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Autore: darkronin    03/03/2013    1 recensioni
Venezia è costellata di statue, bassorilievi, incisioni, stendardi che recano l'effige del Leone alato.
Cosa passa per la mente dei protettori della città che si animano di notte come ogni altra Gargolla?
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Finalmente è arrivato il tramonto.
Mano a mano che la luce se ne va, anche i turisti rientrano a casa o nelle stanze d'albergo e le calli e i campi, così chiassosi durante il giorno, raggiungono una quiete quasi irreale. Questo vuol dire che ci saranno sempre meno occhi attenti che si posano su di noi anche se i locali, che indugiano in giro fino a tardi, non prestano mai troppa attenzione, avvezzi come sono a vederci raffigurati su ogni muro, dipinto, carta di navigazione o sui bandi promossi dall'università.
Non è difficile mantenere per così tante ore la posizione che ci siamo scelti ma sgranchirci le zampe fa comunque piacere. I poveri, sciocchi umani, pensano che noi siamo semplici sculture e di essere loro i padroni di quest'isola artificiale. Forse non sanno, o hanno dimenticato, che in realtà siamo gli spiriti protettori di questa città e ci svegliamo nelle ore più fresche. Un po' come avviene altrove per le Gargolle. Probabilmente sono conoscenze, alcune delle tante, che hanno perso durante i secoli.
Il mio compare, la vedetta che si erge sulla colonna a pochi metri dal campanile, plana ai miei piedi, stiracchiandosi come un qualsiasi felino, e sprimaccia le ali. Uno sbadiglio, simile a un ruggito, gli sfugge dalle fauci a indirizzo della quadriga che Napoleone tentò di tenere in Francia: conoscendo il suo carattere mi azzarderei a dire che, più che uno sbadiglio, si tratti di un saluto. Si accuccia, quindi, ai piedi dei tetrarchi. E' contento del suo ruolo e sorride sornione: si sente un vero leone, con la criniera gonfia della brezza del mare di cui controlla l'accesso, che guarda fiero il sole sorgere. Un po' come ci vedevano gli antichi egizi che, per lo stesso motivo, ci paragonavano all'aquila sacra, di cui portiamo le ali. Durante il giorno, quasi non si accorge del brulicare di persone sotto di sé: dice sempre che gli sembrano tante piccole formiche innocue. Vorrei replicare che, per quanto concerne la grandezza, molto dipende dalla prospettiva e, per quel che riguarda l'innocenza delle stesse (formiche), è totalmente fuori strada... Ma è spocchioso e permaloso, quindi lascio correre, come faccio sempre quando commenta i fuochi del Redentore. Lì, sì, mi monta davvero una rabbia cieca: lui è nella posizione migliore per ammirarli mentre io sono nascosto dal porticato e non li vedo se non di striscio.
Un po' invidio il mio collega, o l'altro leone marciano esposto in Piazza delle Erbe a Verona: stanno da soli, in cima alla colonna, lontano dagli sguardi, sono quasi degli asceti.
Mentre io sono qui, spesso vittima di cuccioli umani dispettosi. I tetrarchi non se la cavano certo meglio di me: quando vennero portati via nel 1204, insieme alla già citata quadriga, come bottino di guerra durante la quarta crociata, uno di loro perse un piede che fu ritrovato solo cinquant'anni fa ad Istambul e che, nel frattempo, fu sostituito con del marmo bianco: più ci penso e più mi sfugge la coerenza umana. Le signore che passano sotto la mia porta tendono ad armonizzare forme e colori, alcune al limite della nevrosi. Poi, però, i restauratori accostano al porfido nero il marmo bianco, per non parlare di una più adeguata riunione dei pezzi... stranezze umane!
Chiudo con uno scatto il mio libro e mi accingo a scendere anch'io. Tutti pensano si tratti del solito vangelo. Ma in gran segreto, voltando le pagine senza che nessuno si accorga dei miei movimenti, proseguo la lettura di uno dei capolavori della nostra terra natale. La sera, quando ci incontriamo avvengono anche baratti di questo tipo.
Raggiungiamo in volo Campo Manin, abbastanza appartato, dove il nostro collega in bronzo ha l'aria di un leone che si è appena accorto di un intruso. Tenere le ali dritte, in posa aggressiva, e stare seduto tutto il giorno, penso sia più faticoso che non stare in piedi, dove almeno puoi sposare il peso tra gli arti. Ma lui è contento così. Gli piacciono anche i bambini che vanno a giocare tra le sue zampe o sulla sua groppa, gli studenti e le coppiette che sotto le sue ali trovano un attimo di protezione dal sole battente, anche se le calli che circondano la zona sono tutte in ombra. Ma più di tutto gli piacciono i vecchi che vanno a sederglisi accanto e che spesso gli raccontano le loro storie.
Ci innalziamo nuovamente in volo, lieti di poter osservare dall'alto la città immersa in un mare di pece nera. Laggiù, il Lido, che gli uomini stanno irrobustendo con il Progetto Mose, si snoda in tutta la sua lunghezza a proteggere l'insenatura. Da un lato dura e irremovibile, costruita per bloccare le acque melmose come le navi, dall'altro così naturale, con la sabbia fine e l'acqua limpida da sembrare un'isola o una cittadina qualunque della riviera adriatica. E prima, tra noi e lui, la splendida isola di San Lazzaro degli Armeni. Svoltiamo a destra, lasciandoci alle spalle la Salute e la Giudecca e veniamo raggiunti da tutti i nostri compagni. Voliamo e ci raccontiamo, fino a posarci nell'appartata isola-cimitero. Notiamo l'ironia: i leoni, i re per antonomasia, i custodi del soffio vitale, vanno a nascondersi in un luogo di morte come esiliati.
Qualcuno fa notare che siamo i custodi anche della morte dato che nell'Egitto da cui proveniamo la tradizione voleva i leoni a guardia degli accessi ai templi affinché vegliassimo sull'incedere dell'astro solare per tutto il suo percorso, dalla nascita alla morte.
1261, Alessandria d'Egitto.
La nostra prima apparizione, alla fine della quarta crociata ad opera del sultano Baybars, grande amico di questa piccola perla mediterranea. Non fummo razziati da questo nostro popolo che governava il mare, ma vi fummo condotti in segno di amicizia. Per indole pacifica, accettammo di buon grado, certi dell'amore dei nostri primi protettori nord africani. Venezia è bizantina, è araba, è egiziana, è armena, è germanica: non solo nella cultura e nelle architetture. E' l'aria che si respira, quella sensazione impalpabile di essere a casa, che rende Venezia unica: figlia di culture diverse ben miscelate tra loro, indipendente da esse ma allo stesso tempo in essa stessa ciascuna di quelle è ben visibile.
Sta per sorgere il sole ed è ora che ciascuno riprenda la sua postazione. Ci leviamo con grazia e costeggiamo Canareggio. Un'ultima virata e passiamo sopra il ponte bianco degli Scalzi prima di raggiungere quello nuovo e lucente tanto odiato dagli umani. Lì, dalla stazione, i primi pendolari cominciano ad avviarsi sonnacchiosi al lavoro, ai loro uffici, ai loro negozi. I convogli che arrivano sembrano dei serpenti d'argento che nuotano nell'acqua fino ad arrivare ad aggredire questo bel pesce che è la nostra città adottiva. Non appena il treno si ferma, però, gli umani sembrano quasi volerlo punire per la sua crudeltà e ne escono, squarciandone il ventre come i piccoli di vipera fanno con la madre.
E questa scena mi convince nella mia posizione: nonostante la devozione che essi dimostrano per noi, gli esseri umani in realtà non sono innocue e fragili formiche, ma pericolosissimi rettili.



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Ciao a tutti, ragazzi.
Eccomi ancora qui con una One shot.
L'idea di postarla mi è venuta stanotte perché la presente, in realtà, era un esercizio di scrittura creativa per uno dei laboratori dell'anno scorso (l'ho scritta a settembre del 2011 e non l'ho ricontrollata più di tanto. O meglio, ho controllato sintassi e ortografia ma non i dati. Quindi spero di aver fatto un buon lavoro di ricerca la prima volta. Io, le date, i nomi e i luoghi non andiamo d'accordo!).
La consegna, Task 24, era "Descrivere cosa vedono i leoni marciani dalla loro posizione".
Ed ecco quello che ne era venuto fuori.
   
 
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