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Autore: Clairy93    01/03/2013    8 recensioni
Trieste. 1942.
Nel pieno di una guerra all'apice della sua degenerazione, i destini di due giovani, Massimo e Vera, si incroceranno in una calda giornata di settembre. Lui, giovane tenente dell'esercito italiano. Lei, diciannovenne ebrea.
Una storia di sacrifici, di dolore e paura dalla quale però l'amore può trionfare persino sulle ideologie inconfutabili e sui pregiudizi.
Genere: Guerra, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali, Olocausto
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Mi avevano portato via anche la luna'
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“Massimo fai attenzione, qui c’è un errore.”
Il mio giovane alunno mi fissa perplesso con i suoi grandi occhi azzurri.
“Chi è Massimo?” mi chiede.
Accidenti, oggi è già la seconda volta che confondo il suo nome. Mi è realmente impossibile pensare ad altro, non faccio altro che distrarmi e sempre più spesso mi sorprendo a fissare il vuoto come incantata. Il pensiero di Massimo non mi ha concesso nemmeno un secondo di tregua e il suo viso è impresso nella mia mente.
“Scusami Marco, mi sono distratta. Riprendiamo…”
Tuttavia il piccolo non demorde.
“Mi dici chi è Massimo?”
“E’…mio padre. Forza completa l’esercizio.”
Avverto una risatina e intravedo Elena che invece di dedicarsi alle sue faccende domestiche, mi osserva ammiccante e origlia divertita le mie conversazioni.
“Va bene Marco, per oggi terminiamo qui. Ci vediamo domani d’accordo?”
Il bambino mi saluta e si alza dalla sedia riordinando i suoi libri e le matite.
Io faccio lo stesso ma con velocità doppia e corro verso l’uscita, confidando di non imbattermi nella signora Tommasi che mi farebbe un numero spropositato di domande sulla condotta del figlio, narrandomi i suoi infiniti aneddoti.
Da questa mattina non aspetto altro che raggiungere Massimo, voglio vederlo e avere la prova che tutto ciò che accaduto non è stato effetto della mia fervida immaginazione.
Credo di non aver chiuso occhio questa notte e se ho dormito non è stato affatto un sonno rilassante. Il pensiero martellante di Massimo era sempre vivo nella mia testa.
Percorro il vialetto e mi sento afferrare per un braccio.
“Dove pensi di andare così di fretta Vera?”
Quasi dimenticavo Elena e la sua irrefrenabile curiosità.
“Perdonami devo scappare, sono già in ritardo!”
“Il tuo appuntamento potrà aspettare qualche minuto. Voglio sapere com’è andata la tua serata…”
“Elena devo andare, ne parliamo un’altra volta d’accordo?”
Cerco di liberarmi dalla sua presa ma è tutto inutile. Non vi sono dubbi, se Elena vuole qualcosa è raro che non la ottenga.
“Continuerai a ritardare se non mi racconti subito cos’è successo tra te e l’affascinante tenente!”
“…Ci siamo baciati. Posso andare adesso?”
Un sorriso sfavillante appare sul volto di Elena che comincia a saltellare sul posto ridendo tra sé.
“Come sei dolce piccola Vera! E com’è stato?”
“Molto…romantico.” ammetto un poco imbarazzata, stringendomi nelle spalle.
“Voglio i dettagli mia cara!”
“Dai Elena! Ma che importanza ha?!”
Mi ammonisce con lo sguardo e sento che sta per accingersi ad una delle sue interminabili spiegazioni sui segnali che alcuni comportamenti assunti da un uomo possono avere.
“E’ una questione fondamentale Vera! Devi sapere che…”
“Elena me lo racconterai un’altra volta. Ora devo scappare!”
Riesco a liberarmi dalla sua stretta e corro via prima che Elena possa imprigionarmi di nuovo.
“Vera! Quando mi presenterai questo Massimo?” Elena incrocia le braccia al petto e scorgo la sua espressione accigliata.
“Molto presto, te lo prometto!” le urlo di rimando.

Dopo una breve passeggiata, il battito del mio cuore si fa più insistente appena mi trovo di fronte alla caserma Vittorio Emanuele. Percorro il viale alberato e attraverso l’ampia piazza d’armi delimitata dagli imponenti corpi di fabbrica.
Arrivo all’ingresso e istintivamente mi rassetto la gonna e sistemo i capelli. Nell’atrio regna il silenzio, interrotto solamente dallo sfregare del pennino sulla carta nelle mani di un uomo seduto alla scrivania.
“Mi scusi signore, sto cercando il tenente Riva.”
L’uomo abbassa lentamente gli occhiali sul naso e mi esamina perplesso.
“Qual è il motivo della visita?” mi chiede freddamente.
La sua domanda mi disorienta e vorrei che Massimo comparisse all'istante per sottrarmi da questo immane imbarazzo.
“Devo…chiedergli una cosa.”
E’ la prima risposta che mi passa per la mente, ma capisco che non convince l’uomo che mi osserva con un’espressione dubbiosa. China lo sguardo e riprende a compilare i fogli sparsi sulla scrivania.
“Se ha la cortesia di attendere qualche minuto, avremo il tempo di informare il tenente.”
Lo ringrazio e mi appoggio alla parete, tormentando nervosamente le mie mani mentre osservo distrattamente le pareti dell’atrio.
Sento in lontananza un vocio provenire dalle scale e poco dopo compaiono alcuni soldati che rumorosamente entrano nella sala.
La mia presenza cattura rapidamente la loro attenzione. Nonostante i soldati persistano dubbiosi a parlottare tra loro osservandomi di sottecchi, cerco di non farci caso. Una ragazza in una caserma è una situazione chiaramente insolita e se il mio piano iniziale era di passare inosservata, ho fallito miseramente.
Il più audace del gruppo, un ragazzo dalla simpatica capigliatura riccia e lo sguardo vivace, mi si avvicina seguito timidamente da altri soldati.
“Cosa ci fa una così graziosa fanciulla in un posto come questo?” mi domanda sfoggiando un sorriso radioso.
“Aspetto una persona.”
“Sei certa che non sia io quella persona?” mi chiede sorridendomi malizioso.
Aggrotto le sopracciglia, non afferrando immediatamente la sfumatura d’ironia nella sua frase.
“No sono io il ragazzo che sta cercando!” interviene un altro soldato.
“Ma cosa dici! E’ evidente che parla di me!”
“Mi dispiace ma nessuno di voi è la persona che sto aspettando.” dico ai soldati, ponendo fine a questa bizzarra conversazione e trattenendo una risata.
“Questo tuttavia non mi impedisce di presentarmi. Sergente Filippo Bassani, al vostro servizio!” il ragazzo porta rapidamente alla fronte la mano destra “E possiamo anche ignorare questi soldati, siete d’accordo?”
Filippo si fa più vicino ma i suoi compagni cominciano a spingerlo amichevolmente.
“Possiamo sapere il vostro nome signorina?” mi chiede uno di loro.
“Certo, mi chiamo Vera.”
Mentre ricevo complimenti e inviti dai soldati che nonostante tutto si rivelano davvero cortesi e divertenti, finalmente scorgo Massimo tra la folla che mi ha accerchiato.
“Si può sapere cosa fate tutti qui come avvoltoi?” domanda incuriosito, facendosi strada tra i soldati.
Il sorriso gli muore sulle labbra non appena mi intravede. Massimo strabuzza gli occhi allibito e mi rivolge un severo sguardo di rimprovero.
Il sergente Filippo si avvicina a Massimo, bisbigliando qualcosa al suo orecchio e indirizzandomi delle occhiate alquanto sospettose.
Massimo sospira irritato e allontana bruscamente Filippo per raggiungermi.
Io accenno un sorriso eppure non mi degna di uno sguardo. Mi afferra svelto per il polso e mi allontana dal gruppo.
I soldati inveiscono in un sonoro coro di disapprovazione.
“E’ stato un piacere conoscervi!” urlo di rimando, cercando di non inciampare mentre Massimo mi trascina con rapidità e fermezza fuori dalla sala.
“Puoi lasciarmi per piacere?”
Mi ignora intenzionalmente e proseguiamo nella camminata attraversando speditamente la piazza d’armi e raggiungendo l’uscita dalla caserma.
“Massimo!” mi libero spazientita dalla sua stretta “Si può sapere che ti prende?”
“E tu mi vuoi spiegare cosa ci facevi nell’atrio principale?”
“Avevamo detto che ci saremo visti alla caserma.”
“Mi pareva ovvio che io intendessi qui fuori!”
“Non riesco a capire quale sia il tuo problema Massimo.”
“Sei incredibile Vera…” dice passandosi nervosamente una mano sotto al mento “Ti sei quantomeno accorta di come quei soldati ti guardavano? Ti hanno circondata come fossi una sorta di bottino da spartirsi!”
“Sono stati gentili invece.”
“Certo che lo sono stati. Sei una bella ragazza.”
Se c’è un nesso tra questi due aspetti, io non riesco a comprenderlo e nemmeno capisco l’eccessiva reazione di Massimo. Nonostante ciò il suo complimento mi fa sorridere.
Massimo si appoggia alla ringhiera e accende una sigaretta portandola alle labbra.
“Non entrerò più se questo ti infastidisce, promesso.” mi avvicino alla staccionata e lo osservo risoluta “Vorrei capire qual è il motivo delle tue preoccupazioni.”
“Non voglio che tu abbia a che fare con loro Vera.” mi risponde seccamente “Sei una ragazza e i soldati hanno…concezioni molto diverse su come trattarle.”
“Ma questo non ha importanza perché non mi interessa nessun altro a parte te.”
Lo osservo dolcemente, cercando di calmarlo e persuaderlo della completa sincerità delle mie parole. Tuttavia Massimo solleva indifferente le spalle e guarda dritto davanti a sé, impegnato a consumare la sua sigaretta.
E’ preoccupato ma i suoi timori sono ingiustificati e vorrei tanto poterlo convincere. Quanto è testardo, deve essere una caratteristica tipica degli uomini…
“D’accordo. Se hai deciso di tenermi il broncio per il resto del pomeriggio, io torno a casa.”.
“Vera dai aspetta!” Massimo mi chiama appena fingo di incamminarmi.
Mi sorride, invitandomi a raggiungerlo.
“Non aspettavo altro che vederti.” sussurra al mio orecchio, spostandomi delicatamente una ciocca di capelli.
“Io sono quasi certa di non aver chiuso occhio questa notte. E oggi non ho fatto altro che confondere il nome del mio alunno con il tuo. Se mi licenzieranno ne sarai responsabile!”
La sua dolce risata gli illumina lo sguardo.
“Perché mi accusi? Non ho colpa se sono così affascinante.”
Sbuffo divertita e non mi lascia il tempo di replicare che si impossessa delle mie labbra e non posso che perdermi dolcemente tra i battiti del mio cuore.
Tuttavia il sapore di fumo è davvero sgradevole e mi scosto.
Massimo mi osserva confuso e ne approfitto per sfilargli rapida la sigaretta dalla mano.
“Vera dai!”
Mi allontano e agito la sigaretta in segno di sfida.
“Voi uomini siete tutti uguali! Anche mio cugino fuma e se continuerete a respirare questa roba, vi farete solamente del male.”
“Ma cosa ne sai Vera!” mi si avvicina tentando di agguantare la sigaretta ma io lo schivo svelta.
“Vera se la fai cadere con ciò che spendo per acquistarle, lo fai a tuo rischio e pericolo!”
Mi fingo impaurita e scoppio in una risata spensierata.
Massimo riesce facilmente a raggiungermi e mi cinge i fianchi da dietro, sollevandomi leggermente da terra. Affonda il viso nell’incavo del mio collo per trattenere una risata ma in questo modo fa sorridere anche a me. Mi sfila la sigaretta di mano che quasi scordo di avere tra le dita e mi volto repentinamente osservando divertita l’espressione vincente che appare sul volto di Massimo.
Mi bacia e non posso oppormi, le mie resistenze sembrano venir meno ogni qual volta mi ritrovo tra le sue braccia.
Ci accostiamo alla ringhiera e mi appoggio a Massimo che mi attira a sé posando il capo sulla mia spalla.
Tuttavia Massimo non rinuncia alla sua sigaretta e mi volto accigliata. Lui alza gli occhi al cielo divertito.
“Dovremo risolvere questo problema.” affermo abbozzando un sorriso.
“Perché invece di continuare a lamentarti Vera, non provi anche tu?”
“Stai scherzando?!”
Massimo allontana la sigaretta e la avvicina alle mie labbra. Non riesco a celare la mia perplessità eppure Massimo mi esorta a provare.
Aspiro precipitosamente, ignara della tremenda sensazione che avverto appena percepisco il fumo nella mia gola. Mi sembra quasi di soffocare e tossisco violentemente.
Massimo mi colpisce più volte la schiena. Non appena riprendo a respirare, mi asciugo le lacrime agli occhi e lo sento ridacchiare.
“Sei perfido! Quasi soffocavo per colpa tua!”
Mi bacia una guancia ma cerco di allontanarlo. Tuttavia Massimo non me lo permette e mi tiene stretta a sé.

Trascorre un meraviglioso pomeriggio e in compagnia di Massimo il tempo pare volare. Mi sento serena con lui, so di poter essere me stessa senza timore di essere giudicata.
Massimo mi racconta della sua giornata e specialmente si sofferma sull’importante comunicato giunto quella stessa mattina e divulgato dal suo generale: il 27 ottobre Mussolini si recerà a Trieste per sostenere un discorso ai cittadini in onore del ventesimo anniversario del regime fascista.
“Perché proprio nella nostra città? Cosa vuole da noi?” chiedo allarmata.
“Vera stai tranquilla, sarà il tipico discorso per incoraggiare gli uomini ad arruolarsi.”
“Mussolini sa benissimo che i triestini combatteranno. E in ogni caso è evidente che non concederà nessuna attenuante!”
“Questo ancora non lo sai Vera. Tra due giorni scopriremo cosa avrà di tanto importante da dirci, ma nel frattempo sii serena.”
Massimo mi accarezza dolcemente i capelli e sospiro tristemente.
“Cosa ti turba?” mi chiede.
“E se tu dovessi andartene? Se l’intento di Mussolini fosse di mobilitare il tuo esercito e lasciare Trieste per preparavi ad un nuovo scontro?”
“Partirei Vera, anche se ciò significherebbe allontanarmi da te. Ma è mio dovere proteggere la nostra patria se minacciata, e non posso sottrarmi.”
“Tu però proteggi una nazione che sta stupidamente appoggiando un uomo il cui unico obiettivo è imporre il proprio dominio con la guerra! E’ giusto morire per questo?”
“La guerra non è mai giusta Vera. Ma se chi ci governa la trova indispensabile, allora diventa complicato opporsi.”  appoggio il capo sulla sua spalla “E poi mi parli come se fossi uno sprovveduto! So badare a me stesso e ora ho una ragione in più per tornare. Ci sarai tu ad aspettarmi…”
Mi rifugio nel suo petto, un riparo sicuro che mi trasmette il coraggio di allontanare della mente quelle immagini di distruzione e sofferenza che mi danno il tormento.

Appena rientro a casa,  la notizia dell’arrivo di Mussolini a Trieste pare già essere sulla bocca di tutti.
“Gabriele ha appreso la notizia al lavoro.” dice zia Baba “Ci ha raccontato tutto quando è tornato. Tu sai il motivo di questa sua visita?”
“No, non ne so niente. Non ti hanno detto altro Gabriele?”
Mio cugino scuote la testa.
“Ancora no, dovremo aspettare. Magari Mussolini cambierà idea e non verrà più a Trieste.”
“Lui arriverà Gabriele. E ho un orribile presentimento…” mi avvicino a mia madre e la stringo protettiva.
La porta si apre ed entrano papà e zio Simone, affannati ed evidentemente sconvolti.
“Mussolini si recherà a Trieste tra pochi giorni! Lo abbiamo appreso da poco!” dichiara allarmato zio Simone, posando la giacca sullo schienale della sedia.
“Non agitarti papà, sappiamo già tutto.” afferma Gabriele.
Papà si avvicina e bacia la mamma sulla fronte.
“Anna stai tranquilla, sarà solo una visita di passaggio. Non angosciarti.”
Mamma annuisce e tenta di nascondere gli occhi lucidi.
“Non poteva rimanersene nella sua città e lasciarci in pace?”
“Anna non pensare subito al peggio. Coraggio, prepariamo la cena…”
Mi volto preoccupata verso mia madre e lei mi sorride rassicurante, guardandomi con il suo dolce sguardo.
“Andrà tutto bene mamma. L’importante è rimanere uniti.”
Lei annuisce socchiudendo gli occhi ma si desta non appena avverte qualcosa che la turba.
“Vera…perché puzzi di fumo?”
E’ incredibile non le sfugge niente, non posso competere. Questa bugia si ingigantisce in maniera spropositata e sarà sempre più complicato nascondere la verità ai miei genitori.
“…E’ stata la signora Tommasi, non ha fatto altro che fumare per tutto il pomeriggio...”

   
 
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