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Autore: Glory Of Selene    02/03/2013    2 recensioni
E' una missione che non può essere rifiutata.
"Voglio Kakashi Hatake. Portatemelo qui.
Vivo?
So che sarebbe impossibile. Il suo cadavere mi basta.
"
Un cacciatore esperto, si muove nell'ombra.
Kakashi non è abituato ad essere preda, nè a rimanere sempre un passo indietro a qualcuno.
Kakashi non è abituato a molte cose. Non è abituato, per esempio, a provare amore.
"«Chi pensi verrà?»
«Qualcuno in grado di valutare le nostre intenzioni e la nostra pericolosità. Hatake Kakashi, sicuramente.»
«E tu come fai a dirlo, si può sapere?»
«La nostra guida è in ritardo.»
«In rit… oh». Un attimo di silenzio, poi: «Quindi tu l’hai letto tutto, il fascicolo che ci hanno dato su di lui.»
«E tu non l’hai fatto perché tanto sono io che devo occuparmi di lui.»
«Lo sai? Sei la persona più saccente che conosca.»
"
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gai Maito, Kakashi Hatake, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima dell'inizio
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«...E questo è uno dei chioschi di ramen migliori del Villaggio. Avete fame?»
Entrambi gli stranieri gradirono molto il pensiero della propria guida, e presto si ritrovarono tutti e tre seduti al bancone, ad aspettare la loro ciotola.
«Lei non pranza, signor Kakashi?» domandò il più alto quando vide che le ciotole che erano state posate davanti a loro erano soltanto due.
«Temo di non potervi fare compagnia, questa mattina mi sono svegliato con un po’ di nausea e vorrei tenermi leggero.» si giustificò.
«Capisco.» disse quello con fare comprensivo, mentre tirava fuori dalla manica una bustina trasparente nella maniera più naturale possibile. «Sai, Reiko? La nostra guida era affascinata dal nostro abbigliamento». Aspettò con sapienza il momento in cui entrambi fossero stati al culmine della loro conversazione, poi versò velocemente la polverina bianca nella ciotola del compagno e fece scomparire la busta ormai vuota nelle pieghe del mantello blu.
Nessuno dei due si era accorto di niente.
 
«Buongiorno, giovine!»
Il ragazzetto che stava pulendo il bancone alzò uno sguardo tra lo stranito e l’inquietato sul personaggio che si era seduto sullo sgabello davanti al suo. La prima cosa che notò di lui furono le sopracciglia – nere, folte, gigantesche, straripanti –, che non aiutarono a tranquillizzarlo sulla sanità mentale del suo cliente.
«Mi… dica, signore.»
Non riusciva a distogliere lo sguardo da quelle cose enormi. Erano ipnotizzanti. Per fortuna il ninja pareva non accorgersene – o forse c’era semplicemente abituato. Si appoggiò al bancone invece, e lo scrutò con aria da cospiratore.
«Senti un po’, fanciullo, non è che hai visto passare dei ninja stranieri lungo la strada?» gli sussurrò, osservandolo con gli occhietti socchiusi.
Adesso sì che il poveretto poteva dire di essere terrorizzato.
«Non direi… signore.»
Quello ebbe uno scatto velocissimo e strinse il pugno davanti a sé, esclamando: «Accidenti! Mi avevano detto che sarebbero arrivati per oggi. Dove si saranno cacciati, dove, dov…» Il suo sguardo si spostò fuori dalla finestra, e quando lo fece lanciò un grido disumano.
Il garzone trasalì e corse a nascondersi, ma Gai non gli badò. Si fiondò alla finestra invece, e appiccicò persino una guancia al vetro per vedere meglio.
Quello era… Kakashi? Insieme ad un paio di loschi figuri imbacuccati in dei strani mantelli blu scuri?
«No, no, no, non può essere…» si disse, e schizzò subito fuori dalla tavola calda.
Il cameriere tirò un sospiro di sollievo e si disse che quello del muratore dopotutto non sarebbe stato un brutto mestiere.
«KAKASHI!»
Il rivale si girò verso di lui con uno sguardo interrogativo. «Oh, buona giornata, Gai.» lo salutò dopo averlo riconosciuto.
«Tu… tu… loro…» biascicò il sensei indicando il trio con aria sconvolta.
«Dimenticavo, ti presento Daisuke Kitajima e Reiko Iwakiyo.» continuò Kakashi esibendo l’aplomb più totale. Forse lui rimaneva l’unico essere vivente presente al mondo a non avere reazioni scomposte quando si trovava in compagnia di Maito.
I due si inchinarono freddamente mentre la Bestia Verde della Foglia si afflosciava a terra singhiozzando.
«Come hai potuto battermi in questo modo?»
«Batt… Ah, giusto, giusto, la sfida!»
«Te ne eri pure dimenticato!» urlò disperato il sensei crollando definitivamente al suolo.
Il copia-ninja sorrise con noncuranza. «Mi piacerebbe davvero molto continuare la chiacchierata, ma sto mostrando loro il villaggio per conto dell’Hokage. Arrivederci!». Lo salutò con un cenno della mano, poi si girò e continuò il cammino insieme agli altri due.
Il maestro non l’aveva ascoltato, ma aveva cominciato invece a pensare ad una punizione abbastanza dura da infliggersi per essersi lasciato giocare in maniera tanto beffarda.
«Chi era quel buffo tizio?» domandò Daisuke alla loro guida, senza riuscire a trattenere un sorriso.
«Che ci crediate o no, è uno dei jonin migliori del Villaggio.» fu la risposta che diede il sensei, e fu una risposta sincera. Lui ammirava per davvero le capacità da ninja del maestro Gai; peccato che sembrasse volersi rendere ridicolo in ogni maniera possibile. Le origini del suo comportamento rimanevano oscure agli occhi di Kakashi, e forse era per quello che era riuscito a diventare uno dei suoi migliori amici. Perché lo interessava.
«In questo Paese ci sono dei ninja davvero strani.» rifletté lo straniero. «Non trovi, Re…» si girò ma non vide nessuno.
Il compagno era rimasto indietro, si appoggiava ad una staccionata per non cadere a terra, le gambe gli tremavano vistosamente.
«Da… Daisuke…» mormorò quello a fatica.
Kakashi gli fu accanto in un attimo, ma non prima dello straniero, che afferrò l’amico un istante prima che cadesse a terra.
«Cosa gli è successo?!» chiese il jonin, allarmato. Non riusciva a spiegarsi un malore così improvviso; che fossero stati aggrediti? Ma da chi? Non aveva visto né sentito nessuno, e un dardo avvelenato con un sole come quello che splendeva su di loro avrebbe brillato sicuramente.
«Non deve preoccuparsi, Reiko non è abituata a questo clima, e il viaggio l’ha affaticata molto. Sa, nel Villaggio della Notte il sole sorge solo pochi mesi all’anno.»
In quel momento Kakashi capì di non aver colto un’informazione fondamentale. Il secondo viaggiatore, il più silenzioso, era una donna. La cosa lo stupì molto, senza neanche sapere di preciso il perché; di sicuro non se ne sarebbe accorto se il compagno non ne avesse parlato al femminile.
«Un po’ di riposo sarà sufficiente. Le dispiacerebbe accompagnarci all’albergo?» chiese intanto lo straniero prendendo il braccio il corpo inerme della ragazza, sempre con i consueti toni di formale cortesia e con i suoi sorrisi pacati.
Kakashi ricambiò lo sguardo con un’espressione esattamente identica, ed entrambi si allontanarono lungo la via, ognuno perso nelle proprie congetture.
 
***
 
Reiko aprì lentamente gli occhi.
«Quanto… tempo è passato?» fu la prima domanda che le venne in mente.
Daisuke, che aveva osservato il cielo scuro fino ad allora, le lanciò uno sguardo quasi annoiato, come per accertarsi di qualcosa che era scontato che sarebbe successo.
«Poco meno di un giorno. È notte fonda, stamattina siamo giunti al Villaggio.»
La ragazza scese dal letto con un’aria offesa. «Avresti potuto darmi qualcosa di meno forte, accidenti a te.»
«Che c’è? Non sei abbastanza dura per una droga leggera come questa?» ribatté quello con un sorriso di scherno.
«Ho un giorno in meno per compiere il mio lavoro, idiota.» replicò la straniera dal bagno. Il sorriso del compagno si allargò. Adorava farla arrabbiare, era più forte di lui.
«Quanto ti ci vorrà?» le chiese, quando la vide tornare nella stanza da letto.
«Quarantott’ore. E poi potremo passare all’ultima fase del piano.»
«Così poco tempo?»
Reiko non rispose subito, si prese del tempo, per stringersi i capelli in una coda tirata, e poi in uno chignon ancor più stretto, che fermò con qualche lunga forcina che stava tenendo in bocca.
«Più in fretta facciamo, prima finisce questo supplizio.» rispose con freddezza dopo essersi saggiata la pettinatura.
Daisuke annuì, e tornò ad osservare le stelle con un’espressione indecifrabile. «Tre giorni. Forse quattro, e tutto sarà finito.» mormorò.
La compagna non osò continuare a guardarlo in faccia, e uscì dalla stanza, per fare il suo dovere. Nei suoi occhi c’era una grande tristezza.
 
***
 
Kakashi ci si arrovellava, ci passava intere notti, ma non capiva. Non riusciva a capire.
Da giorni stava incollato a quel Daisuke, e lui si era comportato in maniera esemplare, aveva visitato il Villaggio, e l’aveva pure ringraziato calorosamente quando aveva dovuto dirgli che il suo compito come guida sarebbe terminato quel giorno stesso. Era andato a fare visita alla compagna, Reiko, ma l’aveva trovata a letto, mentre viveva una normale convalescenza.
Era andato a fare rapporto dall’Hokage, e aveva dovuto ammettere che non c’era assolutamente nulla di sospetto nel loro comportamento.
Ma allora perché, perché quel presentimento non voleva lasciarlo stare?
Si alzò dal letto, sapeva che non sarebbe riuscito a dormire.
Osservò la luna, il cielo stellato, e si chiese che cosa avessero da nascondere i ninja del Villaggio della Notte. Se lo ripeté in continuazione, fino alla nausea, finché non raggiunse uno stato di dormiveglia confusionario, nel quale gli parve di scorgere le ali di un gufo battere a rallentatore nella notte, e un paio di occhi bianchi come quelli delle stelle osservarlo fin dall’interno e dilaniargli l’animo senza pietà. Solo la luce calda dell’alba poté infrangere gli incubi ad occhi aperti che gli aveva inflitto un cervello stanco e provato, e quando vide che la strada sotto casa sua cominciava già a tingersi di un sottile velo aranciato, e che le mani adunche della morte che si erano protese verso di lui durante tutte le ore notturne altri non erano che i rami nodosi dell’albero che si affacciava alla sua finestra, Kakashi si allontanò barcollante dal vetro e si diresse verso il bagno, per chiarirsi un po’ le idee.
Gli occhi ciechi e spettrali che l’avevano divorato dall’interno, però, non scomparvero nemmeno quando si fu fatto la consueta doccia gelida mattutina.
 
Reiko sapeva come compiere appostamenti perfetti, da manuale, capaci di sorprendere anche i ninja più intelligenti e più preparati. Era la migliore, in quel genere di cose, per la sua capacità di capire le cose un attimo prima che le capissero gli altri; insieme alle sue considerevoli doti nel combattimento corpo a corpo, la rendeva un’avversaria temibile e un’alleata preziosa.
Per questo era sempre stata lei ad eseguire ogni missione.
Non era andato a dormire, quella notte. Era rimasto alla finestra, per dodici lunghe ore, stremato, ma incapace di chiudere gli occhi. Quando pensava di non essere visto da nessuno, quel jonin con un occhio solo tirava inconsciamente fuori una grande inquietudine, un gran tormento interiore, qualcosa di troppo profondo perché uno sconosciuto appostato da poche ore sotto casa sua potesse coglierlo nella sua interezza. Ma era abbastanza, per Reiko.
Una delle cose peggiori del suo lavoro era la necessità di appostamenti lunghi giorni e giorni, per conoscere la vittima, imparare a memoria i suoi comportamenti, i suoi gesti quotidiani, le sue manie, i suoi gusti. Un passaggio fondamentale, quando si trattava di eliminare ninja famosi e potenti, un vantaggio indispensabile per evitare la disfatta, contro avversari di quel calibro. Era necessario entrare nel cuore dell’obbiettivo, prima di strapparglielo via.
Per quel motivo Reiko aveva sempre odiato il suo compito. Perché la costringeva a eliminare la vittima subito dopo aver imparato a conoscerla nella maniera più profonda possibile. Non era possibile considerarla solo un animale da braccare, una preda, un obbiettivo da raggiungere. Davanti a suoi occhi diventavano tutte persone. Tutte.
Quella sera, l’assassina di Kakashi Hatake aveva imparato a riconoscerne i fantasmi.
Non si mosse, quando lo vide uscire di casa. Solo quando si fu allontanato di un bel po’ si permise di alzarsi, e scendere dall’albero con un agile salto.
Distese braccia e gambe con un’espressione di fastidio. Le conseguenze di tutta una notte passata sveglia e accovacciata su di un ramo si facevano sentire eccome.
«Tecnica della trasformazione.»
Una persona assolutamente normale uscì dalla nuvola di fumo che avvolse il suo corpo, e da lì cominciò la sua giornata.
 
Il suo obbiettivo aveva poche abitudini, ma ferree. Si ritrovò anche quella mattina nascosta tra i cespugli attorno a una delle tante lapidi scure che si trovavano lì vicino, e capì subito che si trattava di un gesto consueto, un saluto quasi commovente che non si sarebbe aspettata da una leggenda come il copia-ninja. Si sentì subito un’intrusa ad assistere ad un momento così sincero e profondo, e fu con vergogna che continuò a fissare l’occhio scuro di Kakashi diventare malinconico e le sue labbra muoversi in confessioni che non riusciva a capire o che, più semplicemente, non voleva capire.
Lo seguì tutto il giorno, troppo abile perché lui potesse accorgersi di qualcosa, e così finì a guardare il tramonto sullo stesso ramo che l’aveva ospitata la notte scorsa, e quella ancora prima.
Quella volta, vide Kakashi togliersi la divisa e coricarsi, addormentarsi finalmente, inquieto anche nel sonno.
Reiko sospirò e si portò una mano alla fronte. Un’altra notte di veglia… Tirò stancamente fuori da una tasca dei pantaloni una pallina di color marrone, se la mise in bocca e la masticò alla svelta. Era disgustosa, di un agrodolce portato all’inverosimile, ma l’avrebbe aiutata a superare le ore notturne senza cadere addormentata e rischiare di farsi scoprire.
Passarono i minuti.
Kakashi corrugava la fronte, a letto, e diceva parole prive di senso. A volte si copriva persino le orecchie con le mani, come se non volesse ascoltare qualcosa, e allora lei si chiese che cosa potesse tormentarlo così tanto da privarlo della serenità persino durante la notte.
Un fruscio, il rumore di un ramo spezzato.
«Daisuke, non dovresti venire qui. Non sei silenzioso e non sei bravo a non farti notare.» sussurrò al compagno che le era comparso di fianco.
«Sei proprio impossibile. Sono venuto a tenerti compagnia, ti fa tanto schifo? Se preferisci me ne vado a letto e tanti saluti.»
La frase dell’amico la stupì, ma molto meno di quanto si sarebbe aspettata. «Cos’è, hai deciso di diventare premuroso, adesso?»
Lui sorrise, e abbassò lo sguardo sulle proprie mani. «Che ne dici di una tregua?»
Lei si girò a guardarlo. Un confronto di sguardi, ognuno dei quali poteva significare qualcosa di diverso.
A lei non facevano piacere quelle attenzioni. Non le facevano piacere perché non voleva affezionarsi troppo, non a Daisuke, accidenti, non a lui, che aveva il destino già orribilmente scritto e firmato.
Ma aveva anche un estremo bisogno di amicizia, e di confronto con chi fosse in grado di capirla pienamente.
«D’accordo. Ma solo per stanotte, sia chiaro.»
Sorrisero entrambi, insieme.
«Allora, come va con Hatake?»
La ragazza tornò con gli occhi alla finestra della sua camera.
«Sono a un ottimo punto, se mi stai chiedendo questo. È un uomo… molto inquieto». Dovette impegnarsi per mantenere la voce ferma. «Tutte le mattine va a vedere una lapide, e ci sta per più di mezz’ora, la osserva, si confida. È per questo che arriva in ritardo, lo sapevi?» Abbassò la testa. «Voglio andare a vedere cosa c’è scritto. Mi piacerebbe.»
Daisuke rimase in silenzio, non rispose nulla, ma osservò l’uomo addormentato nella stanza con un’espressione differente. Cominciava a comprendere la sua compagna di missione.
«E’ questo che provi ogni volta, Reiko?»
Toccò a lei non rispondere.
«Dev’essere dura.» mormorò, poggiandole una mano sulla spalla.
Ci fu silenzio, per parecchi minuti.
Fu un soffio impercettibile ad infrangerlo. «Mi hai interrotta apposta, non è vero?»
Lui la guardò interrogativo. «Di che parli?»
«Avrei notato lo stesso la presenza di Kakashi sulle mura, lo sapevi bene; e sapevi anche che cosa ti stavo per chiedere. Mi hai interrotta apposta.»
Il compagno si mise in una posizione comoda sul ramo, e incrociò le braccia al petto, ma non parlò.
La ragazza prese un respiro profondo, prima di porre la sua domanda. «Sei sicuro di quello che stai facendo?»
«Ti ho fermata perché le domande stupide non sono da te. Conosci già la risposta, quindi, è inutile che ti spieghi ciò che è ovvio.»
Reiko abbassò il capo; ovviamente aveva ragione. Come potrebbe un uomo desiderare la morte?
«Sai,» esordì il compagno. Il suo sguardo era perso chissà dove, oltre la casa della loro vittima, oltre Konoha, oltre il Paese del Fuoco. «non credo che mi sarebbe piaciuto diventare un ninja.»
Questo sì, che riuscì a stupirla.
«Lo sai cosa mi sarebbe piaciuto fare?»
Reiko aveva paura della sua espressione. Era l’espressione di un uomo che stava confidando i propri desideri più reconditi ad un’amica. Ad un’amica.
«Perché me lo chiedi?»
«Lo sai o no?»
«…No.»
Lui sorrise. «Mi sarebbe piaciuto imparare un mestiere. Essere un artigiano, un lavoratore d’argilla – sai, una di quelle persone in grado di prendere un pezzo di fango e tirarne fuori un capolavoro. Oppure un falegname, spendere una vita ad intagliare il legno, ad inchiodare sportelli; e poi, dopo aver trovato la donna giusta – hai presente no, quelle ragazze solari, con il sorriso contagioso e il senso dell’umorismo. Avrebbe avuto i capelli biondi, o castano chiaro… –, sfruttare le mie conoscenze per costruirci una casa con le mie mani, e avere magari un paio di pargoli a cui passare i ferri del mestiere.»
Reiko era riuscita a vedere tutta la scena, era riuscita ad avere davanti agli occhi quella piccola casetta fatta di legno, fatica e tanto amore, con quella donna ad aspettare sorridente sulla soglia, e decise che sarebbe stato per davvero il posto più adatto dove trovare uno come Daisuke.
«E’ una bella vita.» mormorò, controllando a stento la voce.
Se non la smette di raccontarmi queste baggianate, pensò, giuro che gli spacco la mascella.
«Però, sai una cosa? Io sono sereno.» concluse intanto lui appoggiandosi con la schiena al tronco dell’albero. «In fondo, mi stanno dando un modo per evadere da un’esistenza che non mi è mai piaciuta. E chissà, forse, lassù, le stelle avranno bisogno di una casa di legno costruita in mezzo a un bosco.»
«Piantala.» ringhiò lei a denti stretti.
Daisuke la osservò stupito, e quando vide i suoi occhi farsi più lucidi del normale, rise. Rise di gusto.
«Che cosa c’è adesso, non dirmi che ti sei affezionata!»
«Mi affeziono sempre a tutti, è questo il problema.»
La sua risata s’interruppe subito. Lei non lo guardava mentre parlava.
«Mi affeziono ai compagni, agli obbiettivi, a tutti. E tutti li vedo morire. Uno per uno. E rimango sempre e solo io. Attorno a me la gente muore, e io sopravvivo, sopravvivo ogni volta.» si coprì il volto con una mano. «Non ne posso più, Daisuke.»
All’improvviso, si sentì cingere le spalle da un abbraccio.
«Mi dispiace, Reiko. Mi dispiace davvero tanto.»
«Promettimi una cosa.» disse lei con il volto sprofondato nell’incavo tra la spalla e il collo di Daisuke.
«Cosa?»
«Promettimi che da domani torniamo a detestarci.»
Il compagno sorrise, e ne ebbe compassione.
«Promesso.»
 
  
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