissimo compito, missione, incarico super segreto.
Ok, lo ammetto, in effetti la prima cosa che ho fatto giungendo ai cancelli di Konoha – sì, questa bellissima tecnica segreta ti lascia proprio alle porte del villaggio, comodissima devo dire – è stata pensare che da Teuchi ci sarei andata davvero volentieri, giusto per mangiami una scodella del tanto buon ramen decantato da Naruto.
E ci sono anche andata, da Teuchi, avevo una gran fame! Ovviamente le guardie non mi hanno chiesto nulla, ma è tutto merito della tecnica. E non pensate nemmeno per un attimo di chiedermi come mi sia potuta recare lì con jeans e felpa: sì, la tecnica ti cambia anche i vestiti, io l’avevo detto che era comodissima.
Prima che vi mettiate a farmi il quarto grado, facendo presente che io ero andata lì per trovare Shisui e mettere fine alla scarsità di informazioni su di lui, sappiate che andare da Ichiraku è stata la scelta migliore.
Sì, davvero, non sto scherzando, non sto nemmeno tentando di pararmi il di dietro per essere andata a mangiare piuttosto che aver cercato subito l’Uchiha.
Ma indovinate un po’ chi ci ho trovato, da Ichuraku?
Esatto, Shisui Uchiha!
Chi di voi sta pensando che la mia è stata solo fortuna sfacciata? Bene, lo sto pensando anche io, perciò non vi accuserò di eresia nei miei illustrissimi confronti.
Comunque, andando con ordine: non chiedetemi come ci arrivai, da Teuchi, visto che di quel Villaggio non sapevo distinguere una via da un’altra. Tirai semplicemente avanti finché non trovai il piccolo chiosco. C’era Ayame che sgridava i due tipetti perché non erano stati in grado a preparare una scodella di ramen o così pareva. Non mi interessai ulteriormente ai loro discorsi e andai a sedermi.
Chiesi una scodella di ramen e mentre attendevo quello che il signor Teuchi decantava come il miglior ramen delle cinque Terre, a beneficio di una povera straniera come me, proprio di fianco a me giunse Shisui Uchiha.
Sì, avete ragione, è culo sfacciato, ma prendiamo buona questa dimostrazione del fato non avverso alla mia iniziativa e andiamo avanti.
Era con Itachi, stavano chiacchierando. O meglio, Itachi ascoltava e Shisui parlava ad un tono di voce parecchio alto. Era seduto proprio sullo sgabello di fianco al mio e mi dava le spalle, ma non potevo che trovarlo bello. Sì, anche di spalle, mentre rideva da solo ad una battuta che aveva fatto lui, priva di senso. I capelli erano mossi, il simbolo degli Uchiha sulla maglia gli stava davvero bene e…
… Diamine, il ramen era davvero buono!
Sì, mentre rimiravo Shisui di spalle la scodella era arrivata, ma suppongo di dover tornare alla mia missione, non ho iniziato questo trattato di epiche avventure per farvi sapere che il ramen qui è davvero buono e voi non potete mangiarlo perché non conoscete la tecnica.
Mh, bene.
Anche i due avevano ordinato del ramen e ringraziai io i kami per loro quando giunsero le scodelle, perché ciò mi permise di vedere almeno il profilo di Shisui Uchiha.
Piccola parentesi: non pensate nemmeno per un attimo che Itachi non sia degno delle mie attenzioni, ma mi sto trattenendo dallo scrivere tutto quel che ho da dire su di lui, perché io stessa quel giorno feci fatica a concentrarmi solo sul mio obiettivo primario.
Due Uchiha di fianco in un solo giorno al posto di Mendel: non chiedetemi cosa mi abbia trattenuto dal morire per un’emorragia al naso.
Comunque. Mentre i due parlavano, mi impegnai a mangiare con calma i miei spaghetti. Mangiarli in maniera indecorosa mi avrebbe fatto fare una figuraccia e conoscendo la mia indole particolarmente portata a fare figure di merda tentai di trattenermi dal tirarli su di colpo, schizzando brodo dappertutto.
Quanti anni poteva avere?
Non si capiva bene, sui quindici… sedici… diciassette? Mi arresi e mangiai quello che sembrava un pezzo di carne.
Nell’arco di una decina di minuti – pur di non finire il ramen troppo in fretta iniziai a mangiare uno spaghetto alla volta: Teuchi mi guardava in maniera parecchio strana –, potei constatare che quel ragazzo era quanto di più rumoroso esistesse sulla faccia della Terra. Non solo per il tono di voce e le risate udibili anche a Suna, ma in generale. Io mi ero impegnata per non schizzare brodo da tutte le parti? Beh, lui non ci aveva nemmeno provato. Itachi mangiava in maniera decisamente più contenuta, lui fece l’esatto opposto.
Però aveva una gran bella risata. Contagiosa. Presi a ridere anche io, infatti.
Avevo forse detto no alle figure di merda? Dio solo sa quanto vorrei, anche io, per una sola volta fare quello che io stessa dico che dovrei fare.
Presi a ridacchiare, ma non perché trovassi esattamente divertente qualcosa, quanto più perché mi aveva colto l’isteria allo stato puro.
Shisui Uchiha si era voltato e io lo avevo visto in faccia.
No, rettifica dell’ultimo minuto: lui si era girato e io gli avevo riso in faccia. Così suona anche adesso piuttosto male.
Non dovrei nemmeno dover commentare il suo bel volto, perché è cosa risaputa che sia bello e adorabile, ma con quell’accenno di sorriso che ancora si intravedeva e tutto il resto… gli occhi scuri e i capelli scompigliati in maniera così…
Mentre ridevo tutta tranquilla e ignorando le occhiatacce di Teuchi, battei una mano sul bancone per afferrare il mio tovagliolo.
Sentii Teuchi bisbigliare qualcosa alla figlia: le aveva per caso chiesto cosa avesse messo nel mio ramen?
Perché, piuttosto, non si interrogava su chi il destino mi aveva piazzato di fianco? Avrebbe trovato più risposte ai suoi dubbi, sicuramente.
Itachi si era sporto leggermente per vedere quale caso patologico sedesse alla sinistra del cugino e aveva trovato me, con la faccia affondata nella mia scodella nel vano tentativo di trovare un contegno. Sempre nel vano tentativo mi passai il tovagliolo sotto al naso: c’erano buone possibilità che l’emorragia mi stecchisse da un momento all’altro.
Poi, oltre a preservare la mia dignità – se ancora c’era –, non dovevo assolutamente dare nell’occhio. Quella tecnica – sempre quella che voi non conoscete e che io non vi svelerò, sì – faceva un po’ di tutto forse anche lavare i cessi, ma di certo non celava la mia presenza e mi rendeva in grado di scoppiare a ridere in faccia alla gente a caso, così, senza destare un minimo di sospetto.
Per un po’ mi limitai ad occhieggiarlo di soppiatto; lui, dal canto suo, mi aveva osservato per un po’ in maniera perplessa e poi se n’era tornato a parlare con Itachi.
Se ve lo state chiedendo, comunque, per il momento non stavano dicendo nulla di interessante, parlavano di missioni e qualcosa che riguardava un tal tappo pisciomane, ma non saprei dirvi altro a riguardo. Non dicevano nulla che poteva aiutarmi nella mia ricerca!
Ordinai un’altra scodella di cibo, questa volta Tsukemen, visto che i due non sembravano intenzionati ad andarsene ancora: Shisui aveva ordinato altro ramen e aveva elemosinato soldi ad Itachi – «Non dirmi che sono costretto a batterti in combattimento per farmi offrire del ramen!» – , affermando che aveva speso tutti i suoi per comprarsi una carpa.
Una carpa, già.
Che fosse un ambientalista?
Fortunatamente, Shisui, per parlare con Itachi, era leggermente girato verso di lui e mi dava le spalle; non poteva vedere tutto quello che facevo, cosa che giocava a mio vantaggio.
Quando presi il mio quaderno – c’era uno spicchio di limone sopra, molto chic – e la penna dallo zaino lui non mi vide, cosa molto buona. Probabilmente suo cugino mi stava tenendo d’occhio, però. Era pur sempre Itachi Uchiha, non si ci poteva aspettare che desse per scontata nessuna minaccia. Valeva la pena controllare anche una ragazzina in piena crisi ormonale, non si sapeva mai.
Misi la mia attrezzatura da spionaggio – mi ripromisi che per la prossima incursione mi sarei attrezzata meglio – dall’altro lato della scodella e appoggiai la testa sul braccio destro, impedendo la vista ai due Uchiha.
Mi piangeva seriamente il cuore al vietarmi da sola la vista dei due ninja al mio fianco, ma ne andava della mia missione. Con le lacrime agli occhi, mentre mangiavo un po’ di tsukemen, compresi cosa provavano i grandi ninja quando dovevano prendere una decisione cruciale per il bene della missione.
No, non credo affatto di star esagerando, se ve lo state chiedendo.
Comunque, iniziai a prendere appunti su quel che avevo scoperto per il momento. È bellissimo.
Punto primo, eh. Dubitavo ci fosse la dicitura ‘aggettivo con cui meglio lo si può definire’, ma comunque non cancellai quell’informazione, che probabilmente era l’unica che si poteva comprendere da quel poco che aveva detto Kishimoto.
Era pur sempre importante rimarcare l’ovvio, ecco tutto.
Non sapevo da che parte iniziare, per mettere su anche uno straccio di scaletta per ordinare i miei appunti, ma a salvarmi da quel dilemma fu la voce allegra di Shisui.
«Itachi-chan, perché hai regalato dei kunai al tappo?» chiese ad un tratto, con disappunto nella bellissima voce.
Se state pensando, anche solo per un attimo, che la mia può essere una narrazione tendenziosa, beh, vi sbagliate di grosso.
«Perché?» si informò pacatamente l’altro Uchiha. «Tra poco inizierà l’accademia, deve esercitarsi» e fu in quel momento che compresi chi fosse quel tal marmocchio o tappo che Shisui nominava in continuazione.
Era Sasuke.
«Ha tentato di piantarmene uno in un piede, ieri. Ha detto che gli è sfuggito casualmente di mano! Casualmente un corno! Non ce l’aveva nemmeno in mano, lo ha preso apposta per uccidermi!» si lamentò e riuscii ad immaginarmi con semplicità l’espressione offesa e il mento sporco di brodo e…
No, ok, questo non va riportato, scusate.
«Se tu non lo infastidissi, lui non utilizzerebbe i kunai in maniera inappropriata» gli fece presente Itachi, cosa che aveva anche un suo senso logico.
Non per Shisui Uchiha.
«Io non lo infastidisco, Itachi-chan, rendo solo le sue giornate più divertenti» precisò con solennità.
«E lui sporca il tatami con il tuo sangue» ribatté con altrettanta semplicità Itachi.
Avrei pagato oro per poter vedere le loro facce.
Se avessi potuto avere una fortuna del genere, ve lo assicuro, mi sarei anche impegnata a non distruggere la mia reputazione con annesso piano non sbavando né lasciandomi prendere da isteria da incontro ravvicinato con Uchiha Shisui e compagno-cugino.
«Sei di una cattiveria insostenibile, cugino, davvero! Preferisci forse il tappo a me? Anzi, no, non rispondere, lo so che è così, è sempre così» mormorò in tono accorato e sofferente, poi sentii anche un tonfo e non potei fare a meno di voltarmi.
A fissarmi trovai Itachi, Shisui non c’era. O perlomeno, era ancora lì, ma si trovava con la faccia spiaccicata sul bancone, di fianco alla scodella ancora piena di ramen.
«Non è giusto» biascicò ancora e dovetti davvero trattenermi dal saltargli addosso per consolarlo io stessa dalla disperazione che sembrava averlo afflitto.
Fu una cosa atroce, posso assicurarvelo. E con quella scena strappalacrime compresi come si sentivano i ninja quando erano impotenti davanti ad un combattimento in cui non potevano essere minimamente d’aiuto.
No, continuo a non pensare di essere esagerata, sappiatelo.
Non potevo nemmeno dargli una pacca su una spalla, per consolarlo, sul braccio, sul… Il rating di questa tragedia epica è verde, mi tocca zittirmi da sola, per non far cadere la narrazione in tematiche poco consone.
Quando mi resi conto che stavo osservando la schiena di Shisui come un assetato rimira acqua nel deserto, spostai lo sguardo – se gli avessi sbavato sulla maglia, probabilmente la scusa che era solo una grande goccia di pioggia avrebbe retto poco – e mi ritrovai ad osservare Itachi.
E lui osservava me.
Probabilmente gli sembravo un’invasata della peggior specie, una pazza psicopatica che va rinchiusa immediatamente nel centro psichiatrico più vicino; non espresse questo giudizio ad alta voce, ma l’espressione che aveva in volto parlava da sé.
Tornai alla mia postazione di prima, benché iniziassi a sentire il braccio… beh, diciamo che quasi non me lo sentivo proprio più. Annotai un paio di cose sul quaderno e mangiai un po’ di tsukemen.
«Teuchi-saaaaaaan» chiamò ad un tratto Shisui e Teuchi comparve, pronto ad accogliere le richieste di quel cliente accasciato sul bancone.
«Takoyaki. Stimolano le endorfine della felicità. Ne ho bisogno. Paga questo screanzato qui di fianco» e probabilmente si tirò nuovamente a sedere dritto, perché la voce suonò normale. Non che prima non fosse bella, ma così si sentiva decisamente meglio. Posso assicurarvi che aveva una voce spettacolare, ma non posso perdermi in dettagli come questo o non finirei davvero più.
Poco dopo giunsero i takoyaki, che Itachi dovette pagare con particolare felicità. Probabilmente per lui non doveva essere un’occasione troppo rilassante, andare a mangiare con Shisui, visto che il ragazzo sembrava svuotargli il portafoglio ogni volta che ne aveva l’opportunità.
Ma compatiamolo, su! Aveva detto che si era comprato delle carpe, una buona azione, aveva comprato pesci, animali e, si sa, gli animali sono sempre bene, perciò nulla da rimproverargli. Shisui mangiò come solo lui sapeva fare, mentre Itachi se ne stava in silenzio. Io ne approfittai per scrivere altre annotazioni e finii per ordinare una terza scodella di cibo.
… ah-ah! Lo so che c’è qualcuno che sta per chiedermi: «E come pensi di pagarla tutta questa roba?»
Beh, non c’è più bisogno che vi risponda, no? Ma ovvio che la tecnica fa anche questo miracolo! A Konoha, in quel breve periodo di tempo in cui ho adempito alla missione, ero più ricca io di Tsunade dopo una fortuita vincita alla lotteria con conseguente disgrazia annessa. A quel qualcuno che invece si sta domandando con quanti chili mi sono ritrovata dopo essere tornata a casa… mh, andiamo pure avanti con la narrazione.
Il mio piano stava procedendo alla perfezione; tranne alcuni possibile disastri, fortunatamente scampati, tutto stava andando piuttosto bene e io mi stavo trattenendo dallo sbandierare il mio stato emotivo al pubblico. Solo sentirlo parlare, già lo sapete, mi provocava mezze crisi isteriche e voglia di saltargli in braccio, perciò voi tutti siete pregati di apprezzare il mio sforzo. Aveva la bocca piena, Shisui, quando riprese a parlare: «Oh, tu non sai il sogno che ho fatto questa notte! No, beh, era un incubo, un incubo orribile. Sempre il solito!» spiegò con fare allusivo.
Comunque, il ragazzo passava da uno stato d’animo disperato ad uno di totale esaltazione; lunatico? Forse i takoyaki a lui stimolavano davvero le endorfine della felicità, se per i comuni mortali era il cioccolato era logico che per lui fosse qualcosa di diverso.
Lui non era un semplice umano, era molto di più; con la mia breve incursione a Konoha ho avuto modo di appurarlo.
«Sempre lo stesso?» si informò pacatamente Itachi e io in quel momento avrei tanto voluto sapere quale fosse quel fantomatico stesso.
Per essere un incubo voleva dire che lo aveva spaventato, intimorito, sconvolto. E per spaventare, intimorire o sconvolgere Shisui Uchiha ci voleva qualcosa di davvero spaventoso, intimidatorio e sconvolgente.
«Sì…»
Oh, cosa, cosa, cosa voglio saperlo anche io!
Mi appoggiai con insistenza alla mano e poggiai la penna sul quaderno. Mangiare un po’ di ramen mi avrebbe tenuto in forze, durante quella pericolosissima missione di spionaggio intellettuale.
«Ho sognato di nuovo che l’Hokage mi mandava a chiamare e io ci andavo nudo» disse come se fosse una cosa di tutti i giorni, utilizzando un tono orripilato.
Io ero tutto fuorché orripilata, anzi, c’erano buone possibilità che stessi morendo e nemmeno me ne stessi accorgendo.
Il mio cervello si era disgraziatamente inceppato sulla parola ‘nudo’ e non sembrava poi così intenzionato a cambiare argomento. Che sogni faceva il ragazzo?
Nell’arco dei dieci secondi che seguirono mi appuntai mentalmente di trovare una tecnica super-segretissima che faceva entrare nei sogni altrui, sicuramente entrare in quelli di Shisui sarebbe stata una missione a puro scopo documentativo. Per il bene del mondo, eh, non ci sarei andata mica per farmi i fatti miei.
Strinsi con forza le bacchette; provai a mangiare un altro boccone, ma i miei gesti erano particolarmente meccanici e nella mia mente non vi era la traccia di sanità, dal momento che c’era un'unica parola che rimbalzava da una parte all’altra della scatola cranica.
«E poi mi mandava anche in missione, il vecchio!»
Disgraziatamente, proprio mentre aggiunse la seconda parte del suo sogno a luci psichedeliche, io avevo appena messo in bocca gli spaghetti.
«E io ci andavo pure nudo! Dove diavolo me li mettevo i kunai in missione, se ero nudo?» Shisui fu costretto ad interrompersi, mentre si interrogava sull’ubicazione di possibili armi ninja, perché io non ressi oltre, quando sentii per la seconda volta la parola ‘nudo’.
In un barlume di lucidità, prima della totale decadenza nella demenza, pensai che sarebbe stato parecchio utile trasformare i sogni in realtà.
Giusto perché la gente sogna anche la pace nel mondo, non perché Shisui si è sognato nudo: io faccio sempre tutto per il bene del mondo.
Comunque: persi il controllo della mia stupidità, che diede sfoggio della sua vastità.
Prima spezzai una delle due bacchette che tenevo in mano, quando poi parlò dei kunai feci direttamente che sputare tutto quel che avevo in bocca.
Ancora oggi non so come feci a ritrovare un contegno.
Quando lo vidi voltarsi – da dietro spuntava anche la faccia di Itachi, perplessa per quanto possibile – e prontamente nascosi la bacchetta spezzata. Mascherai il tutto con un colpo di tosse prolungato che era perfino più falso del mio tentativo di indifferenza al suo sguardo confuso.
Era confuso. Era tenero da confuso. Lui era sempre tenero.
Affondai la faccia nella scodella e feci finta di non avere ben sei paia di occhi puntati addosso. Dovevo essere davvero un fenomeno da baraccone. Sarete felici di sapere che la tecnica non può mascherare la demenza, cosa davvero triste perché io ne avrei avuto bisogno in parecchie occasioni.
Ignorai – con un grande sforzo, ve lo posso assicurare – Shisui, che aveva continuato a guardarmi per un po’, prima di tornare a voltarsi verso Itachi.
«È stato un incubo terribile, Itachi-chan. Sembrava fin troppo reale!»
Anche a me sarebbe sembrato fin troppo reale, pensai, ma tale considerazione evitai saggiamente di esprimerla ad alta voce.
Volevo anche passare per una pervertita maniaca, nel mio singolare soggiorno a Konoha? Ovvio che no, demente mi bastava e mi avanzava.
«È una delle cose che mi inquieta di più, sai? Che dici, non è abbastanza truculento da invogliarti ad offrirmi altri takoyaki?» chiese angelicamente e senza attendere la risposta di Itachi si fece servire da Ayame.
Mangiava come un maiale, quello lo avevo appurato dopo tre scodelle di ramen, ma non sembrava pesare poi molto. Beato lui che aveva un metabolismo così veloce, io per smaltire anche solo il brodo ci avrei messo secoli e ore di corsa che non avrei mai fatto nemmeno se fossi stata pagata.
Certo, se magari era rincorrere lui se ne poteva anche parlare…
Dicevamo.
Fui costretta a prendere un’altra scodella di ramen, perché dopo dieci minuti che avevo finito la mia continuare a stare lì doveva risultare vagamente strano. E io non potevo dare nell’occhio, no? Beh, allora avrei mangiato.
«Uh, Itachi-chan, quando mi riporti i biscotti di tua madre?» chiese, con la bocca mezza piena di cibo non meglio identificato. Era anche pomeriggio, come faceva a mangiare così tanto? Io stavo scoppiando, sperai come non mai di racimolare tutte le informazioni che mi servivano prima che fossi costretta a comprare altro ramen, tsukemen o un qualsiasi altro cibo che fosse. Con la testa bassa, intenta a risucchiare quanti più spaghetti possibile, spiai i due con la coda dell’occhio.
Non riuscivo e vedere Itachi – anche se qualcosa mi diceva che lui riusciva a vedere me –, ma Shisui lo vedevo per metà.
Mi strozzai con gli spaghetti quando formulai il confuso pensiero formato da parole sconnesse quali ‘capelli’, ‘morbidi’, ‘mia mano’, ‘incidente politico a Konoha per atti osceni in pubblico’.
No, l’ultima cosa era quella che avrei scatenato se non ci avessi dato un taglio.
Certo che voi potreste anche tirarmi una scarpa, quando mi perdo in queste divagazioni.
«Quando li preparerà» commentò semplicemente.
«Come sei lapidario! Non puoi chiederle di prepararli? Mikoto-san sicuramente comprenderebbe le mie esigenze metaboliche…»
Ad un tratto si aggiunse una terza voce e io non potei trattenermi dal voltarmi di scatto.
«Cosa comprenderei sicuramente, Shisui-chan?»
La prima cosa che pensai fu di chiedere a Mikoto Uchiha quale fosse lo shampo che usava, perché dei capelli così si vedevano solo in un manga o in un anime. E io non ero né in uno né nell’altro. Gran tecnica, la mia, continuerò a ripeterlo sempre.
Poi mi resi anche conto che avevo davvero davanti – o meglio, dietro, un po’ di lato… a poca distanza, ecco – Mikoto Uchiha, gran donna e tenera come pochi personaggi al mondo.
Infine imprecai mentalmente: possibile che non avessi pensato a prendere una macchina fotografica o qualcosa di utile alla stessa maniera?
Decisamente, la prossima volta che la super-segretissima tecnica mi avrebbe portato a Konoha mi sarei attrezzata meglio.
«Ah, Mikoto-san!» esclamò felice lui, alzandosi in piedi e portandosi dinnanzi alla zia.
«Stavo dicendo che adoro i tuoi biscotti e non vedo l’ora di poterli mangiare di nuovo» disse poi, senza troppi giri di parole.
Mikoto rise, felice che qualcuno apprezzasse i suoi biscotti probabilmente: «Sei un tesoro, Shisui-chan! Appena avrò tempo li preparerò, così potrai abbuffarti» gli promise e sentì uno squittio che probabilmente doveva essere la risposta festante di Shisui.
Che tenero, squittiva anche!
«Quelli che avevi fatto per il mio compleanno erano davvero buoni» commentò con naturalezza, come se non si fosse capito che stava tentando di indirizzare la zia verso il genere di biscotti che voleva gli preparasse.
«I tradizionali biscotti del due dicembre. Te li preparo da anni per il giorno del tuo compleanno, ti sono sempre piaciuti» ricordò e Shisui molto probabilmente sperò come non mai che quell’anonima giornata di aprile fosse invece un tradizionale due dicembre.
Io, comunque, mi ero dovuta girare; di certo non potevo starmene a fissare loro tre come se fosse una cosa normale.
Tra l’altro, avevo anche finito il ramen, unica cosa che oggettivamente mi teneva legata a Ichiraku. Prima ancora che facessi l’unica cosa fattibile – ordinare altro ramen – Teuchi intervenne. Mi poggiò davanti un’altra scodella di qualcosa che era a metà tra ramen, tsukemen e un’altra brodaglia non meglio identificata. Alzai lo sguardo, incrociando il suo, serio.
«È la specialità della casa» disse solo, rimanendo composto.
Ah, fantastico. Aveva capito che, per qualche astrusa ragione, per il momento non me ne sarei andata di lì, tanto valeva farmi ingozzare come un maiale, lasciandomi al verde. Certo che lì a Konoha sapevano gestirseli bene, i clienti. Se non fosse stato che mi era utile, quella scodella di brodo marroncino gliel’avrei già tirata dietro.
«Oh, sei andata a fare compere, Mikoto-san? Potevi mandare questo scansafatiche di Itachi, oggi non ha fatto proprio niente!» disse Shisui, accusando Itachi di nullafacenza. Lui aveva mangiato, qualcosa almeno l’aveva fatta.
Itachi a momenti non voleva nemmeno pagare qualche pietanza per il povero cugino affamato. Che crudeltà.
Certo, fosse stato per me, tecnica che mi riempiva di soldi non miei o no, gli avrei offerto tutto il cibo che voleva se mi raccontava per bene questo fantomatico sogno.
Dal canto suo, Itachi ignorò Shisui e si rivolse direttamente alla madre: «Hai comprato i cavoli?» chiese, come se fosse una cosa normalissima.
De gustibus non disputandum est, per carità, ma… i cavoli. Cioè. Cavoli.
Cavoli.
Ca-vo-li.
Mh.
Per fortuna a risollevarmi dal mio baratro di scetticismo verso i cavoli ci pensò Shisui.
«Cavoli? Tra te e Sasuke non si sa quale dei due sia di più un caso patologico! Verdure! Dico, verdure! Non mi piacciono proprio» commentò disgustato, facendo ridere Mikoto.
Evidentemente quella doveva essere una discussione che si teneva frequentemente, infatti nessuno si prendeva più la briga di argomentare una possibile difesa a quell’accusa contro verdure ed annessi.
«Cavoli, pomodori… non so come tu faccia ad avere due figli del genere, Mikoto-san» commentò ancora Shisui, con fare anche altamente sconsolato.
Era chiaro che i gusti dei due cugini non rientravano nei suoi standard di cibo preferito.
«Un po’ di verdura farebbe bene anche a te ogni tanto, Shisui-chan,» gli fece presente bonariamente la donna «Hiada-san si troverebbe sicuramente d’accordo con me.»
Mi voltai appena in tempo per vedere l’Uchiha tirarsi bruscamente indietro, in maniera teatrale, come se le parole della zia lo avessero colpito in pieno, facendogli anche molto male, tra l’altro.
«Non dirmi che sei anche tu dalla parte di quella donna! Sono settimane che non fa altro che rifilarmi quel cibo che io mi rifiuto di chiamare cibo perché cibo non è!»
Itachi probabilmente lesse in quella protesta il motivo per cui quel giorno si fosse messo d’impegno per mangiare tutto quel che Teuchi era in grado di preparargli. A pranzo forse gli avevano rifilato carote e sedano tritato, in vista della cena doveva riprendere le forze.
Poverino, lo stavano affamando!
In quel momento io dovevo avare una faccia particolarmente sconvolta e orripilata dalla triste sorte che toccava al povero Shisui.
Come si poteva rifilare cibo da conigli ad un ragazzo così bello e bravo? Non che il cibo si dovesse prescrivere in base all’aspetto, ma lui era Shisui Uchiha, era una cosa che cambiava decisamente le carte in tavola.
«Beh, buon divertimento ragazzi, io torno a casa, ho comprato anche altri cerotti per Sasuke» disse sorridendo e facendo cenno alle buste che aveva con sé.
«Oh, il marmocchio sta ancora provando ad imparare la palla di fuoco?» chiese divertito Shisui; sul volto di Itachi vidi comparire un mezzo sorriso intenerito. Non ebbi nemmeno il tempo di formulare il pensiero ‘quel ragazzo è un amore’ che lui si voltò verso di me e io mi rituffai con la faccia in quella scodella di cibo ancora non meglio identificato.
Non era poi nemmeno così bello mangiare con Teuchi intento ad osservarmi, completamente convinto che io non lo vedessi. Stava studiando le mie reazioni su quella brodaglia che mi aveva rifilato? Di tanto in tanto, visto che non era poi così male e Teuchi mi innervosiva parecchio, mi ingegnai per fare qualche mezza faccia schifata, scartando qualche pezzo di carne puramente a caso. Appena prendeva a confabulare con Ayame su quel che aveva scoperto spiandomi mangiavo anche quel che mettevo a lato.
Lo so che state pensando che sono crudele, ma era divertente. Non fate i moralisti, su! Voi avreste fatto la stessa cosa se conosceste questa segretissima tecnica e aveste tutti i soldi che ho io per mangiare a sbafo.
Sto ridendo alla faccia vostra, sì.
Tornando alla riunione di famiglia che si stava svolgendo a poca distanza da me: Mikoto commentava con tenerezza i tentativi di Sasuke per riuscire a dominare la tecnica. Lo aveva già riempito di cerotti e avendoli finiti ne aveva comprati altri.
«Eh, non ci riesce solo perché non ha un sensei bravo ed esperto come me…» disse Shisui con sufficienza e Itachi non si riservò dal rispondere, quella volta.
«Non riesce a dar accidentalmente fuoco a tutto quel che si trova nel raggio di chilometri? È quello che hai fatto tu la prima volta» gli ricordò come se fosse una cosa normalissima.
«Itachi-chan, affogati nel brodo, da bravo» brontolò Shisui e Mikoto rise a quello scambio di battute.
Disse che sarebbe tornata a casa e l’Uchiha non perse tempo a fare un’altra delle sue personalissima uscite: «Vuoi una mano, Mikoto-san? Con un figlio scansafatiche del genere deve essere dura, ma se vuoi posso darti io una mano! Sai, sono un ottimo ninja, ci insegnano all’accademia ad essere gentili, se vuoi ti porto la spesa! Sai, io sono un ninja, numero di identificaz–» la sua brillante sequela di insensate affermazioni fu interrotte da Itachi.
«Lo sappiamo tutti che numero sei, lo ripeti tutti i giorni da anni ormai» lo smontò in un attimo e non fu difficile immaginarmi l’espressione delusa del povero Uchiha Shisui a quell’interruzione.
«Lo ripeti spesso anche a me, Shisui-chan.»
Probabilmente Mikoto stava sorridendo.
«Che crudeltà, cugino! Non mi concedi nemmeno più di parlare! Sono forse così poco importante?» commentò con drammaticità, come se quella negazione fosse per lui fonte di grande dolore e sofferenza.
Non avevo idea del perché tanto gli piacesse il numero di identificazione – non sapevo nemmeno che i ninja ne avessero uno e la sua utilità, comunque, mi era sconosciuta –, ma se voleva dirlo perché negarglielo così brutalmente?
Non era giusto, poverino, lui era Uchiha Shisui!
Sì, lo so che se solo avessi riferito al sopraccitato la concezione adorante che avevo di lui si sarebbe montato leggermente la testa, ma che volete farci, c’est l’amour!
Potevo forse io lasciare il povero Shisui ad annegare nella sua disperazione?
Ovvio che no, la tecnica come ho già detto non limita il mio flusso di azioni dementi, se il mio intento era non farmi notare troppo lo stavo toppando in pieno.
«Puoi dirlo a me!» squittii io d’un tratto, facendo voltare mezza popolazione di Konoha nella mia direzione. O meglio, Itachi, Shisui, Mikoto, Teuchi, la figlia e quei due fantocci che per guardare entrambi il topo che ero diventata si scontrarono e finirono per terra. Questo tragico scontro frontale, comunque, fece sì che a guardarmi rimanessero solo i tre Uchiha, gli altri due erano presi a sgridare la goffaggine dei due dipendenti alle prime armi.
Tentai di cavarmi da sola dal pasticcio in cui mi ero cacciata.
«Ahm, ecco» ripresi, tentando di parlare più lentamente e con un tono di voce che mi facesse sembrare meno un roditore in cerca di scorte di formaggio per il freddo inverno che mi aspettava. «Dicevo che puoi dirlo a me, il numero… se vuoi… non me ne faccio niente, io sono solo una ragazza di passaggio senza niente di sospetto, è solo per fartelo dire visto che dici di volerlo dire e io davvero non lo userò contro di te in tribunale!» terminai velocemente, probabilmente rossa come uno dei pomodori che Shisui sembrava poco avvezzo a mangiare e consapevole di starmi scavando la fossa da sola.
Mi fissò perplesso, il ragazzo, come se effettivamente davanti a sé si trovasse un topo e fosse stato lui a parlare. Magari era quello l’aspetto che mi dava la tecnica e io non lo sapevo.
Itachi si stava rendendo conto che, per quanto sospetta potessi sembrare, ritenermi una qualsivoglia minaccia fosse davvero ridicolo.
Mikoto probabilmente stava pensando che ero strana, molto strana.
Abbassai lo sguardo, anche se sarei rimasta almeno per i prossimi venticinque anni a guardare Shisui, per ammirare quella folgorante bellezza da cui ero riuscita con parecchi sforzi a non farmi uccidere per emorragia nasale.
Quello sì che sarebbe stato imbarazzate.
Comunque, la mia teoria sulla tecnica che mi dava le sembianze di un topo fu smentita da Shisui stesso.
Si voltò verso i due presenti e prese ad indicarmi vittorioso.
«Ah-ah! A lei interessa il mio numero di identificazione! Lo ha capito subito che è speciale, come me!» E si esibì in quello che doveva essere un verso di vittoria, ma io ero troppo presa dal contenermi decentemente per farci ulteriore caso.
Certo che l’avevo capito che lui era speciale, del numero mi fregava relativamente poco, ma lui era tanto tanto interessante. Dal vivo quel ragazzo rendeva decisamente di più di quanto potevano fare poche pagine di manga e se già lo adoravo prima potete ben immaginarvi dopo questa allegra scampagnata fuori norma.
Voi sicuramente potreste capire se conosceste questa tecnica, ma ahimè non ve la dirò mai. Contate che ora ho fatto lo stesso versetto vittorioso fatto prima da Shisui.
«012675, un gran numero!»
«Il fatto che la somma faccia tre non lo rende più speciale di qualche altro numero» commentò disinteressato Itachi, mentre Shisui non perdeva la sua ritrovata allegria.
«Sei solo geloso, il tuo chiaramente non fa tre» disse con superiorità.
Io decisi di tornare alla mia brodaglia senza nome. Non potevo mica starmene lì, ora che avevo fatto la mia bella apparizione era meglio starsene per i fatti miei, senza dare ancora nell’occhio. Già non ero troppo certa che fosse così normale passare il pomeriggio a mangiare come un maiale, figurarsi mettersi in mezzo alle discussioni altrui.
In più, mangiando, scartando pezzi e poi mangiando anche quelli, il contenuto della mia tazza era praticamente finito.
Teuchi parve leggermi nel pensiero.
Che problemi aveva quell’uomo? Sicuramente gli mancavano soggetti a cui sottoporre piatti nuovi da proporre ai clienti che andavano in un chiosco di ramen asserendo che ramen non ne volevano.
In un attimo mi piazzò davanti quello che sembrava un polipo, ma forse lo era solo per finta. Faceva un po’ impressione a vedersi, ma a me inquietava di più l’espressione concentrata con cui mi fissava Teuchi.
Perfetto, fungevo da cavia.
C’è sicuramente chi starà ridendo delle mie sventure. Bene, la mia tecnica farà arrivare sotto la casa dei simpaticoni quell’affare che io avevo avuto la disgrazia di ritrovarmi nel piatto.
Perché Ichiraku aveva deciso di rinnovare il menù? Non bastavano alcuni piatti oltre al ramen? Ok, sarò paranoica, ma a me era davvero sembrato che un tentacolo si muovesse. Chiusi gli occhi e mangiai, non potevo starmene lì senza fare niente.
«Ci vediamo a casa» disse ad un tratto Mikoto, presumibilmente rivolta ad Itachi e poi aggiunse: «Salutami tua madre, Shisui-chan! La prossima volta che passerai da casa troverai i biscotti» gli promise.
E riprese a camminare, mentre uno tornava a mangiarsi i suoi takoyaki e l’altro osservava impassibile il cugino ingozzarsi. Evidentemente per lui bastava fosse cibo vero, che fosse caldo o freddo aveva relativa importanza.
«Fammi sapere quando Fugaku-san è in missione, così io passo a prendermi i biscotti» disse con la bocca piena Shisui, mentre poggiava nel piatto l’ennesimo bastoncino ormai privo delle palline di polipo, che ora si trovavano nel suo stomaco.
Sentii chiaramente Itachi sbuffare e muoversi sullo sgabello su cui si trovava. Senza guardarli, io continuavo a sbocconcellare quell’ibrido di essere tentacolare e ad annotare alcune informazioni. Tra l’altro, avevo impiegato lo spazio a disposizione in maniera davvero poco utile e in mezza pagina potevano esserci scritte anche solo due cose: nel resto del foglio troneggiavano scritte cancellate e il nome di Shisui disegnato in tutti i modi possibili ed immaginabili. Si parlava pur sempre di lui nelle mie ricerche, no? Scrivere il suo nome era solo un modo come un altro per ricordare l’oggetto del mio lavoro.
Sì, state per dire che è ovvio che non potevo dimenticarmi cosa stavo facendo visto quel che effettivamente stavo facendo, ma tutto il sangue che mi stava arrivando al cervello da seduta iniziava a mostrare qualche sintomo.
Finii per scrivere anche nelle pagine dove c’erano esercizi sulla nomenclatura e cose varie, perciò in mezzo ai miei appunti ci finiva anche qualche HCl e un paio di NH3.
Tesi nuovamente l’orecchio verso i due, mentre vivisezionavo poco convinta il polpo poco cotto. Sempre che polpo fosse, eh.
«Mio padre non ti uccide» gli fece presente Itachi senza troppi giri di parole.
Sentir parlare di quell’uomo doveva causargli spesso reazioni incontrollate, perché quella volta prese a tossicchiare: probabilmente gli era finito il cibo di traverso.
«Non mi uccide perché sarebbe troppo semplice, torturarmi psicologicamente è più appagante» commentò funereo, dandosi qualche colpetto per far scendere il cibo.
«Non ti ha mai detto nulla di che, averne paura è una cosa sciocca» provò a fargli capire, ma era chiaro che quella non era la prima volta che tale discussione veniva intavolata.
«Tu non vedi il modo in cui mi guarda… sembra volermi uccidere ma si trattiene dal farlo solo perché poi non sarebbe interessante fulminare con lo sguardo il mio cadavere!» borbottò convinto e Itachi non si prese nemmeno la briga di rispondere ulteriormente.
«Quell’uomo mi odia!» esclamò ancora. «Non ne capisco il motivo però… sarà per quella volta in cui ho appeso il marmocchio ad un albero? Non ho poi fatto nulla di male» si difese con convinzione.
Il fatto che avesse appeso Sasuke ad un albero poteva anche essere una motivazione da addurre all’insanità del ragazzo, se non fosse che lo stermino del clan veniva prima di tutto. Forse aveva comunque influito.
«Quella volta in cui hai chiesto perdono a tou-san in ginocchio, intendi?» si informò pacatamente Itachi, probabilmente trovando parecchio interessante girare il coltello nella piaga.
«Sì, quello potevi evitartelo» brontolò lamentoso Shisui.
Evidentemente vedeva la sua dignità oscurata da quell’imbarazzante evento, ma se c’era una cosa di cui ero certa mentre arpionavo con le bacchette un tentacolo – si era mosso, cielo, si era mosso! – era proprio che il ragazzo sarebbe stato degno anche mentre si rotolava nel fango. E questa opzione avrei seriamente voluto vederla dal vivo.
Quest’ultima considerazione la pensai mentre tentavo di mangiare quell’essere e non provocò ottime reazioni in me. Camuffai il mio attacco di risatine con uno starnuto molto sentito.
Teuchi disse qualcosa ad Ayame, probabilmente che avevo starnutito perché in quel dannato coso ci avevano messo troppe spezie.
«Io vado» disse ad un tratto Itachi e Shisui reagì agitandosi sullo sgabello.
Tentò di parlare, ma con la bocca piena la cosa gli risultò parecchio difficile.
«Ehi! Mi molli qui?» si lamentò, mentre lo osservava con uno sguardo oltraggiato. «Vado da Sasuke, gli avevo promesso che ci saremmo allenati insieme» si giustificò, alzandosi.
«Ah, quel tappo è una piaga! Sempre in mezzo! Io non sono forse importante?» chiese tragicamente, come se tutto dipendesse dalla risposta di Itachi.
Mi voltai per un attimo e lo vidi socchiudere gli occhi. Shisui mi dava la schiena ed era completamente voltato verso di lui.
«È un marmocchio, un giorno gliela farò pagare! Certo, appena avrà imparato a fare una palla di fuoco, per il momento non saprebbe nemmeno accendere una candela» lo prese in giro, mentre Itachi non doveva apprezzare particolarmente i commenti sul suo fratellino.
«Che sappia usare la tecnica o no non gli ha impedito di provare i kunai nuovi su di te» commentò con una certa soddisfazione, probabilmente trovando anche adorabile il modo in cui il fratello impiegava le sue arti ninja.
«Colpo basso. Dì la verità, gli hai regalato i kunai così che li usasse per farmi fuori?» lo accusò fintamente accorato e forse non del tutto scherzoso.
«Non c’era bisogno di kunai, ha una grande immaginazione» gli disse, come se si riferisse a qualcosa. Un particolare evento che Shisui parve comprendere e ricordare piuttosto bene.
Furono anche così gentili da farlo sapere a me, questo misterioso momento.
Merito della tecnica, altroché.
«Quel… quel… marmocchio! Farmi agguati del genere è di pessimo gusto, disgustoso per altro!»
«Lui ti ha solo aiutato, tu hai fatto tutto da solo» lo difese Itachi e Shisui non ci mise un secondo di più a ribattere indignato: «Stai forse insinuando che pestare una cacca sia stata mia intenzione?»
Itachi non rispose, probabilmente la sua espressione doveva dire a Shisui che sì, pestare una cacca era qualcosa che lui davvero voleva fare.
«Va pure da lui, io mangerò anche senza di te– ehi!» gli gridò dietro, quando Itachi mise in pratica quanto lui stesso aveva detto.
«Potevi almeno salutarmi, farmi finire di parlare… buzzurro» mormorò a bassa voce, quando lui se ne fu andato.
Eravamo solo io e lui, in quel momento.
No, io, lui e Teuchi, che osservava me che mangiavo quella schifezza.
Ma comunque nella frase rimane il fattore ‘io’ e quello ‘Shisui’.
Prima che varie menti – compresa la mia – si lancino in pensieri degni della sceneggiatura del prossimo film porno di serie C, ci terrei a precisare che io era ancora intenta a tagliuzzare quel coso immondo che avevo davanti. Avete idea di quanto fosse difficile destreggiarmi tra pensieri schifati destinati a quel coso e quelli invece completamente andati indirizzati alla presenza di Shisui Uchiha?
Non ne ho idea nemmeno io, perché vista la situazione mi risulta più facile credere che non stessi proprio pensando allora, o come ogni comune mortale sarei saltata addosso a Shisui, ficcando quel polpo in gola – in gola, cari, non altrove – a Teuchi.
L’Uchiha borbottò qualcosa come «almeno si è degnato di pagare, quel disgraziato» e ad un tratto fece per alzarsi.
E io mi resi disperatamente conto che mi mancavano giusto un paio di informazioni e non volevo proprio che se ne andasse. Che diamine, ce l’avevo avuto di fianco per quasi un’ora, a mangiare come maiali tutti e due e tutto ciò che gli avevo detto si riassumeva in un rantolo incomprensibile in cui, molto probabilmente, avevo sputacchiato a causa dell’ansia e della velocità con cui avevo parlato.
Poi mi mancavano quei preziosi dati che ricordavo esserci sul databook per descrivere gli altri personaggi.
E volevo sgusciare via da Teuchi e quel polpo ogm.
Quando lui si alzò, annunciando con un saluto che se ne andava e che aveva già pagato tutto Itachi Uchiha – anche quello che aveva ordinato dopo che se ne era andato, lo avrebbe pagato lui comunque – fui letteralmente presa dal panico.
Perciò feci quel che sapevo fare meglio: l’idiota isterica.
Mi alzai anche io e mi parai dinnanzi a lui; per l’ennesima volta in quella strana giornata mi guardò perplesso e io mi costrinsi a guardare insistentemente il coprifronte che aveva in testa o avrei retto poco prima di fare qualcosa di parecchio stupido e imbarazzante.
«Ciao» disse, scegliendo sicuramente un ottimo modo per rompere il ghiaccio.
Mal che andava mi prendeva per una qualche atipica ragazza che aveva modi altrettanto strani per attaccare bottone.
Oh, al diavolo, ero davanti a Shisui Uchiha, che cosa me ne fregava di guardargli il coprifronte? Potete immaginare voi stessi quanto belli fossero gli occhi del mio interlocutore.
«Cosa–» iniziò, ma io lo interruppi subito.
Cosa vuoi?
Cosa posso fare per te?
Cosa pensi della pace del mondo?
Cosa sei?
Cosa?

Poteva voler dire tutto e niente, ma io non potevo farmi trascinare in discussioni sensate, avevo un obiettivo, una missione, un incarico, un dovere da portare a termine.
… non chiedetemi con quale forza mi trattenni dall’abbracciarlo e dal giurare che non mi sarei mai più staccata da lui.
«Uchiha Shisui,» lui parve parecchio stupito dal fatto che conoscessi il suo nome, ma nell’arco di mezzo secondo probabilmente trovò la causa nella sua grande notorietà in tutte le terre ninja «quanto pesi?»
C’erano buone possibilità che mi mandasse a quel paese, che mi uccidesse seduta stante, che mi ignorasse, che mi offrisse da mangiare per parlare di delicate questioni come quella ed altre varie cose che non sto ad elencare.
Erano molto più probabili tutte quelle possibilità piuttosto che quella che rispondesse veramente alla mia domanda.
Ma Shisui Uchiha si ama anche per la sua imprevedibilità nell’agire, non solo per i capelli mossi e bellissimi, per gli occhi altrettanto bellissimi, per la sua persona ugualmente bellissima, per…
Dicevamo.
«Cinquantasette chili» disse con la stessa velocità con cui io gli avevo posto la domanda.
I quesiti a bruciapelo erano sempre quelli che ricevevano risposte più sincere.
«Quanto sei alto» non era più nemmeno una domanda, la mia.
«Un metro e settantuno.»
Come facesse a sapere con precisione le sue misure proprio non lo sapevo e non pensai nemmeno di chiederglielo, credergli sulla parola non mi costava assolutamente nulla.
«Gruppo sang–» uigno?
Rispose ancor prima che potessi terminare la domanda: «B.»
Poi mi sorrise e io sentii chiaramente che stavo per avere un principio d’infarto. A tenermi in vita probabilmente fu solo l’istinto di conservazione in relazione a quel che stavo vivendo: valeva realmente la pena schiattare perché lui mi aveva sorriso, così da non poter ricordarlo negli anni a venire come l’evento più bello della mia vita?
«Altro?» mi chiese, senza però interrogare me sul perché di domande così personali.
Non che potessi farci molto con informazioni quali il suo peso, la sua altezza e il gruppo sanguigno, ma da nessuna parte era una cosa troppo normale dirle al primo sconosciuto che viene a chiedertele.
Io ero rigida come se avessi alle spalle un serial killer, pronto ad uccidermi se avessi fatto anche un solo mezzo movimento. Lui sembrava tranquillo e per nulla impensierito dal fatto che una sconosciuta stesse chiedendo informazioni su di lui. La situazione, vi confesso, non poteva che essere più ambigua.
Teuchi, poco più in là, stava voltando in tutte le direzioni il polpo, alla ricerca del motivo per cui mi ero rifiutata di fare altro oltre a smembrarlo, odorarlo e fare finta di assaggiarlo. No, ok, un morso ce lo avevo dato, ma era stato tanto traumatizzante da impedirmi di assaggiarne un altro po’.
Comunque, durante quell’ambiguo frangente, in uno sprazzo di grande intelligenza, mi resi conto che difficilmente avrei avuto un’altra possibilità di fare una cosa del genere, perciò tanto valeva fare del mio meglio per non rimpiangere nulla di quel che avrei potuto fare e non avevo fatto.
Diamine, quello era Shisui Uchiha, proprio lui, non il disegno di un mangaka e la mia pressione si stava alzando vertiginosamente quando decise che passarsi una mano tra i capelli fosse una buona cosa.
Ragazzo, potrebbero usarti come arma di distruzione di massa di un villaggio sconosciuto la cui unica abitante sono io. Lo pensai davvero, ma non lo dissi, mi resi conto da sola che mi avrebbe fatto sembrare più invasata di quanto già non apparissi.
Comunque, qualcosa andava fatta. Che poi la facessi con cognizione di causa e un minimo di cervello non ve lo assicuro nemmeno per finta, ma sono l’intenzione e la buona volontà che contano davvero.
Su, su, cosa sono questi sbuffi seccati? È la verità!
«Seidavveroungranpezzodininja» dissi, ma forse un po’ troppo velocemente, infatti lui non comprese una sola di parola di quanto avevo detto.
«Eh?» ribatté perplesso e io mi espressi nella modo più comprensibile che riuscissi a fare. «Bello» borbottai di nuovo troppo in fretta e lui mi guardo dubbioso.
«Cosa?»
«Culo» dissi e non chiedetemi assolutamente il perché, visto che la risposta che dovrei darvi sarebbe inesistente. La mia incapacità di dire frasi con un senso logico o come minimo formate da più di due parole mi portava anche ad una completa mancanza di filtro tra cervello e bocca.
Forse era il caso che mi tappassi la bocca, direte voi. Beh, dovevate dirmelo mentre ero lì, ora che racconto è un tantino inutile, ma vi ringrazio per aver almeno tentato nella disperata impresa.
«Eh?»
«Figherrimo» fu il mio picco di esposizione al suo commento incuriosito e allora compresi davvero che era il momento giusto per andare via di lì.
No, ok, basta, basta, lo so, compresi da sola che era il caso di darci un taglio per davvero. Lui stava nuovamente per farmi intendere che non aveva capito un’acca della mia idiozia condensata in poche parole inutili e io scossi velocemente la testa, scuotendo freneticamente le mani di fronte a lui, con il chiaro intento di zittirlo.
Fu difficile: come potrebbe non esserlo privare le mie orecchie del suono armonioso della sua voce?
Quel giorno, comunque, compresi a cosa si riferissero tutti quei barbosi poeti con la loro pallosissima Arcadia e i vari locus amoenus: parlavano della presenza di Shisui Uchiha, che rendeva tutto decisamente aulico e idilliaco.
Prima che andiamo incontro ad inutili fraintendimenti sappiate che no, sono certa al cento percento di non star minimamente esagerando nulla.
Al massimo siete voi che non comprendete la bellezza di questo ragazzo, ma è ovvio che non potete. Eh, già, questa tecnica è segreta da ben quindici pagine, cosa vi fa credere che smetterà di esserlo alla sedicesima?
Tornando a noi.
Probabilmente la bacchetta spezzata che tenevo in mano doveva incuriosirlo, se non inquietarlo proprio, abbastanza, perché la adocchiava con interesse.
Pensava forse che lo volessi uccidere con quel mezzo stuzzicadenti da ramen? Non so, forse lo pensò davvero, ma io non avevo tempo per pensare a quelli che potevano essere i suoi possibili pensieri, dal momento che i miei erano praticamente stati cancellati tutti a favore di una totale assenza di ragione e cognizione di causa.
Dovevo dirgli qualcosa e in fretta, perciò finii con il dire qualcosa di tanto idiota ed inutile. Non ci credo, c’è davvero qualcuno che sta pensando che avessi potuto dire qualcosa di sensato? Ah, no, ecco, non c’è nessuno, mi sembrava strano.
«Falla pagare a quel marmocchio!» gli dissi semplicemente, dopo essermi esibita in una prova di grande intelligenza e discrezione, guardandolo spudoratamente negli occhi, scuri come ogni Uchiha, ma con quella scintilla di allegria che mancava praticamente a tutti.
Lui prima sorrise felice che qualcuno la pensasse come lui, ma poi effettivamente pensò che la cosa suonava strana. Come facevo io, straniera ambigua e vagamente pazza, a sapere…?
Prima che qualsivoglia altro dubbio lo portasse a decisioni che mi avrebbero messa vagamente nei casini, decisi che battere in ritirata, per quanto fosse dolorosamente triste, fosse la cosa migliore.
Mi guardai intorno velocemente, ricordandomi da che lato ero venuta. Poi presi un profondo respiro e mi lanciai.
Lanciai letteralmente, non in senso metaforico, perché, per quanto sia imbarazzante da raccontare ora come ora, mi lanciai davvero addosso a lui, facendolo sbilanciare quel tanto che bastava per poter raggiungere con la mano la sua testa.
Al che gli scompigliai i capelli e successivamente, senza fermarmi nemmeno per un attimo, mi fiondai al bancone dell’Ichiraku, dove raccattai tutta la mia roba alla bene e meglio e mollai i soldi alla rinfusa sul ripiano di legno.
Vidi chiaramente Teuchi impallidire e tenersi alla parete dietro di lui; probabilmente stava pure crepando di infarto – gli avevo lasciato tanti di quei soldi da poter chiudere baracche e burattini e trasferirsi lontano senza dover più lavorare per tutta la vita –, ma non avevo davvero tempo per dare retta ai miei omicidi involontari.
Forse, poi, non stava nemmeno schiattando per i soldi e aveva solo assaggiato quel diavolo di polpo, ma tant’era.
Shisui era ancora fermo lì, imbambolato ad osservare una povera idiota che si scapicollava e inciampava nei suoi piedi. Io gli sorrisi e feci per darmela a gambe, ma prima mi sporsi di nuovo verso il bancone di Ichiraku per fregarmi le bacchette che aveva utilizzato lui.
Eh, lo so, sono souvenir però, potevo forse lasciarle lì?
Probabilmente fu quel mio ultimo atto di totale scemenza a fargli decidere che no, non era il caso di rincorrermi mentre correvo a perdifiato nella direzione da cui ero arrivata qualche ora prima.
I pazzi era scuramente meglio lasciarli andare lontano e per i fatti loro.
Bye bye, Shisui Uchiha!
Correndo correndo, tra un azzoppo e un altro, rischiai anche di andare a sbattere contro un giovane Gai, ma fortunatamente riuscii ad evitarlo. Lo sentii dire: «Ah, c’è da prendere esempio! Quanta giovinezza e vitalità!»
Sì, certo, vitalità. Probabilmente rischiai anche io l’infarto correndo così tanto. Non sono per niente una persona ginnica, sapete, anche il minimo sforzo per me è la morte. Figuratevi correre e farlo per allontanarsi da Uchiha Shisui: una catastrofe fisica e psicologica, ancora oggi non so cosa ha salvato il mio cuore da distruzione certa.
Corsi come una disperata, comunque, giungendo finalmente alle porte del villaggio. Tirai di nuovo dritto, sperando di arrivare nel posto giusto, perché sfortunatamente la tecnica non ti dotava di un navigatore interno, purtroppo.
E poi… beh, poi tornai a casa, inutile sprecare altra narrazione per descrivere il come, tanto non ve lo posso mica dire.


Casa mia, soggiorno, pomeriggio




Come viaggiare in prima classe, il ritorno a casa mia fu veloce ed indolore. No, non vi farò sapere come è avvenuto, perché la tecnica resta segretissima sempre e comunque.
Non avevo nemmeno il fiatone! Ah, quella tecnica era davvero fantastica, ora capisco perché sia segreta.
Prima di tutto, comunque, appena giunta mi lasciai andare ad una risata molto psicopatica, con tanto di saltellini emozionati e totale disinteresse verso il fatto che stessi calpestando da sola quel che rimaneva della mia autostima. Poi tornai a quel che restava della mia missione e mi misi all’opera.
Nel silenzio del soggiorno di casa mia, con un sorriso ebete e che mi dava l’aria di una a cui mancavano più rotelle di quante già ne possedesse, presi un foglio che vantava condizioni decenti e iniziai a trascrivere tutto quel che avevo annotato. Sul mio quaderno di chimica c’era davvero un gran casino, perciò mi ci volle un po’ anche solo per decifrare la mia calligrafia disordinata.
Quella là in basso era una macchia di brodo di ramen?
Non mi interrogai oltre su quel piccolo dettaglio.
Ah, avevo davvero fatto un buon lavoro, altroché.
Tenni pressappoco lo stesso schema che presentavano i databook per le informazioni degli altri personaggi, anche se l’età non la misi: quel ragazzo, per me, trovandolo così bello, poteva avere tutte le età che voleva, ci avrei sbavato sopra anche a novant’anni, perciò la ritenni un’informazione poco utile da mettere.
Mi sentii davvero soddisfatta quando completai tutto.


Numero di identità ninja: 012675
Compleanno: 2 dicembre (sagittario)
Altezza 171 cm – peso 57 kg – gruppo sanguigno B
Carattere: NaCl allegro, melodrammatico, esuberante
Cibi preferiti: ramen, biscotti di Mikoto-san, takoyaki
Cibi odiati: pomodori, cavoli, verdure
Fobie: Fugaku-san, andare in missione e/o presentarsi dall’Hokage nudo
Avversario che vorrebbe sfidare: Sasuke (per vendicarsi del suo comportamento da marmocchio), Itachi (per farsi pagare il ramen)
Parole preferite: tappo, marmocchio, «Itachi-chan~»
Hobby: infastidire Sasuke, stare con Itachi


Quando ebbi finito di stilare quella breve lista di informazioni, ripiegai il foglio con cura e lo inserii in quel databook, che ora meritava anche di chiamarsi così.
Avevo fatto una buona azione. E non avevo nemmeno sprecato il mio pomeriggio, perché quando tornai a casa non era passato nemmeno un minuto! La tecnica, ovviamente, poteva anche questo.
Tempo o non tempo passato, comunque, non ci pensai neanche ad aprire un qualsivoglia libro: dovevo riprendermi, incontrare Shisui Uchiha era stata la più importante esperienza della mia vita, richiedeva riflessione e meditazione.
Perché no, il giorno dopo sarebbe quasi stato il caso di starsene a casa. Per meditare, chiaramente.
Ah, la tecnica, giusto! Vi ho tenuti sulle spinte fino all’ultimo è giusto che la conosciate anche voi.
Mh. Sì, è giusto che la conosciate, ma non sarò io a dirvi come si chiama e come funziona.
Statemi bene!


Konoha, Quartiere Uchiha, tramonto




«Chi era la ragazza all’Ichiraku, oggi?»
Itachi lo chiese senza un reale interesse alla questione, ma quella ragazza gli era parsa davvero strana. Non l’aveva mai vista e si era comportata per tutto il tempo in maniera piuttosto sospetta.
Sembrava li stesse spiando.
Forse era lui che con tutte le missioni affidategli stava diventando paranoico, ma non aveva mai visto nessuno mangiare il ramen uno spaghetto alla volta.
«Oh, giusto! Era un po’ strana in effetti… dopo che sei andato via mi ha chiesto quanto pesavo» disse pensieroso, come se solo in quel momento la cosa gli apparisse ambigua.
«Quanto pesavi?» ripeté dubbioso l’altro Uchiha.
Evidentemente per lui la cosa era bislacca in maniera lampante.
«E quanto ero alto» aggiunse.
«Quanto eri alto» commentò solo.
«E il gruppo sanguigno! Il gruppo sanguigno? Sì, sì, il gruppo sanguigno!»
Itachi si chiese se non fosse il caso di rimandare il ragazzo all’accademia, dove insegnavano che dare informazioni personali ad un estraneo era una cosa sbagliata. Era poi anche una cosa piuttosto ovvia, anche andando dal fruttivendolo si poteva imparare una cosa del genere, ma era chiaro che Shisui non la pensava alla stessa maniera.
Non sembrava pensare proprio, il cugino.
«E tu glieli hai detti?» si informò, anche se conoscendolo era ovvio che lo avesse fatto.
«Sì!» infatti. «Dici che era una spia di qualche villaggio nemico?»
Itachi scrollò le spalle; poteva anche essere, ma dopo aver avuto un incontro ravvicinato con l’Uchiha probabilmente si era resa conto lei stessa che il villaggio non abbondava di elementi dotati di grande intelligenza.
«Magari era venuta proprio per far fuori me, uno dei più grandi Uchiha esistenti! Aveva una bacchetta spezzata in mano, forse contava di uccidermi con quella… poi deve avermi visto in faccia! Sì, ha visto la mia faccia, ne è rimasta stregata, si è innamorata immediatamente di me e non è riuscita a compiere la sua missione!» disse tutto d’un fiato, dando voce a quelle rivelazioni dell’ultimo minuto che potevano cambiargli la vita.
«Dici che dovremmo dirlo all’Hokage?» chiese, iniziando a seguire Itachi che aveva preso a camminare.
Voleva allontanarsi dal cugino, ma quest’ultimo lo stava proprio seguendo.
«Forse mi metteranno una scorta, per far sì che non venga ucciso!» continuò a blaterare. «O forse non lo faranno perché sanno che le mie abilità ninja sono tanto vaste da potermi proteggere da solo!»
Continuò a farneticare per un bel po’ e senza nemmeno accorgersene seguì Itachi in casa. Solo quando si rese conto della presenza di Fugaku corse a gambe levate fuori di lì, annunciando che doveva andare a stanare questa strana spia straniera per chiedere asilo al villaggio da cui proveniva: tutto, pur di essere abbastanza lontano da Fugaku-san.



Ah, questo è il mio masterpiece, giuro!*O* Amo questa storia dal profondo del mio cuore, credo seriamente sia quella che mi piace maggiormente tra quelle che ho scritto. E direi anche che, dopo questa, io e Kishimoto potremmo tranquillamente fare a metà per quanto riguarda la proprietà di Shisui, suvvia XD Gli ho dato un numero di identificazione ninja pure! E logicamente l’ho creato al fine di arrivare a tre, perché il tre è il mio numero preferito e… beh, doveva venire tre u-u
Mh, il titolo l’ho riciclato da Sterne, diciamo che metà dell’ispirazione per la storia mi venne proprio grazie al suo titolo, ma poi la storia che ho raccontato lassù sul databook è tuuuutta vera: ne ho comprato uno e c’era di tutto lì sopra, ma Shisui no. E non può essere, suvvia, Shisui è uno degli essersi essenziali per la sopravvivenza del pianeta, meritava anche una data di nascita *O*
Ovviamente la tecnica rimarrà un segreto che mi porterò nella tomba: e la mia riluttanza a rivelarvela non è assolutamente un modo per svicolare alla descrizione della suddetta tecnica, eh, assolutamente :D ma cosa mai ve lo fa pensare :D
Ovviamente non c’è un fondo di verità se non il suo stesso nome, giusto per precisare! E non seguo più il manga, perciò non so se è successo qualcosa che riguarda Shisui: io la storia l’ho scritta qualcosa come quasi un anno fa, perciò mi giustifico da ogni possibile incongruenza XDXD
E questo è quanto u-u”
  
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