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Autore: Lilyth    24/02/2013    0 recensioni
Per quanto la fantasia non abbia limiti, le storie migliori sono tutte il riflesso delle nostre vite.
Driade, 25 anni, una carriera scolastica che sta per finire ed una lavorativa che è appena iniziata.
Vive nei suoi sogni, o meglio nelle sue sensazioni e nel mondo che sembra costruirsi intorno. Puoi passare le giornate a calcolare la tua esistenza punto per punto ma non saprai mai quando la vita deciderà di farti lo sgambetto e di riportarti con i piedi (e anche la faccia) per terra.
*Premessa- questa storia è costruita giorno per giorno basandosi anche su esperienze che provo in prima persona, spero di riuscire a rendere l'idea del realismo in ciò che lascerò su queste pagine; tra le ispirazioni per la storia capeggia "Orgoglio e Pregiudizio" della maestra Jane Austen, in Driade si scorgerà spesso un velo di Liz Bennet.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Pochi secondi dopo la porta si aprì mostrandoci una donna di almeno 30 anni, ci fissava con occhi spalancati lasciando tremare il labbro inferiore.
Nick non fece in tempo ad alzarsi per indicarle la sedia che quella scivolò sulle ginocchia scoppiando in un pianto inconsolabile.
Ci guardammo per qualche secondo, come per decidere cosa fare ma infondo sapevo che dovevo andare vicino a lei.
Nick non era un tipo molto espansivo, un altro che probabilmente non avrebbe dovuto fare lo psicologo, a primo impatto era freddo, statico, molto professionale, ma io sapevo di cosa era capace quando voleva.
Mi inginocchiai vicino alla donna toccandole piano una spalla.
Mi guardò per un attimo, il viso grondante e i pugni stretti al petto
< signora, sono la dottoressa Driade, si alzi, qui può stare tranquilla >
Per tutta risposta ricominciò a piangere ancora più forte.
Non sapevo che fare.
Mi voltai piano verso Nick, poggiato alla scrivania, braccia incrociate sul petto e sguardo assente, doveva pur fare  qualcosa, doveva aiutarmi a fare qualcosa.
< Nick >
nulla, lo sguardo continuava ad essere assente, ed io continuavo a ripetermi che le lezioni di yoga dovessero pur servire a qualcosa
< Nick >
Silenzio.
No, anzi, non c’era silenzio, non quel giorno, non con quei lamenti e quelle lacrime.
Per i primi due anni di affiancamento mi era stato insegnato che uno psicologo deve essere si familiare e permissivo, ma che deve rimanere anche professionale, soprattutto con gente adulta..
Peccato che in quelle situazioni io non riuscissi a ragionare così.
Sfilai il camice e lo lasciai a terra, strinsi le spalle di quella donna che improvvisamente sembrava più piccola e fragile e biascicai
< io sono Driade, ma puoi chiamarmi Dry se vuoi >
calò il silenzio, mi guardò, la guardai
< dicevo, mi chiamo Driade ma per gli amici sono Dry e tu? >
i suoi occhi tremavano ancora, lucidi e inquieti, sperai di non aver fatto il passo sbagliato
< Anna, sono Anna >
 
Aspettai, aspettai in silenzio, seduta dietro alla scrivania.
Aspettai e finalmente fummo di nuovo soli.
< Dry senti >
lo guardai appena
< no, sentimi tu, dove cazzo stai mentre lavoriamo? Dove stai con la testa? >
sentii il suo sguardo posarsi su di me
< lo sai come lavoro io >
< e sai anche come lavoro io. Mi hai sempre detto che siamo una squadra, beh, oggi per i primi 45 minuti della partita ho giocato da sola >
Mi alzai avendo quasi la sensazione che il pavimento si stesse piegando da un lato, la sensazione che si ha quando le tue certezze stanno crollando e tu non sei pronta.
Uscii dalla stanza accostando piano la porta.
In quel momento ero io che avrei tanto voluto piangere, ma non riuscivo a spiegarmi perché.
Nella realtà effettuale delle cose non era poi successo un granché, mi ero solo trovata per la prima volta a dover agire da sola, eppure questa cosa mi aveva tanto sconvolto da far vacillare le mie sicurezze, da farmi avere paura di sbagliare.
Mi chiusi in bagno e con mano tremante tirai fuori il cellulare, lo lasciai squillare sperando rispondesse
< pronto >
< Téo… >
secondi di silenzio
< Driade, perché mi chiami a quest’ora? >
Diciamo che in quel momento quella era la domanda esatta che nessuno avrebbe voluto sentirsi fare, soprattutto dal proprio migliore amico
< Driade, ci sei ancora? >
< sì, sì, ci sono >
la sua voce era distante, come già lo era lui nei miei confronti da qualche mese, vacillai e mi chiesi perché lo avevo chiamato ancora una volta sperando in un cambiamento che non sarebbe avvenuto
< Dry così però mi fai preoccupare, devi dirmi qualcosa? >
< mm >
< dai, allora dimmi >
< ho discusso con Nick, per una cosa di lavoro >
ciò che sentii dall’altra parte fu un sospiro e una mezza risata
< mi hai chiamato per dirmi questo? Per dirmi che hai litigato con De Vitti? >
poggiai la testa al muro
< a quanto pare sì >
< va bene, dai, non mi pare una cosa tanto grave, perché avete discusso? >
< mi ha fatto affrontare da sola una situazione difficile >
questa volta rise veramente, quasi in modo sguaiato e tutti i buoni propositi zen appresi durante le lezioni di yoga iniziarono a vacillare lasciando il posto ad un rabbia e ad una frustrazione bollente.
< stai ridendo? >
< scusa, scusa. Mi è scappato >
< ok, ti è scappato. Ora vado ciao >
allontanai il telefono dall’orecchio mentre lui continuava a parlare, o meglio a chiamarmi, o meglio provava forse a chiedermi scusa o ad approfondire meglio la conversazione?
No, non lo sapevo. Preferivo non saperlo.
Per quanto sapessi che quel rapporto con lui si era già sfasciato da tempo e che solo io lo tenevo insieme con tutte le mie forze continuavo a sperare che qualcosa prima o poi sarebbe cambiato.
Non si prevedeva niente di tutto ciò.
 
Uscii dal bagno con l’occhio spento e la testa bassa.
Poggiato alla parete di fronte c’era Nick, le braccia nuovamente incrociate sul petto, senza camice anche lui, mi fissava serio.
< vieni qui >
mi avvicinai a lui a testa alta, guardandolo negli occhi
< che c’è? >
abbozzò un sorriso che mi sorprese
< abbiamo un’ora libera, andiamo a prenderci un caffè >
 
 
 
 
   
 
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