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Autore: Charlize_Rei    16/08/2004    6 recensioni
Bellatrix Lestrange... quasi tredici anni rinchiusa nella prigione di Azkaban... Una mente forse rifugiatasi nella follia. L'adorazione incondizionata per il Signore Oscuro, affamato di potere e, soprattutto, di anime... fino a quando l'incontro con colui che tutti i Mangiamorte considerano il Traditore cambierà radicalmente le vite di molte persone, innescando una serie imprevedibile di eventi che trascineranno il mondo magico in una Seconda Guerra, il cui esito dipenderà sia dalle scelte fatte sia, in eugual misura, da quelle non fatte. Le carte si mescoleranno, la parete che separa i nemici dagli amici si farà sempre più sottile. E mentre Voldemort si avvicina all'immortalità, c'è chi lotta senza sosta per impedire l'inizio della fine.
Genere: Dark, Drammatico, Mistero, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bellatrix Lestrange, Luna Lovegood, Remus Lupin, Severus Piton, Tom Riddle/Voldermort
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Evviva, evviva evviva

Disclaimer: Bellatrix Lestrange e gli altri personaggi che compaiono in questa fanfiction sono proprietà di J.K. Rowling e di editori come Bloomsbury, Bros, Salani. Nessuna violazione del copyright si ritiene pertanto intesa.

 

 

 

“Sopra gli stagni, sopra i monti e le vallate,

sopra le foreste, le nuvole, gli oceani,

al di là del sole, oltre gli spazi eterei,

al di là dei confini delle sfere stellate,

 

spirito, tu ti muovi con agilità,

e, come un buon nuotatore nell’estesi dell’onda,

solchi festosamente l’immensità profonda,

con un’indicibile e maschia voluttà.

 

Fuggi lontano da questi morbosi miasmi,

vola a purificarti nell’aria superiore,

e bevi, come un celestiale liquore,

il chiaro fuoco che colma i limpidi spazi.”

 

Charles Baudelaire, da Elevazione, Les Fleurs du Mal

 

 

Ex nihilo te creavi

- Ti creai dal nulla -

 

 

Aria in cammino.

 

Era come aria fredda, che si muoveva veloce, protetto dal mantello vellutato che catturava, avido, i riflessi delle fiaccole fissate alle pareti del corridoio sotterraneo, annegandone la fiamma nella sua viscosità nera.

Lord Voldemort procedeva verso quella cella, i passi silenziosi, ogni rumore nascosto come se l’intero mondo fosse sprofondato in un abisso di nebbia settembrina. Il vago chiarore che permeava l’ambiente illuminava a tratti il suo viso bianchissimo, strappando, a livello degli zigomi, bagliori verde-oro, come se sotto la pelle cerea si nascondessero scaglie luminose di rettile.

La mista natura del suo corpo aveva cominciato a manifestarsi, smussando, levigando le fattezze umane, per poi riplasmarle lentamente, ma con spietata precisione, in quelle serpentine, fredde ed inquietanti.

All’improvviso si fermò, portandosi una mano al volto, passandone poi il dorso sotto il mento per poter catturare il rivolo di veleno che stava sgorgando incontrollato dalle labbra purpuree. Osservò quella lacrima mortale scintillare trasparente tra le dita: da qualche giorno si era reso conto che avrebbe potuto uccidere con un morso, affondando i suoi denti venefici nel collo di qualche inutile e sfortunata vittima. Lo stesso giorno in cui si era accorto che la sua lingua aveva cominciato a biforcarsi e a rivelargli tutti i segreti dell’aria circostante.

Il bisogno di possedere un nuovo corpo si era fatto urgente… Bisogno che durante le ore più profonde della notte s’intingeva nella più cupa e gelida disperazione.

Doveva trovare Bellatrix, si disse per l’ennesima volta, riprendendo a camminare con un lieve frusciare di vesti.

Voleva un nuovo corpo.

Voleva suo figlio e l’avrebbe avuto pure a costo di smantellare le fondamenta della Terra.

E forse… adesso… aveva trovato un modo.

 

Arrivò davanti alla cella di Barty Crouch in breve tempo, seguendo le torce che tracciavano incostanti il cammino lungo il corridoio umido. La sua mano si aprì e velocemente si richiuse, la vecchia porta dell’angusta stanzetta sussultò, poi, cigolando sui cardini, si schiuse lentamente, quasi fosse esitante.

Il debole chiarore sospeso a mezz’aria penetrò all’interno, disegnando i contorni di una figura sottile, quasi evanescente. Gli occhi scarlatti di Lord Voldemort si soffermarono sul volto scarnificato dell’uomo, sul vuoto che si contorceva dietro le pupille dilatate… e sulle mani, spettrali e scheletriche, le linee dei palmi evidenti come piaghe.

- Barthemius – sillabò piano, come se stesse recitando la formula di un incantesimo. Avanzò verso l’uomo rattrappito sulla parete, gettando la sua ombra su di lui, sulle sue carni spolpate dal niente. Sollevò le proprie braccia, mentre il corposo mantello che le avvolgeva scivolava all’indietro a scoprire i polsi bianchi e sottili. Artigliò le spalle fragili di Crouch e lo trasse a sé, fino a portare il viso devastato di lui all’altezza del proprio volto.

- Barthemius – ripeté, fiato gelido contro fiato gelido.

E, con un movimento fulmineo, lo baciò.

E lo morse.

Ripetendo all’inverso il gesto del Dissennatore che aveva privato Barty Crouch della sua anima, Voldemort catturò quella bocca distrutta con la sua, affondando all’interno del labbro inferiore i suoi canini stillanti veleno e magia. Con gli occhi rossi fissi in quelli senza memoria dell’uomo e utilizzando tutta la sua potenza, cercò di restituirgli, se non l’anima perduta per sempre, almeno la consapevolezza della sua esistenza.

 

Sangue, veleno, magia… e Barthy Crouch si sarebbe destato dalle sue miserevoli ceneri e sarebbe tornato ad appartenergli ancora una volta, totalmente e in maniera più completa di prima.

 

Si staccò da lui lentamente, con cautela, ma non lasciò la sua presa sulle spalle scheletriche dell’uomo senz’anima.

- Vivi per me, Barthemius, vivi con me. Vivi di mesussurrò, poi soffiò nella bocca dell’uomo ancora socchiusa, le piaghe delle labbra riaperte dai denti dell’Oscuro Signore. Il veleno diluito nella magia si mescolò nel corpo arido dell’ex Mangiamorte, riempì i vuoti, colmò gli spazi, trasudò dai pori. Le mani che avevano spaventato molti altri accoliti si sollevarono, posandosi sulle gote incavate di Lord Voldemort, ne tastarono l’ossatura fine del volto. Lui lo lasciò fare e non si scostò.

 

Barthemius Crouch jr non riebbe l’anima, non riebbe i ricordi di una vita intera. Non tornò ad essere se stesso. Ma riconobbe il suo Signore e si prostrò dinanzi a lui, abbracciandone le ginocchia e poggiandovi la testa.

Voldemort posò le mani alabastrine sul capo quasi calvo dell’altro.

- Portami Bellatrix Lestrange e colui che ella partorirà – mormorò piano, con un sibilo suadente, irresistibile.

Un fremito d’assenso gli disse che Barty aveva compreso il suo compito e che avrebbe eseguito gli ordini, qualsiasi cosa fosse accaduta.

Barty avrebbe obbedito.

Barty non avrebbe fallito.

Ora non restava che attendere… L’Oscuro aveva ottenuto quello che voleva. Un’appendice di se stesso.

La sua marionetta.

 

…….………………………………………………

 

- Ma la notte di Ognissanti è pure il giorno del mio compleanno! – esclamò Luna Lovegood, meravigliata, gli occhi color pioggia sporgenti come sempre – Anche se devo dire che mi dispiace molto che sia lo stesso giorno in cui sono morti i genitori di Harry, si, insomma, se avessi potuto sarei nata un giorno prima o un giorno dopo invece che il trentuno ottobre, non credo mi sarebbe dispiaciuto, in fondo un giorno vale l’altro e io non avrei fatto certo storie, avrei dovuto dirlo a-

- Non è certo colpa sua, signorina Lovegood… - asserì gentilmente Dumbledore, mettendo un freno a quello straparlare simile ad un fiume in piena e guardando significativamente sia Severus, sia Remus seduti dinanzi a sé. La data di nascita di quella strana e unica ragazzina non poteva certo essere una coincidenza.

– Ora, se vuol essere così gentile da dirmi se se la sente di andare nel Regno delle Ombre con il professor Snape e il suo “Angelo d’argento”, le sarei molto grato - continuò il preside, riportando lo sguardo azzurro su di lei. Luna lo fissò come se avesse visto qualcosa di incredibile (un Cannolo Balbuziente, forse) e poi gli rispose quasi gridando:

- Allora si va davvero dietro quel Velo? Davvero davvero? Per tutti i Ricciocorni Schiattosi, ma è una notizia fantastica! Certo che me la sento! – esclamò la ragazza, saltellando sulla sedia per la contentezza, i pugni stretti in segno di vittoria, gli occhi, già normalmente sporgenti, ancora più fuori dalle orbite per l’eccitazione. Se la Corvonero divenne all’istante la personificazione della felicità, colui che avrebbe dovuto accompagnarla d’altro canto non poté immediatamente incarnare meglio la tetraggine.

Severus Snape era rimasto quasi stordito dalle ultime parole che la Morte aveva pronunciato in loro presenza e in più stava riflettendo su cosa potesse significare la concomitanza della nascita della “svampita Lovegood” con la morte dei Potter, perciò gli c’era voluto più di un istante per comprendere appieno quello che avrebbe significato la “sentenza” appena emessa: varcare un confine proibito, inoltrarsi in un universo quantomeno pericoloso in primo luogo perché sconosciuto, compiere una missione della quale ignorava ogni cosa… il tutto con la sgradevole compagnia di una ragazzina che sembrava un folletto uscito da un libro scarabocchiato… Guardò la figura argentea che se ne stava placida ad osservare gli schiamazzi insopportabili di Luna e il dubbio di uscirne vivo cominciò suo malgrado a farsi largo nella sua coscienza incredula.

- Miss Lovegood, se vuole tornare al suo dormitorio per prepararsi per il viaggio… - disse affabilmente Dumbledore, riuscendo a catturare su di sé l’attenzione di quel paio d’occhi cronicamente stupiti.

- Vorrebbe dire, Preside, che partiamo ora? – domandò Snape, con un sibilo.

- Immediatamente, Severus. Lo hai sentito bene quanto me, non abbiamo un minuto da perdere… Tuttavia, se ritieni di non essere in~ -

- Per me va benissimo – lo interruppe, caustico. Poi, senza più pronunciare un solo monosillabo, si alzò, rigido, e voltandosi uscì dallo studio circolare di Dumbledore, seguendo Luna che l’aveva preceduto continuando a saltellare per la contentezza. Il suo atteggiamento non sorprese né il preside, né Remus Lupin, che era rimasto in silenzio per tutto il tempo, i pensieri rivolti al passato remoto, doloroso… e al passato recente, atroce.

La porta si chiuse alle spalle del professore di Pozioni e i suoi passi si persero in lontananza. Dumbledore emise un sospiro rassegnato, poi si diresse verso il camino, prelevando da un vaso posto sulla mensola un pugno di polvere rossa, fine e scintillante come la sabbia. La gettò tra le fiamme del camino quasi con noncuranza: pochi attimi più tardi, il fuoco che danzava forsennato nel focolare s’immobilizzò, come se qualcuno avesse fermato il tempo, ed assunse un colore sempre più tendente al viola. Il preside annuì soddisfatto, poi tornò a sedersi di fronte a Lupin. Gli occhi ambrati del Lupo Mannaro lo scrutarono interrogativi, non osando però chiedergli alcun tipo di chiarimento. Dumbledore prese alcune pergamene da un cassetto apparso magicamente sotto la sua scrivania, cominciando a leggerle con attenzione, mentre gli occhiali a mezzaluna gli scivolavano lungo il dorso del naso, arrestandosi sulla punta aquilina.

- Preside - chiese Lupin dopo qualche istante trascorso in silenzio – Lei sapeva che Luna Lovegood fosse nata durante… quella notte? -

La risposta di Dumbledore fu preceduta da un lungo silenzio.

- Si, Remus. Ne ero a conoscenza -

- E non ha mai pensato a qualche collegamento? – replicò l’altro.

- Per la verità no, fino a questo momento, Remus – ammise il preside – Avevo notato la particolare coincidenza quindici anni fa, ma al tempo lo ritenni un evento del tutto casuale… in fondo sono nati altri bambini durante quella notte in ogni angolo della Terra, maghi e babbani. Poi, quando Luna è arrivata ad Hogwarts, mi ha colpito la sua… particolarità, che attribuii al fatto che fosse figlia di Diana Silverwood. Somiglia molto a sua madre, più di quanto lei stessa immagini. Soltanto ora, dopo quello che abbiamo scoperto, ho cominciato a pensarla diversamente. Bisognerà indagare… Chiedo venia per la mia miopia… immagino stia diventando troppo vecchio per queste cose.- concluse Dumbledore, amareggiato, tornando a osservare le pergamene.

- Sa bene, preside, che senza di lei non riusciremmo a far nulla! – disse Lupin, con enfasi.

Dumbledore sollevò gli occhi penetranti sull’uomo che gli sedeva di fronte, accennando un mezzo sorriso.

- Non ne sarei così sicuro, Remus – disse.

Lupin scosse la testa, abbassando gli occhi in grembo.

- Tornerò a Grimmauld Place? – chiese l’uomo, dopo qualche istante di pausa. Pronunciare quel nome risultò essere più faticoso di quanto si sarebbe aspettato.

- Non esattamente, Remus. In verità ti ho fatto venire qui nel mio studio non soltanto perché volevo che sentissi il racconto di Severus -

- Significa che c’è dell’altro? – replicò Lupin, sorpreso.

- Più precisamente, c’è qualcun altro. Come hai potuto notare dal fuoco incantato nel camino, sto aspettando una persona cui devo affidare un compito particolarmente delicato e… ti devo chiedere di accompagnarla. Naturalmente sentiti libero di accettare o di rifiutare quello che ti proporrò – disse Dumbledore, guardando attentamente il volto stanco e attento dell’uomo.

- Si tratta di un membro dell’Ordine? – volle sapere Remus, nell’animo già la certezza che avrebbe accettato.

Dumbledore quasi ridacchiò: - Oh, no, non è un membro dell’Ordine, ma teme Voldemort sicuramente molto più di noi. E tra un istante potrai vedere tu stesso di chi si tratta –

Le fiamme immobili e violacee infatti avevano cominciato ad arrotolarsi su se stesse, sbiadendo e formando una sorta di vortice quasi trasparente, che girava lentamente come se fosse una crema. Dall’insolito impasto di fiamme vennero fuori un paio di braccia brancolanti coperte da un pesante mantello.

Dumbledore si alzò, subito imitato da Lupin. Afferrarono ciascuno una mano, tirando con forza.

Igor Karkaroff venne catapultato all’interno dello studio del preside con cristalli di neve ancora intrappolati tra la folta pelliccia che ornava la parte superiore del mantello. I suoi occhi chiarissimi incontrarono il volto indurito di Lupin, poi lo sguardo azzurro di Albus Dumbledore.

- Salve Igor. Gradisci una tazza di te? – gli chiese questi, facendogli segno di accomodarsi.

 

La Seconda Guerra stava prendendo una direzione davvero inaspettata.

 

………………………………………………………

 

Snape seguì Luna oltrepassando i Gargoyles di pietra, lo stomaco ridotto ad un nodo fastidioso: l’entusiasmo e la felicità di quella mocciosa sembravano prendersi gioco di lui e della sua effimera pazienza.

- Professor Snape! – esclamò la ragazza, voltandosi di scatto verso di lui tanto che l’uomo quasi le finì addosso – Lei non è entusiasta del prossimo viaggio? – chiese, guardandolo con un’espressione che Severus faticò non poco a decifrare, qualcosa di imprecisato tra antipatia ed ammirazione.

- Non lo sono, miss Lovegood – replicò secco, gli occhi neri scintillanti di collera mal repressa – in particolar modo perché sarò costretto a trascinarmi dietro lei. La avverto: se non la finisce di comportarsi come una stupida palla di Quidditch sottrarrò tanti di quei punti alla sua casa che i suoi colleghi la eviteranno per un anno intero. Sono stato abbastanza chiaro? – sibilò, minacciando la bacchetta verso di lei per imprimerle nella mente strampalata quel particolare concetto.

Luna lo fissò con i suoi occhi insopportabili e ancora più lucidi del solito, mentre il sorriso le scivolava via dalle labbra, ma fu solo un attimo. Subito dopo, però, riprese a sorridere, estraendo dalle pieghe della divisa la sua bacchetta e infilandosela dietro un orecchio, di nuovo allegra come se Snape non avesse pronunciato una sola sillaba.

- Non c’è bisogno, professore, davvero – gli disse tranquillamente, giocherellando con la sua collana di tappi di burrobirra – loro lo fanno già -

- Chi fa cosa? – gracchiò Snape, spiazzato da quel comportamento fuori da ogni razionalità.

- Gli altri Corvonero. Mi evitano sempre.- continuò Luna, col tono di chi stesse chiacchierando semplicemente del tempo.

Snape sbatté le palpebre. Gli occhi argentei della ragazza rimanevano invece fissi su di lui, immobili, indecifrabili.

Qualcosa stava perturbando i pensieri di Severus. Qualcosa che somigliava al disagio.

E che si avvicinava… alla pietà.

- E ti sei mai chiesta perché lo fanno? – sussurrò, sarcastico, cercando di spazzare via quell’ombra di sentimento per quella strana quindicenne che si andava accumulando nella sua testa.

Luna sorrise ancora, annuendo energicamente: - Oh, si! Una volta l’ho chiesto direttamente a una ragazza del mio dormitorio. E mi ha risposto che mi evitano perché sono fuori di testa… almeno lei ha detto così. Allora io ho replicato che la mia testa stava benissimo dov’è, ossia sul mio collo, e che ci abito volentieri, senza avere il bisogno di gironzolare per le teste altrui, e a quel punto lei si è messa a ridere forte e se n’è andata, continuando a dire che ero fuori di testa a tutta la Sala Comune, nonostante le avessi già spiegato il contrario. Mah, non capisco! Si sono poi messi a ridere tutti e sono dovuta andare in biblioteca perché con il chiasso che stavano facendo non riuscivo a concentrarmi per studiare. – disse la ragazza, interrompendosi per riprendere fiato.

Snape continuava a guardarla, muto.

 

Quinto anno, anche lui quindici anni. Persone che lo prendevano in giro.

Snivellus.

Persone che lo tormentavano.

 

- Non ricordo cosa è successo dopo – continuò Luna, tranquillamente - ma da allora mi chiamano tutti Lunatica. Io ho spiegato che il mio nome corretto è Luna, ma loro continuano a sbagliare. Perché non glielo dice lei, Professore, che il mio nome esatto si scrive e si pronuncia L-U-N-A? -

Silenzio incredulo. Poi…

- Severus! – esclamò all’improvviso una voce alle sue spalle, risparmiandogli l’ingrato compito di rispondere a quella domanda assurda.

Snape si voltò: verso di lui stava avanzando la Vicepreside di Hogwarts. Minerva McGonagall sembrava avere anche una certa fretta. Si arrestò davanti a lui, e Severus ebbe l’impressione che la donna avesse quasi il fiatone.

- Buongiorno, professoressa McGonagall! – esclamò Luna, anticipandolo.

- Salve, Minerva – rispose Snape, guardando in tralice Luna che aveva ripreso a saltellare dietro di lui, mentre la Morte argentea continuava a restare immobile ed invisibile, vicino ad una parete.

- Pensavo di trovarti nello studio del preside, Severus, ma va meglio così – prese a parlare la donna – Sei atteso giù, all’ingresso del castello: Narcissa Malfoy ha chiesto di poterti parlare… immagino che come responsabile della Casa dei Serpeverde vorrà sapere di Draco… -

 

Narcissa Black…non la vedeva da anni…

 

- O forse del marito che è da poco evaso da Azkaban! – esclamò Luna, nonostante nessuno l’avesse invitata a prendere parte alla conversazione. Snape si girò verso di lei, gli occhi ridotti a fessure:

- Al suo dormitorio, Lovegood! – sbraitò – Si vada a preparare! – e dopo aver aggiunto un “Grazie Minerva”, si diresse verso il portone centrale di Hogwarts, mentre il pensiero che a momenti avrebbe incontrato un altro, importante frammento del suo passato, gli fece sbattere il cuore contro le costole fino a fargli male.

 

 

Diciassette.

Aveva diciassette anni ed era la sera della festa dei diplomi di M.A.G.O. L’ultima notte che avrebbe trascorso ad Hogwarts, almeno da studente.

Non ricordava né i festoni, né tutti gli addobbi che il piccolo professor Flitwick aveva creato per l’occasione, sfavillanti di mille luci colorate.

Non ricordava neanche la musica.

Rammentava invece il lago, uno specchio nero venato di blu, la luna che si rifletteva sulla sua superficie immobile come una colata di oro bianco.

E Lei.

Lei, seduta sulla riva tra le margherite.

Lei, avvolta nel suo vestito di seta bianca, i capelli dorati raccolti sul capo, i riccioli che catturavano l’argento dell’astro notturno, i sandali poggiati da un lato, i piedi nudi immersi nell’acqua fredda.

Lei, Narcissa Black. Bellissima come sempre.

Le si era avvicinato quasi di corsa, come se qualcuno lo stesse tirando con una corda. Lei lo aveva scorto e l’aveva salutato, gli occhi celesti resi lucidi da una comprensibile malinconia.

Non aveva osato sedersi accanto a colei che era ufficialmente la fidanzata di Lucius Malfoy, ma era rimasto in piedi, le mani incrociate dietro la schiena, nei suoi abiti inconfondibilmente neri.

- Così… questa è l’ultima notte – aveva detto lei, tornando a guardare le piccole increspature dell’acqua scura che si formavano vicino alla riva.

- Prima o poi sarebbe dovuta arrivare – aveva replicato lui, senza nessuna particolare flessione nella voce.

L’aveva sentita ridacchiare: - Non capisco come tu faccia a rimanere sempre così imperturbabile, Severus! – aveva esclamato, poi si era alzata in piedi, quasi volesse fronteggiarlo, le labbra ancora incurvate in un sorriso delicato.

- Dono… o scherzo della natura – aveva risposto lui, stringendosi nelle spalle.

Narcissa aveva inclinato la testa da un lato, scrutandolo come se lo stesse osservando davvero. Come se avesse scorto qualcosa che prima non aveva notato.

- Vorrei averlo anch’io questo dono, o scherzo, come lo chiami tu. A volte sono così trasparente! Ti invidio un poco, sai. – aveva detto, abbassando gli occhi.

Lui si era mosso fulmineo e le aveva afferrato un polso sottile: - Non devi! – aveva esclamato più forte di quanto avesse voluto, ma lei non si era ritratta.

- E invece si – aveva risposto, fissandolo con quelle iridi color cielo – A volte vorrei essere come te. Forte come te – aveva terminato quasi sussurrando.

Snape le aveva lasciato il polso, poi aveva piegato le labbra in un sorriso amaro e si era chinato vicino ad un orecchio di lei.

- E chi ti dice che io lo sia? – aveva mormorato, piano. Il suo profumo aveva il potere di stordirlo. Si era rialzato ed aveva continuato: - Non invidiarmi, Narcissa. Non invidiare questa forza apparente, questa corazza che protegge il nulla e che mi impedisce di essere felice anche quando vorrei esserlo. Non invidiare la gabbia in cui vivo, che ho eretto per proteggermi e che ha finito per imprigionarmi. Non farlo. Non tu. Ti prego – aveva terminato, in un sussurro.

Era seguito un silenzio di ghiaccio.

- Severus… io…non volevo, non immaginavo… - aveva risposto lei dopo qualche istante, gli occhi lucidi e sgranati.

- Non importa, Narcissa -

- Non è vero – aveva ripreso lei, con più coraggio – Importa a me. Avrei dovuto capirlo da subito. Avrei dovuto saperlo da sempre. Perdonami, Severus -

- Non hai nulla da farti perdonare – aveva replicato lui. Non capiva cosa Narcissa stesse dicendo.

- Tra qualche istante avrò di che farmi perdonare, invece. – Si era fatta più vicina, la sua fragranza di fiori bianchi gli era nettamente percepibile – Vedi, io amo Lucius. Molto. Probabilmente lo sposerò, è un’occasione troppo ghiotta perché le nostre famiglie se la lascino sfuggire. Non ho mai pensato ad un matrimonio che non fosse in qualche modo “sporcato” dagli affari di famiglia, sarebbe stato da ingenui, da stupidi… o forse da semplici sognatori. Io non posso permettermelo. Tuttavia… amo anche qualcun altro, Severus. Con un’ intensità centuplicata dalla disperazione. Non avrei mai pensato che fosse possibile, ed invece… è successo. E stasera, l’ultima sera, voglio dirglielo. Voglio che lui sappia. Voglio condividere almeno questo. -

Narcissa si era avvicinata ancora, si era sollevata sulla punta dei piedi, e l’aveva baciato.

 

La sua corazza quella sera si era incrinata.

Dal nulla che albergava nel suo cuore, Narcissa Black aveva creato una fiammella che aveva rischiarato un lembo dell’anima nascosta e tremante da qualche parte dentro di lui… e lei aveva continuato a non avere niente da farsi perdonare.

Quella fiammella non si era ancora spenta.

Lui non l’avrebbe permesso.

 

………………………………………………

 

Bellatrix Lestrange lo scorse subito, impaludato nelle sue vesti nere. Stava avanzando verso di lei con passo deciso, come sempre, eppure c’era qualcosa nel portamento di Severus Snape che le ricordava il barcollare di un ubriaco.

Di qualcuno malfermo sulle proprie gambe.

Si arrestò ad un metro dalla donna bionda, muto, mentre l’aria intorno a lui sembrava crepitare. I suoi occhi d’ossidiana si soffermarono su di lei, come se volessero scavarle nell’anima.

E senza nessun preavviso, indietreggiò di scatto, corrugando le sopracciglia.

- Non sei lei – sibilò, minaccioso – Dimmi chi sei -

Bellatrix emise un sospiro, poi la sua bocca si piegò in un sorriso sghembo: - E’ proprio vero che è molto difficile riuscire a nasconderti qualcosa, Severus. –

Snape sbatté le palpebre. Aveva riconosciuto il tono di voce. Aveva riconosciuto il sorriso che sulle labbra di Narcissa non aveva mai visto.

- Bellatrix – sussurrò. La sua non era una domanda, ma un’affermazione.

- Felice di rivederti… ancora vivo, Snape. Ho cose urgenti da riferirti -

L’uomo la guardò ed annuì in silenzio.

 

A miglia di distanza, in pieno deserto del Sahara, Lucius Malfoy si teneva stretta una mano insanguinata: sferrare colpi ad un muro non avrebbe risolto nulla.

Si guardò intorno ancora una volta, imprimendosi nella mente ogni dettaglio di Emerald Ring ed ogni inequivocabile prova del passaggio di Bellatrix.

Era arrivato troppo tardi… ma questa sarebbe stata davvero l’ultima volta.

 

Continua…

 

Una piccola precisazione: ho dovuto inventare il nome della mamma di Luna, e l’ho chiamata Diana Silverwood per tre ragioni: Diana è il nome latino di Artemide, la dea della luna, ma è anche la dea della caccia (per questo il bosco “wood”nel cognome). Infine, Silver, quindi argento, sia perché evoca il colore della luna e degli occhi di Luna Lovegood, sia perché in passato gli alchimisti chiamavano l’argento “diana” a causa della somiglianza con il colore della luna, identificata dagli antichi proprio con la dea Diana.

Spero di essere stata chiara!

Ringrazio tutti coloro che leggeranno questo capitolo! Se c’è qualcosa che vi colpisce o che magari vorreste comunicarmi (accetto tutto tutto!) potete scrivere un piccolo commento. Ve ne sarei, come sempre, gratissima!

Baci baci, alla prox!

Charlie

  
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