Farewell Konoha
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2.
Show
me what you can do!
Zetsu le chiamò, un tono più dolce nella
voce.
«Tenten, Ino? Venite!»
Lo seguirono per un lungo corridoio, per nulla intimorite dal
ninja.
Intorno a loro aleggiava uno stranissimo silenzio, rotto solo dal
ticchettare dei passi sulla dura roccia.
L’uomo spalancò una porta alla loro
destra.
V’entrarono e subito si accorsero che Itachi e Deidara erano seduti
su delle sedie legnose, il primo batteva convulsamente il piede per terra.
Sembrava stesse tenendo il ritmo di un’immaginaria canzone nella sua
mente.
Il secondo, invece, era tutto preso dall’ultima opera artistica.
Intorno a lui volavano piccoli uccellini bianchi. Uno di questi esplose. Il
biondo sorrise.
L’Uchiha prese parola.
«Siete qui perché siamo stati incaricati di seguire i vostri
allenamenti e spiegarvi il comportamento da tenere nella nostra organizzazione.
Avremo anche l’obbligo di illustrarvi la filosofia dell’Akatsuki, alla quale
dovrete attenervi. Infine, dovrete passare un piccolo esame.» terminò, la voce
stranamente calma, chiara e limpida.
Le due ragazze annuirono, determinate al raggiungimento del loro
scopo. Risolute al punto di avvicinarsi e di domandare con voce sicura di
cominciare l’allenamento.
Videro i due uomini lanciarsi un’occhiata
divertita.
«D’accordo!» annuirono i due, prima di afferrarle per un braccio,
con un’insolita delicatezza, e di portarle in campi d’addestramento
diversi.
Quella grotta era enorme, interamente scavata nella viva roccia.
Erano presenti camere da letto, una sorta di cucina, la sala ritrovo e i nove
campi addestramento.
Ino si trovò a lavorare con Itachi, Tenten con
Deidara.
«D’accordo, ora fammi vedere di ciò che sei capace!» l’esortò
Itachi, facendole segno di attaccarlo.
La bionda afferrò un kunai e si scagliò su di
lui.
Bloccata con un semplice movimento della
mano.
Con uno scatto felino saltò all’indietro e si preparò per la sua
tecnica migliore.
«Ninpou,
Shintenshin no juts…»
venne interrotta da un pugno del ragazzo in piena
pancia.
Il suo corpo sussultò, arretrò di qualche metro, tenendosi il
ventre con le mani.
Sputò sangue a terra, ma non cadde.
Le sue gambe stavano per cedere, ma all’ultimo lanciò uno shuriken
all’Uchiha, ferendolo in profondità al braccio.
Lo vide sorridere soddisfatto.
«Brava… in pochi riescono a rimanere in piedi in seguito ad un mio
pugno. Ancor meno sono coloro che riescono a ferirmi.
Complimenti.»
Ino si illuminò dalla gioia. Era riuscita a scalfirlo. Arrossì,
imbarazzata dal complimento rivoltole.
«Ora,
se non mi sbaglio, gli Yamanaka sono delle spie perfette, la loro famosa
Shintenshin
può trasferire il loro spirito dal proprio corpo a quello del nemico…
giusto?»
«È esatto!»
«Bene…
è il momento di imparare una nuova jutsu ancora più potente che non ti penalizzi
come la Shintenshin!»
Strabuzzò gli occhi. Avrebbe imparato una nuova jutsu?
Gliel’avrebbe insegnata lui?
Il suo pensiero andò subito a Shikamaru e Choji. Loro avevano
sempre nuove tecniche di una potenza straordinaria.
Nara aveva delle tecniche con l’ombra eccezionali, avrebbero
lasciato a bocca aperta chiunque.
Akimichi invece poteva ingrandire a proprio piacimento ogni parte
del corpo. Ogni volta una nuova.
E
lei? Lei era sempre dietro. Sempre con la solita Shinten,
sempre l’ordinaria vecchia jutsu. Sempre più inutile, sempre più
sorpassata.
Stufa di essere inutile. Stufa di non servire a
nulla.
Stufa.
Nauseata.
Scocciata.
«La nuova tecnica è una superiore…» cominciò il ragazzo,
mostrandole un rotolo proibito.
Il rotolo proibito di Konoha.
«… vietata…» sorrise.
«… per la brutalità dell’esecuzione.» terminò, il volto sadicamente
sorridente.
Ino l’osservò. Era bello. Molto bello. Più di
Sasuke.
Più di Sai.
Era molto, molto bello.
«Cosa guardi?» una voce la fece sussultare, sbattendola in faccia
alla realtà.
«N… niente…» bisbigliò, afferrando l’oggetto portole da Itachi e
aprendolo.
“Ninpou,
Shimekorosu no jutsu
La Shimekorosu è una tecnica di strangolamento. Adatta soltanto ai
membri del clan Yamanaka…”
Tecnica di strangolamento?
Voleva dire uccidere. Uccidere una
persona.
Prese un lungo respiro e posò nuovamente gli occhi sulla
descrizione.
“…
viene classificata come Ninjutsu proibita.
Difficoltà di grado S…”
Difficoltà S. Valeva a dire essere Jounin davvero capaci per
poterla utilizzare.
Le sue dita si mossero da sole, andando ad intrecciarsi coi lunghi
capelli dorati. Com’era solita fare quando si sentiva nervosa. O
imbarazzata.
L’Uchiha la osservò. Graziosa.
Bella.
Splendida.
Gli Yamanaka erano famosi per i figli di gradevole aspetto. Ed Ino
non sembrava essere da meno.
Si avvicinò a lei, accovacciandosi accanto, facendo finta di
leggere anche lui, quando in realtà, si stava semplicemente inebriando del dolce
odore floreale che emanava la ragazza.
“I sigilli per poterla eseguire sono: tigre, serpente, drago,
serpente, cane, gallo.
Questa tecnica non lascia scampo. Inevitabilmente porta alla
morte.
Colui che verrà colpito dalla jutsu, perderà il controllo,
strangolandosi.”
Richiuse il rotolo.
Permetteva di strangolare. Colui che veniva colpito si sarebbe
strangolato.
Morte per suicidio.
Terribile.
Alzò lo sguardo, incontrando gli occhi neri, bui di
Itachi.
«Quando inizio?» domandò la bionda
convinta.
«Anche subito… rilascia tutto il tuo Chakra!» le ordinò
lui.
Si alzò in piedi, sistemandosi la gonna, ed evocò tutto il Chakra
che possedeva.
Il campo ricevette una leggera scossa sismica, mentre buona parte
dei sassolini in terra si alzavano di qualche
centimetro.
«No, no, no!» fu interrotta.
«Troppo poco Chakra per la tecnica…» sussurrò il ragazzo,
sghignazzando.
«Non prendermi in giro!» replicò lei, infastidita.
Concentrò maggiormente il Chakra.
Urlò, mentre un’enorme aura azzurra la illuminava. Il membro
dell’Akatsuki venne spazzato via.
Cadde in ginocchio, fisicamente provata dall’incredibile sforzo
fisico.
Il ragazzo riemerse dalle rocce e le rivolse un largo
sorriso.
Non aveva mai visto Itachi sorridere in quel modo. Sembrava
splendente di un bagliore lontano.
Era meraviglioso.
«Complimenti Ino-chan! Sei stata bravissima!» le urlò correndole
incontro.
Ino-chan?
La bionda abbozzò ad una smorfia compiaciuta, mentre con difficoltà
disumana si ritirava in piedi, vacillante.
Arrancò per qualche metro prima che le sue gambe, già tremanti,
l’abbandonassero del tutto, facendole perdere
l’equilibrio.
Venne abilmente afferrata da due forti braccia
maschili.
«Ehi! Già stanca?»
«No! Io… devo imparare la nuova jutsu! Lasciami!» si dimenò con
violenza.
Lui la lasciò, quasi riluttante.
«D’accordo, provala su di me…» si
offrì.
La ragazza sorrise subdola.
«Ti credi tanto forte? Uchiha?»
«Ma io non mi credo forte…» replicò lui, avvicinandosi
sensualmente. Piegò leggermente la schiena. I loro nasi si
sfioravano.
Ino si sentì pervadere da un bollore imbarazzante. Era sicura di
stare arrossendo.
«… io sono forte…» le sussurrò in un
orecchio.
Fu spinto via con veemenza.
«Preparati!»
Tigre,
serpente, drago, serpente, cane, gallo.
«Ninpou,
Shimekorosu no jutsu!»
Nulla.
Evocò più Chakra.
«Ninpou,
Shimekorosu no jutsu!»
Niente, Itachi era ancora lì. Fermo sul posto. E la guardava con
aria di sfida.
Rifece i segni. Rievocò la sua
potenza.
«Ninpou,
Shimekorosu no jutsu!»
gridò.
Ancora nessun movimento anomalo da parte del
ragazzo.
Stava cominciando a perdere la
pazienza.
Strinse i denti e i pugni. Chiamò a sé tutta la forza che possedeva
in corpo. Ogni goccia di energia venne risucchiata in un turbine
vigoroso.
«NINPOU,
SHIMEKOROSU NO JUTSU!!!»
urlò, rilasciando un’incredibile quantità di
Chakra.
Dapprima non successe nulla.
Poi, vide che le mani di lui stavano cominciando a muoversi da
sole, avvinghiandosi al collo.
Vide i muscoli sulle sue braccia stirarsi, cercando di contrapporsi
a quella forza invisibile.
Cercò di mantenere gli occhi aperti, ma ciò le riusciva
spaventosamente difficile. Oscillò per qualche secondo, prima di cadere a terra,
svenuta.
Percepì qualcuno alzarla e prenderla in braccio, prima di cadere
nel limbo.
«Allora, bellezza, ci sei?» domandò Deidara,
seccato.
«Ehi carino! Guarda che mi sto concentrando! Non rompere!» ribadì
la ragazza bruna, tornando ad affilare il suo
kunai.
Il biondo sbuffò.
«Certo che sei una noi… Ah!» esclamò, troncando la frase. Un kunai
lo aveva trafitto sulla schiena.
«Ma guarda che simpatica ragazzina…» mormorò tra sé e sé,
strappandosi l’arma e cominciando a giocherellarci pensieroso, continuando a
dare le spalle a Tenten.
«Ehi biondo! Guardami!» lo incitò la
ragazza.
«Potrei non staccarmi più, eh?» rispose maliziosamente, voltando lo
sguardo e trovandosi la mora a pochi centimetri dal naso. E uno shuriken nello
stomaco.
«Ma devi proprio colpirmi così brutalmente, tesoro?» esclamò lui,
carezzandole il mento.
«Dai, bando alle ciance… tira fuori la grinta bellezza! Fammi
vedere cosa sai fare!»
Lei annuì, felice che finalmente avessero smesso con quei giochetti
stupidi. Un po’ le dispiaceva però.
Afferrò
due rotoli e li fece volteggiare sopra di lei. Erano i Soushouryu.
Saltò incredibilmente in alto e cominciò a girare su sé stessa,
afferrando le armi che comparivano dai rotoli. Mirava a
Deidara.
«Mamma… sto tremando di paura…» sbadigliò, respingendo ogni attacco
solo con un kunai. Lanciò uno shuriken, stracciando così uno dei rotoli della
ragazza. Tenten cadde a terra con un tonfo.
Si rialzò, dolorante.
«Ti sei fatta male?» domandò il biondo. Non appariva un tono di
scherno nella voce. Forse si era davvero
preoccupato.
«No! Ci vuole ben altro per mettermi al tappeto!» esclamò lei,
mostrandogli la lingua.
«Brava, così ti voglio!» la incitò l’uomo, estraendo un rotolo
dalla tasca del mantello dell’Akatsuki.
«E quello… cos’è?» chiese incuriosita.
«Oh… soltanto un regalino per te e il tuo
allenamento.»
Tenten afferrò il rotolo e lo aprì. Dentro vi era scritta una sola
parola.
«Shiraha»
Subito comparve in una nuvoletta di denso fumo bianco, un grande
bastone tagliente. Le lame erano posizionate su entrambi i lati
dell’arma.
«Possiamo tranquillamente chiamarla… Trottola Demoniaca, bellezza!»
la informò lui.
«Cioè?» balbettò la bruna, rigirandosi ammirata l’oggetto tra le
mani. Il volto illuminato di una strana luce di
meraviglia.
«Impugna il bastone davanti a te…»
Lo fece.
«Comincia a volteggiare intorno a te
stessa.»
La ragazza eseguì. Prese a girare intorno ad un perno
immaginario.
Gira.
Gira.
Gira.
«Più veloce! Più veloce!»
Gira. Più veloce.
Gira. Più veloce.
«Di più!»
Più veloce. Più veloce.
Più veloce. Più veloce.
Ormai roteava ad una velocità inconcepibile. Il chakra veniva
rilasciato da ogni parte del suo corpo. Era diventata una trottola
azzurra.
Deidara preparò tre piccoli uccelli grazie alle sue mani. Questi si
avvicinarono alla ragazza.
Tranciati in pieno. Di loro, solo pezzettini sparpagliati in
terra.
La mora prese a rallentare.
Era arrivata al limite. La tecnica l’aveva prosciugata
completamente dalle forze.
Cadde in ginocchio, stanca, provata, ma
felice.
Era molto tempo che non sorrideva così dopo un allenamento. Subito
pensò a Neji.
Lei e Neji si allenavano sempre insieme… amava recarsi tutti i
giorni a casa dello Hyuuga, apparire improvvisamente sul davanzale della sua
finestra e svegliarlo…
«Neji! Sveglia!»
«Tenten!»
«Muoviti! Ti aspetto fuori!»
Attendere il suo arrivo sul ciglio della porta. Salutare
Hiashi-sama. Sbeffeggiare Hanabi mentre lei non
sentiva.
E poi incamminarsi insieme, prendendolo in giro sul fatto che fosse
un dormiglione.
«Signor Hyuuga… sa di essere un
pigrone?»
«Taci Tenten!»
«Pigrone, pigrone, pigrone! Hai preso la
Shikamarite!»
«La… che cosa?»
«Ma sì… “Shikamarite”! Un po’ di elasticità mentale,
Neji!»
Ridacchiò.
“Shikamarite”.
«Che hai da ridere?»
Si accorse di essere ancora nel campo di allenamento e che quello
che aveva davanti era Deidara.
Cosa aveva fatto?
Rimembrato il passato.
E cosa si era promessa di non fare
più?
Quello.
Abbassò lo sguardo. Improvvisamente, il sorriso scomparve dalle sue
labbra, sostituito da un infinito senso di
tristezza.
Perché doveva proprio pensare a lui? Neji… quel nome non doveva
significare più nulla per lei.
Nulla.
Nulla!
Neji, Rock Lee, Shikamaru, Naruto… erano nomi che doveva
dimenticarsi. Doveva scacciarli dalla mente.
Non poteva permettersi di ricordarli. Non poteva permettersi di
guardare indietro.
Qualcuno le sollevò il meno con un
dito.
«Tutto bene?» le chiese l’uomo, con aria estremamente calma e,
forse, preoccupata.
«Sì…» biascicò Tenten, prima di crollare tra le braccia del biondo,
perdendo i sensi.
«Neji?»
«Sì?»
«Ne… Neji?»
«Sì?»
«Ne…»
…
«Chi sei tu?»
Sakura si era allenata duramente, raggiungendo il suo scopo:
diventare ninja medico.
Era come una piccola Tsunade, ovunque andasse, i ninja la
salutavano, congratulandosi con lei per l’ottimo lavoro che stava svolgendo
nella sezione ANBU.
Naturalmente, la ragazza era onorata di ricevere così tante
attenzioni, sorrideva spesso a coloro che la fermavano per strada,
ringraziandola.
Sì, sorrideva. Ma non erano veri sorrisi i
suoi.
Da quando aveva perso la propria migliore amica e il ragazzo che
amava, ogni accenno di felicità le sembrava un torto nei confronti di Ino, che
non poteva essere lì, a ridere con lei. E Sasuke-kun a sorridere beffardo, come
aveva sempre fatto.
Ormai consumava uno strano affetto con un’altra persona che era
molto vicina alla Yamanaka.
Si abbracciavano, si lanciavano fulgide occhiate, si consolavano.
Arrivavano persino a regalarsi casti e fugaci baci sulle labbra. Ma non era
amore. Tutti dicevano che non era amore.
Sakura sapeva bene che Shikamaru non l’avrebbe mai amata. Lui
cercava in lei la bionda compagna. Cercava i comportamenti, l’atteggiamento,
persino il modo di parlare. Ma trovava solo un’ombra lontana. Si chiudeva in un
sogno e passava giornate intere ad osservare il
cielo.
Lei invece, cercava in lui i silenzi e l’intelligenza di Sasuke. La
sua indifferenza davanti ad ogni singola cosa.
Cominciò a vestirsi più spesso di azzurro. L’azzurro le ricordava
Ino. Lei e i suoi occhi profondi, meravigliosi, estasianti. Brillanti della più
pura delle felicità.
Lei, Shikamaru e Neji si trovavano spesso a mangiare insieme, o ad
essere scelti come Team per delle missioni, dal momento che il Team Gai e l’ex
Team Asuma non esistevano più senza le ragazze.
Il trio sembrava unito e diviso. Unito da un sentimento di
amicizia, o di conforto, a seconda dei punti di
vista.
Ed era sempre difficile superare ogni giorno insieme, senza
piangere, senza pensare a loro.
Anche Neji era triste. Se prima sorrideva raramente, ora non
sorrideva più. L’ironia era scomparsa dai suoi occhi. Il sarcasmo pungente non
gli sfiorava più le labbra. L’aria di superiorità non solcava più l’espressione
impassibile.
Era diventato un enorme pezzo di ghiaccio. Incapace di essere
felice, incapace di essere triste.
Incapace di essere vivo.
Viveva le sue giornate così, lasciando che gli scorressero davanti
agli occhi, succube degli avvenimenti.
Gli mancava Tenten. Gli mancava molto.
Ed ogni giorno gli sembrava sempre più stupido affacciarsi alla
finestra e attendere che lei venisse a svegliarlo, come aveva sempre fatto,
irrompendo rumorosamente.
Adorava quando i suoi occhi si tingevano di nocciola, guardando
quelli dell’amica.
Era fuggita una parte del suo cuore…
E lui si sentiva perso.
Perso.
Perso.
Perso per sempre.