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Autore: _wayward    03/03/2013    1 recensioni
Il Nateh'n oridinò un'altra birra e si voltò verso la porta d'ingresso da dove, con i denti dorati in bella mostra, Lucky – che avrebbe presto capito di avere i giorni contati – gli si stava avvicinando sorridente.
«Ti piacerebbe racimolare un po' di denaro?»
Due ore dopo, quel buono a nulla era ancora vivo e lui si stava incamminando verso un'enorme, grandiosa avventura.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Autore: _wayward.
Titolo: L'Emblema della Farfalla ~
Fandom: Originale » Fantasy.
Rating: Giallo.
Genere: Long fic [2/15].
Personaggi/Pairing: Il Nateh'n, Thomas, Bartred.
Parole: ~4721.
Avvertimenti: -
Disclaimer: Mine ©.
Note: [0] Gateway to Darkness – F. Brown, 1949.
1) Per il prompt "fisso" dei magici Faràs su COW–T3 #maridichallenge

Introduzione: «Ti piacerebbe racimolare un po' di denaro?»
Due ore dopo, Lucky era ancora vivo ed il Nateh'n si stava incamminando verso un'enorme, grandiosa avventura.




~ L'Emblema della Farfalla
Capitolo II ~ Porta alle tenebre [0]



C'erano tre uomini nel vicolo.
Il Nateh'n si costrinse contro il muro dietro alla taverna, tirando il cappuccio del mantello fin davanti agli occhi e stringendo la fionda con la mano libera.
Cercando di nascondersi il più possibile, concentrò la sua attenzione sul più piccolo di loro, con sudici capelli neri, lucidi a causa della sporcizia, le orecchie decisamente più grandi della norma ed un paio di denti placcati in oro ben visibili nella bocca spalancata.
«Amici!» gracchiava mentre sventolava una bottiglia vuota di liquore. «Vi offro da bere! A tutti vo- ouch» il calcio che ricevette alla gamba lo fece crollare a terra a sputare sangue e saliva.
«Non siamo tuoi amici» ribatté uno degli altri uomini, con un'ascia da battaglia in bella vista sotto il mantello scuro.
«Ma come?» sibilò quello a terra, portandosi la bottiglia sotto il naso per annusarne l'odore. «Io-- sono stato io ad indicarvi il colpo migliore della... della-- della vostra lurida vita!»
Tentò di alzarsi ma la mano pesante di colui che aveva parlato prima lo costrinse di nuovo sulla strada.
«Quale colpo?» sussurrò improvvisamente il terzo uomo, rimasto finora nell'ombra dell'insegna del locale.
Il Nateh'n si sporse un poco dalla sua posizione per vederne meglio il volto ma non riuscì che a scorgere la forma del cappuccio marrone che gli copriva la nuca.
«Il-- il colpo...» l'altro scoppiò improvvisamente in una risata isterica e divenne evidente a tutti che era palesemente ubriaco. «--il colpo che... ah! Quel colpo!»
«Lascialo perdere, Ouf. Non ci darà nulla di più che la soddisfazione di vederlo gemere contro il pavimento» disse l'uomo con il cappuccio, carezzando il fodero della propria spada.
«Non quest'oggi, forse» mormorò fra i denti digrignati colui che era stato chiamato Ouf, prima di afferrare l'ubriaco per il bavero della veste e sollevarlo di scatto. «Ascoltami bene, carogna.»
Il sibilo con cui Ouf pronunciò quell'appellativo rimbombò nella strada vuota e la bottiglia che l'uomo teneva ancora in mano cadde a terra, infrangendosi in più di mille pezzi.
«Non c'era nulla ad attenderci nel luogo da te indicato: né carrozza né tanto meno quel cadavere che ci avevi promesso» continuò. «Così ora siamo costretti ad anticipare una parte del piano che avrei personalmente preferito mettere in atto il più tardi possibile.»
L'ubriaco boccheggiò, pendendo dalle sue parole.
«E noi ci aspettiamo che tu ci ripaghi del tempo che abbiamo perso, delle nostre aspettative infrante e di tutti questi intoppi. Avevi promesso oro, denaro e riconoscimento, carogna da quattro soldi, ed è quello che dovrai darci, mi hai capito?»
L'uomo ridacchiò per un breve istante, per poi balbettare qualcosa di incomprensibile in risposta ed annuire con il capo.
«Bene» replicò il terzo, estraendo il pugnale dalla cinta e l'ubriaco impallidì. «E noi ti lasceremo andare, vivo, perché sappiamo che sei un uomo di parola ma, sono sicuro che tu lo sappia, una promessa è una promessa.»
Ouf gli afferrò i polsi con una mano mentre con l'altra gli tirava verso il basso la mascella. «Nel frattempo però, ci prendiamo questi.»
L'urlo soffocato dell'uomo e lo zampillio del sangue dalla sua bocca costrinsero il Nateh'n a distogliere lo sguardo e, poi, a trattenere il respiro fino a quando non sentì più i passi dei due mercenari che si allontanavano.
Nel vicolo, tremante e impiastricciato di sangue un po' ovunque, l'ubriacone tentava di rimettersi in piedi fra i cocci di bottiglia, senza successo. L'elfo, avvicinatosi finalmente, si prese qualche istante per lasciare che questi percepisse la sua presenza e scostò con lo stivale una manciata di vetri da sotto la sua mano.
«Aiut-- aiutami-- a...» sputò praticamente l'uomo, senza riuscire nemmeno ad alzare il capo.
Un corvo gracchiò sopra di loro ed il Nateh'n si limitò ad inclinare la testa contro la spalla per vedere meglio la situazione all'interno della sua bocca; al posto dei due denti d'oro, che prima rilucevano ai pochi raggi del sole, ora stava un grosso spazio vuoto, pieno di sangue, saliva ed un liquido denso e verdastro che richiamava il vomito.
«Sai» storse le labbra in una smorfia. «te l'ho sempre detto che avresti fatto meglio a tenere la bocca chiusa.»
L'uomo la spalancò ancora di più, boccheggiando, e strabuzzò gli occhi.
«Mi dispiace Lucky,» continuò il Nateh'n. «ma questa non sembra proprio essere la tua giornata fortunata.»

Lucky gemette di nuovo e l'elfo lo lasciò cadere senza premura sul letto della stanza che era stato obbligato ad affittargli.
Il locandiere, un uomo dall'aspetto rude e con grandi cerchi dorati appesi alle orecchie li aveva guardati male non appena erano entrati ma, alla vista delle monete lanciate sul bancone – prese dal fondo degli stivali di Lucky, si era limitato ad annuire silenziosamente, indicandogli il piano superiore.
«Grazie, amico-- grazie, amico mio» stava gemendo ora quello, fra un conato di vomito e l'altro.
«Sta' zitto, Lucky, se non vuoi che ti cavi i denti che ti sono rimasti» sbottò il Nateh'n prima di tirare le tende alla finestra e chiudere a chiave la porta.
Lucky borbottò qualcosa che lui decise di ignorare e si dedicò piuttosto al controllo della ferita al polpaccio che si era causato impigliandosi in una trappola nelle vie sotterranee; il taglio appariva lungo e slabbrato ed uno spiacevole formicolio aveva appena iniziato a percorrergli tutta la gamba ma decise che avrebbe controllato solo una volta tornato all'accampamento che la lama non fosse stata avvelenata.
Una risata gracchiante dell'uomo, ancora ubriaco, lo riportò alla situazione.
«Lucky» esclamò infatti, tirandosi il mantello sulle spalle. «ero qui per appenderti alla porta della taverna per i genitali» l'uomo sussultò e la sua faccia sembrò ancora più tumefatta di quanto fosse in realtà. «... ma ti lascerò in pace, considerato che hai già fatto arrabbiare persone più cattive di me e Bartr, almeno per adesso, se mi darai una spiegazione abbastanza lunga e dettagliata di quanto è successo ieri.»
L'altro si nascose fra i cuscini ma, allo sbattere delle persiane fuori dalla finestra, tornò con lo sguardo sul Nateh'n. Era piuttosto confuso.
«Il colpo, Lucky. La carovana e l'attacco. E, soprattutto, l'altra carovana» a quel punto Lucky sembrò ritrovare la memoria e scoppiò di nuovo a ridere, salvo poi finire per sputare un grumo di sangue sul pavimento sporco.
«Quel colpo!» disse, quando riuscì a riprendere fiato. «Quel colpo che-- oh, ahah-- ooh, quel calice di birra era così- ma mi uccideranno se-- non hanno trovato il cadavere..? Ma-- ah-»
Il Nateh'n fissò gli occhi su di lui, scostando di poco la casacca verde sul fianco, in modo da fargli intravedere il pugnale che era attaccato alla cintura.
«Oh-- andiamo, non hai capito cosa sta succedendo?» riuscì a domandare Lucky, battendo una mano sul proprio ginocchio. «La città chiusa, la carrozza e quell'altra, e poi il mago e-» rabbrividì. «il mago...»
«Cosa c'entra la città chiusa in questa storia? Lucky questo-»
«Non l'hai capito?» ripeté quest'ultimo.
Il rumore di colpi leggeri contro la porta raffreddò all'istante l'atmosfera.
Il Nateh'n estrasse velocemente il pugnale dalla cintura e si portò vicino al muro, pronto all'attacco.
«Signori? Ho portato dell'acqua.»
Con circospezione, l'elfo fece sbloccò la serratura e la maniglia si abbassò, permettendo ad una sagoma femminile di entrare nella stanza. Questa appoggiò velocemente un catino colmo fino all'orlo sulla scrivania sudicia e poi si girò ad osservare meglio i due mentre anche il Nateh'n faceva scorrere lo sguardo su di lei.
«Avete bisogno di bende?»
Lucky fece per rispondere ma l'elfo fu più veloce a dire: «Non è necessario.»
La donna fece un breve inchino, i capelli scuri le caddero sul petto e la lampada fece brillare i cerchi d'oro che le bucavano i lobi, mentre usciva con la stessa rapidità con cui era entrata.
Non appena la porta fu di nuovo chiusa, il Nateh'n fece scattare la serratura.
«Parla» intimò poi all'altro uomo. «Ora.»
Lucky deglutì ancora. «Era un piano pe--rfetto. Serviva qualcuno per l'attacco e-- ah, siete arrivati voi. Perfetto.»
«Quale piano, Lucky?» la voce dell'elfo risuonò più bassa del solito alle orecchie dell'ubriaco, fra le sottili mura della camera.
«Già, già- quale piano? Non ti sei accorto di quello che sta per succedere? Era perfetto e--» Lucky si fermò, come se avesse appena colto un particolare di prima importanza. «Tu... sei vivo.»
Il Nateh'n alzò un sopracciglio.
«Sei vivo. Ecco cosa non funziona è che-- e allora anche lui... Oh, per la luce della Stella,adesso capisco perché...»
«Lui?» mormorò l'elfo prima di studiare attentamente il contenuto della sacca che l'uomo aveva lasciato cadere quando erano entrati. «Intendi che quella trappola era solo una scusa per uccidere quel moccioso che si atteggia a principino?»
Lucky lo fissò a metà fra il divertito e lo stupito.
«È solo un bamboccio biondo» continuò il Nateh'n, per nulla convinto. «Di chi è figlio per meritarsi così tanta attenzione?»
«Non lo sai?» rise con tutto il fiato che gli era rimasto in gola. «Del re, elfo.»

***

Bartr occhieggiò il cielo con aria preoccupata.
Il sole stava per tramontare, le provviste di cibo già misere scarseggiavano ed il Nateh'n non era ancora tornato dalla città.
Lasciò cadere quindi lo sguardo sul ragazzo disteso sopra la sua sacca da viaggio, con le mani ancora legate dietro la schiena e la testa persa fa chissà quali pensieri – forse maledizioni nei confronti del suo compagno.
Ridacchiò e scosse la testa.
«Non è crudele come sembra, sai?»
Thomas non sollevò nemmeno le palpebre. «Se lo dite voi...» rispose in un sottile borbottio che cessò solo quando il brigante, avvicinatosi in lunghe ma lente falcate, ebbe tagliato la corda che teneva uniti i suoi polsi.
Il ragazzo si sollevò a sedere ed inclinò la testa mentre lui tornava a lucidare il proprio arco. «Perché l'avete fatto?»
«Siete stato in quella posizione tutto il giorno» fece spallucce Bartr.
Thomas continuò a fissarlo interrogativo.
«Avevo promesso che non vi avrei slegato fino al tramonto, non è colpa mia se lui non è ancora tornato.»
«Voi non siete per davvero un brigante» disse d'un tratto l'altro, dopo un lungo silenzio, e fu il turno di Bartr di stupirsi.
«Intendo dire, non lo siete sempre stato, vero?»
«Ah!» sghignazzò l'uomo. «Immagino che la vera domanda sia cosa ci fa un gentiluomo come me insieme ad un elfo cattivo ed approfittatore.»
Thomas abbassò lo sguardo e si grattò la nuca. «Non si può dire che sia propriamente gentile...» fece, più rivolto a se stesso che all'altro.
«Non fatevi ingannare dalle apparenze. Io, ad esempio, sono sempre stato un ladro.»
«Che tipo di ladro?»
«Di quelli che rubano» rispose Bartr con sarcasmo. «Volevo fare l'addestratore di sgrunge [1] ma mi serviva un capitale iniziale per comprarne uno» continuò, all'occhiata stralunata di Thomas. «così mi è stato proposto un affare interessante. Ho capito dopo il mio primo furto che ad essere ladro avrei avuto una paga decisamente migliore.»
Nonostante la disapprovazione, il ragazzo non poté fare a meno di sorridere. «Questo però non spiega come vi siete incontrati.»
«Nateh'n mi ha salvato la vita.»
Le sopracciglia di Thomas svettarono in alto.
«È la verità in fondo alla lunga storia» ribatté Bartr. «ma non chiedeteglielo. Probabilmente vi risponderebbe che non era sua intenzione o qualcosa del genere.»
Il ragazzo scosse la testa e piegò le ginocchia per alzarsi quando una dolorosa fitta alla schiena lo costrinse a sdraiarsi di nuovo.
«Dolori?»
«Un po'» ammise, di gran lunga più rilassato nei confronti della situazione rispetto a quella mattina.
«Vi offrirei una pomata» esclamò Bartr, poco prima di stringere il braccio bendato al petto e sospirare profondamente. «ma temo di averla consumata tutta.»
«Il vostro braccio» ricordò lui. «La punta della freccia è davvero ancora impigliata nella carne?»
«Solo una scheggia, in realtà. Ma ci farò l'abitudine» rispose prontamente Bartr.
Thomas si massaggiò lentamente i polsi senza distogliere lo sguardo dall'imponente uomo seduto sul tronco tagliato di una betulla, per ponderare le proprie parole.
Nonostante la stazza, il naso più grande del normale e la folta barba scura che gli nascondeva il mento, l'intera figura di Bartred non aveva nulla del bandito. Un fazzoletto a quadri legato intorno al collo lo rendeva più simile, in effetti, ad uno di quegli allevatori che arrivavano periodicamente alla Cattedrale per portare i propri animali migliori da immolare sull'altare della Stella.
«Potrei...» fece infine. «potrei darci io un'occhiata. Non sono molto bravo ma, forse...»
«Non offendetevi se non sono ansioso di sottopormi al vostro esame.»
Il ragazzo corrucciò le sopracciglia.
«Non che abbia qualcosa contro di voi» fu svelto a dire Bartr. «Nateh'n mi ha raccontato che vi devo la vita ma preferisco tenermi la mia punta di freccia. Va bene così.»
Thomas scosse la testa ed infilò lentamente una mano nel sacchetto che teneva legato in vita più per la forza dell'abitudine che per altro: il ciondolo, completamente opaco, era ancora al suo posto. Era la stessa pietra a forma di goccia che gli era sembrata così brillante, la sera prima di partire, poggiata quasi casualmente sulla sua scrivania a bearsi e risplendere del sole che attraversava le colorate vetrate della Cattedrale eppure, ora, di quello splendore non rimaneva alcuna traccia.
Un ululato risuonò poco lontano, nel fitto degli alberi e fu di nuovo Bartr ad interrompere il silenzio fra loro.
«Stavate andando a Cremysta, vero? Sono passate una decina di carrozze su quello stesso pezzo di strada, non molto prima della vostra» specificò di fronte all'espressione sbigottita del ragazzo. «Immagino che il funerale di un re sia un evento che nessuno nobile abbia voglia di perdere.»
Thomas abbassò il capo. Tre tramonti – tre giorni e tre notti di viaggio – era il tempo stimato più volte dal Maestro per raggiungere la capitale, senza intoppi di alcun genere, ma ormai non sarebbe arrivato in tempo nemmeno a dorso di un Efyo [2].
Cercò, scavando nel profondo dei propri sentimenti, di trovare il giusto rimorso che un figlio dovrebbe provare nel mancare alla cerimonia funebre in onore del padre, eppure, al centro del proprio petto, rimbombava soltanto il debole “oh” che era uscito dalle sue labbra quando la notizia della morte del re gli era stata recapitata.
«Mi dispiace per questo contrattempo» esclamò Bartr quando lo vide incupirsi all'improvviso.
«No» ribatté lui. «Tanto non era una cerimonia a cui tenessi davvero partecipare.»
Il brigante inclinò il capo e lo osservò con un'espressione profonda, alla ricerca di qualcosa che Thomas non seppe identificare, poi, decidendo probabilmente di credere alle sue parole, tornò alla lucidatura dell'arco.
«Comunque sia andata, penso che a quest'ora il responsabile dell'attacco sia morto.»
«Sapete chi è stato?»
Bartr inclinò le labbra in una smorfia. «Un insulto alla razza umana: puzzolente, perennemente ubriaco ed esperto di brigantaggio il cui reddito massimo è sempre stato una manciata di monete. È stato lui ad indicarci la vostra carrozza. Io avevo suggerito di non fidarsi di lui. Non di nuovo. Oh, spero solo che non lo impicchi per davvero sopra la porta della locanda» borbottò a denti stretti e Thomas trattenne uno sbuffo all'immagine che si era venuta a creare della peggiore feccia di Alenea.

Aveva visitato una locanda, una volta.
Era talmente piccolo da potersi infilare nel sacco destinato ai semi da trasportare fino alla campagna poco fuori la città e così aveva fatto, in un impeto di curiosità e di avventura in cui già si vedeva vagare per strade lastricate d'oro, a giocare con coetanei dagli occhi grandi e lentiggini sul naso, elogiato dai passanti per la sua gentilezza e le buone maniere. Era sceso, tappandosi le narici a causa dell'odore acre che permeava l'aria in quella zona, alla prima fermata della carrozza e si era intrufolato subito per nascondersi dalle guardie cittadine in un edificio pericolante che, visto dall'esterno, aveva tutta l'aria di essere disabitato.
L'odore era aumentato non appena si era chiuso la porta alle spalle.
Uomini e donne vestiti di stracci si ammassavano intorno ad un bancone, alcuni attaccati alla canna di vecchie bottiglie di vino ed altri, ai lati di un grande tavolo, insultavano la Stella, colpevole di non avergli suggerito le carte degli avversari. Dall'alto soffitto pendevano ragnatele ovunque ed in un angolo il raccapricciante disegno stilizzato di un uomo impiccato riprendeva il nome che svettava sull'insegna fuori dall'edificio.
Mentre correva nella direzione della Cattedrale, visibile da tutta la città, era inciampato nei suoi stessi passi ed era finito contro le gambe del Maestro, uscito in gran fretta alla sua ricerca. Accertatosi che non era ferito – tutt'al più spaventato – il Maestro l'aveva stretto a sé, cimentandosi in una lunga ramanzina su quanto fosse pericoloso, per lui, visitare altri luoghi prima del momento opportuno. Thomas, mordendosi il labbro inferiore, aveva infine annuito lentamente e non era più uscito dalla Cattedrale.
Non fino ad allora.

***

Il pugnale sfregò contro la giugulare di Lucky ed un rivolo di sangue andò ad aggiungersi a quello che macchiava già i suoi vestiti.
«Parla, Lucky.»
Il tono dell'elfo non era per nulla simile a quello ironico che aveva usato fino ad allora e l'altro deglutì, senza però riuscire ad allontanarsi dalla lama.
«Era perfetto» iniziò, gli spasmi dell'alcool sostituiti dal freddo pungente della paura. «Avreste dovuto morire tutti, specialmente lui. I mercenari... ai mercenari avevano promesso gli effetti personali. Avrebbero dovuto portare indietro il corpo. La colpa sarebbe andata ai briganti, un attacco sventato purtroppo troppo tardi per salvare la vita al principe. Che peccato.»
Il Nateh'n inclinò la testa. «E tu cosa c'entri in tutto questo? Cosa c'entriamo io e Bartr?»
«Oh, non era un mio il piano è-- ah, solo loro» rise alla grossa, i buchi sanguinanti lasciati al posto dei denti dorati in bella vista. «Io dovevo trovare i briganti giusti. Qualcuno facilmente incolpabile, abbastanza famoso per le sue malefatte un po' ovunque, qualcuno specializzato nell'attacco alle carrozze in viaggio e disposto ad attaccare quella giusta senza avere la possibilità di notare gli stemmi reali.»
«La trappola di nebbia...» intuì l'elfo e Lucky annuì freneticamente.
«Hanno chiesto a me perché conosco non solo i migliori furfanti» ridacchiò. «ma anche i loro metodi. Dovevo trovare qualcuno esattamente come voi, qualcuno che avrebbe causato una grossa sfiducia nei confronti un'antica e importante razza. O magari due.»
«Di cosa stai parlando?» la mano che impugnava il pugnale spinse ancora di più contro la gola di Lucky che si esibì in un gracchiante lamento attutito.
«Lo sanno tutti, sai?» il suo tono era ormai disperato. «Lo capiscono, quando vedono le tue trappole e quella fionda maledetta-- sarebbe stato il pretesto perfetto ma ora, ora... oh.»
Il Nateh'n lo lasciò cadere all'indietro, contro la testiera del letto, e si allontanò di un paio di passi.
«Un colpo di stato» sussurrò fra i denti. «Ci hai fatto finire nel bel mezzo di un colpo di stato.»
«Niente di personale, elfo» gracchiò Lucky, circondandosi la nuca con le braccia.
La voce del Nateh'n rimbombò nella camera dopo una manciata di secondi in cui l'unico rumore era stato il respiro rauco del furfante.
«Lucky» disse e l'interessato girò la testa, puntandola oltre la finestra oscurata dalle tende. Solo uno spiraglio di luce rossastra, proprio nel punto in cui i due lembi delle tende si univano, lasciava intravedere gli edifici adiacenti.
Il Nateh'n rinfoderò il pugnale e fissò gli occhi verdi su di lui. «Dimmi chi, Lucky. Chi sta dietro tutto questo?»
L'uomo incurvò gli angoli delle labbra verso l'alto. «Temo che dovrai capirlo da s-»
Il sorriso di Lucky si riempì di sangue.

«Lucky!»
Il Nateh'n si gettò a terra di fianco al letto ed urtò il comodino mentre un'altra freccia, rompendo ciò che rimaneva della finestra, si infilava nel legno della scrivania, esattamente dov'era lui qualche secondo prima. Si girò e riuscì solo a vedere un lembo di stoffa verde, strappato dalla sua casacca ed ora impigliato nella freccia, che subito un nuovo sibilo gli sfrecciò pericolosamente vicino alle orecchie.
Oltre le tende ormai squarciate, il secondo uomo che aveva minacciato Lucky nel vicolo – con ancora il cappuccio a nascondergli il viso – puntava una balestra verso di lui.
Un'altra freccia scoccò e l'elfo si lanciò contro la porta, sfondandola per la foga e cadendoci sopra. Rotolò sulla sinistra e si sforzò di tirarsi in piedi ignorando il dolore sordo al polpaccio, per iniziare a correre lungo il corridoio scuro.
Il rumore di un piatto infranto contro il pavimento lo fece fermare proprio in cima alle rampe di scale.
«L'elfo dai capelli rossi. Primo piano, quinta stanza» stava dicendo la donna con gli anelli alle orecchie, indicando un punto oltre la sua spalla.
«Dannazione.»
L'altro mercenario, Ouf, salutò la sua imprecazione con un ghigno mentre lui riprendeva a correre, stavolta nella direzione opposta.
Andò a sbattere contro un paio di persone che uscivano dalle proprie camere per capire cosa fosse stato tutto quel trambusto e, non appena percepì la corsa pesante del mercenario dietro di lui, sorpassò un uomo in accappatoio ed entrò nella sua camera, chiudendone la porta a chiave.
Una prostituta nuda, in piedi accanto al letto, urlò ma lui la ignorò e si fiondò verso la finestra già spalancata.
Si lasciò sfuggire l'ennesima bestemmia che fu coperta dagli strilli della donna: non c'era nulla su cui potesse saltare se non il canale di scolo dell'acqua che stava ad un paio di metri di distanza, proprio sull'edificio di fronte. «Oh, merda...»
Il colpo dell'ascia contro la porta, avvertito per prima dalla prostituta che corse a nascondersi in bagno, lo fece indietreggiare di tre passi dalla finestra.
«Non andrai lontano» la calma del mercenario oltre il legno gli fece capire che, davvero, aveva i secondi contati e sentì distintamente una voce nelle orecchie – guarda caso con lo stesso timbro di Bartr – che gli domandava se preferiva morire squartato da un'ascia oppure sfracellato contro il lastricato.
Nel dubbio, decise che avrebbe che avrebbe optato per la seconda.

Quando i piedi sfiorarono il terreno, non riuscì ad evitare di finire in ginocchio.
Aveva i palmi delle mani scorticati nel tentativo di afferrare il canale di scolo che, come aveva immaginato poco prima di saltare, non aveva retto il suo peso e si era staccato dalla casa per poi schiantarsi a pochi passi da dove lui era invece riuscito ad atterrare.
Facendo uno sforzo immane per alzarsi da terra, il Nateh'n notò che una nuova striatura rossa gli impiastricciava la gamba fino alla caviglia.
Si trascinò fin dietro l'angolo di un edificio e solo quando, con la schiena premuta contro il muro, si azzardò a guardare verso il primo piano della locanda, vide che Ouf, ora dietro alla finestra spalancata, si stava allontanando lentamente, voltandogli le spalle.
Lui riprese a camminare nella direzione opposta.
Troppo concentrato sui propri passi per evitare di rovinare per terra, si limitò a seguire la strada ciottolata, appoggiandosi ogni tanto ai sacchi della spazzatura per riacquistare l'equilibrio e controllare che nessuno lo stesse seguendo.
I mercenari erano due, si fermò a ragionare quando un'anziana con uno scialle rossastro gli passò accanto. In quelle condizioni non sarebbe mai riuscito a seminarli, a meno che loro non avessero deciso di lasciarlo andare o, prospettiva meno allettante, di tendergli una trappola più avanti.
Svoltò in una strada secondaria a sinistra e continuò a camminare in tutta fretta fino a che qualcuno non gli andò a sbattere contro.
Allarmato per non averlo nemmeno avvertito, portò d'abitudine una mano alla cintura, in cerca della fionda e spalancò gli occhi.
La baronessina Cleomòth sbuffò infastidita di fronte al suo silenzio. «Certo, non scusatevi nemmeno, elfo, mi raccomando.»
«Baronessa, non ho tempo adesso» balbettò il Nateh'n, allontanandosi di un paio di passi e stringendo spasmodicamente lo spazio vuoto contro la coscia sinistra, nascosto dal lembo strappato della casacca, di solito occupato dalla fionda.
Una candela si accese nella sua mente.
Sotto il pezzo di stoffa rimasto alla locanda...
«Come- VOI!?» gracchiò la baronessina e l'elfo si morse la lingua, provando a distanziarla ulteriormente se non ché lei si aggrappò al suo braccio, strattonandolo per tenerlo fermo.
«Voi, ah! Ora mi restituirete le mie perle, se non volete che vi consegni alle guardie.»
«Quali perle?» tentò il Nateh'n, senza risultare per niente convincente. «Temo che mi abbiate scambiato per qualcun aargh-ltro.»
L'elfo si portò la mani sinistra intorno al polso opposto e constatò solo in quel momento che non riusciva a muoverlo senza incorrere in fitte lancinanti.
«... oh» mormorò la baronessina alla vista del sangue sulla gamba. «Siete sudicio!»
«Perspicace.»
«Come osate?!» squillò allora quella, mollandogli il braccio solo per tirargli uno schiaffo in pieno volto.
Il rumore dell'impatto contro la sua guancia spaventò un paio di corvi lì vicino ed un movimento sul tetto accanto alla strada attirò l'attenzione del Nateh'n.
«Vi ho perfino permesso di cogliere il mio fiore...» si stava lamentando Cleomòth mentre, a pochi metri sopra di loro, il mercenario incappucciato li teneva sotto tiro.
L'elfo deglutì ed abbracciò la baronessina.
«Ma che state..?»
«State zitta, se ci tenete alla vita.»
Lei smise di respirare; la lama del coltello le sfiorava la schiena. «Che cosa volete da me? Non ho altre perle ora» sussurrò contro il suo orecchio.
«Zitta» mormorò nuovamente il Nateh'n e lei ubbidì.
Improvvisando una strana danza – in cui la baronessina stava sempre davanti alla balestra – lui la fece volteggiare fino all'incrocio successivo per poi spingerla malamente in un vicolo.
«Vi prego, lasciatemi andare!»
Lui rinfoderò il pugnale e si voltò verso la viuzza che si biforcava ulteriormente a pochi metri da loro.
«Dove siamo?» sussurrò, più rivolto a se stesso che a qualcuno in particolare.
«Di fronte alla Cattedrale» rispose prontamente Cleomòth. «Seguite questa stradina e vi ci troverete davanti, ora lasciatemi andare, vi prego.»
La baronessa cadde malamente per terra quando lui, ricordando il passaggio che dall'impianto acquifero sul retro della Cattedrale arrivava fino poco fuori città, la spinse di lato ed iniziò a correre – per quanto la propria gamba potesse sopportare – verso il centro di Alenea.
Si fermò a nemmeno dieci passi di distanza e si voltò di nuovo verso la baronessina, ora in piedi e tremante, contro il muro: solo in quel momento l'immagine di lei che poche ore prima inveiva contro le guardie cittadine affinché la lasciassero entrare, con i contorni sfocati a causa del dolore, si accese nella sua mente.
«Pensavo avessero chiuso i cancelli» fece con una sfumatura interrogativa nella voce.
Lei singhiozzò e rispose velocemente: «Li hanno riaperti meno di un'ora fa. Ma non fanno passare né cavalli né carrozze. Io stavo tornando a casa.»
Il Nateh'n, però, aveva smesso di ascoltarla. Avrebbe dovuto essere probabilmente sollevato – niente viaggi nelle fogne per uscire dalla città – ma la stessa sensazione allarmante di poco prima gli suggeriva, lanciando un segnale di pericolo imminente, che la riapertura dei cancelli cittadini non fosse affatto una buona notizia.
«Vi prego» gracchiò ancora Cleomòth. «non uccidetemi.»
Ma lui aveva già deciso il prossimo passo e, stando attento a camminare in punti in cui risultasse poco visibile dai tetti circostanti, riprese la lenta corsa verso la Cattedrale.
Il sole era ormai calato del tutto e la Stella dell'Ovest, la più luminosa fra gli astri così come la prima ad apparire, gli fece da faro nelle tenebre della sera. [3]


~


Glossario:

[1] “Lo sgrunge lo fissò con i suoi occhietti infossati e scrollò l'immenso corpo sporco di fango.
«Scommetto che ora sai di che parlo, eh?» chiese colui che prima era stato uno sgrunge a sua volta e che ora, invece, era l'uomo in piedi di fronte a lui. «Passi la vita a rotolarti nel fango e non hai nemmeno la possibilità di vedere il cielo.»
Il possente animale emise un flebile lamento.
«Oh, sono sicuro che tu abbia capito ma preferisco rimanere uomo ancora per un altro po'.»
Detto questo, l'uomo si incamminò verso il villaggio e l'allevatore crudele restò tramutato in una di quelle creature che aveva impunemente maltrattato per il resto della sua vita.
Non vide mai più il cielo.”
Tratto da “Venti favole senza morale (più una)”, raccolte da Tsegh M. Mirborr.

[2] “So che sono estinti da anni, Martin, ma credimi quando ti dico che ne ho visto uno.
Deve essere uscito dall'acqua nel momento in cui mi sono voltato verso il sentiero e ne ho percepito la presenza solo grazie all'infrangersi di alcuni schizzi contro il suo corpo.
Stava ritto sulle due zampe anteriori – identiche a quelle di un cavallo –, proprio al centro del lago, il corto pelo grigio scintillava come un raggio di sole intrappolato in uno specchio e la sua coda... ah!, la sua coda, Martin, era molto più grossa di quanto tu possa mai immaginare.
Si snodava semplicemente, partendo dal dorso privo di zampe posteriori, e lo avvolgeva in una spirale d'aria fresca fino a coprire più di metà della superficie del lago.
Non puoi immaginare il mio stupore – e la mia delusione! – quando lui si immerse di nuovo nelle acque. [...]
Ti ricordi le leggende che ci raccontavano quando eravamo piccini, sul fatto che gli Efyo altro non siano che le schegge in cui si spezza un tornado quando arriva al culmine della sua velocità di rotazione?
Non aspettare il mio ritorno, Martin, perché cavalcherò il vento.
Dalle ultime righe de “Una lunga lettera di L. E. Carvym – pubblicata dal fratello Martin un anno dopo la sua scomparsa.

[3] “[...] e la Stella dell'Ovest disse: «Costruirete la mia Cattedrale nel punto in cui, alzando lo sguardo al cielo, sarò esattamente sopra di voi».”
Cantico della Luce dell'Ovest, ventisettesimo verso.
  
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