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Autore: Sophia Holloway    01/03/2013    2 recensioni
«Devo morire» annunciò.
«Che novità. Anch’io devo morire. Spero a novant’anni, magari dormendo» ironizzai.
«Io però non morirò a novant’anni, magari dormendo. Morirò a breve, perché la Morte ha deciso di divertirsi ancora un po’ con me, invece di farmi riposare in pace facendomi stirare sull’asfalto da un’auto».
«Senti. Tu non stai per morire, ok? Il fatto che tu abbia evitato la morte per un soffio non vuol dire che… che la Signora con la Falce, o che so io, si è offesa e adesso ti verrà a cercare…».
«Te l’avevo detto, che non mi avresti creduto» disse, fredda, quasi offesa o delusa.
Lasciarla andare sarebbe stato semplicissimo. Ma chissà perché, avevo sempre disprezzato le cose semplici.

Prima classificata al contest "Cosa vorresti fare prima di morire?" gestito da ErinThe
Genere: Malinconico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Epilogo.
Afterlife

La sensazione è di nuovo quella di essere Alice nel Paese delle Meraviglie. Solo che non c’è nessun Paese delle Meraviglie. Invece, c’è un cimitero.
Un prato verde brillante, umido di pioggia, disseminato di lapidi bianche e sormontato da un cielo grigio perla.
Stavolta non ho nessun vestito azzurro. Ho lo stesso vestito che avevo alla festa, ma ha delle maniche lunghe e ampie, bianche, ed ha una gonna larga e lunga, con uno spacco sul davanti. Le scarpe sono semplici e comode ballerine nere.
«Ma che carino» commento ad alta voce. «E poi c’è chi dice che non sei gentile».
Il ragazzo è seduto su una lapide, scalcia i piedi in modo infantile, fissando l’erba. «Puoi chiamarmi Thanatos» sembra decidere. «Dei nomi che mi avete dato voi umani, è quello che suona meglio».
Mi avvicino a lui, appoggiandomi con la schiena alla stessa lapide. «Ora puoi spiegarmi perché l’hai fatto?».
Sospira, poi salta giù e infila le mani in tasca. «Sì. Intanto vieni, o faremo tardi».
Comincia a guidarmi per il cimitero, che mi sembra troppo grande per essere reale. «Vedi, io non sono umano. Tutte quelle chiacchiere assurde su gente che si innamora della morte… puah. E io non amo. Ne sono totalmente incapace, e non ne sento la mancanza. Troppi problemi. Però a furia di traghettare umani da una parte all’altra ho capito cos’è la cosa peggiore per voi… il rimpianto. Soprattutto come quando, nel tuo caso, è quasi del tutto inutile».
Arriviamo nei pressi di una folla vestita a lutto, alcuni con gli ombrelli già aperti contro la pioggia imminente. Mi rendo conto di non sentire né caldo, né freddo, né fame, né il rumore del mio cuore che batte. Nemmeno quello dei capelli che frusciano per il vento, in realtà. So che c’è, ma non ci sono io. Sono solo un fantasma.
«Non sei un fantasma» mi corregge Thanatos, leggendomi nel pensiero. «Arriverò anche a questo. Una cosa per volta».
Aggiriamo la folla lentamente, per trovare un varco da cui passare. «Riflettici» continua lui. «In questi quattro giorni cos’hai fatto di nuovo? Nulla. Hai passato del tempo con i tuoi migliori amici, come hai sempre fatto. Non importa se è stato al mare, giocando ai videogiochi o a un concerto. Non hai fatto nulla da sola, in questi giorni. E poi c’è lui. Nate».
Troviamo un buco tra le persone in nero e ci infiliamo tra loro, finché non arriviamo davanti a una tomba riempita di fresco, con la terra ancora smossa e un sacco di rose bianche su di essa. Tra loro ce n’è anche una molto più piccola, di un pallidissimo arancione, forse un po’ rovinata e secca ma ancora bellissima. È quel particolare a farmi alzare gli occhi sulla lapide, su cui c’è scritto:
 
Juliet Annah Collins
7/02/1995 – 5/11/2012

 
Ancor più in fretta il mio sguardo scorre la folla. Ci sono i miei e mia sorella, tutti e tre abbracciati; Rose si è fatta i capelli come piacciono a me, a boccoli, e il nero la fa sembrare ancora più piccola.
Poco più in là ci sono Kim e James, anche loro abbracciati, la guancia di lei appoggiata al petto di lui. Noto con stupore che lei indossa la mia coppola.
«Magari quei due finiranno insieme, finalmente» rifletto per distrarmi. Mi accorgo di voler piangere, perché scioglierebbe il peso che ho nel petto, ma non ci riesco. Probabilmente non posso: era una prerogativa di quel corpo fatto di organi, sangue e ossa che ora giace almeno tre metri sottoterra.
Un passo dietro di loro c’è Emily, i capelli chiari che sembrano quasi bianchi, acconciati nella sua solita treccia e le guance rigate di lacrime. Kevin le porge un fazzoletto e lei fa un minuscolo sorriso tremulo, tirando su col naso.
Mi chiedo per un secondo cosa ci faccia Kevin qui, quando noto Steve e Tara, i suoi capelli una macchia di colore brillante nel nero che li circonda, anche se lei ha tentato di nasconderli nel cappuccio della felpa. Mi rendo conto di non aver mai visto Steve così serio. Ha persino legato i capelli con un elastico nero, abbinato alla sua camicia e alla giacca elegante.
È fantastico vederli lì. Non per me, ovviamente, ma per Nate. Perché anche se abbiamo scambiato sì e no tre parole, sono lì per lui.
Nate è in piedi, le mani affondate nelle tasche dei cappotto lungo, lo stesso che indossava la prima volta che l’ho visto. Ha i suoi soliti capelli un po’ troppo lunghi, che si arricciano leggermente dietro il collo e che gli finiscono davanti agli occhi, gli stessi occhi grigio-blu di sempre, ora puntati verso il cielo nuvoloso, come se pensi che io sia lì.
Vorrei urlargli che in realtà sono a pochi passi da lui, ma non credo possa sentirmi, quindi non lo faccio. Aspetto che Thanatos continui la sua spiegazione.
«Regalandoti altri quattro giorni ho salvato due vite. La tua e la sua».
«Beh, non mi pare» dico, sarcastica e aggressiva. «O tutte queste persone non sarebbero qui».
«Ci sono tante definizioni di vita, Juliet. Tu stessa hai detto di essere tornata indietro perché non avevi vissuto. Tecnicamente parlando, non è vero: hai passato più di sedici anni su questo pianeta svolgendo le tue funzioni vitali. Questo è solo uno degli aspetti della vita».
«Scusa, tu mi hai detto che avevo una seconda possibilità per vivere al meglio e… e…» sgrano gli occhi, mentre lui annuisce. «Era solo un optional» comprendo. «Non ero io quella da salvare».
«Sì e no» dice. «Il giorno che sei stata investita da quell’auto, lo è stato anche lui. Ti si è rotta una cinghia zaino, sparpagliando la tua roba, e lui si è fermato per aiutarti. Proprio dove l’auto si è schiantata.
«Lui sarebbe stato il tuo più grande rimpianto, perché non avevi mai nemmeno fatto un tentativo, ma credo che ce l’avresti fatta comunque a passare oltre. Lui invece no. Anche se non gli sembrava, finché non sei arrivata tu con la tua “teoria della morte” si era dimenticato cosa volesse fare. E che non ha tutto il tempo del mondo». Fa un sospiro stanco. «Voi umani siete arroganti. Siete la specie che ha vissuto per meno tempo su questo pianeta e spadroneggiate come se tutto fosse vostro di diritto, anche il tempo. E invece persino io ho delle regole da rispettare».
«Spiegami questo fatto del… passare oltre» gli chiedo. Ci sono moltissime persone, al mio funerale, che non mi sarei mai aspettata di vedere. Un sacco di parenti, la mia classe al gran completo, i miei vicini di casa – anche quello del settimo piano, con cui non ho mai parlato ma incrociavo tutte le mattine, mentre io andavo a scuola e lui portava a spasso il cane. Mi rendo conto di aver usato il passato in automatico, e mi mordo le labbra; non sento nemmeno quel flebile dolore.
Ci sono alcuni dei miei insegnanti, vecchi amici che non vedevo da anni, persino un’amica di mia sorella, che frequenta casa nostra da quando entrambe portavano il pannolino. Anche nel suo caso, sono grata che sia qui, per Rose.
Ma di tutta quella gente m’importa poco, alla fine. Mi importa solo di quelle sette persone a cui ho scritto una lettera, affidando a stupidi pezzi di carta cose che avrei voluto dire a voce, o dimostrare.
«Conosci la leggenda egizia secondo la quale per accedere all'Aldilà il cuore doveva essere pesato?». Scuoto la testa, distratta. «Il dio dei morti Anubi usava una bilancia a due piatti; metteva su un piatto il cuore del defunto, e sull’altro una piuma. Se il peso del cuore, aumentato dai misfatti compiuti in vita, era superiore a quello della piuma, allora l’anima veniva distrutta. In realtà è tutta una panzana, perché Anubi dovrei essere io e decisamente non ho una testa di sciacallo». Mi osserva di sottecchi. «In realtà un’anima per passare avanti non deve avere requisiti particolari, ma può venire in qualche modo appesantita dalle cose successe in vita. Nella mia carriera ho imparato che non sono né le ingiustizie né i peccati a trattenere un’anima nel mondo dei vivi, bensì i rimpianti. In sostanza ho fatto in modo che entrambi, arrivato il momento, poteste passare oltre, invece che rimanere in un mondo che non vi appartiene più, sotto forma di quelli che voi chiamate “fantasmi”».
«Quindi i fantasmi esistono» osservo, colpita.
«Sì, ma non come li intendete voi. Non hanno nessun potere distruttivo o vendicativo, non sono percepibili in alcun modo, non esistono nemmeno i cosiddetti medium. Voi avete inventato i fantasmi per essere rassicurati del fatto che i cattivi non riescono ad arrivare nell’Aldilà. Falso anche questo, ma non posso dirti altro. Però bisogna ammettere che con le “questioni in sospeso” non siete arrivati tanto lontano».
«Come puoi pensare che non avrò rimpianti, dopo aver visto i miei cari che piangono la mia morte?» chiedo, sconvolta.
«Ce la farai. Senza contare che hai praticamente orchestrato la tua morte, lasciando quelle lettere nelle mani di Nate. Bel gesto, comunque, salvargli la vita».
«Era la cosa giusta da fare» dico. «A lui non basterà» aggiungo poi. «A Nate. Me l’ha detto. Non gli basterà una… una lettera a tappare i buchi».
«Guardalo» mi dice Thanatos invece.
Sta ancora guardando verso il cielo, distratto da tutto il resto. Ha gli occhi rossi ma asciutti, segno che deve aver già pianto le sue lacrime, o che non dorme da parecchio.
«Cosa sta pensando?» gli chiedo. Thanatos pare esitare. «Trasgressione più, trasgressione meno…» mormora, poi si mette a fissarlo ancor più intensamente di quanto stia facendo io. «Gli dispiace averti perso così presto, ma sa che tu non hai nessun rimpianto, perché ha passato gli ultimi giorni ad aiutarti a realizzare i tuoi desideri. Sa che starai bene. E…» sorride. «Ti sta preparando un’altra sorpresa».
Spalanco gli occhi. «Che sorpresa?» chiedo.
«Te lo faccio vedere. Tanto, ormai…».
Ho giusto il tempo di dare un ultimo sguardo ai miei cari, che il cimitero e l’aria carica di pioggia scompaiono. Siamo nel locale dove si esibiscono, il Music Box; Thanatos, stranamente, non sembra troppo fuori posto in quel luogo. Arrivano attutiti il rumore della pioggia battente e dei tuoni occasionali.
Nate è sul palco illuminato, solo, seduto su uno sgabello alto, ancora vestito a lutto ma con una camicia nera e dei jeans scuri. Ha una chitarra acustica e un microfono davanti. Prima di cominciare a cantare si schiarisce la voce. Ma poi non canta lo stesso; il pubblico è confuso, perché i tutti sono abituati a vederlo esibirsi e basta, troppo imbarazzato per aggiungere altro. Strano per uno che fa il cantante.
«Vorrei dedicare questa canzone a una ragazza molto speciale che… che purtroppo stasera non è qui. Non l’aveva nemmeno mai sentita, ma sono sicuro che le sarebbe piaciuta, e credo che rappresenti bene quello che c’è stato tra di noi. E vorrei dirle che non la dimenticherò mai. Non potrei nemmeno volendo. È indimenticabile. Speciale».
Le luci si spengono, non rimangono accese nemmeno le classiche lampade sui tavolini o dietro il bancone del bar; l’unica cosa visibile è Nate al centro di un cono di luce che canta, da solo, davanti al pubblico.

«And I'd give up forever to touch you
'Cause I know that you feel me somehow
You're the closest to heaven that I'll ever be
And I don't want to go home right now
And all I can taste is this moment
And all I can breathe is your life
And sooner or later it's over
I just don't wanna miss you tonight
And I don't want the world to see me
'Cause I don't think that they'd understand
When everything's meant to be broken
I just want you to know who I am
And you can't fight the tears that ain't coming
Or the moment of truth in your lies
When everything feels like the movies
Yeah you bleed just to know you're alive
And I don't want the world to see me
'Cause I don't think that they'd understand
When everything's meant to be broken
I just want you to know who I am
And I don't want the world to see me
'Cause I don't think that they'd understand
When everything's meant to be broken
I just want you to know who I am
And I don't want the world to see me
'Cause I don't think that they'd understand
When everything's meant to be broken
I just want you to know who I am
I just want you to know who I am…».


Di nuovo, desidero piangere e non ce la faccio. «Quando sono morta e lui era lì, ha avuto delle conseguenze?».
«Nessuna. È stato scagliato a terra anche lui, anche se da te, sbattendo violentemente con la spalla, ma sta bene».
«La tua famiglia non ce l’ha con lui» dice in fretta, anticipando la mia prossima domanda. «E nemmeno i tuoi amici. È tutta colpa del pirata della strada ubriaco che ti ha investito. Mi dispiace dirtelo, ma sei una delle “morti del sabato sera”».
«Peccato che era domenica» replico. «È stato un tocco di classe uccidermi come la prima volta che sono morta» commento poi.
«Che ci vuoi fare, volevo che il tutto fosse… indimenticabile».
«E riguardo alle lettere?» chiedo poi, mentre Nate esce dal palco passando dietro le quinte e Tara e gli altri vi salgono. Gli hanno dato la serata libera.
«Si sono fatti qualche domanda, ma non hanno detto niente a lui. Se l’è giocata bene. Ha detto che dopo il primo incidente sei rimasta scossa e hai deciso di prendere delle precauzioni. Kim si è un po’ offesa perché non le hai affidate a lei, ma nulla di grave».
«So che è stupido da chiedere ma… prenditi cura dei miei cari, ok?» gli dico. Lui fa un sorriso stanco.
«Non dipende da me. Non orchestro tutte le morti. Ho degli obblighi anch’io».
«Per questo parlavi di trasgressioni?».
«Già. A proposito, tempo scaduto. Dobbiamo andare».
Con un gesto del suo braccio, le doppie porte del Music Box si spalancano verso l’interno, come divelte dal vento, ma nessuno ci fa caso. Fuori non c’è traccia del temporale, ma al suo posto c’è il lungo viale che mi aveva accolta durante il mio primo viaggio nell’Aldilà. Solo che adesso gli alberi sono rigogliosi e sani, è un bellissimo tramonto, con il cielo azzurro scuro striato di rosso dal sole morente. Le vecchie lucine di Natale hanno lasciato il posto a delle autentiche lucciole, che si muovono tra un albero e l’altro. Non c’è traccia di nebbia, e nemmeno del saloon dove ho incontrato Thanatos. Solo un lungo viale che va avanti. «Dove andrò ora?» chiedo, più per curiosità che per paura.
«È top secret, piccola, mi dispiace».
Un vento fresco mi raggiunge, solleticandomi la pelle scoperta. Un altro segno che non appartengo più a questo mondo, ma a quello.
Mi giro di nuovo verso Nate, che è in piedi con le mani in tasca, girato per osservare l’esibizione dei suoi amici. Sposto lo sguardo su Thanatos, che alza gli occhi al cielo e annuisce.
Gli rivolgo un sorriso grato e corro da Nate. Nonostante non possa sentirmi e lo sappia benissimo, gli metto una mano su una spalla, l’altra su una guancia, mi alzo sulle punte e poggio le mie labbra sulle sue. Dove la mia pelle – che non è più pelle – incontra la sua, sento come se uno strato d’aria calda ci divida. Mi chiedo se lo senta anche lui.
Mi scosto dopo poco e torno dalla Morte, che mi aspetta già dall’altra parte. Attraverso anch’io il confine tra il mondo dei vivi e quello dei morti e il locale scompare, lasciando posto al cielo contornato di soffici nuvolette. Solo dove ci sono i cancelli, che si stanno chiudendo senza un cigolio, riesco ancora a vedere la sala piena di persone, corpi caldi e vita.
Al centro di tutto c’è Nate, non più voltato verso il palco ma verso di me, con forza tale che credo possa vedermi, guardarmi negli occhi. Si sfiora le labbra con le dita.
Un attimo prima che il cancello si chiuda lo sento mormorare: «Juliet?».




--
Angolo dell'autrice
Beh, sì, insomma, questa storia è finalmente giunta al termine.
Voglio ringraziarvi tutti, sia che abbiate letto questa storia per noia e ve la siate dimenticata dopo un'ora, sia che l'abbiate seguita
fin proprio alla fine, mettendola nelle seguite, preferite o ricordate, magari lasciando anche un commento.
Mi ha fatto felice sapere che questa storia vi ha in qualche modo colpito. E spero (esattamente come lo sperava Juliet)
che questa storia vi abbia lasciato qualcosina, anche solo quella stupida morale del "si vive una volta sola!".
Sì beh, Juliet vive due volte, ma sfortunatamente non so se questo sia minimamente possibile nella realtà, quindi... vedete di vivere.
Spero di non avervi deluso con questo finale. Non credo di avervi stupito perché io stessa, ideando questa storia,
credevo che potesse finire in un modo solo, esattamente così (Juliet non è un'eroina, salva Nate non perché è figa o cose simili, ma più che altro per istinto,
come credo che farei io se avessi la consapevolezza che una persona a me cara sta per morire e io posso fare qualcosa per salvarla).
Per quanto riguarda Nate che sembra vedere Juliet alla fine, non so che dirvi. Non credo di avere intenzione di inventarmi un sequel di questa storia,
perché cadrebbe nel fantasy più totale e demenziale (cosa potrebbe mai essere, un viaggio nell'Aldilà per recuperare
la nostra cara Jules? Dubito). Quindi, perché l'ho scritto? Non per essere cattiva con voi, al massimo per farvici pensare
un pochino su e non far cadere la storia nel dimenticatoio, e perché amo i finali aperti e ad effetto.
Non so se vi interessa, ma il fatto di vedere il mio funerale è una mia piccola fissa, che non potevo
mancare di inserire (così come ho già fatto con i miei numerosi interessi).
Le canzoni presenti in questo - ultimo - capitolo sono:
- Afterlife, degli Avenged Sevenfold, per l'ennesima volta. Tutto è partito da questa canzone
e tutto finisce con questa canzone, il cerchio si è chiuso;
- Iris, dei Goo Goo Dolls, una delle mie canzoni preferite in assoluto. Non so ben dirvi perché io l'abbia associata alla storia d'amore di
Nate e Juliet, ma posso provare a spiegarvelo con qualcosa che non sia un secco "perché mi piaceva, e che questo vi basti!".
"And I'd give up forever to touch you/'Cause I know that you feel me somehow/You're the closest to heaven that I'll ever be/
And I don't want to go home right now/And all I can taste is this moment/And all I can breathe is your life/And sooner or later it's over/
I just don't wanna miss you tonight" dovrebbe essere la parte che "dice" Nate: sapeva che prima o poi sarebbe finita, e sa anche che in
qualche modo lei può sentirlo (e viceversa);
"And I don't want the world to see me/'Cause I don't think that they'd understand/When everything's meant to be broken/
I just want you to know who I am" dovrebbe essere invece la parte "di Juliet": sa che il mondo non capirebbe il suo pazzo
"appuntamento con la Morte", e come dice poi Thanatos stesso il suo più grande rimpianto sarebbe stato non aver mai
provato nemmeno a conoscere Nate, quindi "I just want you to know who I am".
Per il resto, beh, sul momento mi sembrava avesse un senso ma ora non ci trovo nulla di significativo,
quindi lo lascio alla vostra immaginazione, e grazie per avermi ascoltato durante questo mio - non tanto - breve sproloquio.
Tra parentesi, Thanatos vuol dire, appunto, "morte" in greco; ed era appunto il dio greco personificazione della Morte.
Dei suoi tanti nomi gli ho affibbiato questo perché suona bene e perché, da brava classicista, mi ci sentivo obbligata.
Ancora una volta, vi ringrazio moltissimo, e non so dirvi quanto mi abbiate resa felice con i vostri commenti.
Immagino che se riuscirò a superare il blocco dello scrittore ci rivedremo ancora. E lo spero.
Soph.

  
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