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Autore: AriiiC_    02/03/2013    2 recensioni
C'era una volta una ragazzina, di dodici anni. Viveva nel Distretto 9, e suo fratello era un vincitore. Si offrì volontaria agli Hunger Games. Non sapeva se sarebbe mai tornata, ma voleva salvare la sua migliore amica. Perchè considerava la vita altrui più importante della propria, anche se lo nascondeva troppo spesso.
Ma questo è solo un mito.
E ogni mito ha un inizio e una fine.
Nel caso di Lorelei, però, non è del tutto vero: nessuno potrà mai dimenticare la storia del "Piccolo Falco" del Distretto Nove; né di come quel mito, da semplice storia, divenne realtà.
-
Personaggio partecipante alla storia: "Gli animi forti si innalzano sopra la sorte" di Leddy.
Dalla mietitura:
"Dopotutto suo fratello Brick, che era stato uno dei tre vincitori, otto anni prima, le aveva insegnato un’infinità di trucchetti e strategie.
Prima o poi mi sarei offerta comunque, pensò in quell’istante.
– Ma abbiamo una giovane volontaria! Non è mai capitato da queste parti, giusto? – disse Dwille con un sorriso. – Come ti chiami?
– Lorelei Uk – rispose la ragazzina. Non era molto loquace. Al parlare preferiva osservare. Era un piccolo falco, Lorelei.
– Ti sei offerta per la tua amica?
Lei annuì, senza aggiungere altro."
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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  - Second act -

 Hawk's fly.








 

 Il secondo "atto" della mia piccola raccolta va a tutti i lettori:
a quelli che trovano Lor insignificanti e anche a quelli che hanno trovato un legame con lei.












«E ora veniamo ai nostri tributi!» disse cercando di apparire ammaliante dopo il filmato sui Giorni Bui. La verità era che odiava essere l’accompagnatrice di uno dei distretti più poveri. Meritava di meglio, lei.
La sua mano si immerse nei biglietti con i nomi delle ragazze e giocherellò con essi per qualche minuto, sotto gli sguardi esasperati della gente ai piedi del palco. Poi ne estrasse uno solo. «June Morick.»
Una bambina magra e dal viso un po’ pallido fece i primi passi, ma una voce sottile e vellutata si levò accanto a lei. «Mi offro volontaria! Mi offro volontaria!»
La ragazzina che aveva parlato, anche lei dodicenne, prese la mano di June e la portò di nuovo al suo posto, mentre saliva sul palco e l’altra la guardava spaesata.
June sarebbe morta subito se non si fosse offerta lei. Certo, era piccola, ma avrebbe potuto farcela. Dopotutto suo fratello Brick, che era stato uno dei tre vincitori, otto anni prima, le aveva insegnato un’infinità di trucchetti e strategie.
Prima o poi mi sarei offerta comunque, pensò in quell’istante.
«Ma abbiamo una giovane volontaria! Non è mai capitato da queste parti, giusto? – disse Dwille con un sorriso. – Come ti chiami?»
«Lorelei Uk.» rispose la ragazzina. Non era molto loquace. Al parlare preferiva osservare. Era un piccolo falco, Lorelei.
«Ti sei offerta per la tua amica?» Lei annuì, senza aggiungere altro. L’accompagnatrice le accarezzò la chioma bionda e boccolosa in un gesto misto a incoraggiamento e compassione.
Lorelei già la odiava, quasi. Cercò con lo sguardo il maggiore dei suoi sette fratelli, Brick, che ricambiava con un espressione sconcertata. Di certo non voleva che la sua sorellina si offrisse a dodici anni.
Mi dispiace, ma dovevo.

 

-

 
 
Lorelei guardò un po’ attonita Aaron – l’uomo che aveva dato loro una mano quando Stan se n’era andato, nonché padre di Kyle, migliore e unico amico di Brick – che, da dietro il casco da Pacificatore, le sorrideva amichevole prima di pungerle il dito. Una delle cose che la bimba temeva di più erano proprio gli aghi: non voleva essere punta per paura del dolore che avrebbe conseguito al tocco con quel minuscolo arnese in metallo.
 «Scusa.– le sussurrò lui, facendole segno col capo che era meglio allontanarsi. – A dopo.» disse piano mentre lei se ne andava. Perché Aaron era sicuro che Lorelei ci sarebbe stata anche dopo. D’altronde, anche lei, piccola, spericolata e irragionevole Lorelei, capiva che offrirsi a dodici anni era eccessivo. Persino per lei e per il suo desiderio di vittoria. Sapeva che, per tornare a casa sana e salva dall’arena, data la sua corporatura minuta, le sarebbero serviti almeno altri millequattrocentosessanta giorni di allenamento. Si mosse rapida andando nella fila più vicina al palco, come era consuetudine facessero i più giovani. I suoi occhi cercarono una chioma scura nella folla, fino a che non la trovò e le corse incontro, quasi a travolgerla col suo entusiasmo.
 «Lor, ch’è successo?» chiese June, lo spettro di un sorriso in volto.
 «Più che altro, questo è quello che chiedo io a te: hai una faccia da funerale!» non era la tipa da sdrammatizzare in momenti del genere. Ma, per June, questo ed altro. Quando erano insieme, sembravano cambiare entrambe: Lorelei diventava allegra, socievole; June faceva cadere ogni preoccupazione per dedicarsi in tutto e per tutto all’amica. Ma non quel giorno.
 «Diciotto.» sentenziò la mora, le iridi brune che iniziavano ad arrossarsi.
 «Diciotto cos… – s’interruppe l’altra prima di capire. – Ah, diciotto… – ripeté, come a voler assimilare meglio il senso di quel numero. – Andiamo, June! C’è gente che ha molte più tessere di te!»
 «E poi ci sei tu, che ne hai solo una.» ribatté la bimba, un senso di acuta amarezza nella voce. Lorelei pensò che la sua migliore amica sembrava ancora più piccola del solito, con quel suo vestitino rosa confetto pomposo che faceva risaltare l’eccessiva magrezza del suo corpo e la sua poca altezza. I capelli scuri le ricadevano sulle spalle in ciocche disordinate, in volto un’espressione indecifrabile, ma tutto tranne che tranquilla. Lor si rese conto che, nonostante avessero pochi mesi di differenza, lei sembrava più sviluppata, coi suoi cinque centimetri in più e il seno leggermente troppo sviluppato per la sua età. Era come se i suoi vissuti l’avessero maturata non solo caratterialmente ma anche fisicamente. Eppure, Lorelei era ancora acerba per quel mondo perverso e corrotto così tanto più grande di lei.
 «Ti prometto che nel caso ti estraessero, cosa che so per certo che non faranno, io mi offrirò.»
 «No, non lo farai.» rispose June. Non perchè non si fidava dell’amica, ma perchè non voleva che andasse a morire al suo posto: era quel tipo di persona che considerava la vita altrui più importante della propria. Proprio come Lorelei. Forse, era stato proprio questo particolare ad unirle così tanto.
 Mi dispiace, ma dovevo.
 I loro pensieri vennero spezzati da Dwille, che saliva sul palco nel suo completo rosso scarlatto.
 «Mi ricorda un po’ i rubini. Presente quelli che c’erano sul libro della lezione sul Distretto 1?» la mora abbozzò un sorriso timido e impacciato, provando a smorzare la tensione tra lei e l’altra.
 «Oppure il sangue…» sibilò Lor a denti stretti per non farsi sentire. La Capitolina, oggettivamente giovane e bella secondo gli standard della sua città natale, fece partire con un rapido gesto della mano il filmato sui Giorni Bui. Lorelei la odiava. Perché non si trovava un vero lavoro, invece di mandare i ragazzi a morire con così tanto brio? Lorelei odiava chiunque avesse a che fare con la Capitale, perché, in un modo o nell’altro, le aveva portato via Brick. Brick, ora seduto davanti a lei su quel palco, dove quella ragazza monocromatica lo mangiava con gli occhi. Il ragazzo era tornato diverse volte a Capitol City, e altrettante le aveva parlato di Dwille: diceva che era splendida, simpatica, dolce. Umana. Lorelei non capiva come il fratello avesse potuto attribuire un tale aggettivo ad una ragazza come lei. Potevano avere circa quattro, cinque anni al massimo di differenza. Forse la bimba Dwille aveva fatto il tifo per il giovane campione Brick del Distretto 9 e lo aveva accalappiato quando aveva vinto. Scosse la testa scacciando quei pensieri solo quando il mostriciattolo rosso avanzò verso la boccia con i nomi delle ragazze. Mosse la mano guantata in circolo. Era snervante aspettare che pronunciasse il nome della condannata. June avvicinò timidamente le dita alla mano di Lor, che le strinse e sussurrò, più a se stessa che a lei: «Tutto bene. Lo prometto.»
 «June Morick!»
 Evidentemente, niente doveva andare bene.
 June guardò pallida l’amica prima di muoversi.
 Ma quella era una promessa, e Lorelei Uk manteneva le promesse.
 Non mollò mai la sua mano, neppure quando la spinse dietro di sé e si lanciò sul palco, urlando: «Mi offro volontaria!»
 E le sarebbe piaciuto stringerla ancora, mentre si faceva largo tra le sue coetanee che rapide si spostarono per lasciarla andare avanti. Era un gesto così raro, nel suo Distretto, che nessuno poteva crederci. Neppure June, che, incredula e piangente, era caduta per terra senza forze, sussurrando il nome dell’amica piano, nonostante le mani davanti al volto non lo facessero sentire.
 «Ma abbiamo una giovane volontaria! – disse Dwille, facendole segno di salire accanto a lei. Brick la guardava attonito, ma non era sicura che l’accompagnatrice avesse capito chi fosse. – Non è mai capitato da queste parti, giusto? Come ti chiami?»
 «Lorelei Uk.» sussurrò lei, osservandola con odio. Forse doveva essere più loquace, ma proprio non ci riusciva. Non si rendeva conto delle conseguenze che avrebbero potuto avere le sue azioni, ma quello era ciò che sentiva e non poteva fare altrimenti. Forse fu in quel momento che Dwille capì davvero chi Lorelei fosse.
 «Ti sei offerta per la tua amica?» chiese, sbiancando sotto gli infiniti strati di fondotinta. Le accarezzò la chioma e, mentre Lorelei si voltò a cercare con lo sguardo Brick, le supposizioni della ventenne si rivelarono esatte
 Mi dispiace, ma dovevo., pensò la bimba, sapendo che Brick avrebbe capito, se avesse saputo. Ma Lorelei non era sicura al cento per cento di volergli spiegare. In fondo, oltre che essere suo fratello, sarebbe stato anche il suo mentore e, come tale, avrebbe odiato gesti così azzardati.
 I suoi pensieri vennero interrotti da Dwille, che, come a voler non pensare a chi fosse la bimba che aveva accanto, pescò il nome maschile.
 «Greg Hale.»
 Se prima aveva qualche dubbio, ora ne era sicura: Dwille portava palesemente sfiga.
 Il ragazzo sulla sedia a rotelle si avvicinò al palco, e la piccola rabbrividì. Pensava che non avrebbe avuto problemi ad uccidere il suo compagno di Distretto. Invece non sarebbe stato così, non con Greg. Lor non lo conosceva, non davvero, ma il suo orgoglio non le avrebbe mai permesso di ammazzare un ragazzo così debole e indifeso. Uno come Greg.
 Le sue guance diventarono rosse di imbarazzo e rabbia davanti all’immagine quasi comica del diciottenne che non riusciva a salire le scale. Le sarebbe piaciuto prendere a pugni Dwille, piangere, correre ad abbracciare Brick per non uscire più dalle sue braccia, non essersi mai offerta o poterlo fare due volte, in modo da salvare anche lui ed essere l’unica condannata a morte quell’anno. Ma la Capitale non lo avrebbe mai accettato. A morire dovevano essere in due. Aaron si avvicinava insieme ad un paio di colleghi alla carrozzella per aiutare Greg a salire sul palco, prima che un’altra mano si alzasse e un altro ragazzo dalla chioma scura si facesse largo tra la folle. Questa volta, Lorelei lo conosceva sul serio: era Alec. Avevano parlato una sola volta, quando lui aveva dieci anni e lei quattro. La mattina dopo che Stan l’aveva picchiata, perché Alec era il medico del grano, e aveva aiutato la dottoressa May Ukai. Le aveva stretto forte la mano, confortandola mentre la madre la ricuciva. E Alec, poi, le aveva sorriso. E Lori aveva ricambiato.
 Da allora si era instaurato tra loro un rapporto di rispetto reciproco: io non faccio male a te, e tu non fai del male a me.
 Mentre si presentava mettendosi accanto alla piccola, lei notò la differenza immensa tra i loro corpi, e capì di essere pressoché spacciata. Fino a che Alec non le strinse la mano, e la piccola lesse nei suoi occhi che anche lui la ricordava. Anche lui ricordava quel piccolo patto silenzioso che avevano instaurato in quella mattina piovosa di maggio e che nulla avrebbe spezzato.
 Neppure gli Hunger Games.
































 Adolf's corner.

 Finalmente siamo al secondo atto!
 Doveva essere più lungo, lo so, ma in realtà era in programma che fosse del tutto diverso. In più, la prima parte è presa direttamente dalla mietitura ufficiale di Lor.
 Riguardo Aaron, ho preparato uno sketch piccino picciò in cui spiego chi lui sia e chi sia anche Kyle.
 Ecco a voi:

 
 Lorelei aveva nove anni, undici mesi e una manciata di giorni.
 Lorelei era col fratello maggiore Brick in municipio, e non voleva sentire ragioni. Nonostante le avesse detto più volte che era inutile, che non avrebbe cambiato il sangue che le scorreva nelle vene. Nonostante avesse provato a dissuaderla in ogni modo conosciuto all’uomo, lei era stata irremovibile. Quel cognome pesava troppo sulle spalle della bimba, così lei aveva deciso di cacciarlo, di diventare un’altra tagliando i ponti con chiunque fosse stato suo padre. L’uomo che Lorelei tanto amava e stimava e che l’aveva picchiata a sangue in un lampo di follia. Stan, si chiamava. Stan Ukai, che le aveva dato la vita e aveva pensato di  poterla distruggere. Il giovane padre a cui tanto voleva bene, che non l’aveva mai vista più che uno sbaglio. In fondo, aveva già i suoi sette eredi maschi, Lorelei non gli “serviva” a nulla.
 Passò un polpastrello sul sopracciglio, delicatamente, a sfiorare il posto in cui esso veniva bruscamente diviso a metà dalla cicatrice. Gliel’aveva fatta Stan, con un coltello. Non aveva avuto considerazione del possibile dolore della figlia: aveva solo colpito.
 «Brick. – salutò elegantemente l’anziano pacificatore facendo un cenno col capo al diciannovenne. Lorelei si ricordava di lui: lo conoscevano anche prima che il fratello vincesse. Era stato il migliore amico della madre. Si chiamava Aaron, o qualcosa di simile. – Qual buon vento?»
 Il diciannovenne fece un cenno con la mano all’uomo, prima di rispondere: «Mia sorella. Mi sembra che tu la conosca, no?» detto ciò, portò le dita a sfiorare la coda di cavallo chiara di Lorelei, facendola avvicinare al bancone del municipio. Era un edificio semplice, di antica costruzione. C’era chi dicesse che i suoi forti mattoni a vista fossero sopravvissuti ai Giorni Bui, ma la bambina non ci credeva. Sapeva bene
che nulla era rimasto integro dopo la rivolta. Come avrebbe fatto quel fatiscente e puzzolente palazzo, allora? Le iridi scure di Aaron scrutarono la piccola in tutto il suo metro e dieci di altezza, prima di rivolgerle un sorriso così aperto e sincero da parere innaturale. Nessuno s’era mai rivolto a lei così, da quando aveva quattro anni e un po’. Nessuno tra quelli che la conoscevano avrebbe mai osato curvare le labbra in quel modo per lei. Perché Lorelei non sorrideva, mai. Non lo faceva per non essere fraintesa. E così nessuno sorrideva a lei, quasi volessero farle un dispetto.
 Ma non le importava: per lei, quella era ormai “normalità”. L’eccezione era quel cinquantenne dolce e cordiale, tanto amico di Stan che, pur sapendo tutto, le tese il palmo per farglielo stringere.
 «Lorelei, vero? – le sussurrò chinandosi per guardarla meglio negli occhi. Lorelei notò che i suoi erano marroni, di un marrone profondo e intenso, un po’ smorzato dai capelli brizzolati a causa dell’età. – Spero ricorderai Kyle, mio figlio…»
 La ragazzina si chiese se fosse umanamente possibile non ricordare uno come Kyle: simpatico, bello, magnetico, attraente ma sempre pronto ad aiutare. Era stato il migliore amico di Brick prima della vittoria, e l’unico dopo di essa. Era l’unico in grado di capire davvero le ragioni del ragazzo, senza fargliene una colpa.
 «Sì: – rispose, abbozzando un mezzo sorriso. – Lorelei.»
 «Allora, qual buon vento?» mostrò la dentatura imperfetta alla piccola che, per la prima volta dopo non ricordava neppure quanto, la trovò buffa. Di solito, il suo divertimento era lanciare coltelli, o falciare grano: mai nulla la faceva ridere sul serio. Invece quegli incisivi scuri leggermente troppo consumati, quelle labbra sottilissime che venivano solcate da leggere rughe d’espressione e quelle fossette le ispiravano fiducia davvero.
 «Ha deciso di cambiare cognome…» rispose Brick, senza dare alla sorellina il tempo per ribattere. Gli dava fastidio il fatto che volesse davvero portare avanti quella cosa. Era più forte di lui: pensava che lo facesse per allontanarsi, in qualche modo perverso, dal suo fratello vincitore. E lui odiava questa probabilità, perché sarebbe stata sempre la sua Lorelei, ma sarebbe stata più distante.
 «E che cognome vogliamo?» chiese di nuovo Aaron, voltandosi verso la giovanissima Lor in modo amichevole, come se quella situazione fosse la più normale del mondo.
 «Ukai mi pesa, ma non voglio cambiare troppo. Preferirei Uk.»
«Uk? – ribatté il fratello. – Che vuol dire Uk?»
«Non lo so. – rispose Lorelei con la massima semplicità. – Ma suona molto come Hawk.» 




 Detto ciò, vi lascio, chè domani parto e non ho manco fatto le valigie.
 ...
 ...
 ...
 ...
 Vero: quasi me lo scordavo!
 Ecco a voi il banner della mia carissimissima pandamito con Kyle e Aaron ùù





 Sciiiaooo folliH (?)
 Bascio♥
 Ariii, Jared, Shannon, Tomo e Marshall.












ps. Sì, shippo Brick/Dwille, se non si fosse capito ùù
  
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