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Autore: Carmen Black    24/02/2013    7 recensioni
Paul, dopo l'ennesimo litigio con un membro del suo stesso branco, si allontana, ritrovandosi sulla spiaggia. E' lì, che immerso nelle sue riflessioni, intravede una sagoma da lontano. " Un pazzo suicida ", lo definisce.
Ma più la sagoma si avvicina, più i suoi contorni prendono forma e lui viene sorpreso da un evento che cambierà irrimediabilmente la sua vita. Per Sempre.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Paul Lahote, Rachel Black
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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Paul

 
 
 
 
Fra poco avrei sputato fuoco dalla bocca.
Ora riuscivo a capire benissimo quella sensazione di bruciore alla gola.
Che diavolo era venuto a fare quel brutto coso dell'ex ragazzo della mia Rachel a la Push?
Ok, non sapevo se fosse l'ex, però erano in pausa di riflessione e persino io conoscevo quella stupida parola: serviva solo a dare pallide illusioni all'altra persona.
«Non ti senti bene amico?», mi chiese con aria di superiorità.
Aveva i capelli castani a spazzola e gli occhi di uno strano colore simile alla cacca dei neonati.
Lo guardai di nuovo immaginando di affogarlo in una pozzanghera o di spingerlo dalla cima della scogliera, proprio da dove andavamo a tuffarci noi.
Ma chi si credeva di essere?
«Sì, il mio problema sei tu», sbottai con le mani che mi tremavano.
Rachel fece un sorriso di circostanza, abbastanza tirato e prese il verme per il gomito. «Alan, per favore».
«Per favore che cosa? Chi è questo individuo? E perché eri qui fuori da sola con lui?».
«Sei appena arrivato e già vuoi litigare?», chiese lei con aria severa.
Brava la mia piccola, così ti voglio, combattiva. Cacciamolo a calci questo zoticone.
«Se tu avessi risposto almeno a un sms su cento, forse io sarei più tranquillo adesso».
«Credevo di essere stata chiara al telefono...».
«Eh, no. Troppo facile per telefono mia cara».
Mi chiesi di che cosa stessero parlando, proprio non lo capivo, a ogni modo, in quel momento, non me ne importava.
«Che cos'hai da guardare tu?», si voltò rivolgendomi un'occhiataccia.
Lo scarafaggio era più alto di me ed era anche ben piazzato. Sarebbe stato un bello scontro e ci avrei preso più gusto a dilaniare le sue carni.
Ero cento milioni di volte meglio io, ovviamente.
«Marchi male viso pallido, ci metto un secondo ad ammaz…».
«Heylà!», Jacob spuntò dal nulla mettendomi un braccio intorno alle spalle e frenando la mia lingua. «Tu devi essere Alan, io sono Jacob piacere di conoscerti e lui e Paul, mio cugino!».
E se la rabbia che dovevo scaricare su Alan l'avessi scaricata su quell'imbecille di Jacob? Sicuramente ci sarebbe stato più gusto nella vittoria. Purtroppo però, io volevo fare ugualmente a pezzi solo quello smidollato.
«Ciao Jacob, sono felice di conoscerti. Rachel parla spesso di te».
«Certo, sono il suo fratellino adorato».
«Invece non ho mai sentito parlare di lui», disse alzando il mento nella mia direzione.
Ma cavolacci, allora voleva proprio essere ucciso!
«Non c'è niente di importante da dire su di lui, ecco perché non lo conosci», Jacob si intromise prima che imprecassi e poi mi trascinò letteralmente via.«Divertitevi, ciao ciao!».
Tanto che mi opposi alla sua forza che con i piedi scavai dei solchi sul terreno prima di entrare in casa sua.
Non appena richiuse la porta con un tonfo, mi ritrovai a sbraitare con un dannato.
«Che diavolo ti sei intromesso a fare! Non sono fatti tuoi imbecille!».
Jacob mi lanciò dietro un mestolo da cucina e io lo afferrai e glielo scagliai contro a mia volta colpendolo alla testa.
Poi sentii un colpo di tosse. Era Billy...
«La finite voi due? Ma quando crescerete?», chiese laconico con aria annoiata.
Non mi ero proprio accorto di lui, era di fronte al televisore col cappello in testa a guardare chissà quale programma. Ma perché si ostinava a indossare il cappello anche in casa?
«Jacob perché l'hai fatto?», chiesi esasperato.
«Vi ho spiato dalla finestra», disse come se la sua azione fosse lecita. «E ho visto che hai iniziato a tremare. Paul quella è mia sorella, ficcatelo nella zucca».
«Non sarei mai mutato!».
«Vallo a raccontare a qualcun'altro».
«Senti, con lei mi controllo, non ti intromettere negli affari miei», ordinai puntandogli un dito contro.
«Quelli sono anche affari miei, anzi sono più miei che tuoi per adesso».
«È il mio imprinting bastardo».
«Ma lei ancora non lo sa».
«Questo non cambia la situazione!», urlai ancora avvicinandomi alla finestra per controllare che quei due stessero a debita distanza.
Jacob mi si avvicinò silenziosamente e finalmente tenne quella sua boccaccia velenosa chiusa.
Rachel e il morto che cammina, stavano riscendendo verso la spiaggia fianco a fianco. Lei era stretta nelle braccia mentre lui teneva le mani in tasca... e faceva bene.
«Comunque quel tipo non mi piace. Hai visto che indossa i mocassini?», asserì Jacob all'improvviso.
«No, che non l'ho visto. Quella vampira nanerottola ti sta contagiando, vedi di non frequentare troppo quella casa».
Jacob fece una smorfia e io lo spintonai. «Ora mi spieghi come faccio a cacciarmi da questa situazione? Se non fossi intervenuto tu, Rachel sarebbe con me adesso».
«Non credo», s'intromise Billy. «Tu non hai potere sulle sue decisioni e lei non può mandare via il suo ragazzo come se niente fosse».
«Vi siete alleati contro di me», borbottai aspro, vedendo la sagoma di Rachel scomparire dietro le rocce.
«Devi avere pazienza Lahote. Pazienza».
Quel termine non faceva parte del mio vocabolario e mai lo avrebbe fatto.
Stavamo forse scherzando?
Dovevo aspettare che quel maledetto coi mocassini si riportasse indietro la mia Rachel? Non esisteva proprio!
Eppure quando riuscii a pensare con un po' di lucidità, capii che non potevo fare altro che aspettare e avere pazienza. Proprio come aveva detto il saggio Billy, altrimenti avrei dovuto agire con la forza. Non che mi dispiacesse, ma rischiavo di farmi odiare da lei. E credo che l'odio del proprio imprinting possa portare al suicidio.
Me ne andai a casa con l'espressione di un cane bastonato. Ignorai mio padre che mi chiedeva qualcosa e mi rinchiusi in camera a deprimermi.
Non facevo altro che pensare a se quel viscido individuo sarebbe riuscito a portarmela via... che cosa avrei fatto in quel caso?
Dopo aver assaggiato le sue labbra, la sua pelle, come avrei fatto a viverne senza?
Mi coprii il viso col cuscino, non mi ero mai sentito così impotente in vita mia. E anche così coglione da fare certi pensieri.
Stavo... stavo male! Dio, che orribile sensazione.
La mia Rachel, i suoi bellissimi occhi profondi, i suoi capelli profumati, il suo corpo... No, lei non poteva decidere di ritornare sui suoi passi, era fuori discussione.
E poi era venuta a casa mia la sera prima e lo aveva fatto di sua spontanea volontà.
Travolto da un milione di paure a cui molto spesso non riuscivo a dare il nome e con una stanchezza sulle spalle non indifferente, crollai in un sonno lungo e agitato, sperando che Rachel si togliesse dai piedi l'uomo coi mocassini e venisse a svegliarmi con i suoi dolci modi.
E invece a scrollarmi fu la mano dura e callosa di mio padre.
«Stai dormendo un'esagerazione, alzati e cena con me».
Grugnii girandomi dall'altro lato, mi chiesi perché non se ne andasse a lavoro, era una noia averlo intorno. «No».
«E se ti dicessi che di là c'è una moretta niente male che ti sta aspettando?».
Sbarrai gli occhi e mi alzai di scatto travolgendolo. «Papà ma sei scemo? Vuoi farmi morire d'infarto?»
Mio padre, che altro non era che la mia fotocopia invecchiata di vent'anni, storse la bocca in una smorfia.
«È una nuova moda, chiamare tuo padre scemo?», alzò gli occhi al cielo scoccando la lingua sul palato. «Ti muovi oppure devo intrattenerla io?».
«Io mi do una ripulita veloce, tu torna da lei e dille che sono impegnato in una telefonata e la raggiungo appena finisco».
Cercai dei vestiti puliti alla rinfusa dall'armadio disordinato. «E poi vai da Sue o dove ti pare».
«Non esiste. Nel modo più assoluto».
«Laverò i piatti per due settimane di seguito», lo implorai spogliandomi. «E pulirò il bagno per una settimana... e spazzerò dappertutto, dài papà!».
Mio padre si mise le mani sui fianchi poi sollevò il mento pensieroso. «Andava bene solo lavare i piatti, ma accetto la tua proposta per intero», sorrise andando verso la porta. «Se ti azzardi a fare cose sconce in casa mia, ti sbatto fuori. Sappilo».
Sbattei le palpebre per qualche secondo quando andò via. Poi mi precipitai in bagno a darmi una ripulita, puzzavo come un vecchio caprone!
Non avevo ancora capito se mio padre dicesse sul serio, a ogni modo, non avrei obbedito. Avevo già usato il suo amato divano come comodo giaciglio d'amore.
Ridacchiai mentre mi insaponavo sotto la doccia alla velocità della luce.
Ero felice. Il mio umore si era risollevato in un batter d'occhio, era impressionabile e mi sentivo patetico fino all'inverosimile. Però per il momento godevo da solo di quella sensazione, mi sarei preoccupato in seguito di apparire ridicolo davanti al branco.
Aspettate un attimo...
Rimasi bloccato a fissare la mia immagine allo specchio. E se Rachel fosse venuta a darmi brutte notizie? Se mi avesse detto che sarebbe partita il giorno dopo?
Deglutii infilandomi la maglia e rimanendo con lo sguardo fisso sul lavello gocciolante.
E va bene, dannazione! Potevano avere brutte notizie per me e allora? Chi diceva che io non ne avessi orribili anche per lei?
Che cosa credeva, che l'avrebbe passata liscia per il fatto di avermi lasciato lì come un deficiente per andare a parlare con quel brutto individuo?
In un paio di minuti ero pronto, così con aria dura, mi diressi in salotto. Rachel era lì.
La luce in cucina era accesa, il tavolo illuminato e apparecchiato sotto a essa.
«Ciao», salutò con tranquillità.
«Ciao», risposi a tono.
Mi guardò con quei suoi grandi occhi scuri e sentii i miei muscoli sciogliersi, il mio cuore che batteva veloce come uno stupido.
Mi riscossi e andai verso la finestra per impedirle di notare il mio cedimento.
«Divertita col tuo amico?», sbottai all'improvviso senza controllo. Il mio corpo mi tradiva, roba da pazzi.
«Divertita?», chiese perplessa. «Ti sembrava che avessi la faccia felice per caso?».
«Magari ho interpretato male».
«Sì, solo perché ti fa comodo...».
Mi girai verso di lei con disappunto e la ritrovai con le braccia incrociate sul petto e le sopracciglia sollevate in una smorfia di perplessità.
«Senti Paul, se la stai facendo lunga perché cerchi una scusa per non vedermi più, non c'è bisogno».
Afferrò a malo modo la sua giacca ripiegata su una sedia e si diresse a passo spedito verso la porta di casa.
Ma che diavolo stavo combinando?
Paul Lahote, se ci sei da qualche parte, batti un colpo.
Scattai in avanti e la raggiunsi mettendomi di fronte a lei.
«Tu non te ne vai», asserii sicuro poggiandole una mano sulla spalla.
Lei indietreggiò. «Tu non mi dai ordini».
«Non è un ordine, è un consiglio».
Le camminai contro nonostante le fossi già dinanzi, fissandola negli occhi e lei intravedendo forse il mio sguardo da predatore, indietreggiò.
Sollevai un angolo della bocca con soddisfazione quando lei non poté più arretrare perché impedita dal tavolo.
«Io non voglio seguire i tuoi consigli».
«Oh, tu lo farai... perché ti piacerà», sussurrai ormai quasi attaccato a lei.
Le accarezzai la gola con le dita e sentii i brividi sulla sua pelle, il suo cuore che galoppava, le sue guance che prendevano colore.
«Tu sei mia», le sussurrai sulla bocca. «Meglio che lo capisci una volta per tutte», dissi prima di strapparle i vestiti di dosso.
 
 
 
 
 Angolino Autrice

Ciao a tutti! Scusate il ritardo ma sono influenzata e non ci ho capito niente O.o, a dire il vero sn quattro giorni che nn ci capisco niente. Giovedì posterò  un capitolo infrasettimanale, tanto la storia l'ho terminata quindi posso ^-^
Un grazie a tutti color che si fermano a lasciarmi un parere, siete fondamentali <3
A giovedì <3

  
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