Eccomi qua! Come
promesso ho fatto il prima possibile. Spero che il capitolo sia di vostro
gradimento. Si apre con un pov Edward che racconta il suo incidente.
Buona lettura!
Capitolo 8
Ne vale la pena?
Che la nostra felicità sia così tanto collegata
alla vita di un altro
essere umano?
-Bones.
Pov. Edward
Sbatto la porta di casa
più forte di quanto non sia in realtà necessario. La trovo buia, vuota e
triste; esattamente come mi sento io in questo momento. Poggio il sacchetto che mi ha dato Jen sul
tavolino del salotto, non ho nemmeno la forza per aprirlo figuriamoci per
mangiare qualcosa. Mi accascio con la schiena sul divano e prendo a guardare il
soffitto mentre sento un dolore acuto crescere sempre di più dentro al petto.
Sfilo dalla giacca la fiaschetta di whisky e comincio a bere.
Le ho detto che l’amo.
Le ho detto che l’amo ed è andata via con un altro uomo.
Ormai ho perso ogni
speranza.
Razionalmente so di non
potermi aggrappare alle parole che mi ha detto Jen. Non posso, eppure lo
faccio. Lo sto facendo da quando è venuta a soccorrermi dopo che quell’energumeno
mi ha riempito la faccia di pugni “qualunque cosa lei ti abbia detto, non
crederle, non mollare. Lei ti ama, solo che è troppo orgogliosa per ammetterlo.
Jacob non rappresenta niente, tu invece sei tutto il suo universo, perciò non
mollare. Ti prego Edward non mollare”
Le credo sì, mi
aggrappo a queste sue parole, sì. Ma nonostante questo vorrei davvero con tutto
il cuore mollare la presa. Vorrei avere la forza per voltare le spalle ad ogni
cosa, a lei ma soprattutto ai miei sentimenti, per guardare avanti e smetterla
di soffrire. Ormai lo sto facendo da tre anni e non penso di riuscire a
sopportare altro dolore. Vederla in compagnia di un altro uomo stasera mi ha
letteralmente devastato, e sentire le ragioni che l’hanno spinta ad uscire con lui
mi hanno solo fatto infuriare di più. Perché Bella? Perché non mi credi? Perché
non sono io la prima persona a cui pensi invece di credere con così tanta
facilità alle parola di una lurida puttana? Il bacio a casa dei miei non ti ha
dimostrato nulla? Mi credi così viscido e meschino? Tanto da essere in grado di
fare una cosa del genere?
Mi porto una mano sul
viso stanco e spossato; il risultato di quella che è diventata la mia vita
negli ultimi cinque giorni. Soffro come un cane, ormai non dormo più di quattro
ore a notte…
Alle volte penso che
stia vivendo un incubo, o che si tratti del brutto tiro di una persona maligna
e che domani mi sveglierò e scoprirò che è tutto falso. Mike tornerà in azienda
con i soldi e Bella lascerà che mi riavvicini. Ma questo non è uno scherzo ed
io non sto sognando. È tutto vero ed è proprio questo a farmi infuriare ancora
di più.
Questa non è vita. Non posso più andare avanti così.
Per quanto io la ami, per quanto tutto quello che ho provato in questi anni non
mi ha mai fatto desistere dai miei propositi di riconquistarla, adesso è
diverso. Quando una storia finisce,
anche i battiti rallentano. Manca quella persona, ti manca e sai che nessuno
potrà mai sostituirla.. ma io non riesco più ad andare avanti così. Jen mi
chiede di non mollare, io vorrei solo che qualcuno smettesse di tirare. Vorrei che
qualcuno mi sollevasse, che mi prendesse per mano e mi dicesse “eccomi, ti amo”.
È solo questo quello di cui ho bisogno.
Invece mi ritrovo a
rodermi il fegato, immaginando lei e lui stretti in un abbraccio sotto le
lenzuola mentre fanno l’amore. Mi sembra di vederla… lei timida e riservata,
come sempre in queste occasioni (non lasciava mai che l’adulassi più del
dovuto) mentre lui la stringe forte con quelle manone che si ritrova
provocandole fastidio, visto che a lei non piace essere presa con la forza.
Sbatto un pugno sul
tavolino di fronte a me così forte che penso di averlo quasi incrinato. Dio! Ma
come mi viene in mente di pensare una cosa del genere! Devo essere impazzito
del tutto.
-gli stacco le unghie a
morsi se solo ha osato toccarla- ringhio tra i denti pervaso da un senso di
gelosia acuta mentre mando giù altro whisky.
-fanculo la dannata
corda. Fanculo i miei piagnistei. Fanculo Mike e fanculo questa situazione di
merda. Mi dici di non mollare la presa Jen? Ma come faccio a non mollare me lo
spieghi? È andata via con quel babbeo!
Fanculo pure a lui-
Mi rendo conto di
parlare ad alta voce e da solo per giunta così scoppio in una risata sguaiata.
Rido, rido così forte che mi sembra di scoppiare. Rido per sentire meno dolore.
Rido e nelle risa le mie pene si trasformano in singhiozzi e in lacrime che
adesso scendono copiose sul mio viso. Piango, piango come un bambino. Piango
come se mi avessero portato via anche l’aria, piango perché sono solo e non
voglio più esserlo. Cado a terra e colpisco con forza il tavolino davanti a me
facendolo stridere sul pavimento. Mi porto una mano tra i capelli e tiro forte
mentre i singhiozzi mi scuotono la schiena.
Basta. Vorrei urlarlo e
vorrei che qualcuno lassù mi sentisse. Vorrei riuscire a smettere di pensare,
di ragionare e di provare dolore. Vorrei spegnere ogni sentimento ed emozione.
Ma non ci riesco.
L’unica cosa che si
spegne è la luce e non sono nemmeno io farlo.
Mi ritrovo al buio e
con la soffocante sensazione di essere appena stato ingoiato dalle tenebre.
Afferro il cellulare
dalla tasca del cappotto e cerco di fare un po’ di luce. Mi dirigo verso
l’interruttore, ma scatta a vuoto quando tento di riaccenderlo.
È il generatore principale penso, mentre sbotto contro il destino che non mi
lascia nemmeno soffrire in pace. Con le guance ancora bagnate apro la porta di
casa e scendo giù in magazzino. Il generatore si trova in un angolo a destra
del deposito. Mi oriento grazie alla flebile luce del cellulare ma so che
riuscirei ad individuarlo anche al buio quando un boato squarcia il silenzio ed
io mi ritrovo scaraventato con inaudita potenza contro al muro alle mie spalle.
Perdo i sensi per un
po’, lo capisco dal fatto che quando mi risveglio intorno a me si è scatenato
il caos, con alte fiamme che si stagliano fin sul soffitto. Faccio un rapito
inventario delle mie condizioni e capisco che mi fanno male la schiena e la
gamba. Forse ho anche sbattuto la testa. In un istante di lucidità mi domando
cosa diamine sia successo, ma mi interrompo quando vengo investito dal fumo.
Tanto fumo.
E ho paura.
Vorrei avere la forza
per spostarmi ma non riesco a muovere un muscolo. La mia gamba è imprigionata
sotto una montagna di ferro e la testa mi gira così tanto che non riesco a
mantenere gli occhi aperti. Sento un rivolo di sangue colarmi dalle tempie sul
viso, mentre comincio a sentire sempre più caldo.
Precipito nel panico.
L’aria all’interno del magazzino è satura di fumo e inizio a tossire e tossire,
tanto che mi sembra di scoppiare. Se avessi mangiato qualcosa nelle ultime ore
a quest’ora mi ritroverei sommerso nel mio stesso vomito. Ripenso alle
preghiere di poco fa, alla mia assurda richiesta di smettere di soffrire.
-non voglio morire! Mi
hai sentito? Non voglio morire- mi rivolgo a Dio ma spero che qualcuno sia più
vicino da riuscire a sentirmi.
Mi metto ad urlare ma
le mie urla vengono soffocate da un altro scoppio e dal conseguente rinculo che
mi appiattisce ancora di più al pavimento. Ho il tempo di scuotere la testa ed
alzarmi un pochino, ma qualcosa di terribilmente pesante mi piomba addosso e
poi perdo conoscenza.
Pov. Bella
Sabato 29 ottobre 2011
Ore: 02.15 del mattino
-il dottor Abernathy si
sta preparando ad operarlo- la voce di Esme si spezza in più punti quando torna
a sedersi sulla seggiola accanto a me. Strizzo gli occhi per il dolore che
sento al petto e rabbrividisco consapevole che la vita di Edward dipende
dall’esito di questo intervento.
Emorragia intracranica hanno detto. Conseguenza del trauma celebrarle
provocato (in questo caso) da una forte botta in testa. Mi sono sentita
conficcare la schiena da un miliardo di spilloni arroventati quando il Dottore
è uscito per comunicarci l’esito della TAC. Aveva cominciato ad esprimersi con
una sfilza di paroloni fino a che non ce l’ho fatta e sono esplosa chiedendogli
di essere il più chiaro possibile.
-l'emorragia
intracranica è una grave emorragia che causa l'accumulo di sangue all'interno
del cranio e può portare ad un aumento della pressione intracranica appunto. Che
a sua volta provoca lo schiacciamento del delicato tessuto cerebrale e ne limita
l'apporto di sangue. Dobbiamo intervenire subito perché un grave aumento della
pressione intracranica può causare un'erniazione cerebrale
potenzialmente mortale-
Potenzialmente mortale. È da quando ha detto queste parole che non faccio
altro che stringermi le mani intorno al busto per paura di rompermi in mille
pezzi al minimo tocco, e cadere a terra in frantumi. In effetti è quello che
sto facendo da quando l’infermiera incaricata di avvisare i parenti non mi ha
chiuso il telefono in faccia congedandosi semplicemente con -non posso dirle di
più, mi dispiace-
Sono rimasta a fissare
la cornetta imbambolata per qualche secondo mentre dentro ribollivo di rabbia. Non posso dirle di più mi ha detto. Non posso dirle di più! E certo! Intanto sono io quella che muore di
paura. Alla luce dei recenti fatti e delle recenti rivelazioni, posso dire
con certezza che avrei preferito rimanere nell’ignoranza.
Ti prego-ti prego-ti prego fa che non muoia, mi metto a pregare mentre afferro con mani tremanti
la lana del maglione che indosso, stringendo le dita così forte da sbiancarmi
le nocche.
-Edward! Non azzardarti
a fare una cosa simile- ringhio tra i denti disperata con le lacrime che mi
scorrono sul viso e mi impediscono anche di vedere bene. Non può morire.
Semplicemente, non può. Esme al mio fianco si sposta per afferrare saldamente
un mio ginocchio.
-non ci abbandonerà
Bella. Abbi fede- mi volto a guardarla stupita che sia riuscita a sentirmi.
Vedo così tanto terrore nei suoi occhi che da solo potrebbe annientare il mio,
quello di Alice e quello di Carlisle messi insieme. È una madre che sta
bruciando sul rogo della paura. Provo a mettermi per un istante nei suoi panni,
ad immaginare di trovarmi al posto suo, con Sophie in una sala operatoria che
lotta tra la vita e la morte e mi sento male. Di getto le butto le braccia
intorno al collo e la stringo forte. La abbraccio come non ho mai fatto prima
d’ora.
-oh Esme ho così tanta
paura- ormai singhiozzo peggio di una bambina e il guaio è che non riesco a
fermarmi.
-lo so, ma ehi? Edward
è forte. Ha una volontà di ferro il mio ragazzo. Non ci abbandonerà- mi prende
il viso rigato di lacrime nelle mani e con i pollici ne scaccia via qualcuna.
Ha la determinazione di chi non accetta che le stia succedendo qualcosa di
terribile. La capisco; se si lasciasse andare, se ci mostrasse realmente quanto
dolore si porta dentro, sarebbe la fine. Perciò stringo con forza le sue mani
introno alle mie guance e annuisco.
-si Edward, è forte.
Lui… lui ce la farà me lo sento – e
lo sento davvero, ma in questo momento vorrei solo piangere fino a sentirmi
male per il dolore cupo che ho nel petto. Esme continua a stringermi forte. Mi
trasmette tanto affetto e mi fa capire quanto mi è vicina. È strano… ma penso
che quello che proviamo adesso ci abbia fatto dimenticare gli ultimi tre anni
della nostra vita, ed è come se ci ritrovassimo a vivere questo momento
difficile senza che nulla sia mai cambiato. Non solo con lei, ma anche con
Carlisle e Alice. Siamo tornati ad essere una famiglia. Condividiamo insieme il
dolore e la paura di perdere Edward. Io sono tornata ad essere sua moglie oltre
che nel mio cuore anche agli occhi degli altri. E se la reazione disperata che
ho avuto quando sono arrivata in ospedale non è stata sufficiente, scommetto
che la scenata di gelosia che hanno visto tutti nemmeno mezz’ora fa, abbia
contribuito a fugare loro ogni dubbio.
Ore 01:50 del mattino.
Esco dal bagno ancora
intontita. Penso di aver vomitato anche l’anima dentro a quel wc. Mi sono
bagnata il viso, i polsi e ho spruzzato anche un po’ d’acqua dietro al collo,
ma la sensazione di avere un macigno all’altezza dello stomaco non mi ha ancora
abbandonata. Il mio viso ha assunto una tonalità verde giallognola e sotto gli
occhi ho delle profonde occhiaie. Le linee d’espressione sono perennemente
contratte, come se sentissi una fitta di dolore continua.
Prendo un bel respiro e
mi faccio coraggio prima di tornare in sala d’aspetto.
Esme, Carlisle e Alice
sono seduti nella stessa posizione in cui li ho lasciati prima. Sono immobili
come statue; completamente atterriti dalla preoccupazione. Ho gli occhi fissi
su di loro ma quando una chioma bionda entra nel mio campo visivo, mi paralizzo
sul posto all’istante. È seduta sulla sedia di fronte, ha le mani giunte in
grembo, il viso nascosto da una cascata di capelli. Si porta una mano alla
guancia per scacciare via una lacrima e solo in quel momento riesco a vederla
in volto. Mi accorgo che stanno parlando tra di loro solo dal movimento delle
labbra, il loro tono è troppo basso per riuscire a sentire quello che si stanno
dicendo. La guardo incuriosita e il primo pensiero che ho è che è molto bella,
anzi bellissima. Una bellezza che ricordo di aver visto da qualche parte, solo
che non rammento dove.
Chi sei? Penso
aggrottando le sopracciglia. Ci metto qualche istante prima di capire che le
immagini sfuocate che conservo di questa donna appartengono a qualche settimana
fa. Si, adesso ricordo benissimo!
Penso, era in compagnia di Edward nel
ristorante di Steve la sera prima dell’incontro con la maestra di Sophie.
-che cazzo…- sbotto
incredula, mentre sento divampare in me un senso di gelosia mai provato prima.
Accecata da quest’ultima e dal precario equilibrio psichico del quale sono
vittima già da un paio d’ore (forse l’ultimo briciolo di lucidità è finito nel
cesso insieme al salmone di Jen), mi fiondo su di lei come una furia senza
pensarci due volte.
-chi sei? E cosa diavolo ci fai qui!- la mia
voce le arriva alle spalle, ma quando si gira e mi vede sulla soglia, sembra
che il suo viso prenda inspiegabilmente vita.
-oh, tu devi essere
Bella, la…-
-si, la moglie di Edward. Mi domando con quale
faccia hai il coraggio di presentarti qui-
-ehi calma i toni!- dice
alzandosi.
-Bella, non è come
credi…- Alice prova a parlare ma la interrompo bruscamente.
-no Alice. Deve
andarsene-
-io non vado da nessuna
parte!- sbotta la diretta interessata.
- bene! Fai come vuoi!
Ma sappi che non ti lascerò mai avvicinare a Edward. Mai, hai capito? Lui è mio. Mio
e di nessun altro- le parole mi escono di bocca senza nessun controllo ed è
troppo tardi quando mi accorgo di quello che ho detto. Il cuore mi batte come
un tamburo nel petto e le mie gambe cominciano a vacillare, ma credo di non
esserne mai stata più felice. Guardo i visi di Esme e di Alice stupite più di
me rivolgermi un sorriso complice, Carlisle si limita a darmi una pacca sulla
spalla. Ma il viso che mi stupisce di più è quello della ragazza che ho di
fronte. Mi sorride… si, ha un sorriso di compiacimento sul volto. Mi domando
perché diamine stia reagendo in questo modo.
-ma… cosa?-
-io gliel’ avevo detto
a quello zuccone, ma non mi ha mai creduto. Quanto sono felice di sapere che
non mi sbagliavo-
Scuoto la testa -io,
non capisco…-
A questo punto la
modella che ho davanti allunga una mano verso di me per presentarsi -piacere di
conoscerti Bella, io sono Rosalie. Amica, confidente e collega di Edward.
Purtroppo ex collega, alla luce di quanto è successo- scorgo un lampo di dolore
nei suoi occhi quando finisce di parlare. Rimango inebetita a fissarla senza
parole, probabilmente più colpita dal fatto di essermi comportata come un
emerita idiota, che di sapere che non è legata a Edward da nessuna relazione.
Anche se inconsciamente mi ritrovo a liberare un sospiro di sollievo.
Torna a sedersi di
fronte a Esme regalandomi un leggero sorriso, e insieme a noi, rimane in
attesa.
Ore 03:30 del mattino
-ma perché non ci
dicono niente? È più di un ora che è là dentro- Alice è incontenibile, non
riesce a stare un attimo ferma: va su è giù per la stanza, si sposta nei
corridoi, spalanca le finestre, prende una boccata d’aria e poi torna a
sedersi, ogni venti minuti corre in bagno e prima di tornare fa una capatina al
distributore per imbottirsi di caffè.
-Alice calmati- il
padre esasperato, le afferra la gamba che continua a far sbattere ripetutamente
contro la sedia- sono sicuro che sta andando tutto bene. Se così non fosse
sarebbero già venuti ad avvisarci. Anzi penso sia un bene se ci mettono tanto-
-grazie tante papà!
Adesso mi hai fatto agitare ancora di più- si alza sbuffando probabilmente per
andare a trangugiare altra caffeina.
-ma che ho detto?-
Carlisle mi guarda con l’aria di chi è stato accusato ingiustamente di un
crimine che non ha commesso.
-scommetto che vorrebbe
avere Jasper qui al suo fianco per sostenerla- ma non c’è, è a casa con Sophie.
-mmphm- sbuffa anche
lui imitando il tono contrariato della figlia e torna ad appoggiarsi contro lo
schienale della sedia. Si porta le mani nei capelli ad imitazione del figlio. Edward
compie sempre questo gesto quando è agitato o nervoso; solo a pensarci le
lacrime spingo di nuovo per uscire.
Per quanto anche io sia
nelle stesse condizioni di Alice, il suo atteggiamento ha un che di sospetto
però. Mi ritrovo ad aggrottare la fronte quando un pensiero si fa strada in me,
come se per tutto questo tempo avessi avuto davanti agli occhi la risposta e me
ne rendessi conto solo adesso. Se non sapessi che è in pena per il fratello
penserei che sia…Oddio! Raddrizzo di colpo la schiena e mi alzo per andarle
dietro.
Per tutti i Santi del
paradiso, è incinta?
La trovo nella tromba
delle scale che conducono al piano di sopra. Si asciuga le lacrime quando le
siedo accanto e le metto un braccio intorno alle spalle per consolarla. Non
stavamo così vicine davvero da molto tempo, da quando la separazione da Edward
è diventata effettiva, cioè tre anni fa. Lei mi ha sempre portato rancore per
averlo lasciato.
-mi ha appena
telefonato Jasper, dice che Sophie dorme tranquilla nel suo lettino. Lui invece
è alla quarta tazza di caffè- sbuffa tra le lacrime – io penso che tra poco
darò i numeri, invece- si stringe le gambe con le braccia e poggia la testa
sulle ginocchia prendendo un respiro profondo; probabilmente per respingere un
conato di vomito.
-di quanto sei?- le
chiedo in un sussurro accarezzandole i capelli. Si volta a guardarmi con gli
occhi sbarrati e capisco di aver ragione. Le lacrime tornano ad inondarle gli
occhi e prima che abbia il tempo di dire altro mi ritrovo stretta tra le sue
braccia.
-oh Bella. Come l’hai
capito?- le tremano le mani quando dopo un po’ torna a parlarmi.
-shh calmati, non
agitarti. Non ti fa bene-
-si, ma… come l’hai
capito?-
-sono stata incinta
anche io, ricordi? Sei emotivamente instabile, ogni venti minuti corri in
bagno, di tanto in tanto hai bisogno di prendere una boccata d’aria fresca per
respingere la nausea e le tue tette sono più grosse-
Sorride alle mie parole
e si porta subito le mani al seno. Sono felice di averla seguita, parlare la
distrarrà un po’e aiuterà me a non impazzire nell’attesa di sapere
qualcosa.
-sono di dodici
settimane- dice tirando su con il naso – non lo sa ancora nessuno, a parte
Jasper naturalmente-
-quindi, quando l’altra
sera a casa dei tuoi…-
-si, lo sapevo, ma non
ho detto niente. Non è questo il motivo per cui vogliamo sposarci però- si
indica la pancia con un gesto della mano – noi vogliamo sposarci perché ci
amiamo. In effetti avremmo voluto che ci sposassimo prima di… beh hai capito
no? Ma è successo e non possiamo tiraci indietro- dalla sua voce e dai suoi
occhi capisco che questa gravidanza non deve essere del tutto gradita.
La novità del bambino,
che di per se è una gioia e non certamente una disgrazia, l’ha messa ancora di
più in crisi per il rapporto che Jasper ha con il padre. La sfuriata di
quest’ultimo alla cena di una settimana fa le ha fatto capire quanto non sarà
felice di venirlo a sapere, anche se i bambini fanno miracoli in questi casi. E
adesso c’è l’incidente di Edward, che l’ha annientata del tutto.
Dio, deve essere distrutta penso.
-la prima cosa che devi
fare è smetterla di bere caffè. Non ti
fa bene e lo sai. Seconda cosa… beh, stavo per dirti di non agitarti ma vista
la situazione non posso pretendere che tu lo faccia-
-no, non posso. Dire
che sono terrorizzata è un eufemismo. Sono molto più che terrorizzata, sono a
un passo dal perdere la testa. Ancora non ci credo che Edward stia lottando tra
la vita e la morte. Prego ogni secondo per vederlo uscire vivo da quella sala
operatoria. Il bambino può aspettare, io posso aspettare, mio padre e le sue
assurde convinzioni possono aspettare. Adesso voglio solo che mio fratello
torni da me, chiedo solo questo… solo questo- torna a piangere sulla mia spalla
con me ad imitarla. Ci aggrappiamo l’una all’altra, come se io fossi la sua
roccia e lei la mia. Abbiamo bisogno di attaccarci a qualsiasi cosa, fisica o
spirituale, per andare avanti, per non impazzire dall’ansia e dalla paura.
-okay, torniamo di la-
tiro su con il naso mentre mi pulisco gli occhi con la manca del maglione- non
ti fa bene stare seduta su queste mattonelle fredde.
-ti prego Bella non
dire niente a nessuno- mi stringe forte la mano come ad imprimere maggiore
urgenza alle sue parole- promettimelo-
-si, te lo prometto
Alice, non dirò niente. Ma tu dovrai dirlo ai tuoi genitori prima o poi. Almeno
prima che la “questione” diventi evidente- fragile
e magra per com’è non dovrà aspettare molto penso.
-lo so. Me ne occuperò
presto, ma non adesso. Non con Edward in queste condizioni. Adesso è lui ad
avere la priorità assoluta. Solo lui, lui e nessun altro-
Ore 04.00
Poggio la fronte contro
il metallo freddo della macchinetta mentre aspetto che il caffè venga fuori.
Sono distrutta, ho il cuore in frantumi e non so come farò a ricucirne i pezzi.
Forse solo Edward sarà in grado di farlo ed espiare così le mie colpe.
Sbuffo strizzando gli
occhi. Ma chi voglio prendere in giro?
Mi domando. Sono io la sola e unica responsabile delle mie scelte e dei miei
errori. Ho sempre avuto la cattiva abitudine di attribuire tali colpe a Edward
quando in realtà lui non è mai stato responsabile di nulla.
È successo nel periodo
di crisi che ci ha portato al divorzio, quando io lo accusavo ingiustamente di
avermi abbandonato, mentre ero io che l’allontanavo senza un reale motivo,
forse anche solo per capriccio. L’ho fatto l’altro giorno, quando Tania mi ha
raccontato quel mucchio di balle e non ho lasciato che Edward mi spiegasse la
sua versione dei fatti. L’ho fatto ieri sera, quando me ne sono andata via con
Jacob invece di seguirlo e adesso si trova in un letto d’ospedale per colpa
mia, a lottare tra la vita e la morte solo perché io non ho ascoltato il mio
cuore.
Da quando il Detective
Cameron è venuto poco fa a comunicarci le novità sul suo incidente mi sento
come se mi fosse crollato il mondo addosso.
Una completa e totale
nullità.
E tutto per colpa del
mio stupido orgoglio.
Finirà mai quest’ondata di disprezzo che sento nei
confronti di me stessa? mi chiedo.
-Edward, ti prego
perdonami. Ti prego…è tutta colpa mia- sussurro mentre una lacrima solitaria
scende sulla mia guancia lasciando dietro di se una scia incandescente.
-non essere così dura
con te stessa- la voce di Rosalie che mi arriva alle spalle mi fa letteralmente
saltare in aria dalla paura.
-scusa, non volevo
spaventarti-
-no, tranquilla. Non…
non mi hai spaventata- ho il fiatone e automaticamente porto una mano sul cuore
per mettere a tacere la sua folle corsa.
Sorride del mio gesto,
in netto contrasto con le mie parole. Mi fermo a fissarla imbambolata colpita
dalla sua bellezza.
-lo prendi quel caffè?-
-mmh?-
-il caffè, lo prendi?-
-oh, si certo- ricordo
all’improvviso il motivo per il quale mi trovo in mezzo al corridoio e mi giro
a recuperare il mio bicchiere.
Rosalie viene a sedersi
accanto a me quando mi accomodo sulla panca più vicina.
-ti ho sentita prima
sai?-
-quando?- pur essendo
due perfette sconosciute mi sento a mio agio a parlare con lei. Forse mi
condiziona il fatto di sapere che Edward si fida di lei a tal punto da considerarla sua confidente.
-chiedevi perdono a
Edward. Non devi prenderti colpe che non hai Bella-
-è tutta colpa mia
invece. Se solo mi fossi decisa a tornare da lui…-
-tutto quello che è
successo sarebbe accaduto ugualmente, e magari invece di preoccuparci per una
sola persona a quest’ora staremo a piangere anche per te-
“una bomba, signora. È stata questa la causa dell’esplosione
che ha generato l’incendio in cui è rimasto coinvolto il signor Cullen. È stato
un atto doloso. Hanno cercato di ucciderlo”
le parole del Detective Cameron mi risuonano ancora nelle orecchie.
-il Detective ha detto
che era una bomba a detonazione controllata, questo vuol dire che chi l’ha
fatta esplodere ha aspettato che Edward tornasse a casa prima di azionare il
comando a distanza. Se io fossi stata con lui forse chi gli voleva del male si
sarebbe fermato-
-non possiamo saperlo e
poi dubito che chi piazza una bomba per compiere un tale gesto si fermi per
compassione nei confronti di una donna-
-si, ma forse sarei
stata in grado di salvarlo- dico alzando un po’ la voce- non avrei lasciato che
le fiamme gli ustionassero la gamba destra prima dell’arrivo dei soccorsi.
Magari avrei potuto anche fermare la trave che gli è caduta addosso
provocandogli l’emorragia- mi scaccio con rabbia le lacrime che hanno preso a
scendere silenziose sul mio viso - Io… io non lo so. So solo che mi sento così
in colpa per averlo lasciato solo! Lui non doveva essere solo, sarei dovuta
esserci anche io, capisci? Sarei dovuta andare via con lui o avrei potuto
portarlo a casa mia! Avrei potuto fare un sacco di altre cose e invece me ne
sono andata. Io…come faccio a dire a Sophie che ha perso il suo papà se Edward
non dovesse farcela? Dovrei esserci io al posto suo adesso…lui non può morire.
Non può lasciarmi!- le lacrime scendono incontrollate mentre dei forti
singhiozzi mi scuotono le spalle. Il pensiero di Sophie che fino a quel momento
è rimasto relegato in un angolino del mio cuore, irrompe prepotentemente
togliendomi il fiato. Sento come se il mio petto fosse diventato di ghiaccio;
un enorme blocco gelato che mi impedisce anche di respirare. Il dolore arriva a
ondate che mi fanno piegare letteralmente in due, nell’innaturale gesto di
accoglierlo e abbracciarlo.
-shh, Bella… shh. Non
fare così- le braccia di Rosalie mi circondano le spalle ma sento la sua voce
incrinata dal pianto. Anche lei sta sfogando tutta la tensione che si porta
dentro da ore ormai.
Ci ritroviamo a
frignare attaccate l’una al braccio dell’altra, con lei che mi sussurra parole
di conforto all’orecchio neanche fossi una bambina. Rosalie è un Ancora di salvezza confortante al quale aggrapparsi nei
momenti di bisogno penso, poiché le sue parole hanno un non so che di
calmante. Forse sarà per lo sfogo di prima o per la rassicurazione di avere
accanto un corpo caldo a cingermi le spalle, mi ritrovo a scivolare tra le
braccia di Morfeo senza neanche rendermene conto.
Mi sveglio di
soprassalto poco dopo da un sonno agitato e profondo, con ancora la testa
poggiata sulla sua spalla.
-oddio, mi dispiace,
non volevo crollarti addosso- dico allontanandomi di scatto. La mia voce è
impastata dal sonno; forse non ho poi dormito così poco come pensavo.
-che ore sono?-
-sono le 04.30. Hai a
malapena chiuso gli occhi per mezzora, forse anche meno-
Mi porto una mano al
viso come per cancellare ogni residuo di stanchezza.
-a me sembra di aver
dormito per ore invece- il flash del volto di Edward mi provoca dei brividi
lungo la schiena e le braccia - ci sono novità?-
-no, nessuna- mi
risponde prendendo a massaggiarsi il collo e la spalla dove prima c’era
poggiata la mia testa.
-mi dispiace, ti ho
fatto male? Non avrei dovuto…-
-oh no, non
preoccuparti. Sei crollata così in fretta che mi hai fatto prendere un colpo,
ma eri così distrutta dal pianto che è stato il tuo corpo a chiederti di
dormire, per trovare un po’ di pace…-
Mi schiarisco la voce,
imbambolata e colpita dalla sua sincerità- sì, probabilmente hai ragione-
Mi rivolge un sorriso
complice che in realtà ha tanto l’aria di lo sai che ho ragione, dillo che stai male.
Spinta da questa sua
schiettezza nei miei confronti decido che è il momento adatto per farmi avanti
e parlare di quello che è successo poche ore fa, d'altronde mi sento come se mi
avessero messa in castigo per aver parlato a sproposito. Ed io odiavo essere
messa in castigo da bambina, quando mio padre mi sgridava solo per aver detto
quello che pensavo.
- mi dispiace-
-ti ho già detto che è
tutto okay, non preoccuparti-
-no, mi riferisco a
“prima”. Quando ti ho accusato ingiustamente di... io… io non volevo, scusami-
dico imbarazzata.
-oh, certo che volevi-
mi rivolge uno sguardo acuto, ma nel suo volto non c’è traccia di risentimento.
Anzi, appare divertita semmai.
-si, è vero. Ti ho
vista qui e non c’ho capito più niente- mi ritrovo ad ammettere spinta dal suo
sguardo insistente -mi dispiace di averti attaccata però, se ti avessi lasciata
spiegare avrei evitato di fare quella figuraccia-
-io invece sono felice-
-di cosa? Della mia
figuraccia?-
-io non la chiamerei
figuraccia. Mi sei sembrata piuttosto una leonessa, pronta ad attaccare per
difendere il suo territorio. Hai dimostrato quanto tieni a Edward e questo non
può che rendermi felice-
-ohh…- le mie labbra si
aprono a formare una O perfetta senza riuscire ad aggiungere altro.
Rosalie appare
divertita dalla mia espressione e per amore di decenza si mette una mano sul
viso per nascondere la sua ilarità.
-Bella, ammettilo. Sei
gelosa marcia! Mi avresti azzannato alla giugulare se Alice non si fosse messa
di mezzo. Ma davvero pensavi che sarei venuta qui in ospedale, pur sapendo che
avrei trovato tutta la famiglia di Edward, se fossi stata la sua compagna?- la
sua spontaneità mi coglie ancora una volta impreparata.
-io, beh… è che vi ho
visti insieme quella sera… e poi ti ho visto di nuovo qui, e…- mi ritrovo a
balbettare peggio di un balbuziente tanto è forte l’imbarazzo che sento.
-ti ho già detto che
Edward e io siamo solo amici, non devi temere nulla-
- lo so-
-sì, beh… e già che ci
siamo posso dirti tranquillamente che non devi temere nessun’altra-
-sei sicura? Non voglio
ritrovarmi ad affrontare nuovamente questo discorso-
-si, ne sono sicura.
Perché in realtà non c’è nessun’altra, non c’è mai stata nessun’altra nella
vita di Edward-
-cosa?-
Ed è così che vengo a
sapere la verità. Rosalie mi racconta tutto. Della sera in cui sono usciti e
del fatto che Edward non ha accettato la sua proposta di andare a casa sua. Di
lei che sollevata, ha capito subito che sarebbero diventati ottimi amici. La
storia di Edward e del fatto che non è mai andato a letto con nessun’altra
donna dopo avermi tradito.
-ma io l’ho visto
uscire spesso con altre donne. Come…?-
-non ci è mai andato a
letto però. In realtà non le ha mai sfiorate con un dito. Ci usciva solo per
darsi un tono, per apparire uomo agli occhi degli altri e anche per sentirsi
meno solo. Ma credimi, non è mai andato oltre-
Sono allibita. No, io…
io sono sconcertata. Sono senza parole.
-ma perché? Perché?-
-ah no! Io mi fermo
qui. Non aggiungerò altro, sarà lui a raccontarti ogni cosa quando si
sveglierà. Anche se…-
-anche se?-
-beh non ci vuole un
genio per capire il reale motivo per cui l’ha fatto-
Mi perdo nei miei
pensieri mentre provo a scacciare indietro l’unica, inevitabile e possibile
realtà che mi si presenta davanti agli occhi, che si ripete nelle mie orecchie
da quando Rosalie ha cominciato a parlare.
Per me. Lo ha fatto per me. il mio cuore ricomincia la sua folle corsa
balzandomi letteralmente in gola mentre per la prima volta da tre ore ormai sul
mio viso compare un sorriso sincero.
-su adesso, andiamo di
là. Qui si congela- la voce di Rosalie mi arriva alle orecchie come un suono
lontano: è come se mi trovassi su una nuvoletta a galleggiare beatamente sulla
sua soffice sommità, confortata dalle sue parole.
Edward resisti ti prego. Oh, amore mio ho bisogno di
parlarti, di sapere quello che c‘è tra di noi. Quello che c’è sempre stato e
che nonostante le avversità continua ancora a legarci. Penso queste parole in religioso silenzio mentre in
realtà vorrei urlarle a squarciagola.
Rosalie mi tende la
mano ed io l’afferro molto volentieri, forse è ancora presto per dirlo ma…
penso che diventeremo ottime amiche.
Percorriamo il
corridoio vicinissime stringendoci entrambe le braccia intorno al busto.
-penso proprio che
nevicherà, la temperatura è calata di brutto- dice appoggiandomi una mano sulla
spalla.
-si, credo tu abbia
ragione. Sophie ne sarà felicissima-
Sorrido al pensiero
della mia bambina ma il sorriso mi si congela sulle labbra quando entrando in
sala d’attesa devo il Dottor Abernathy parlare con il resto della famiglia
Cullen.
Improvvisamente sembra
che il calore del mio corpo sia scivolato via e mi faccio prendere dal panico.
Indietreggio invece di andare avanti, e la verità è che non voglio avvicinarmi,
non voglio saper quello che ha da dirmi. Non voglio che mi dica che Edward non
c’è l’ha fatta. Non voglio sentirlo.
Mi porto le mani a
coprire le orecchie mentre sento le forze venirmi meno. Tutt’intorno a me
sembra essersi formata una bolla che mi rende sorda ad ogni altro rumore.
Vedo Alice scoppiare a
piangere e Esme affondare la faccia nel petto del marito mentre lui la stringe
forte; due cose che mi fanno perdere quel briciolo di speranza che mi era
rimasto.
La paura mi atterrisce
mentre rimbomba attraverso il mio petto bloccandomi il respiro e, quasi, il
cuore. Il dolore forma una fascia gelida intorno al mio torace, e cado sulle
ginocchia vacillando, impotente.
Avverto la mano di
Rosalie cercare di sostenermi ma è il buio ad avere la meglio.
Ho solo il tempo di
accorgermi che le parole di Alice –Edward sta bene, è vivo- non combaciano con
l’idea che mi sono fatta entrando in sala, che la mia vista si oscura e cado
inerme, sbattendo la faccia sul pavimento gelido.
Mmhphh immagino la vostra faccia in questo momento…
E’ qualcosa tipo questa O_o?
A voi i commenti! Grazie mille come sempre per l’affetto che
mi dimostrate nelle splendide recensioni che mi lasciate.
Alla prossimaaaa,
baciiii!