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Autore: cardi    02/03/2013    1 recensioni
Un paese sperduto, due ragazzi, un unico destino, un caso estremo.
LEGGETEMI :3
Devo consegnare questo testo alla mia professoressa di lettere entro lunedì potete lasciare un commento? E' per un concorso letterario che spero di vincere e vorrei sapere le vostre opinioni.
Grazie a chi recensirà, è importante per me, molto mi prendono in giro perché dicono che una cosa del genere non piacerebbe a nessuno... Ma spero di incuriosirvi un po'
Genere: Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                                                        Un caso estremo

‘Smettila!’ urlò Sara, ridendo come una pazza davanti a me. Iniziò a rotolarsi dalle risate nel prato verde  mentre io la guardavo scioccato, insomma era solo una battuta e una mia per di più! Continuava a massaggiarsi la mascella per il gran ridere fino a che le lacrime non iniziarono ad uscirle dagli occhi per la forza delle sue emozioni. La schernì più volte, insomma, ero proprio bravo a fare le battute allora! Ma quando mi avvicinai a lei, vidi che la sua espressione sempre spensierata e sarcastica era cambiata, mentre il viso si stringeva in modo sofferente. Le alzai il mento con un dito e feci incontrare i suoi occhi neri nei miei, ma non erano accoglienti come al solito mentre le lacrime le rigavano le guance e il volto si stringeva in una morsa sofferente. Iniziai a preoccuparmi e mi guardai intorno in cerca di aiuto, ma in quel prato, quel bellissimo pomeriggio di giugno, non c’era anima viva. La voce di Sara mi richiamò implorante e affannata ‘Basta... Ti prego, sai che odio il solletico...’.

Mi alzai di scatto e lei crollò a terra, esausta continuando a respirare profondamente e tornando pian piano ad un ritmo regolare. Indeciso su cosa fare, rimasi immobile per qualche minuto e meditai sulle sue parole fino a che Sara non si mise a sedere nell’erba, con una lentezza che parve infinita. Aveva il volto crucciato e per abbracciarla mi abbassai sul prato sfiorando l’erba con le dita, non feci in tempo ad avvicinarmi a lei che mi bloccò la mano e mi guardò con sguardo truce. ‘Ti ho detto di smetterla con il solletico.’ Mi ribadì severa.

Quelle parole non avevano senso, non la stavo nemmeno toccando! Aveva un urgente bisogno di una visita dallo psicologo quella ragazza oh si, lo avevo sempre pensato che era un po’ troppo fuori di testa.

‘Sara torniamo a casa, hai la febbre’ constatai e le tesi una mano ma lei la rifiutò. ‘Lasciami qui, sul prato.’

‘Sei pazza? Tra poco farà notte e non puoi restare fuori’ ribattei ma vedendo che lei non accennava ad alzarsi la presi di peso e la portai in braccio ma dopo pochi passi di fatica nonostante fossi più grande di lei iniziò ad agitarsi dicendo ‘Lasciami, lasciami! Pesi troppo!’ . La scaraventai a terra e lei si massaggiò la schiena per la botta. ‘Se ti sfugge Sara, ero io che ti portavo in braccio quindi vedi di non lamentarti okay?’.

‘No, ero io che ci sostenevo!’, rispose lei decisa. ‘Questa frase non ha senso’, dissi io .

‘Sei tu che non ne capisci il senso!’ ringhiò la ragazza davanti a me. Era impossibile che fosse diventata così scontrosa in un attimo. Mi buttai a terra frustrato e dissi ‘Se resti qui, resto anche io. Tanto oramai si è fatta notte non ci conviene tornare al palazzo a quest’ora, i cancelli saranno chiusi.’

Sara annuì lievemente facendo dondolare la chioma rossa ‘Buonanotte Giacomo’

Non risposi, arrabbiato com’ero con lei. Insomma che gli era preso? Non era mai stata così acida. Beh, magari lei lo era, e parecchio. Ma mai con me e mai lo era diventata con un cambiamento così repentino d’umore. Iniziai istintivamente a strappare l’erba dal prato  emettendo ogni tanto qualche ringhio di disapprovazione.

Avevo strappato solo qualche filo d’erba quando Sara iniziò a contorcersi tra le foglie come posseduta. Gli arti si muovevano incontrollati e gli occhi neri erano sbarrati e fuori dalle orbite, la bocca si aprì e mi aspettai un urlo ma lei lo ricacciò dentro per paura di essere sentita e per non urlare si morse le labbra. Accorsi in suoi aiuto cercando di dare fine a quei movimenti bruschi quando il sangue colò dal labbro spaccato dalla forza dei denti di tener chiusa la bocca e senza badare ai fili d’erba strappati nella mia mano li buttai a terra tenendo stretto Sara in un abbraccio, restammo abbracciati in mezzo al prato fino a che sentii i respiri del suo cuore farsi di nuovo regolari e la vidi afflosciarsi a terra stremata dal dolore....Ma la domanda che mi assaliva era : quale dolore?

Mi guardai intorno in cerca di qualche freccia tirata da un arco nemico o qualche altra arma che i viandanti usavano a quei tempi,  ma niente. Mi passai una mano nei capelli neri e li solo li mi resi conto del sangue che colava dalle mani, ma non era il mio, era quello della ragazza sdraiata accanto a  me, era della mia migliore amica. Ma io non avevo toccato il labbro insanguinato di Sara, avevo dell’erba in mano, dell’erba ....  nient’altro. Cercai nel prato quei fili verdi strappati e li trovai accanto a me, impastati di sangue... Ma l’erba non ha il sangue..

Feci sgorgare dell’acqua dal terreno arido con poco impegno e mi lavai le mani aspettando il risveglio di Sara e pensando se magari anche lei avesse appena acquisito un potere speciale. Provava solletico quanto sfioravo leggermente l’erba, diceva che il mio peso gravava in qualche modo sulle sue spalle, dai fili d’erba strappati colava il suo sangue e lei sentiva il loro dolore. Balzai in piedi e senza pensarci due volte afferrai Sara e me la misi sulle spalle e non facendo caso al dolore ai polpacci corsi a perdifiato verso il castello, non importava che fosse chiuso, l’importante era portarla il più lontano possibile dalle foglie, gli alberi, i prati e l’aria pulita che le era sempre piaciuta. Ma se la mia teoria era esatta, allora sarebbe stato meglio che non avesse mai conosciuto nessuna di queste cose, ora che se ne doveva separare per sempre.

                                                                 -

‘La tua teoria è esatta, Giacomo ‘ disse il Re sfilandosi il camicie bianco con cui aveva analizzato Sara. ‘Come esatta?!Sa questo che vuol dire? Sa quanto soffrirà? Bisogna fare qualcosa, bisogna aiutarla!’ iniziai a blaterale ma lui mi bloccò e disse saggio. ‘E’ normale, ora come ora in questo nostro mondo. Ognuno di noi ha un potere tra le mani che inizia a manifestarsi dopo i 18 anni: io controllo i cieli, tu controlli l’acqua, i miei servi sono scelti per le loro capacità rare di controllare il fuoco, c’è chi controlla le menti e chi, come la donna della villa accanto a questo palazzo, ha il dono di sapere sempre quando rompere le scatole e Sara, ha il dono di controllare la natura...’

‘Questo non  è un dono, è una condanna! E’ la natura che prevale su tutto e lei lo sa, non ci metterà molto a prevalere su una diciottenne.’

‘Allora proteggila, aiutala, ma non ce la farà e lo sai. Come non ce l’hanno fatta in tanti. Mi dispiace Giacomo ma è il mondo, o almeno è il nostro.’

‘Allora vedrò di cambiare aria.’ Dissi senza pensare e mi catapultai fuori dalla stanza sbattendo la porta. Ripensai in seguito alle mie parole, avrei mai avuto veramente il coraggio di lasciare il mio paese? E poi dove sarei andato mai, insomma, era tutto perfetto lì fino a poco prima almeno. I miei passi rimbombavano nel corridoio deserto della reggia poco prima che aprissi la porta principale e feci un passo fuori la porta, poi un altro e un altro ancora fino a lasciarmi alle spalle l’intero castello e vedere la collina coprire con i suoi alberi l’ultima torre. Ripresi a percorrere lentamente lo sterrato ricapitolando tutte le cose che erano successe nella giornata: Sara si era trasformata, solo questo. Beh, doveva capitare prima o poi, in fondo il nostro paese era noto proprio per questo, era da secoli che in quel luogo nascevano varie persone con mistici poteri che di solito si manifestavano nell’evolversi dell’età adolescenziale e tutti conducevano una vita piuttosto tranquilla. Ma per Sara non sarebbe stato così. Nella mia mente correvano le immagini di quando rideva al sol mio accarezzare un filo d’erba, il suo piangere quando quest’ultimo veniva strappato dalla radice, la sua capacità di provare gli stessi sentimenti della natura. Ma con i tempi di oggi, nessuno si curava più di questa, e allora, come sarebbe potuta sopravvivere se sentiva addirittura  sulle sue spalle il mio solo camminare sul prato ?

Sara era destinata a morire. Io ero destinato ad impedirlo.

Ero chiuso in una stanza, due ore dopo dell’incontro con il Re. Sara era chiusa nella reggia mentre io pensavo al gesto più drastico che potessi fare ma la mia mente continuava a vagare costantemente verso una decisione, che malgrado tutto quello che potessi aver detto, era quella giusta. Ci voleva un gesto estremo e quello era un bel gesto estremo.

Era passata la mezzanotte, tutto il borgo doveva esser nei letti mentre le menti dei borghesi viaggiavano sicuramente pianificando i prossimi investimenti che sicuramente non avrebbero considerato alcun impatto ambientale. Mi alzai, deciso ed iniziai a farmi strada tra i vicoli deserti passando il mercato e tutte le baracche serrate. Mi posizionai al centro della piazza e cominciai ad urlare sotto la cupola del campanile. “ASCOLTATEMI! Aprite gli occhi, zompate giù dai letti e aprite le serrande, sporgete la testa dalle finestre o uscite dalla porta di casa e ASCOLTATEMI!”. Passò qualche secondo di silenzio prima che si sentì nel fruscio della notte qualche serratura sbloccata, qualche sbadiglio e il lagnarsi di un bambino. Con mia sorpresa i paesani si sporsero dalle finestrelle e le mamme portarono i loro bambini assonnati in piazza, i lavoratori si avvicinavano a me incuriositi mentre la gente faceva capolinea dai vicoli. Ma quando il Re, dalla finestra della sua stanza al lato del campanile, si affacciò e mi vide capii che ora tutto il paese si aspettava una mia parola. “Popolo!- gridai mentre la gente sbattè all’unisono un piede a terra in risposta – è ora di dire basta, basta al maltrattamento della natura. Basta sradicare gli alberi o bruciare le foglie, basta a non curarsi della natura.” Non dissi il perché, non raccontai di Sara perché sapevo che qualcosa li avrebbe fatti arrabbiare: il fatto che per una ragazza si sarebbero dovute fermare tutte le loro industrie e i loro negozi che mantenevano vendendo la legna tagliata dagli alberi o bruciandola per ottenere del calore. Ma non ebbi nessuna risposta solo lo scricchiolare delle foglie sotto il loro passo e il brecciolino spostarsi, provai a fermarli gridandogli contro, invano, ma almeno uno si prese la briga di rispondermi “La legna, gli alberi ci servono. Non dureremmo un giorno senza usarli per nostri scopi e lo sa anche il Re!”. Rimasi lì in piazza, impotente, mentre passo dopo passo i bambini tornavano a dormire e le luci della città si spegnevano una ad una e il Re scuoteva la testa ritornandosene a letto. Avevo fallito.

Passarono tre giorni e un pomeriggio, mentre ero nella stanza del Re a tenere stretta la mano di Sara, il mercato della piazza faceva un affare dopo l’altro. Ero lì quando sentii la stretta di Sara allentarsi mentre in lontananza forse qualcuno segava un albero, e in quel momento la forza di lei venne meno. Ero lì quel pomeriggio quando Sara fece un lungo infinito sospiro prima di guardarmi e sorridermi, per l’ultima volta, quando i suoi occhi profondi divennero muti. E quel pomeriggio le lacrime iniziarono a rigarmi le guance mentre prima il piede sinistro e poi il destro superavano uno scalino dopo l’altro le scale del campanile. E quel pomeriggio salii in cima e mi misi davanti alla campana chiamando per l’ultima volta l’attenzione del popolo impegnato con gli affari a me. “C’era una volta una ragazza- dissi in quello che mi parve un sussurro più a me che a loro che pendevano dalle mie labbra con il naso all’insù per guardarmi- che a diciotto anni era capace di controllare la natura. Ma la natura prevale su tutto e pochi minuti fa  ha prevalso anche su di lei malgrado io vi avessi avvertito di evitare di farle del male...Sara è morta.” Abbassando lo sguardo vidi la madre abbracciare il suo secondo figlio e iniziare ad urlare dal dolore. Solo in quel momento mi resi conto che non bastava piangere, si piange un giorno e poi si dimentica tutto. Bisognava cercare un gesto ancora più estremo perché una lacrima che fugge dagli occhi di un uomo è insignificante di fronte alla morte di Sara. Ero pronto a farlo, ero pronto a morire. Avanzai di un passo e allargai le braccia tendendo i palmi verso l’alto e sussurrai in modo che nessuno potesse sentirmi “Arrivo da te che sei per me l’essenziale”.

Mi abbandonai alla forza di gravità e mi posai nelle braccia dell’aria mentre la gente cominciava ad urlare, ma per me era un suono indefinito mentre l’aria mi sferzava il volto. Poi il buio e il pavimento freddo sotto di me. Fine. Nient’altro ho saputo del mio paese. Non avrei mai saputo che dopo il gesto che avevo fatto il popolo aveva aperto gli occhi e li aveva alzati al cielo chiedendo mentalmente scusa a me e Sara, non avrei mai saputo che dopo averci perso il popolo non aveva più sfruttato la natura per scopi personali, non avrei mai saputo che non sarebbe più stato sradicato un albero dal terreno per costruire un’industria. Perché dal gesto mio una cosa il popolo aveva capito: bisogna trattare la natura come fosse una persona, rispettarla, curarla e proteggerla fino, in casi estremi, alla morte, avevano capito che infondo anche la morte .

 

  
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