CAPITOLO
VENTUNESIMO: IN CORSA
Mentre
guido verso casa pianifico tutto
nei dettagli. Devo farlo il più in fretta possibile, non
perché temo di poterci
ripensare, ma perché finchè resto qui Alice
potrebbe prevedere qualche mia
mossa.
Alice: quanto le ho voluto bene e quanto spero possa tornare quella di
sempre quando non ci sarò più … Quanto
spero che tutti possano essere più
tranquilli dopo e che superino in fretta il dolore.
So che li ferirò, ma in
fondo è meglio così, che esca di scena.
Torneranno ad essere pian piano una
famiglia felice, come un albero finalmente privo di quel ramo malato
che ha in
parte contagiato pure gli altri.
Carlisle, il seme di quell’albero, quanto è
stato importante per me: pensare che da neonato quasi lo odiavo per
avermi
condannato all’immortalità adesso mi sembra
assurdo. Senza di lui non avrei mai
conosciuto tutto l’amore e l’affetto di nuovi
genitori, di una sorella, di un
fratello, di un amico e infine di una donna. Esme, la mia seconda
madre,
amorevole e premurosa quanto una biologica, sempre incondizionatamente
dalla
parte del bene di tutti. Jasper, quello che meglio comprendeva i miei
tormenti
legati alla sete e non solo. Emmett, con la sua impareggiabile
spensieratezza,
sempre pronto a far ridere. Rosalie, tanto ostile ed egocentrica quanto
intimamente profonda. Sono stati tutti fondamentali alla mia
sopravvivenza sino
ad oggi. Ma ora è il momento di lasciarli.
Mi restano solo un paio di cose da fare
prima …
Giunto
a casa mia, prendo carta e penna
da un cassetto. Scrivo di getto le ragioni della mia scelta e do a
tutti un
ultimo saluto. Ovviamente non mi importa a chi destinare i miei beni
materiali
( le auto, l’appartamento qui a S. John’S, i libri,
i dischi … ), non è un
testamento che sto scrivendo, potranno farci ciò che meglio
credono. Poi metto
la lettera in una busta, esco, risalgo in macchina e guido sino alla
villa
della mia famiglia. Una volta entratovi, la lascio su un tavolino
vicino l’ingresso
con accanto il mio cellulare spento. Guardo i miei cari felici, nei
ritratti
incorniciati appesi alle pareti. Riesco, parcheggio la mia vecchia
Volvo in
garage e inizio a spostarmi verso la mia prossima, ultima meta: Forks.
Non mi nutro da circa due settimane, ma
ho comunque il vigore e la potenza necessari a correre quasi alla mia
velocità
massima.
Mi sposto come un fantasma tra i boschi, senza fermarmi. Uscito
dall’isola
di Terranova, giunto al piccolo stretto che la separa da Labrador, lo
attraverso a nuoto.
Mentre il sole si prepara a tramontare per la seconda volta
da quando ho lasciato S. John’S, sto per andarmene dal
territorio canadese. Arrivato
negli Stati Uniti, mi dirigo allo Stato di Washington per entrare
infine nella
cittadina di Forks. Dove giacciono i poveri resti mortali della mia
amata.
Non sono andato a trovarla che una volta
al cimitero, pochi giorni dopo la sua morte: in preda al delirio e
ancora
incredulo, vi sono piombato nel cuore della notte per accertarmi di
nuovo che
il suo corpo fosse davvero lì sotto. Non l’ho mai
detto a nessuno.
Adesso - ed è,
dopo la lettera, la seconda cosa che farò prima di uccidermi
- devo accertarmi
di un’altra cosa: che Bella viva ancora nei ricordi dei suoi
cari.
Gli umani sono soliti mostrare di continuare
a pensare chi non c’è più portandogli
un fiore sulla tomba. Quando entro nel
cimitero di Forks è di nuovo buio, quasi notte. Ricordo
perfettamente dov’è la
sua lapide e ritrovarmela davanti mi provoca un dolore ancora
più grande. Se fossi
umano starei versando tante lacrime da innaffiare i fiori, crollerei
sulle
ginocchia per un capogiro. Noto con piacere che i fiori sono freschi e
avverto
tracce di presenze umane altrettanto recenti. Distinguo chiaramente
anche l’indimenticabile,
fastidioso odore di Jacob attorno alla tomba. Dalla foto ovale Bella mi
sorride
e la sfioro rischiando di graffiarla per la rabbia che mi assale.
Adesso non mi resta che compiere un
gesto per me nuovo e risolutivo: violare uno dei divieti stabiliti
nell'antico patto
tra vampiri e Quileute, ovvero invadere il territorio nemico. Mi spingo
fino
alla riserva dei secolari mutaforma e subito le loro scie mi fanno
bruciare le
narici. Spero di incrociare proprio lui, Jacob, forse l’unico
in grado di
annientarmi in fretta e con la meritata ferocia.
Per ora non avverto il suo
odore.
Poi, tra alcuni arbusti non lontani
dalla piccola casa in legno dei Black, ecco che sento la voce di Billy.
Mi stranizza
sentirlo rientrare a quell’ora, ma presto capisco che era
solo uscito un minuto
per pregare il figlio di non andare.
Bene: a quanto pare, Jacob, furioso per
qualche litigio, è uscito di casa. Quindi è
più che sicuro che avvertirà la mia
presenza.
“Conosco
questa puzza!”,
pensa infatti, arrestando la corsa e già in forma di lupo.
Gli ci vuole un po’ per riconoscere che
la puzza è la mia e
decido di
aiutarlo.
Non
è possibile! Non può essere quello schifoso!
-
Jacob! - lo chiamo, con calma ma ad
alta voce.
Allora
sei proprio tu, succhiasangue!
Mentre
lo urla nella sua testa mi si
avvicina. Anche sotto la folta pelliccia ramata sono ben visibili tutti
i muscoli
tesi e pronti a scattare.
Sento Billy muoversi in cucina per bere
un bicchiere d’acqua, che gli cade per terra rompendosi
nell’istante in cui suo
figlio emette un ringhio assordante.
Trascinandosi con la cigolante sedia a
rotelle verso la porta per uscire, ha in testa mille pensieri pieni di
odio e
paura.
Quella
voce è terribilmente familiare! E Jacob non ha emesso un
simile verso
straziante se non quando …
Nelle
vicinanze, intanto, percepisco in
arrivo altri licantropi.
Tra pochissimo mi troverò circondato da
un branco di enormi lupi furiosi.
Perfetto.