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Autore: Artemisia89    16/09/2007    1 recensioni
Quattro idee.
[Grazia. Distanza. Profondità. Armonia.]
Sword of Mana - Palazzo Devius.
"Di nuvole esenti da morale, staccate da terra senza far parte del cielo."
Dedicato a Lady Antares Degona Lienan.
Genere: Triste, Malinconico, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Chiara

 

3.       Profondità. [Bridget]

 

 

Li faceva entrare di notte, quando le altre dormivano e il palazzo sprofondava nel sonno, avvolgendo anche la signora Medusa. Scendeva nel giardino, e furtiva come un’ombra sfuggente anche agli animali, si avvicinava al muro sud, quello che il tempo e le intemperie avevano reso più debole. Da una crepa più grosse delle altre, i piccoli gatti entravano uno a uno. Cinque, dieci, quindici. I loro miagolii si udivano appena nella notte.

 

 

Bridget non ha orecchie appuntite: ha occhi scuri, capelli di un folgorante biondo grano e pelle lievemente abbronzata dai giorni passati sotto il sole cocente di Jadd e del deserto che la circonda. Ha le labbra piene e i denti bianchissimi, come perle di fiume. Quando parla, la sua voce è squillante: ha sempre sorrisi per tutti. Adora vivere, ama i suoi tre fratelli per i quali è una madre, ama correre sulla sabbia per poi scivolare sulle dune, ama parlare alla luna quando è alta e piena nel cielo e le piace ballare in cerchio quando il vecchio Ahmed comincia a suonare nella piazzetta che fa angolo alla sua casa. Le piacciono i gatti.

Bridget non è una Malvolio, è umana in ogni sua cellula, ma nonostante ciò è una domestica di Palazzo Devius.

 

Aveva cominciato a lavorare nella locanda di Jadd, giovanissima. Aveva 11 anni quando il padre le mise nelle mani il primo vassoio e 13 quando si trovò a sostituire la madre. Non ci furono più corse nel deserto, né chiacchierate con la luna ma solo lavoro duro per lei che doveva occuparsi dei tre fratellini e spaccarsi la schiena nella locanda del padre: i suoi occhi neri, sembrarono perdersi d’intensità, ma il suo sorriso continuava a splendere incessantemente, come una stella.

Bridget non aveva mai avuto nulla a che fare con Palazzo Devius, prima che suo padre la mandasse per una consegna: era primo pomeriggio, e faceva un tale caldo che in strada non si vedeva nemmeno l’ombra di un passante. La merce sulla sua schiena pesava, e il sudore sulla sua fronte le rigava le guancie e le bagnava il velo ocra che aveva avvolto attorno al viso. I mosaici blu del Palazzo le sembrarono una promessa di salvezza, più che di frescura, e quando le alte porte di legno chiaro si aprirono davanti a lei, si ritrovò a entrare ad occhi chiusi per meglio gustare il sapore del sollievo.

Genoa, chiudendo dietro di lei il portone, rimase a guardarla basita per un attimo e poi le si posizionò davanti. Rimase a contemplare quella fanciulla dalla pelle color miele, dal viso così ingenuamente infantile sfigurato da una crescita troppo precoce.

<< Mi scusi. >> Bridget aprì gli occhi di scatto, restando folgorata dalla bellezza della donna che aveva davanti e dal paradiso che la circondava. Spaventata, con un inchino veloce rovesciò tutta la merce sul pavimento di marmo e corse via.

 

La seconda volta, Bridget notò con dispiacere che le sudavano le mani: durante il tragitto si era ripetuta mille volte di stare calma, e duemila volte aveva ripetuto il discorso di scuse che avrebbe fatto a quella signorina dalle orecchie appuntite. Doveva solo di ricordarsi di stare calma, calma, calma Bridget, calma…

 

Bussò una volta. Due volte. Alla terza Genoa le aprì le porte e Bridget venne nuovamente accolta da quel suono di uccelli e cascate d’acqua che aveva sentito la prima volta. L’aria fresca che veleggiava per palazzo Devius l’abbracciò, lasciandola senza fiato. Genoa le sorrise e le disse che se quella volta non aveva intenzione di rovesciare tutta la merce sul pavimento, la signora Medusa avrebbe condiviso con lei una tazza di tè. Bridget, che non aveva visto che l’ombra del nome della signora che dimorava a Palazzo Devius, sussultò a sentire una simile proposta. Mentre Genoa le faceva strada tra corridoi, scale e sale in cui alle fontane si abbeveravano uccelli maestosi, si vergognò delle sue vesti povere, della sua pelle così scura.

Ma quando la vide, si vergognò di essere umana.

 

Medusa, principessa del mondo di Malvolio e Regina del regno di Granz, era semisdraiata su un prezioso letto rifinito con intarsi di tartaruga, avorio e madreperla. Il vestito verde chiarissimo aveva i riflessi della luce che passa attraverso le foglie e Bridget, poté affermare in seguito di non aver mai visto ricami tanto elaborati come quelli che impreziosivano il suo abito. I lunghi e mossi capelli rossi, ondeggiavano ad ogni minimo soffio di vento che entrava dalle finestre che circondavano l’intera sala. La pelle, bianchissima come latte era macchiata solo dagli occhi azzurro ghiaccio e dalle labbra rosse come sangue. Accanto a lei, l’uomo più bello che avesse mai visto, gettava uno sguardo svagato fuori dalla finestra.

 

Con un cenno della testa, chiese a Genoa di uscire e a Bridget di avvicinarsi. Bridget si mosse senza rendersene pienamente conto, e le fu davanti. Si sentì squadrare ad ogni passo, da quegli occhi duri e brillanti come il diamante.

 

<< Come ti chiami? >>

Bridget, signora.

<< Quanti anni hai? >>

17, signora.

<< Hai una famiglia? >>

Mio padre che è proprietario della locanda del paese e tre fratellini piccoli, signora.

<< E tu lavori da tuo padre? >>

Si, signora.

<< Da domani lavorerai qui. Genoa e le altre ragazze ti spiegheranno tutto quanto. >>

Silenzio.

 

Silenzio.

 

Silenzio.

L’uomo distolse lo sguardo dalla finestra e lo posò su Bridget. L’uomo con i capelli d’argento.

 

<< Puoi andare. >>

Silenzio, tanto silenzio.

 

I primi giorni Bridget aveva paura dei suoi passi: i suoi facevano rumore, non come quelli delle altre. Riecheggiavano in tutto il palazzo, e quando qualcosa le cadeva, i muri le rimandavano indietro un fracasso distorto che le faceva salire le lacrime agli occhi. Non c’era nulla di umano, in quel palazzo. Tranne lei, e lei era sola.

Voleva tornare indietro, voleva tornare alla locanda.

Ma la risposta di Medusa era stata cristallina.

Così se lei non poteva tornare al mondo esterno, avrebbe fatto in modo che il mondo esterno tornasse da lei.

 

Cominciò a comportarsi come una domestica vera: aveva una padronanza eccellente delle proprie mansioni e lavorava più duramente delle altre. Si svegliava sempre un’ora prima e quando terminava i propri compiti, svolgeva quelli delle altre, sempre con il sorriso sulle labbra. La dolcezza che infondeva in ogni minimo gesto, la rese amabile agli occhi di tutti, uccelli compresi, i quali le regalavano canti che facevano esplodere di musica il palazzo. Quando capitava allora, lei si sedeva sul bordo della fontana, e spruzzava con l’acqua gli uccelli che facevano altrettanto con lei. Si bagnavano le lunghe ali e le volavano attorno, bagnandole le spalle, il volto, i capelli. Lei continuava a sorridere, con i suoi occhi dolci.

E probabilmente, fu tutta colpa di quei sorrisi.

 

Quando il laccio di sguardi attorno a lei si allentò, e tutte le altre, sebbene non la riconoscessero come una loro pari, la accettarono, Bridget si sentì pronta per attuare il suo piano. Aveva visitato a fondo il giardino e aveva trovato nel muro più a sud, una crepa di larghezza sufficiente per far passare i suoi gatti. Cioè, non che fossero proprio suoi, ma con il tempo si era ritrovata a fare da madre anche a tutti loro.

I gatti passarono con fatica, ma passarono. Le accarezzavano le caviglie e spingevano la testa contro le sue gambe: Bridget sorridendo si abbassava, lasciando cadere a terra il cibo che aveva portato per loro.

Ogni notte rimaneva a guardarli, finché non se ne andavano. Ripuliva tutto e sprofondava in un sonno più che meritato.

 

La terza notte, successe il fattaccio.

 

L’uomo dai capelli grigi non era stato che una fugace apparizione durante le tre settimane che aveva trascorso a palazzo Devius: non era una che faceva domande, non indagò su chi fosse anche se sospettò si trattasse del figlio della signora Medusa. Non lo aveva ipotizzato semplicemente perché il taglio degli occhi, e i lineamenti del viso erano pressoché identici, quanto per l’aria di rassegnazione che poltriva in fondo al loro sguardo.

Ma la terza notte, mentre aspettava che gli ultimi gatti finissero la loro parte, se lo trovò accanto.

Così, in silenzio.

 

Lo guardò, ebbe paura di essere scoperta. Non temere, le disse. Ti disturbo?

 

Devius, figlio della Regina Medusa, stava accanto a lei. Seduti insieme su una panchina del giardino: una domestica umana e un principe Malvolio.

Ogni notte, lui la raggiungeva, e le si sedeva accanto, sulla panchina di legno chiaro. Non parlavano molto e quando lo facevano occorrevano frasi brevi per capirsi.

 

<< Mia madre ti ama. >>

Non mi permette di uscire dal palazzo, Devius.

<< Perché ti ama teneramente. >>

Silenzio.

<< Avrei fatto la stessa scelta al suo posto. >>

Perché sono umana?

<< Non solo. >>

I capelli di Devius brillavano della stessa luce della Luna. Gli occhi di Bridget coloravano di notte tutto quanto.

<< Ti ama perché sei amore. >>

Brillava tutto, tutto quanto, nel silenzio.

 

Nel possesso di Devius, e nella prigione in cui Medusa aveva deciso di rinchiuderla, Bridget si sentiva stranamente al sicuro. Non stava male, anzi. Preferì la comoda schiavitù a cui era sottoposta, piuttosto che la libertà dura che doveva subire ogni giorno a Jadd. Era libera, ma doveva lavorare duramente alla locanda senza essere pagata e occuparsi dei suoi fratelli senza alcun riconoscimento da parte del padre: sfioriva e nemmeno se ne accorgeva. All’interno del palazzo invece aveva amore. Era schiava, si, ma poteva svolgere lavori meno massacranti e quel che guadagnava, aveva risollevato quel che restava della sua famiglia.

Cominciava a considerare Medusa, come una madre lontana, chiusa nella sua stanza. Le sue carezze non avevano forma, ma la raggiungevano comunque e dovunque. Aleggiava un senso di protezione attorno a lei.

 

Medusa mandò a chiamare Bridget. Devius non c’era, era fuori. Dove, non si sapeva.

 

<< Odi ancora questo posto, Bridget? >>

Ha importanza, signora?

<< No. >>

Lo amo, signora.

<< Stai bene qui? >>

Si signora. Come non lo sono stata mai.

<< Ti andrebbe di restare per sempre? >>

La voce era quella di Devius, apparso alle sue spalle. Sussurrò quella frase a pochi centimetri dal suo orecchio. Medusa ebbe la sensazione di aver già vissuto mille e mille volte quell’attimo.

 

Si, per tutti gli Dei del mio e del tuo mondo Devius. Si, voglio restare per sempre. Insieme a voi, per sempre.

 

 

Bridget non vide entrare gli stranieri armati di spade, ma sentì il clangore del ferro e il rumore dei loro bastoni sul lucido pavimento. Via via. Stranieri, via. Lo avrebbe urlato se solo la voce fosse uscita dalla sua gola.

Con il volto affogato nel cuscino, le sembrò di sentire il cuore spezzarsi. Non vedeva che il nulla, non sentiva che rumore.

Ridatele il silenzio.

 

I passi di lui, andarono a soffocare i rumori che si avvicinavano per le scale. Lievi, ma li sentì in tutta la loro pienezza. Era lui.

Si sedette sul letto, accanto al fianco di lei, così pesantemente sdraiata. Le sciolse i capelli, cominciò ad accarezzarli, per lunghi e lunghi minuti.

In silenzio.

Lasciò scorrere le sue dita tra quei capelli d’oro, mentre con l’altra mano le accarezzava le guancia, il collo, la schiena. Dopo qualche attimo la voltò, la costrinse a mettersi seduta, la guidò a se.

Un faccia a faccia spietato, pensò Bridget. Non anche tu Devius, ne morirei.

Nessuna distanza tra i loro nasi, già un abisso tra le loro anime.

 

<< Bridget. >>

Silenzio.

Le prese le mani strette a pugno e con delicatezza le riaprì, come se fossero dei fiori. Apparvero dei palmi bianchi come il latte davanti ai suoi occhi. Un profumo di vita si sprigionò da quelle mani: si toccò il petto e le sfiorò con le labbra.

<< Il mio cuore, nelle tue mani. >>

Le baciò la fronte, e si alzò, con un frusciare del mantello e dei suoi capelli argentei.

 

 

Bridget sentì piombarle addosso un silenzio di tomba.

  
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