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Autore: Nidham    27/02/2013    2 recensioni
Breve elucubrazione della mia ladra nel momento piu' triste del videogioco, quando una scelta porta a tragiche conseguenze. Fatemi conoscere il vostro parere, visto che è anche il mio primo tentativo^^
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Di cosa stai parlando Oghren?” per la prima volta, Alistair si concentrò su di lui, ma tornò immediatamente a fissare il suo sguardo sull'elfo, quasi a cercare nella sua anima un segno di ironia o di patetico scherzo, per un annuncio tanto insensato. “Di cosa sta parlando?”

C'era ben più che vuota curiosità, nel suo tono; la voce del re, sebbene controllata e venata di disincanto, nascondeva un vibrante interesse, come di un uomo ormai stanco di ascoltare incubi o sogni, ma bisognoso di credere in ogni frammento di essi.

“Sta soltanto interpretando uno sciocco racconto che ho avuto la sfortunata idea di confidargli” Zevran scosse la testa, incapace di osservare come l'orrore in cui era costretto a vivere, ogni notte, potesse trasformarsi in una flebile scintilla di speranza, nel cuore distorto di un amante disperato.

Eppure, adesso che era lì, circondato da vecchi compagni e ricordi di un troppo recente passato, non poteva pensare di fuggire di nuovo, come un vigliacco, tornando a rintanarsi nel buio di una frustrante e pericolosa inconsapevolezza.

Il nano poteva anche essere un ubriacone e avere la bocca troppo larga, ma forse aveva dimostrato buonsenso, strappandolo dalla sua autocommiserazione inconcludente e spingendolo a cercare la verità.

In fondo era ciò che gli aveva insegnato Eilin, fin dal loro primo incontro: guardare i fatti senza illusioni e senza paura, perché, qualunque sentimento si fosse mai voluto imporre su di essi, non avrebbe infine potuto mutarne la sostanza.

Ai tempi l'aveva ritenuta saggiamente pragmatica, ma, dopo la sua scomparsa, non aveva saputo seguire quel prudente consiglio e aveva macchiato ogni gesto, ogni pensiero, ogni decisione con il veleno acre di un'angoscia tanto profonda da distorcere non soltanto la verità, ma anche lui stesso.

“Zevran...” Leliana sussurrò appena il suo nome, quasi temesse di vederlo scomparire nella notte che si era trascinato appresso. “Vorresti parlarne anche con noi? Tutti saremmo ansiosi di aiutarti.”

“Non è me che dovreste aiutare, se mai le mie parole fossero più di fiato dato alle labbra” Zevran sorrise, con aria da lupo, per nascondere la paura che tremolava al di là dell'illusione. “Ma forse nessuno potrebbe aiutare nessuno.”

“Potremo saperlo solo dopo che avremo conosciuto i fatti” Wynne aveva ripreso il controllo della sua placida imperturbabilità, mostrando di nuovo il volto da anziana maestra che tanto aveva infastidito la giovane Custode. “Oghren non è uno sciocco e le sue intuizioni, per quanto puramente istintive, spesso racchiudono profonda saggezza. Quindi, adesso, per favore, prova ad aprirti con noi e cercheremo di capire che cosa ti stia accadendo.”

Con un sospiro, più di incoraggiamento, che di rassegnazione, l'assassino si decise ad appoggiarsi al bordo della scrivania, rimanendo in bilico tra il vivace chiarore del fuoco, nel camino, e la solida oscurità di quell'ora così tarda, a cui le sue parole sembravano più adeguate.

Alistair continuava a fissarlo, con aria quasi bramosa, mantenendosi a stento seduto sull'orlo della poltrona, con una tensione tale, in tutto il corpo, che avrebbe potuto scattare all'attacco al primo accenno di bisogno.

“E' strano” pensò l'elfo, mentre cercava il modo meno folle per iniziare il suo racconto. “Io ho smesso di esistere da quando ti ho perso, amore mio, ma non avevo capito che anche tuo marito, in tutte le sue gesta da re, non aspettava altro che un'occasione per tornare a essere vivo.”

“Per favore, Zevran” lo sollecitò Leliana. “L'ora si fa sempre più oscura e la paura attanaglia i nostri cuori.”

“Che stupidaggine!” Oghren le assestò una vivace pacca sul braccio, soffermandosi impercettibilmente su rotondità che non aveva mai smesso di apprezzare. “Io non ho paura di niente e direi che, in questa stanza, di codardi non ce ne siano. D'altra parte non ho voglia di aspettare il mattino guardando un pallido elfuccio che fa smorfie e sospira, come una femmina. Quindi dacci un taglio, ragazzo, e vediamo di portare in fondo questa faccenda.”

“E' iniziato tutto qualche mese fa... è iniziato poco dopo la sua morte, la prima volta che la stanchezza mi ha costretto a chiudere gli occhi e sprofondare nell'incubo.”

“A quei tempi...” Wynne esistò, come cercando l'espressione più corretta. “E' possibile che, in quel momento, tu già avessi ecceduto nel bere?”

“No, non mi ero mai concesso quel sollievo. Non volevo perdermi nemmeno un briciolo di divertimento, obnubilando il mio dolore; l'alcool è venuto dopo. Ma ti sono grato per aver sottolineato questo punto, ci farà risparmiare sospetti in seguito.”

“Non volevo mancarti di rispetto...”

“Non l'hai fatto” Zevran liquidò le sue scuse, con un gesto della mano. “Non ricordo dove fossi crollato, forse ero in strada, o forse in una locanda, ma ricordo molto bene come quel sonno poco avesse di naturale. Era troppo greve perché le mie palpebre potessero racchiuderlo, troppo profondo perché lo riconoscessi come tale. Pensai di essere prossimo a morire e ne fui felice, disprezzandomi, poi persi qualsiasi capacità di riflettere e aprii gli occhi in una realtà diversa, ma altrettanto concreta di quella in cui ci troviamo adesso. Tutto appariva sfuocato e insensato, con colori ovattati e contorni sfumati, quasi stessi guardando attraverso una qualche strana lente distorcente. Per un po' non mi mossi, cercando di ritrovare il controllo di me stesso. Avvertivo una terribile fatica, nel respirare, ma era una sensazione lontana, come se mi giungesse da un altro me stesso. Poi riuscii a muovere un passo, lento e pesante, e un altro ancora, spostandomi in un corridoio di polvere rosata, circondato da contorte rocce aguzze. Non vedevo nessuno, intorno a me, ma sentivo di essere osservato e avevo paura. Avrei voluto correre, ma era impossibile, così mi limitavo a trascinarmi avanti senza una meta, senza neanche volerlo, spinto da un bisogno più forte della mia volontà. Non saprei dire quanto tempo rimasi in quell'incubo, so solo che, ad un tratto, il paesaggio mutò e sbucai in una radura, se così possiamo definirla, in tutto simile all'ambiente a cui, ormai, mi ero abituato, ma estremamente più ampia e, di certo, più oscura. Ne indovinavo i contorni, ma non riuscivo a scrutarne il centro, nonostante sapessi, con assoluta certezza, che era proprio lì che sarei dovuto arrivare. Fu allora che la sentii, per la prima volta.”

“Aiutami, ti prego. Portami via da quest'incubo... portami via da qui!”

Tutti rimasero senza parole, perché quella voce non era venuta dall'elfo, ma si era fatta strada tra le labbra serrate di Alistair.

Zevran si volse verso di lui, con la rapidità dell'assassino, afferrando, prima degli altri, il senso di quella rivelazione.

“Anche tu...”

“Credevo fosse solo la voce del suo ricordo e del mio rimpianto” i suoi occhi si muovevano rapidi sui volti che lo fissavano muti. “Credevo di sentire solo ciò che volevo, in un patetico tentativo di soffocare i miei sensi di colpa. Non ho mai visto niente, non ho provato alcuna delle sensazioni che tu hai descritto.”

“Eppure hai recitato, una per una, le parole che, per mesi, ho cercato di annegare in un'inutile marea di ebrezza...”

“E' l'Oblio” Wynne li interruppe, il volto contratto in una smorfia di paura, che la rendeva stranamente umana. “Voi, Alistair, forse per la vostra educazione da Templare, vi siete limitato a sfiorarne la soglia, ma tu, Zevran, non so come, sei arrivato a sollevare un velo troppo pericoloso per poterlo ignorare”

  
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